Un’Europa sovrana in un mondo pericoloso: proteggere la capacità d’azione dell’Europa in cinque aree chiave

The EU flag hangs from Europa House behind a signpost in London
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In breve

  • Nell’ultimo anno l’Europa ha cominciato a sentire l’esigenza di difendere la sua sovranità in un mondo che si fa sempre più minaccioso.
  • La pandemia ha rivelato e aggravato molte delle attuali vulnerabilità europee, ma l’Unione Europea e gli Stati membri restano incapaci di agire autonomamente in ambiti chiave per la sfera nazionale.
  • Sulla base di vari progetti di ricerca condotti dell’ECFR, si propongono qui cinque programmi relativi alla sovranità in materia di salute, economia, tecnologia digitale, cambiamenti climatici e sicurezza tradizionale intensi a promuovere un’Europa più sovrana su questioni prioritarie per gli europei.
  • L’Europa non deve rinunciare al suo approccio basato sulle regole o cadere nel protezionismo, ma per proteggere il tanto amato ordine internazionale aperto e multilaterale gli europei devono adottare nuove regole che permettano di intervenire contro i Paesi che minano le fondamenta del sistema internazionale.
  • Il Fondo Europeo per la Ripresa, che vale 750 miliardi di euro, offre la possibilità di concretizzare queste ambizioni ma, in ultima analisi, gli europei dovranno imparare ad agire come potenza geopolitica globale.

Introduzione

Alla fine di aprile 2020 la sede di Taipei dell’Ufficio olandese per il commercio e gli investimenti (Netherlands Trade and Investment Office) ha cambiato nome in “Netherlands Office Taipei”, sull’esempio, in tempi recenti, di Australia, Giappone, Gran Bretagna e Polonia. Questa volta però la Cina non ha esitato a manifestare il suo disappunto. Oltre alle rimostranze diplomatiche, Pechino ha attaccato il governo olandese sulle testate governative, ha chiesto il boicottaggio dei prodotti olandesi e ha fermato la fornitura di materiale medico proprio nel momento in cui i Paesi Bassi registravano quasi 40.000 casi confermati di COVID-19 e un numero di morti più elevato rispetto ai conteggi ufficiali per la Cina.

Gli Stati membri dell’UE si trovano sempre più spesso ad affrontare sfide che non conoscono confini – pandemie, crisi finanziarie, attacchi informatici, cambiamenti climatici, crisi dei rifugiati – e che possono essere risolte solo attraverso un’azione collettiva. Tuttavia, allo stato attuale, molte grandi potenze preferiscono sfruttare i rispettivi contatti per competere tra di loro invece di cercare soluzioni comuni. La crescente potenza e assertività della Cina, associata a un atteggiamento autoritario, rappresenta in tal senso la sfida più significativa. La diplomazia cinese del “guerriero lupo” rientra in una strategia adottata da un gruppo più ampio di Stati tra cui la Russia, la Turchia, l’Arabia Saudita, l’Iran, gli Emirati Arabi Uniti e anche il più stretto alleato dell’UE, gli Stati Uniti, che strumentalizzano l’interdipendenza per perseguire obiettivi geopolitici. Tale approccio mette in discussione le fondamenta su cui è stata costruita l’Unione Europea, ovvero la creazione di un sistema multilaterale basato su regole e di un sistema economico sempre più globalizzato.

Per cavarsela in questo nuovo mondo, l’UE e i suoi Stati membri devono impegnarsi in uno sforzo strategico ad ampio spettro che ne garantisca la sovranità strategica, volto a ricalibrare il ruolo dell’Europa in un mondo geopolitico per rafforzarne il potere negoziale e la capacità di agire in linea con i suoi interessi e valori. L’obiettivo non è allontanarsi da un ordine basato sulle regole, ma dissuadere altri giocatori dal metterlo in discussione dotando gli europei degli strumenti necessari per negoziare efficacemente in un sistema interdipendente, per adottare contromisure contro chi intende smantellare l’ordine internazionale e per prendere decisioni autonome in un ambiente geopolitico più competitivo. Garantire la sovranità strategica non significa trasferire il potere o la sovranità nazionale a Bruxelles, ma piuttosto riappropriarsene rispetto ad attori esterni, siano essi stati come la Turchia e la Russia o aziende come Huawei e Amazon. I sondaggi condotti dallo European Council on Foreign Relations continuano a indicare che per un gran numero di cittadini europei l’Unione dovrebbe essere in grado di esercitare tale ruolo, controllare le frontiere esterne, promuovere supply chain più resilienti e agire con decisione sui cambiamenti climatici.

Tuttavia cresce la frustrazione di fronte a una nuova competizione geopolitica che assomiglia più a una partita a scacchi tra cinici statisti in stile Metternich e Talleyrand che al mondo che i fondatori dell’UE avevano sperato di creare. L’UE è stata esplicitamente concepita per relegare questo tipo di atteggiamento al passato. La natura stessa dell’UE implica un approccio al resto del mondo basato su apertura e cooperazione. Qualunque cosa accada, l’Europa deve continuare a sostenere e promuovere un ordine multilaterale basato sulle regole, puntando a trovare soluzioni globali a problemi globali, dal mantenimento di un mercato libero alla lotta ai cambiamenti climatici, dal mantenimento della pace e della sicurezza internazionale alla promozione dello sviluppo sostenibile. In parole povere, ripiegarsi sul protezionismo sarebbe una mossa autolesionista.

Tuttavia è diventato molto difficile separare le preoccupazioni dei cittadini europei sulla salute, il benessere e la sicurezza dall’influenza della geopolitica. La Cina, la Russia e a volte anche gli Stati Uniti non esitano a violare lo spirito e a volte anche la lettera delle norme internazionali, né a strumentalizzare le relazioni economiche per raggiungere obiettivi politici o di sicurezza e viceversa. Questo ha già minato l’ordine internazionale in misura tale da mettere in discussione la capacità degli Stati membri di agire come entità autonome e di esprimere la loro volontà collettiva attraverso l’UE.

Per proteggere l’ordine liberale internazionale e il suo spirito di apertura e cooperazione l’UE deve sviluppare strumenti che scoraggino questo genere di comportamento distruttivo. Per rendere efficace tale deterrenza l’UE dovrebbe tentare di agire per quanto possibile su base multilaterale, essendo comunque pronta a ripiegare su coalizioni di volenterosi o anche autonomamente laddove necessario.

Per comprendere più a fondo queste sfide, nel 2019 l’ECFR ha avviato uno studio su sei aree tematiche che potrebbero beneficiare di una maggiore sovranità strategica da parte dell’Europa, ovvero difesa, affari multilaterali, intelligenza artificiale (AI), sanzioni secondarie, minacce ibride e politica economica internazionale. Ne sono risultate 56 raccomandazioni per migliorare la capacità europea di agire in questi ambiti accompagnate da suggerimenti per cambiamenti istituzionali sia a livello europeo che nazionale che ne faciliterebbero l’attuazione. La conclusione ultima di tale ricerca è stata che la natura globale e interconnessa delle sfide odierne in relazione alla sovranità richiede una maggiore integrazione delle politiche dell’UE, tanto tra gli Stati membri che tra i compartimenti stagni della politica a Bruxelles e nelle altre capitali, al fine di incorporare la dimensione geopolitica nella definizione delle politiche europee.

Nell’ultimo anno, gli Stati membri e l’UE hanno fatto buoni progressi su questi e altri fronti, ma la questione è diventata più urgente da quando la crisi del Covid-19 ha accelerato la tendenza verso una maggiore competizione geopolitica e una strumentalizzazione dell’interdipendenza. Per portare avanti il lavoro dello scorso anno e riflettere sugli sviluppi più recenti, l’ECFR ha commissionato a tre gruppi di ricercatori la mappatura delle principali fragilità dell’UE nelle tre aree ritenute più significative per la sicurezza e la prosperità dell’Europa, ovvero il Vicinato orientale, il Vicinato meridionale e l’Asia orientale. Ciascuna presenta sfide diverse, ma il ruolo della Cina e degli Stati Uniti e la competizione che li riguarda caratterizza l’intero scenario. Questi due contendenti geopolitici sono già impegnati in un nuovo tipo di guerra che si incentra su un utilizzo strumentale delle infrastrutture della globalizzazione. Una delle involontarie conseguenze di tale competizione è stata creare spazio per potenze di medie dimensioni (come Russia, Turchia, Iran e Arabia Saudita) e permettere loro di diventare più assertive, sfruttando l’interdipendenza a proprio vantaggio e minando così ulteriormente tanto l’ordine globale che la capacità degli Stati membri dell’UE di perseguire i loro interessi in diverse regioni.

