Siria: l’imperativo della distensione

Una strategia diplomatica per il conflitto in Siria

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Dopo più di due anni, è finalmente emersa la possibilità di ridare slancio agli sforzi diplomatici per la risoluzione del conflitto: questa occasione nasce dal recente accordo tra Stati Uniti e Russia per il lancio dei negoziati Ginevra II.

L’occidente deve porre fine alla scelta tra una soluzione militare “leggera”, ossia che l’equilibrio militare possa mutare senza un duro intervento, e un approccio diplomatico “leggero”, ossia che la diplomazia possa ottenere risultati a prescindere da Assad o l’Iran. 

Non vi è dubbio che dare priorità alla “de-escalation” dei livelli di violenza e alla riduzione della minaccia di allargamento del conflitto nella regione comporteranno scelte difficili. 

Una diplomazia efficace richiederà scomodi compromessi e dovrà essere il più possibile inclusiva (ivi compreso l’impegno a dialogare con l’Iran, al di là della questione nucleare, e ad accettare che il destino di Assad sia trattato non come una pre-condizione al negoziato ma venga deciso all’interno di un processo di transizione).

Nel nuovo policy brief di ECFR – “Syria: the imperative of de-escalation” – a firma Julien Barnes-Dacey e Daniel Levy, si analizzano le problematiche e le questioni chiave che potrebbero influenzare l'esito del tentativo diplomatico di risoluzione della crisi.

Il raggiungimento di un accordo Ginevra II implica un lungo e difficile processo diplomatico ma è necessario per ridurre la violenza e la minaccia di diffusione di un conflitto etnico-religioso.

L’insistenza con cui vengono pretese le dimissioni di Assad potrebbe apparire come moralmente molto attraente; tuttavia non si presenta come una soluzione pragmaticamente efficace. Amici e nemici dovranno sedersi allo stesso tavolo negoziale.

La pace non arriverà in tempi brevi vista la situazione di estremizzazione delle parti e di diffusione delle armi sul territorio. Resta tuttavia l’imperativo che tutti gli attori esterni si uniscano nello sforzo comune di creare un foro di dialogo per promuovere la distensione, piuttosto che alimentare il focolaio e spingere la Siria e l’intera regione in un conflitto inter-settario non più gestibile.

Armare i ribelli appare imprudente, anche dal momento che non solo l’impatto di quest’azione sarà probabilmente limitato, ma aumenterebbe anche il rischio di escalation del conflitto e la mancanza di controllo sui destinatari finali delle armi.

Per Julien Barnes-Dacey, “La distensione del conflitto in Siria sarà complessa, difficile e lunga. Tuttavia, qualora fallisse, la Siria potrebbe diventare uno stato fallito come la Somalia, trascinando l’intera regione verso una deriva violenta”.

Per Daniel Levy, “Un’escalation potrebbe anche implicare un’ulteriore disintegrazione dello stato siriano, accrescendo le possibilità dell’utilizzo di armi chimiche. La previsione di scenari in cui vi sia l’utilizzo di armi chimiche non dovrebbe distogliere l’attenzione dalla necessità di prevedere una soluzione all’intera crisi siriana, poiché sarebbe solo un cane che si morde la coda”.

Gli interessi degli attori coinvolti

·    Russia: Putin considera la crisi siriana una lotta simbolica contro un cambiamento di regime voluto dall'occidente. Il sostegno di Mosca ad una soluzione politica sarà condizionato dalla non imposizione alla Siria di una soluzione pro-occidente o pro-islam.

·     Iran: Teheran è il più importante sostenitore di Assad, ed offre expertise, addestramento, armi e combattenti. L’Iran vuole difendere il suo potere nella regione, l’influenza regionale e l’accesso ad Hezbollah in Libano, che teme possa essere messo in discussione da un ordine regionale sunnita post-Assad. L’Iran potrebbe arrivare ad accettare una forma di condivisione del potere e transizione che dia ai suoi alleati (e anche a se stesso) influenza duratura.

·     Turchia: la Turchia ha espresso la sua preferenza per un’azione militare in Siria, ma interverrà soltanto nel quadro di uno sforzo occidentale allargato. La Turchia si considera l’avanguardia diplomatica della regione, fattore che potrebbe  favorire lo sviluppo di una soluzione diplomatica.

·    Arabia Saudita: nonostante il forte sostegno militare ai ribelli in Siria, i sauditi sono maggiormente sensibili al rafforzamento di forze radicali in Siria. In qualità di attore dominante nel Golfo, il sostegno di Riad è cruciale nel fermare la considerevole mole di finanziamenti privati che sta alimentando l’opposizione siriana.

·    Qatar: Doha è l’attore meno avverso all’intervento, e visti gli sforzi già fatti per rimuovere Assad, nonché i legami molto forti che ha sviluppato con l’opposizione, potrebbe essere il più difficile da persuadere a cambiare linea.

·    Israele: Tel Aviv può non partecipare all’accordo regionale, ma la sua opposizione al coinvolgimento dell’Iran in qualsiasi sforzo regionale riceverà sicuramente un’accoglienza favorevole a Washington e non solo. Israele ha un entusiasmo limitato per il processo diplomatico da cui è escluso, come d'altronde anche l’Iran stesso, ma è preoccupato dalla situazione dei territori non governati, dall’instabilità e dai gruppi estremisti al suo confine settentrionale, per cui potrebbe crearsi all’interno dell’establishment di sicurezza israeliano una certa flessibilità.

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