Gli Stati Uniti rappresentano la sfida più infida. Il rapporto tra USA e UE è probabilmente la partnership più importante del mondo, fondata su una lunga storia di cooperazione e su valori democratici condivisi. Molto semplicemente, l’UE non può ambire a costruire il mondo che desidera né a prosperare in questo mondo imperfetto in assenza di un rapporto solido ed efficace con l’America. Se la maggior parte degli Stati membri europei attribuisce grande valore ai rapporti bilaterali con gli Stati Uniti e giustamente è contraria a mettere a rischio questa relazione chiave, la dipendenza da Washington ha raggiunto un livello tale da non essere più politicamente insostenibile. Ancora più preoccupante è il fatto che gli Stati Uniti abusano talvolta della loro posizione centrale nell’ordine internazionale e approfittano della dipendenza asimmetrica dell’Europa in ambito militare e finanziario per trarre vantaggi geopolitici e geoeconomici. Tale atteggiamento rappresenta una potenziale minaccia non solo per le relazioni tra Stati Uniti e Europa, ma anche per l’ordine multilaterale che l’America ha contribuito in maniera determinante a plasmare.

In virtù di tale paradosso, l’agenda europea per la sovranità strategica non può mirare a limitare la cooperazione con gli Stati Uniti nonostante persegua una maggiore capacità d’azione dell’UE. Al contrario, uno degli obiettivi fondamentali consiste nel rendere l’Europa un partner più efficace per gli Stati Uniti alleggerendoli di alcuni oneri internazionali, lavorando insieme per riformare le istituzioni multilaterali e risolvere i problemi globali e aiutandoli ad apprezzare il valore di un ordine internazionale basato sulle regole. Ma l’UE non può realizzare tali obiettivi se resta incapace di negoziare con gli Stati Uniti su un piano di maggiore parità.

Il dibattito sull’autonomia dell’Europa si incentra su un problema di sicurezza che trascende la sfera militare e non segue più le linee geografiche tradizionali. Le lotte geopolitiche di oggi si estendono a tutti gli aspetti della vita moderna, attraversando i flussi di dati, i confini, le supply chain, il clima e persino l’apparato respiratorio dell’Europa. Di conseguenza l’Europa ha bisogno di una risposta multiforme che guardi oltre la politica di difesa e si concentri sugli effetti che tali questioni generano in Europa senza badare alle loro origini geografiche. L’Europa deve aumentare la sua autonomia per agire sulle questioni che contano per i cittadini europei e orientare le sue strategie regionali in base a tale obbiettivo.

L’autonomia non deve essere confusa con un ripiego verso l’isolazionismo o il protezionismo. L’apertura dell’Europa e l’interdipendenza che ne deriva sono l’essenza stessa del progetto di integrazione europea. I movimenti ben regolamentati di merci, denaro, persone e idee rappresentano il cuore della costruzione europea. Lo scopo della sovranità strategica, come espresso anche dal concetto di “Autonomia strategica aperta” della Commissione Europea, è promuovere l’apertura aumentando la capacità europea di agire in modo indipendente e di modellare il mondo che li circonda.

Sono cinque le minacce transnazionali che emergono come prioritarie per la sovranità strategica europea sia nel dibattito pubblico che nella sfera politica. Diverse potenze strumentalizzano le interdipendenze asimmetriche in ambito sanitario, nelle relazioni economiche, nella tecnologia digitale, nella sicurezza e nelle questioni climatiche riducendo la capacità dell’Europa di agire autonomamente e di proteggere gli interessi e i valori dei suoi cittadini. Questo documento esplora le diverse sfide alla sovranità in ambito sanitario, economico, digitale e climatico, nonché le tradizionali minacce alla sicurezza che l’Europa si trova ad affrontare nelle zone del mondo ritenute più rilevanti per gli interessi europei.

Seppure non tutte siano legate alla sovranità, si tratta di questioni in cui altre potenze cercano di limitare la capacità europea di promuovere e salvaguardare i propri valori, anche all’interno dell’Europa stessa. In un mondo globalizzato, l’UE e i suoi Stati membri non possono, ad esempio, tutelare la salute dei loro cittadini se non sono in grado di mettere al riparo le supply chain di materiale sanitario da eventuali interruzioni e garantire accesso ai vaccini. Questo documento formula cinque proposte che illustrano come l’Europa può riappropriarsi della capacità di agire in ciascuna di queste aree.

Dopo un lungo periodo in cui si è preferito evitare di prendere atto della realtà, la maggior parte dei politici europei, sia a Bruxelles che negli Stati membri, riconosce ora che per preservare quanto è stato costruito in Europa occorre una risposta decisa in questa nuova era geopolitica. Da questa consapevolezza è scaturito un florilegio terminologico che si è riversato in una serie di riflessioni da parte di think-tank ed enti governativi in forme analoghe a quanto questi autori si propongono di fare qui. Ne emerge la convinzione diffusa che se l’Europa non parteciperà attivamente a questa competizione globale, ne uscirà inevitabilmente perdente. Espressioni come “sovranità europea”, “autonomia strategica” e “autonomia strategica aperta” si riferiscono tutte a questo ampio problema, pur sottolineandone rischi o aspetti diversi. Tanto il fermento intellettuale che il dibattito terminologico che ne derivano sono importanti, ma spesso distraggono dalle questioni centrali e mettono in secondo piano discussioni sostanziali su come assicurare operativamente una maggiore capacità di azione europea in un mondo competitivo.

Più precisamente, questi dibattiti terminologici riflettono il fatto che la lotta interna, tanto tra gli Stati membri che tra le diverse istituzioni a Bruxelles, resta il principale impedimento alla realizzazione di tali programmi (comunque li si voglia chiamare). Non è una difficoltà da poco, ma questa agenda per la sovranità in cinque punti arriva in un momento in cui, nello tsunami di incertezza generato dalla pandemia, l’Europa ha a disposizione un pacchetto per la ripresa pari a 750 miliardi di euro per finanziare progetti di alto profilo che rendano l’Europa visibilmente più sicura ed economicamente sostenibile, spaziando dai vaccini e dalle scorte di medicinali ai massicci investimenti in energia solare e innovazioni digitali. Il programma per la sovranità strategica è concepito non tanto per introdurre un nuovo vocabolario nel dibattito generale, ma piuttosto per aiutare i decisori politici a leggere più chiaramente la nuova mappa del potere e quindi a costruire un’Europa migliore.

I. Sovranità sanitaria

 La pandemia da coronavirus ha dimostrato che la capacità di gestire e proteggere efficacemente il sistema sanitario è una questione di sicurezza e ha rivelato che l’UE e i suoi Stati membri non sono ancora in grado di garantire l’autonomia europea in questo campo. I numeri parlano chiaro: la pandemia probabilmente avrà ridotto il reddito disponibile in Europa del 5,9% nel 2020 (pari a circa 600 miliardi di euro), con conseguenze più serie in alcune regioni. Il Paese che riuscirà a sviluppare e distribuire per primo un vaccino contro il COVID-19 beneficerà di enormi vantaggi geopolitici ed economici. Nel tentativo di intercettare tali benefici, la Cina e la Russia hanno messo al lavoro i rispettivi cyber hacker contro obiettivi americani ed europei, mentre l’Amministrazione Trump ha cercato semplicemente di acquisire parte delle scorte vaccinali europee.

La gestione delle questioni sanitarie in Europa si basa su un’efficace cooperazione internazionale, ma l’Europa si trova a competere con rivali non da poco, determinati ad accaparrarsi le scarse risorse disponibili e le tecnologie chiave. Le istituzioni multilaterali come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) non sono in grado di assicurare un’efficace cooperazione internazionale nella loro attuale configurazione. All’inizio della pandemia gli Stati membri dell’UE si sono resi conto che nonostante il suo peso economico, l’Europa non era in grado di garantire un’adeguata fornitura di attrezzature sanitarie in momenti di crisi. Inoltre, i sistemi sanitari europei sono profondamente eterogenei, il che non solo complica la cooperazione e la convergenza ma rende gli europei ancora più vulnerabili.

Sulla base di tale consapevolezza, l’UE e i suoi Stati membri hanno compiuto enormi passi avanti in un periodo di tempo relativamente breve per potenziare la loro capacità di salvaguardare la sovranità sanitaria. L’UE ha già iniziato a esercitare il potere normativo per migliorare la reattività alle crisi sanitarie e diversificare le catene di approvvigionamento di forniture mediche essenziali e dei dispositivi di protezione. Un gruppo di lavoro della task force COVID-19 dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA) si occupa ora di garantire il coordinamento necessario a scongiurare il rischio di carenze di medicinali autorizzati a livello centrale e dialoga inoltre con le associazioni di categoria del settore per migliorare la resilienza delle catene di approvvigionamento. L’UE sta inoltre valutando la possibilità di spostare la produzione in altri paesi e di accumulare riserve strategiche di alcuni farmaci e dispositivi di protezione.

Si tratta sicuramente di un buon inizio nel bel mezzo di una crisi, ma una sovranità sanitaria più strutturata e di portata più ampia si deve basare su sei pilastri essenziali:

  • Proteggere il mercato unico: Il mercato unico è probabilmente la più grande conquista dell’UE, ma la pandemia ha inflitto un duro colpo portando gli Stati membri a chiudere le frontiere, azzerando il turismo e gli spostamenti all’interno dell’Unione e rallentando gli scambi commerciali. Onde evitare il ripetersi di tale situazione, è necessaria una mappatura dettagliata delle infrastrutture sanitarie e dei legami di dipendenza dell’UE, delle scorte strategiche comuni di materiale sanitario, di un meccanismo di protezione civile potenziato e ad ampio raggio che possa coordinare gli aiuti agli Stati membri, nonché di maggiori sforzi di pianificazione di scenari possibili e previsioni di crisi a venire.
  • Promozione di standard sanitari condivisi: La disuguaglianza sanitaria all’interno dell’UE ha portato gli Stati a vivere la crisi in maniera molto diversa e naturalmente questo ha influito sulla solidarietà. La soluzione nell’ambito delle attuali competenze dell’UE consiste nel definire standard sanitari condivisi, sistematizzare la mobilità dei pazienti e del personale medico e promuovere gli standard sanitari europei a livello globale.
  • Rafforzare la protezione degli investimenti: L’UE e i suoi Stati membri devono estendere l’attuazione dei programmi di screening degli investimenti nazionali e dell’UE al settore sanitario e aumentarne l’efficacia. L’UE ha fatto un grande passo in tal senso attivando un nuovo meccanismo di verifica preventiva degli investimenti nell’ottobre 2020, ma resta da chiarire quanto sarà vasto il suo ambito di applicazione e come si rapporterà ai meccanismi degli Stati membri. Lo sforzo principale dovrebbe essere volto a dimostrare le conseguenze delle acquisizioni motivate dalla geopolitica ai potenziali investitori globali.
  • Proteggere le catene di approvvigionamento sanitario: L’UE deve necessariamente fare il punto sulle supply chain in ambito sanitario per determinare quali strategie di protezione adottare, ad esempio scegliendo tra il reshoring, il near shoring e la diversificazione, anche per affrontare eventuali colli di bottiglia. Questo rientra in una strategia generale volta a ridurre la dipendenza asimmetrica nelle catene di approvvigionamento (come indicato più avanti nel testo), ma avrà caratteristiche particolari nel settore sanitario, ad esempio l’UE potrebbe mirare ad aumentare la resilienza del settore sanitario attraverso l’intervento privato ricorrendo a strumenti di regolamentazione e incentivi.
  • Promuovere e finanziare la ricerca e lo sviluppo in ambito medico: L’UE e i suoi Stati membri devono dedicare maggiori finanziamenti alla ricerca e allo sviluppo medico. Tuttavia, sarà forse ancora più importante individuare un meccanismo che permetta di mobilitare rapidamente fondi per la ricerca e lo sviluppo in ambito sanitario nelle emergenze, seguendo l’esempio di quanto già avviene in Cina e Stati Uniti.
  • Coordinare un’agenda per la salute globale attraverso le istituzioni multilaterali: La pandemia da Covid-19 ha evidenziato che lo stato della salute globale è forte quanto il suo anello più debole. In quanto leader dello sviluppo globale, l’UE ha l’opportunità di utilizzare le sue risorse per promuovere un’ambiziosa agenda multilaterale volta ad aiutare i Paesi più vulnerabili. In tal senso l’assistenza sanitaria potrebbe fornire un modello interessante per rivitalizzare il sistema multilaterale in un momento in cui è sotto forte pressione. L’UE e i suoi Stati membri devono far leva sulla presenza europea in varie istituzioni multilaterali sia per riformare la loro capacità di rispondere alle emergenze sia per allinearle agli standard europei, ad esempio attraverso la creazione di gruppi sanitari europei all’interno delle organizzazioni internazionali, convocando iniziative globali su piattaforme europee e cercando di sbloccare le istituzioni multilaterali.

La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha illustrato alcune di queste proposte nel discorso sullo stato dell’Unione di settembre 2020, proponendo, in particolare, di rafforzare l’Agenzia europea per i medicinali, di avviare uno stoccaggio strategico di medicinali e altre attrezzature sanitarie a livello europeo e di creare una versione europea della BARDA, l’agenzia di ricerca statunitense, per guidare la ricerca e lo sviluppo in ambito sanitario in Europa. Come ha riconosciuto nel suo intervento, resta ancora molto da fare ed è giunto il momento di discutere della eventuale necessità di maggiori competenze europee in ambito sanitario al fine di raggiungere alcuni degli obiettivi di cui sopra.

II. Sovranità economica

La complessa interdipendenza economica emersa nell’era della globalizzazione ha creato molteplici dipendenze asimmetriche che hanno limitato la libertà d’azione europea. Di queste esistono varie tipologie.

In primo luogo, l’UE rimane fortemente legata al funzionamento di supply chain che si estendono in tutto il mondo, in particolare in settori chiave in Cina come l’industria automobilistica ed elettronica. Ma, come ha evidenziato la crisi del Covid-19, tali catene di approvvigionamento sono esposte a repentine interruzioni a causa tanto di eventi naturali che causati dall’uomo. L’UE può contare su risorse naturali limitate sia in relazione all’approvvigionamento energetico che per quanto riguarda il litio, il cobalto e i metalli rari necessari alle produzioni industriali altamente tecnologiche, una dipendenza destinata ad aumentare se l’UE intende raggiungere gli obiettivi climatici. Proprio il controllo di queste risorse è stato utilizzato da Russia, Cina, Stati Uniti e altre potenze per ottenere concessioni geopolitiche, anche se con un successo limitato.

In secondo luogo, le imprese europee hanno bisogno di un terreno di gioco più equo per rimanere competitive sul mercato internazionale, ma i principali partner commerciali dell’UE, in particolare la Cina, sovvenzionano pesantemente le grandi aziende nazionali favorendone l’accesso al credito e distorcendo la concorrenza anche in altri modi.

In terzo luogo, l’UE utilizza il sistema finanziario internazionale per investire i suoi risparmi, incanalare i suoi investimenti e finanziare il debito pubblico, ma i partner chiave dell’UE, in particolare gli Stati Uniti e forse presto anche la Cina, sfruttano il controllo asimmetrico e il ricorso alle sanzioni per promuovere i rispettivi interessi geopolitici.

In precedenza la strategia europea riguardo a queste dipendenze asimmetriche consisteva nel tentare di replicare il più possibile il sistema europeo di governance economica a livello globale.

Le organizzazioni internazionali come il Fondo Monetario Internazionale (FMI), la Banca Mondiale e l’OMC dovrebbero regolare lo sfruttamento del vantaggio asimmetrico, ma, attualmente, a prevalere è il caos. La disputa USA-Cina ha portato l’OMC sull’orlo della disintegrazione e il suo sistema di risoluzione delle controversie è già di fatto inutilizzabile. Nel frattempo, i cinesi e i russi si sono dati da fare per costruire reti di sicurezza e istituzioni finanziarie alternative, come la New Development Bank, la Asian Infrastructure Investment Bank e altre legate alla Belt and Road Initiative. Tali meccanismi svolgono ruoli simili ma senza tutte le fastidiose condizionalità e regolamentazioni che caratterizzano il sistema esistente. Questo rende gli accordi finanziari con la Cina e la Russia molto più attraenti per molti regimi di tutto il mondo.

Esiste ora la possibilità di un completo disfacimento dell’ordine finanziario post-seconda guerra mondiale: le crescenti tensioni tra Cina e Stati Uniti potrebbero portare Washington ad affermare il dominio americano sul sistema di Bretton Woods (di cui detiene una minoranza di blocco), inducendo Cina, Russia e forse altri a uscirne completamente e a costruire un sistema separato di accordi finanziari bilaterali, regionali e multilaterali.

L’UE e i suoi Stati membri hanno messo in atto vari sforzi per rafforzare il sistema di governance globale, ad esempio attraverso un tentativo di riforma dell’OMC, la promozione di un’iniziativa globale per la lotta ai cambiamenti climatici attraverso la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) e il sostegno ai programmi del FMI concepiti per aiutare i Paesi che si trovano in difficoltà finanziarie. L’Unione è poi alla ricerca di un’alleanza più blanda con Paesi che mostrano orientamenti simili come il Giappone, l’Australia, la Corea del Sud e anche l’India, per formare una sorta di nucleo democratico. Questi sforzi possono certamente sortire qualche effetto, ma considerato che Cina, Russia, Turchia e talvolta anche Stati Uniti tendono a deviare sempre più spesso dal sistema esistente, sembra sciocco affidarsi alla governance globale per continuare a proteggere la sovranità economica europea.

Ne consegue che la priorità per garantire all’Europa una vera sovranità economica deve comportare la riduzione delle dipendenze asimmetriche dalle potenze esterne senza ricorrere al protezionismo né a una riduzione significativa delle attività internazionali riguardo al commercio e agli investimenti. La Commissione Europea ha già riconosciuto la necessità di bilanciare l’apertura con una maggiore autonomia nel suo sforzo di promuovere una “autonomia strategica aperta”, ma le dipendenze di questo genere sono molte e il compito sarebbe senza fine. I seguenti passi potrebbero però contribuire a ridurre le importanti vulnerabilità europee a un costo decisamente accettabile.

Diversificare e, se necessario, delocalizzare le supply chain

La Commissione Europea ha cercato a lungo di ridurre la dipendenza dell’Europa dagli altri Paesi per quanto riguarda materiali e tecnologie essenziali, come di recente esemplificato dalla Nuova strategia industriale per l’Europa lanciata a marzo. Le imprese mantengono la responsabilità e la capacità primaria di assicurare la stabilità delle catene di approvvigionamento ma, come hanno dimostrato i recenti avvenimenti durante la pandemia, il ruolo dei governi resta importante, in particolare nei momenti di crisi o per prevenire vulnerabilità geopolitiche a lungo termine. L’UE ha già registrato alcuni successi in tal senso, come nel caso dei progressi compiuti nel mercato dell’energia che offrono un esempio di come si possano ridurre le dipendenze asimmetriche senza diminuire i volumi commerciali. La chiave si trova tanto nella diversificazione che in una configurazione più efficace del commercio di beni chiave in un quadro normativo multilaterale che riduca la capacità delle potenze straniere di manipolare l’offerta.

Nel caso della Cina, il più complesso, questo significa creare incentivi per incoraggiare fornitori alternativi dove possibile e costruire riserve strategiche europee di prodotti essenziali. Più creativamente, significa anche approfittare del crescente disagio in tutto il mondo rispetto all’influenza eccessiva della Cina per coordinare le politiche industriali e la regolamentazione della tecnologia con altre potenze tecnologiche come il Giappone, la Corea del Sud, Taiwan e gli Stati Uniti. L’Europa potrebbe inoltre ricorrere ad accordi commerciali e di investimento più significativi in tutta l’Asia, specialmente con l’India e i membri dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN). L’accordo di libero scambio UE-Giappone offre un buon modello da seguire.

A questo proposito esiste per l’UE e i suoi Stati membri la reale opportunità di rendere la connettività uno strumento geopolitico investendo in infrastrutture digitali, norme e standard che potrebbero collegare tra loro Stati simili in tutta la regione. La Strategia sulla connettività e le relazioni UE-Asia del 2019 è stato un primo passo nella giusta direzione, ma richiede un maggiore coordinamento finanziario per affrontare la dimensione globale della sfida cinese. L’UE dovrebbe adottare questo approccio a livello globale e avviare una riorganizzazione dei sistemi di finanziamento per riunire settori diversi come la cooperazione economica, il commercio e lo sviluppo, trasformando questa agenda economica relativamente limitata e altamente difensiva in una strategia che serva da contrappeso al nuovo ruolo globale della Cina.

Naturalmente, si tratta di un ambito altamente tecnico che richiede un’analisi approfondita delle vulnerabilità delle catene di approvvigionamento, ma il confronto interregionale implica che ci sono opportunità per ridurre le dipendenze asimmetriche trasferendo alcune attività economiche nel Vicinato europeo. Potrebbe essere necessario un certo livello di “on-shoring” in alcuni settori strategicamente importanti, ma nella maggior parte dei casi questo avrebbe costi proibitivi e non sarebbe indispensabile. Sia la diversificazione che la sicurezza dell’approvvigionamento possono spesso essere ottenute attraverso il “near-shoring”, ovvero fornendo incentivi per localizzare attività economiche chiave nel Vicinato europeo, compresi i Balcani e l’Africa. Come proposto recentemente dall’Alto Rappresentante dell’UE per la politica estera e di sicurezza Josep Borrell, potrebbe essere “ragionevole avere d’ora in poi più attività in Nord Africa o altrove in Africa piuttosto che in Asia.”

Questo richiederà una connettività intraregionale basata su iniziative in Europa orientale e in Africa volte a offrire incentivi alle aziende che intendono spostare complesse catene di approvvigionamento al di fuori della sfera immediata di influenza della Cina.

Garantire condizioni di parità nella competizione nazionale e internazionale

L’abuso degli aiuti di stato e di altri strumenti richiede che l’UE internazionalizzi la sua politica sulla concorrenza, vigilando sulle distorsioni del commercio internazionale e degli investimenti derivanti dal sostegno fornito all’industria dai governi stranieri. I sussidi diretti e indiretti dovrebbero, se possibile, essere discussi nel contesto dell’OMC e qualora ciò non fosse possibile, l’UE dovrebbe rivedere i suoi strumenti di regolamentazione della concorrenza e cercare il modo di applicarli agli aiuti di stato concessi dai governi stranieri.

Deterrenza e risposta alle sanzioni secondarie

Le sanzioni sono uno strumento importante per garantire la sovranità strategica europea che, se usato in maniera efficace, può aiutare a preservare la capacità di azione dell’UE. L’Unione ha implementato 42 regimi di sanzioni contro 34 Paesi, diventando il secondo utilizzatore più prolifico di sanzioni economiche al mondo.

Allo stesso tempo, molti funzionari europei riconoscono ormai che le sanzioni secondarie, soprattutto quelle imposte dagli Stati Uniti, hanno seriamente limitato la capacità dell’UE di agire su questioni come il nucleare iraniano, ma non hanno ancora trovato un metodo per affrontare efficacemente la questione. Il tanto acclamato canale di pagamento Instrument in Support of Trade Exchanges (INSTEX) ha, nella pratica, ottenuto poco. L’UE ha bisogno non solo di un INSTEX rafforzato che goda di più ampio sostegno, ma anche di un canale di pagamento formalizzato e ad ampio spettro che sia indipendente dal sistema finanziario statunitense e quindi esente degli effetti delle sanzioni secondarie degli Stati Uniti. L’UE dovrebbe anche prendere in considerazione strumenti di difesa commerciale che le permettano di essere pronta a rispondere a sanzioni unilaterali sgradite attraverso misure di ritorsione economica appropriate e proporzionate, cosa che permetterebbe di scoraggiarne a priori l’utilizzo.

Un ulteriore passo in tale direzione consisterebbe nel rafforzare il profilo internazionale dell’euro. Sarebbe uno sforzo di ampio respiro, che oltre a mettere al riparo l’Europa dalle sanzioni secondarie statunitensi avrebbe però anche altre conseguenze sia positive che negative. Nel complesso, tuttavia, aumenterebbe notevolmente la capacità dell’UE di agire in modo indipendente in campo economico. La decisione nell’ambito del Piano per la ripresa dell’Europa di permettere all’UE di accedere a prestiti sul mercato dei capitali è un passo potenzialmente importante nella creazione di asset più sicuri in valuta europea, che rappresentano un presupposto necessario per un ruolo internazionale più incisivo della moneta unica. Su ciò dovrebbe basarsi uno sforzo volto a creare mercati bancari dei capitali profondi e integrati che rafforzerebbero sia il ruolo dell’euro che l’autonomia politica europea.

Proteggere asset critici per la sicurezza nazionale da interferenze straniere

Nonostante i recenti progressi, persiste l’esigenza per l’UE di dotarsi di un sistema di screening degli investimenti. Dato che gli investimenti stranieri nei Paesi dell’Unione danno accesso a tutto il mercato interno, Bruxelles non può limitarne il controllo a una dimensione puramente nazionale e inoltre sono attualmente solo 14 i Paesi dell’UE che applicano meccanismi di screening, i quali differiscono notevolmente nella loro portata e applicazione.

Tali investimenti possono rappresentare una minaccia in quanto fonte potenziale di pressione politica indebita e di spinte divergenti in seno all’EU. In tal senso, nel marzo 2018 i membri dell’UE che siedono nel Consiglio per i diritti umani dell’ONU si sono astenuti dal voto riguardo a una risoluzione cinese che vincolava la difesa dei diritti umani alla cooperazione tra Stati in base a “interessi condivisi”. La Cina aveva fatto pressione sugli Stati più vulnerabili dell’UE e l’astensione era l’unico modo per prevenire una spaccatura interna.

Nel 2019 il Parlamento Europeo ha riconosciuto la necessità di sviluppare un approccio comune e procedure condivise nell’UE in relazione al controllo degli investimenti stranieri, anche conferendo alla Commissione Europea il diritto di veto su investimenti stranieri per motivi di sicurezza. A ottobre 2020 è stato attivato il meccanismo di screening e a questo punto resta da vedere se riuscirà a operare efficacemente in coordinamento con gli Stati membri. Si tratta di un passo importante nella giusta direzione, ma bisogna fare di più per assicurare la cooperazione degli Stati membri e affrontare la dimensione comune delle decisioni relative agli investimenti esteri. Il Consiglio dei Ministri, per esempio, dovrebbe avere il diritto di decidere con voto a maggioranza qualificata se bloccare un investimento straniero sulla base di una raccomandazione della Commissione Europea e si dovrebbero sviluppare strumenti, come un fondo di investimento dedicato, per offrire alternative agli Stati membri qualora si decida di bloccare iniziative finanziarie estere in casi specifici.

Mettersi al riparo dal rischio di stallo delle istituzioni finanziarie multilaterali

L’UE dovrebbe conservare e sfruttare la sua influenza sulle istituzioni finanziarie multilaterali. Tuttavia questo sforzo non si riferisce al mantenimento delle quote e dei diritti di voto, ormai superati, che danno ai Paesi europei un rigido controllo tecnico sulle operazioni. A meno che tali quote non vengano riequilibrate per riflettere più accuratamente l’attuale scenario internazionale, Paesi come Cina e India troveranno semplicemente dei meccanismi alternativi, lasciando agli europei un potere eccessivo in istituzioni di dimensioni ridotte. Il riequilibrio dovrebbe essere accompagnato inoltre da un consolidamento della presenza europea in posizioni chiave anche se, in alcuni casi, questo potrebbe non aumentarne direttamente l’influenza internazionale.

L’UE dovrebbe poi prevedere la possibilità che tali sforzi non sempre abbiano sempre successo e prepararsi a un possibile stallo politicamente o geopoliticamente motivato sulla fornitura di assistenza del FMI a un Paese del vicinato. In tal senso, sarebbe opportuno considerare l’attribuzione di un ruolo esterno al Meccanismo europeo di stabilità e il rafforzamento degli strumenti di bilancio per riequilibrare la bilancia dei pagamenti a disposizione di paesi terzi.

III. Sovranità in ambito di sicurezza

L’aspetto più sacro della sovranità risiede nella capacità di difendere la nazione dalle minacce esterne. A partire dalla fine della Guerra Fredda, la maggior parte degli Stati membri dell’UE non si è mai sentita veramente minacciata in questo senso, considerato che la potenza militare collettiva europea è tra le più importanti al mondo e che si poteva comunque contare sulla protezione degli Stati Uniti. Ma oggi la Cina si fa sempre più assertiva, la Russia è nuovamente in ascesa, l’America si focalizza maggiormente sull’Indo-Pacifico che sull’Europa e altre potenze e attori non statali presentano una serie di minacce asimmetriche, così che la maggior parte degli Stati membri si trova ad affrontare nuove sfide alla sicurezza europea contro le quali non possiede la capacità di difendersi.

La sicurezza rimarrà comunque di competenza degli Stati membri, che continueranno a detenere la maggior parte delle capacità di azione, e gli europei continueranno ad affidarsi alla cooperazione e all’assistenza degli Stati Uniti finché queste saranno disponibili. Ma è ormai evidente che l’Europa ha bisogno di maggiore cooperazione e coordinamento interno per rafforzare le capacità degli Stati membri nell’ambito della sicurezza e ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti.

Le esigenze in tal senso si fanno sempre più urgenti. Oltre a sfruttare le vulnerabilità europee tradizionali, la Russia ha cominciato a sperimentare metodi innovativi per trasformare l’interdipendenza asimmetrica in un vantaggio competitivo in materia di sicurezza. I cosiddetti sforzi “ibridi” vanno dagli attacchi ai sistemi informatici critici all’interruzione di servizi essenziali come la fornitura di energia o i servizi finanziari, all’erosione della fiducia pubblica nelle istituzioni governative e all’accentuazione delle divisioni sociali. Non si tratta ovviamente di tecniche nuove, ma l’economia digitalizzata dell’UE e la società sempre più aperta e interconnessa hanno spianato la strada a molti più attacchi rispetto al passato. Le minacce ibride spesso prendono di mira aree che trascendono la dimensione nazionale degli Stati membri e possono minare l’unità dell’UE e destabilizzare i vicini europei più prossimi attraverso disinformazione, interferenze elettorali, e il ricorso ad attori per procura con fini divisivi.

Nonostante questi problemi, la sicurezza è anche l’aspetto concettualmente più sviluppato dell’agenda della sovranità. Il lungo dibattito sulla difesa e l’autonomia strategica europea è sfociato nel processo Strategic Compass che mira a individuare le priorità generali attuabili nell’ambito della strategia globale dell’UE e le capacità che l’UE dovrebbe possedere a tale scopo. Il punto di partenza è un’analisi condivisa delle minacce, il primo tentativo del genere a livello europeo. Il processo dello Strategic Compass potrebbe effettivamente aiutare a sviluppare la tanto necessaria cultura di sicurezza comune europea e contribuire a colmare il divario tra i rischi reali per la sicurezza e lo sviluppo di adeguate capacità di risposta europee.

In questo processo l’ambizione ultima dell’UE dovrebbe essere il raggiungimento della sovranità strategica nella sicurezza e nella difesa. L’Unione è altamente vulnerabile alle minacce di Cina, Russia, Turchia e altri attori statali e non statali ed è pericolosamente dipendente dagli Stati Uniti per la sua sicurezza. Gli sforzi fatti finora, come la PESCO (Cooperazione strutturata permanente), il Fondo europeo per la difesa e lo Strumento europeo per la pace, vanno nella giusta direzione ma, seppure notevoli da una prospettiva istituzionale, sono inadeguati rispetto alle vulnerabilità di sicurezza dell’Europa. La situazione non è destinata a mutare significativamente con l’Amministrazione Biden e rispetto alle ambizioni originarie la dotazione finanziaria di tali strumenti è decisamente modesta.

Tuttavia l’aspetto finanziario non rappresenta la problematica principale. La mancanza di sicurezza percepita da molti Stati membri sta rendendo molto più difficile per gli europei sviluppare approcci comuni in ambito geopolitico e rende più semplice l’interferenza di attori esterni per dividere e dettare legge in Europa. Il Fondo europeo per la ripresa offre qualche opportunità per aumentare o almeno ripristinare i finanziamenti alle iniziative per la difesa, anche se questo rimane difficile dal punto di vista politico. Sebbene l’elemento economico sia certamente importante, il problema non è tanto la disponibilità di risorse quanto il fatto che quelle disponibili devono essere spese per promuovere la solidarietà europea e acquisire capacità adeguate a contrastare le minacce emergenti alla sicurezza dell’Europa. Secondo il Parlamento Europeo, più dell’80% degli acquisti per la difesa restano confinati all’ambito nazionale.

A tal fine, l’UE e i suoi Stati membri devono compiere sforzi di più ampia portata, tra cui:

  • Valorizzare il pilastro europeo nella NATO. Migliorare le capacità delle nazioni europee all’interno della NATO di condurre, sotto l’egida dell’Alleanza Atlantica, almeno una grande operazione congiunta e tre operazioni congiunte su scala minore per la gestione delle crisi con un sostegno statunitense molto limitato.
  • Installare una base avanzata europea per rassicurare gli europei dell’est e rafforzare la solidarietà. Stabilire un Forte Charlemagne in Polonia invece del controverso Forte Trump o di veicoli analoghi per una presenza a guida americana in Europa orientale.
  • Sviluppare la capacità paneuropea di individuare le fonti degli attacchi informatici. Trasformare il mosaico di organizzazioni europee per la sicurezza informatica in un’istituzione per la sicurezza informatica centralizzata che sia in grado di fissare standard di riferimento, condividere informazioni e coordinare le risposte tra organizzazioni nazionali analoghe negli Stati membri.
  • Creare un Consiglio di sicurezza europeo per garantire un processo decisionale più rapido ed efficace in politica estera. Creare un organismo costituito da un sottogruppo inclusivo a rotazione di membri dell’UE, che comprenda se possibile anche il Regno Unito, che possa agire in stretta collaborazione con l’Alto Rappresentante per rispondere alle crisi di politica estera.
  • Aumentare le iniziative di solidarietà. Espandere le operazioni esistenti che richiedono l’impiego delle vaste capacità europee disponibili per affrontare questioni critiche per specifici Stati membri, come il dispiegamento di truppe estoni nella Repubblica Centrafricana, il pattugliamento aereo francese negli Stati baltici e i contributi di vari Stati membri alla sorveglianza marittima in merito ai migranti nel Mediterraneo orientale e nel Mar Egeo.

Oltre a compiere tali passi in ambito domestico, gli europei devono sviluppare strategie di sicurezza regionale per le regioni chiave. Una considerazione generale riguarda l’effetto della rivalità USA-Cina, che ridurrà la capacità europea di agire in queste aree strategiche prioritarie. Mano a mano che la nuova guerra fredda tra Washington e Pechino prende vigore, i due contendenti chiedono (o impongono) sempre più spesso a potenze terze (compresa l’Europa) di subordinare altre preoccupazioni alla loro crescente competizione. Questa dinamica richiama da vicino la Guerra Fredda e non è chiaramente favorevole al mantenimento della sovranità strategica europea.

Il nocciolo della questione non è, per esempio, se gli europei dovrebbero permettere a Huawei di fornire apparecchiature di telecomunicazione 5G per le loro reti nazionali. La questione è se gli Stati Uniti, attraverso la coercizione economica o strategica, debbano prendere questa decisione per conto degli europei o se gli europei possano soppesare i rischi in base ai propri interessi. A livello regionale, questo significa che gli europei devono poter valutare i propri interessi nelle diverse situazioni piuttosto che seguire semplicemente gli Stati Uniti o limitarsi a reagire a nuove iniziative cinesi.

Ma, naturalmente, ogni regione possiede diverse peculiarità ed è caratterizzata da importanti dinamiche di sicurezza, come segue.

Medio Oriente e Nord Africa: Bilanciare l’attuale attenzione dell’Europa su migrazione e terrorismo con passi verso una stabilità regionale duratura

In Medio Oriente diventa sempre più chiaro che l’UE e i suoi Stati membri devono iniziare a separare la politica europea di sicurezza da quella degli Stati Uniti, che è diventata tossica e inaffidabile nella regione. Questo significa assumere posizioni precise su questioni come la Siria, i curdi e l’Iran e poi perseguire gli obbiettivi con determinazione ricorrendo ad alleanze diversificate a seconda della questione. Se tale approccio potrà portare a occasionali disaccordi con gli Stati Uniti, aumenterà anche la libertà d’azione europea e darà maggiore peso all’Unione di fronte agli americani. In ultima analisi, la politica mediorientale europea fondata su chiari e ben definiti interessi europei sarà probabilmente molto simile all’approccio di Washington, con cui l’Europa continua a condividere molte priorità, come nel caso della non-proliferazione nucleare e della riduzione dell’instabilità.

Finora la tradizionale dipendenza dagli Stati Uniti ha portato l’UE e i suoi Stati membri a gestire gli interessi primari in Medio Oriente per lo più in termini difensivi, ovvero cercando di evitare che il disordine nella regione si propaghi in Europa, invece di giocare un ruolo più attivo nella costruzione della stabilità a lungo termine. Così, per esempio, nel caso della migrazione, negli ultimi anni l’UE ha investito molto nel controllo delle frontiere, tanto quelle esterne che attraverso collaborazioni con Paesi terzi in Africa. Il Fondo fiduciario di emergenza dell’UE per l’Africa, pari a 4,7 miliardi di euro, dovrebbe contribuire ad affrontare le cause profonde della migrazione irregolare, ma non è sufficiente. Nel frattempo l’UE ha anche intensificato l’adozione di misure per diminuire la minaccia del terrorismo e limitare la propria vulnerabilità. Ha rafforzato i controlli alle frontiere esterne, ha migliorato i controlli sulle armi da fuoco, ha adottato norme per prevenire il finanziamento del terrorismo, ha creato un organismo dedicato a frenare la propaganda terroristica online e ha cercato di migliorare lo scambio di informazioni, ad esempio con il lancio di un Centro europeo antiterrorismo.

Sebbene si tratti di sforzi costruttivi, sono ben poca cosa rispetto all’ondata di instabilità che cresce nella regione facendosi sempre più minacciosa. L’approccio europeo alla gestione e risoluzione delle crisi in questa zona è stato piuttosto fallimentare, ma un maggiore coinvolgimento in Medio Oriente e Nord Africa è ormai imprescindibile soprattutto considerando che il graduale ritiro degli Stati Uniti lascia spazio ad altri attori. A tal fine, l’UE e alcuni Stati membri chiave dovrebbero:

  • Utilizzare la percepita neutralità europea nella regione per far avanzare i processi di mediazione in luoghi dove gli Stati Uniti o altri attori hanno tradizionalmente svolto un ruolo dominante.
  • Utilizzare la potenza militare europea come leva per influenzare il corso dei conflitti in atto.
  • Continuare a sostenere gli sforzi di riforma esistenti per costruire sistemi di governance efficienti e rappresentativi, collegandoli ai processi di risoluzione dei conflitti.
  • Utilizzare l’influenza economica e persino la vendita di armi come leve per ridurre l’instabilità e migliorare la governance.

La Russia e il vicinato orientale: Impegnarsi nel capacity-building per contrastare le minacce ibride, la corruzione e i crimini transfrontalieri

Le attività ibride della Russia nel vicinato orientale sono sempre più insidiose e richiedono una risposta europea coordinata. Un primo passo in tal senso è rappresentato da quanto accaduto a seguito delle operazioni ibride russe in Ucraina nel 2015, quando l’UE ha deciso di intensificare le attività in questo ambito arrivando alla creazione dell’EU Hybrid Fusion Cell per migliorare lo scambio di informazioni e di intelligence tra gli Stati membri.

Il Centro europeo di eccellenza per la lotta contro le minacce ibride di Helsinki offre sostegno agli Stati membri dell’UE e agli alleati della NATO attraverso ricerca, formazione ed esercitazioni. Inoltre quattro progetti pilota dell’UE stanno attualmente dando vita a una rete europea di competenza sulla sicurezza informatica che, insieme a un centro di cibercompetenza, mira a rafforzare e sostenere le capacità europee nell’ambito della sicurezza informatica.

Tuttavia, la cooperazione continua a rivelarsi difficile e le risorse informatiche e di intelligence rimangono esclusivamente nelle mani dei singoli Stati, mentre la corruzione continua a permettere alla Russia e ad altri attori di influenzare il corso degli eventi e di minare le riforme nei Paesi del vicinato orientale.

Se la corruzione è stata oggetto di attenzione da parte dell’Europa, attualmente la politica di vicinato non contempla la sicurezza informatica né un significativo impegno di capacity building in ambito di cibersicurezza o di intelligence. Allo stesso tempo, l’UE non ha a disposizione adeguate risorse di intelligence sul terreno che le permetterebbero di valutare le situazioni e, soprattutto, le singole persone se non in base a informazioni di dominio pubblico.

Questo implica che l’UE ha bisogno di:

  • Lanciare un Eastern Partnership Security Compact, un’iniziativa progettata per combattere le operazioni ibride e aumentare la cooperazione tra l’UE, i suoi Stati membri e alcuni vicini selezionati in materia di sicurezza, intelligence e difesa. Questo dovrebbe comprendere programmi di capacity building per la sicurezza delle informazioni.
  • Sostenere i canali televisivi statali deboli e sottofinanziati o politicizzati attraverso una condizionalità che preveda modifiche al quadro normativo, comprese le regole sull’autosufficienza finanziaria e la trasparenza su pubblicità e i finanziamenti.
  • Assicurare in via prioritaria che il settore della sicurezza e la riforma giudiziaria abbiano luogo nei Paesi del vicinato orientale, magari replicando la missione consultiva dell’UE in Ucraina anche in altri contesti.
  • Stabilire un approccio coordinato alle questioni di sicurezza finanziaria nel vicinato orientale, in ambiti come la politica antiriciclaggio, la lotta al crimine finanziario e il contrasto alle politiche di finanziamento illecito ai partiti e ai media.
  • Sostenere gli sforzi degli Stati del partenariato orientale per proteggere le loro frontiere esterne rispetto a Paesi terzi, affrontare le questioni di asilo e migrazione e combattere efficacemente il contrabbando transfrontaliero.

Asia orientale: Avviare operazioni marittime europee e investire in uno sviluppo mirato delle capacità di sicurezza

L’agenda economica domina le relazioni dell’Europa con l’Asia orientale, riflettendo sia la distanza geografica tra le regioni che gli equilibri di potere. Né l’UE né alcuno dei suoi Stati membri diventeranno i principali fornitori di sicurezza nella regione, ma hanno comunque la capacità di offrire un utile contributo. Più precisamente, data l’importanza dell’Asia orientale per la futura prosperità dell’Europa, i leader europei riusciranno a proteggere la sovranità strategica europea solo contribuendo a garantire la sicurezza e la stabilità nella regione.

In tal senso il coinvolgimento più ovvio consiste in un impegno costante inteso a garantire la libertà di navigazione nella regione, come ha fatto la Francia con il transito navale attraverso lo stretto di Taiwan nell’aprile 2019. In assenza di un presidio nella zona di 12 miglia intorno ai territori rivendicati dalla Cina nel Mare Cinese Meridionale in contrasto alle norme internazionali, l’UE e il Regno Unito potrebbero dare l’impressione di nutrire un interesse solo marginale rispetto al rischio di un graduale aumento del controllo cinese. Le flotte europee, in particolare quelle di Francia e Regno Unito, possono e devono investire in operazioni che sottolineino il rispetto del diritto internazionale e la sicurezza delle vie di comunicazione marittime. Tuttavia queste operazioni avranno un effetto significativo solo se saranno concrete, continue e ulteriormente europeizzate nella loro impostazione, trasportando personale di vari Stati membri dell’UE su navi francesi o anche tedesche. Queste operazioni avrebbero un potenziale valore deterrente limitato in relazione alle rivendicazioni cinesi nelle acque contese, ma l’UE e i suoi Stati membri, insieme al Regno Unito, potrebbero usare le operazioni di libertà di navigazione per segnalare la loro determinazione ai partner regionali, specialmente quelli dell’Indo-Pacifico. Oltre a tale sforzo, gli Stati membri dell’UE e la stessa UE dovrebbero usare i fondi per lo sviluppo allo scopo di favorire l’acquisizione di capacità mirate, ad esempio per attività di guardia costiera e partenariati di sicurezza non tradizionali, specialmente quelli rivolti alla cooperazione sulla sicurezza informatica, una tematica di rilevanza per la maggior parte degli Stati asiatici.

Infine, l’UE e i suoi Stati membri devono trovare un modo per sfruttare le esportazioni di armi europee come leva a loro favore. In tale settore la regione Asia-Pacifico è oggi il mercato più importante e tanto per gli Stati membri dell’UE che per il Regno Unito le vendite in Asia sono essenziali da un punto di vista commerciale. Ma, come sostengono da anni gli osservatori, gli Stati membri dell’UE in particolare fanno un uso strategico pressoché nullo di questi rapporti di partnership. Gli Stati membri devono ripensare le loro strategie in relazione all’esportazione di armi collegandole strettamente agli obiettivi diplomatici e di sicurezza e possono costruire una rete più fitta di relazioni attraverso partenariati nel settore della difesa, ma anche definendo una politica comune di controllo delle esportazioni di armi, soprattutto per attrezzature “dual use” (a doppio utilizzo).

IV. Sovranità digitale

In un mondo sempre più digitalizzato, la competizione geopolitica dipende dal possesso e dalla produzione delle tecnologie del futuro, nonché dalla definizione di standard e dalla regolamentazione del loro utilizzo. Le nazioni di tutto il mondo stanno cercando di plasmare gli sviluppi delle nuove tecnologie e di coglierne i benefici, sia economici che geopolitici, in questa fase di rapido cambiamento tecnologico. Se gli europei vogliono ottimizzare tali benefici, mettere al riparo la loro politica dalla disinformazione divisiva e decidere chi può avere accesso alle loro informazioni personali, dovranno necessariamente buttarsi nella mischia.

Per fare ciò l’Europa deve affrontare diverse sfide. Molti Stati membri dell’UE possiedono aziende tecnologiche di livello mondiale, un capitale umano ben istruito e una forte capacità di ricerca e sviluppo, ma faticano a tradurre queste risorse in influenza geopolitica. L’Europa, come ha affermato il sociologo Anthony Giddens, “si trova presa nel mezzo, stretta tra gli Stati Uniti e la Cina, mentre la Russia tesse trame digitali maligne nelle retrovie”.

C’è grande fermento a Bruxelles sulle questioni digitali, dove si lavora a tutto campo dagli sforzi per aggiornare il Digital Services Act alla creazione di un’economia europea dei dati. Chiaramente, per potenziare l’efficacia europea in questo ambito occorre creare un ambiente più favorevole all’innovazione e all’imprenditorialità all’interno del mercato unico, ad esempio promuovendo mercati di capitali che potrebbero dare maggiore sostegno alle start-up. Al di là di queste già difficili questioni interne, gli europei hanno inoltre bisogno di una strategia per competere con il resto del mondo, ma non è chiaro se esista una posizione europea sulle questioni di sovranità digitale né se la maggior parte degli Stati membri dell’UE la consideri auspicabile. La varietà di approcci e posizioni sugli aspetti normativi, come la regolamentazione dei contenuti, per non parlare della concorrenza intra-europea riguardo a posizioni che richiedono capacità tecnologiche avanzate, generano per l’UE uno svantaggio competitivo sul piano geopolitico rispetto ad attori politici più coesi come la Cina e gli Stati Uniti.

Dato il comportamento di altri Paesi, è chiaro che gli europei devono valutare con urgenza come adattare il mercato unico alle nuove realtà digitali e come esercitare il potere normativo per plasmare un ambiente internazionale propizio. Il GDPR (Regolamento generale per la protezione dei dati personali) fornisce un esempio molto utile, avendo costretto le aziende di tutto il mondo a conformarsi alle pratiche europee sulla privacy e avendo incoraggiato l’adozione di misure analoghe in altre giurisdizioni, non ultimo in varie parti degli Stati Uniti.

Esistono molte opportunità di questo tipo, tra cui:

  • Creare banche dati europee anonimizzate per la ricerca sull’IA e un quadro normativo europeo per un utilizzo etico dell’IA che potrebbe sia ispirare altri a emularla che incoraggiare il rispetto della visione europea su come regolamentare il settore.
  • Stabilire procedure europee efficaci per la regolamentazione dei contenuti digitali, che potrebbero costituire un modello per bilanciare l’apertura con la necessità di proteggere la democrazia dall’influenza esterna e dall’estremismo.
  • Incoraggiare la formazione di attori digitali europei di punta in ambiti tecnologici emergenti, come l’edge computing o il supercomputing, sfruttando la competenza dell’UE nell’ambito della concorrenza, la sua capacità di finanziare la ricerca e l’adozione del recente regime di protezione degli investimenti per conquistare una posizione vantaggiosa su alcune tecnologie chiave. La Commissione Europea ha già previsto di investire 8 miliardi di euro nel supercomputing. Gaia-X, il progetto di cloud europeo, rappresenta uno sforzo nella giusta direzione, sebbene leggermente in ritardo rispetto alla tecnologia statunitense esistente.
  • Coordinare più efficacemente le politiche di regolamentazione dell’industria e della tecnologia con le potenze tecnologiche asiatiche, specialmente Giappone, Corea del Sud e Taiwan, che stanno anche cercando una maggiore diversificazione nella fornitura di beni digitali.
  • Cercare opportunità di mediazione nelle controversie tecnologiche tra USA e Cina. La netta divergenza tra l’approccio anarchico degli Stati Uniti alla regolamentazione digitale e il modello di rigido controllo statale della Cina offre agli europei un vasto terreno di mezzo in cui agire.
  • Sviluppare un sistema di tassazione europeo che si applicherà ai servizi digitali in base a dove sono generati piuttosto che alla presenza fisica della società. Stabilire questo principio, indipendentemente dal livello di tassazione, permetterà all’UE di sfruttare meglio l’accesso al suo mercato. L’UE sta giustamente cercando di negoziare prima a livello globale, ma come ha concluso von der Leyen nel suo discorso sullo stato dell’Unione del 2020, “se entro la fine del 2020 non si sarà raggiunto un accordo globale per una tassazione digitale equa, l’UE procederà in autonomia.”

V. Sovranità climatica

L’UE è estremamente vulnerabile all’impatto della crisi climatica. Gli europei non ne subiranno solo le conseguenze dirette sotto forma di eventi meteorologici estremi, scarsità d’acqua e perdita di biodiversità, ma dovranno fare i conti anche con gli effetti indiretti come l’aumento dei conflitti e delle migrazioni nelle immediate vicinanze. Nel 2017 gli eventi meteorologici estremi sono costati quasi 14 miliardi di euro, una cifra che potrebbe raggiungere i 120 miliardi di euro di perdite annuali laddove la temperatura aumentasse di 1°C. Il progetto COACCH, finanziato dall’UE, stima che per l’Europa i costi economici del solo aumento del livello del mare saranno pari a 135 – 145 miliardi di euro nel 2050 (a causa degli effetti combinati dei cambiamenti climatici e socioeconomici), ma potranno aumentare fino a 450-650 miliardi di euro entro il 2080 se non ci saranno investimenti per l’adattamento.

Nonostante i costi in ambito locale siano enormi, i cambiamenti climatici rappresentano un problema globale e il successo dell’Agenda Verde dell’UE dipende anche da altri Paesi. Poiché l’Europa produce meno del 10% delle emissioni globali di gas serra, è indispensabile guardare oltre i confini europei per poter implementare il Green Deal che la Commissione Europea ha proposto nel dicembre 2019. Attualmente attori come la Cina e gli Stati Uniti approfittano dell’impegno dell’Europa per la decarbonizzazione per produrre beni più economici e ad alta intensità di carbonio rispetto ai concorrenti europei, che vengono poi immessi nel mercato europeo.

Nel 2020 il poderoso rallentamento dell’attività economica causato dalla crisi del coronavirus ha permesso a molti Paesi di andare addirittura oltre gli obiettivi di emissioni di carbonio senza compiere alcuno sforzo. Si tratta, ovviamente, di un fenomeno temporaneo e la pressione esercitata dalla pandemia sui bilanci dei governi di tutto il mondo significa, al contrario, che molti Paesi non daranno particolare priorità alla “ricostruzione più verde” come invece intende fare l’UE. L’Amministrazione Trump riteneva che il cambiamento climatico non fosse causato dall’uomo e non era interessata a fissare alcun obiettivo internazionale. L’approccio cinese è stato più discreto. Nel settembre 2020 Xi Jinping ha annunciato che la Cina mirerà a raggiungere il picco di emissioni di CO2 nel 2030 e cercherà di diventare carbon-neutral entro il 2060. Ma la Cina è già il maggiore responsabile di emissioni al mondo (quasi il 30 per cento del totale) e, mentre si oppone a fissare obiettivi vincolanti per le emissioni, continua a costruire centrali a carbone a un ritmo impressionante. Ancora più sconfortante è il fatto che la mancanza di impegno da parte di Stati Uniti, Cina e altre potenze nella lotta ai cambiamenti climatici ha scoraggiato molti dal fare la loro parte nella più ampia comunità internazionale.

In poche parole, in assenza di pressioni europee, non è affatto scontato che la maggior parte delle altre potenze segua l’esempio dell’UE e si impegni a ridurre le emissioni. Così, per l’Europa l’unico modo di raggiungere i suoi obiettivi di decarbonizzazione è guardare oltre i suoi confini.

Sulla scorta di tale consapevolezza, la Commissione Europea ha proposto di spendere non meno del 37 per cento dello European Recovery Fund, pari a circa 277 miliardi di euro, per il Green Deal. Questo slancio verso l’energia pulita porta con sé sia nuovi rischi che nuove opportunità. Le energie rinnovabili creano nuove dipendenze, per esempio, dalla Cina che è già un produttore leader di pannelli solari e auto elettriche ed è pronta a dominare la produzione globale di celle per batterie. Ma è anche un’opportunità per sfruttare la tecnologia europea e il mercato unico europeo per stabilire un regime normativo riguardo alla tecnologia pulita che potenzierà l’influenza dell’UE e impegnerà efficacemente il mondo nella realizzazione degli obiettivi climatici dell’Europa. L’UE continuerà naturalmente a portare avanti un’ambiziosa agenda climatica globale nel quadro dell’UNFCC, ma è improbabile che sia in grado di convincere i principali responsabili delle emissioni, come gli Stati Uniti, la Cina e l’India, a firmare i necessari impegni per la riduzione delle emissioni in tale contesto globale, a meno che non sia preparata a far sentire la il suo peso e a impiegare come leva il potere europeo in altre sue declinazioni.

La necessità di un approccio più incisivo ha portato la Commissione Europea a lanciare l’idea di un meccanismo di riequilibrio del carbonio alle frontiere, per incoraggiare l’importazione di beni a minore intensità di carbonio e per sostenere la competitività dell’UE durante l’attuazione del Green Deal europeo. Questo meccanismo rappresenta una sfida abbastanza significativa per i partner commerciali europei (in particolare la Cina) e spesso sarà interpretata in chiave protezionistica. Specialmente all’estremità inferiore della catena del valore, dove i margini di profitto non sono particolarmente alti, i prodotti cinesi potrebbero perdere il loro vantaggio competitivo in termini di prezzo (e quindi la loro attrattiva), rendendo più allettante per l’industria europea il ricorso a fornitori più “verdi”. Allo stesso tempo, le imprese europee dovrebbero essere preparate a disaccoppiare i processi produttivi delle loro catene di valore e iniziare a produrre solo per il mercato cinese in Cina, deglobalizzando ulteriormente l’economia.

Ma se il Green Deal rappresenta una sfida per i partner commerciali europei, esso porta con sé varie opportunità per l’UE. I paesi le cui economie sono fortemente dipendenti dalle esportazioni di idrocarburi, come l’Algeria e la Libia, avranno bisogno di investimenti sostanziali e di assistenza per ristrutturare le loro economie. L’UE potrebbe associare così il Green Deal a un sostegno alle politiche per lo sviluppo sostenibile nel quadro di accordi incentrati sulle fonti di energia rinnovabile. A tal fine l’UE e i suoi Stati membri si sono impegnati a lavorare con i partner internazionali per mobilitare 100 miliardi di dollari ogni anno nel periodo 2020-2025 allo scopo di combattere i cambiamenti climatici e mitigarne gli effetti. Tuttavia trovare questi soldi e spenderli saggiamente rimangono compiti decisamente ardui.

L’UE dovrà competere in questo sforzo con altre fonti e mercati, in particolare con la crescente Belt and Road Initiative della Cina. L’interesse dei Paesi in via di sviluppo nei confronti dell’offerta europea dipenderà in gran parte dalle condizioni legate ai prestiti e agli investimenti. La “condizionalità verde” potrebbe, in alcuni casi, rendere i finanziamenti europei molto meno attraenti, anche se questi Paesi sono consapevoli dell’impatto dei cambiamenti climatici. Di contro, i Paesi beneficiari della Belt and Road sono sempre meno entusiasti dell’approccio di Pechino, che spesso non ha dato seguito all’erogazione dei fondi promessi, non ha potenziato la capacità tecnologica interna e talvolta ha peggiorato la situazione in termini di corruzione e indebitamento. L’UE ha l’opportunità di intervenire con un’offerta migliore che tanga in considerazione i cambiamenti climatici, rispetti i processi di sviluppo dei suoi partner e dia loro un accesso responsabile al massiccio mercato dell’UE.

Questo sforzo si compone di vari aspetti, tra cui:

  • Sfruttare la tecnologia europea e il vasto mercato unico europeo per dare vita a un quadro normativo basato sulle tecnologie pulite.
  • Lavorare all’interno di vari contesti multilaterali per portare avanti l’Agenda Verde.
  • Implementare il Green Deal europeo per ridurre le emissioni di carbonio in patria e all’estero.
  • Abbinare il Green Deal europeo a un’offerta politica di sviluppo sostenibile per i Paesi in via di sviluppo, con particolare attenzione alle fonti di energia rinnovabile e alla tecnologia verde.
  • Utilizzando la spinta franco-tedesca sull’Indo-Pacifico per definire una strategia UE che enfatizzi la cooperazione sulla riduzione delle emissioni e la biodiversità come complemento alla strategia globale dell’UE sul clima.

Ricostruire la sovranità

Ognuno di questi cinque programmi per la sovranità rappresenta un’enorme sfida per l’UE e i suoi Stati membri. Nel loro insieme, queste strategie evidenziano la necessità di recuperare la sovranità strategica e di ripensare l’intero modello di globalizzazione che ha guidato la politica estera europea negli ultimi decenni. Quel modello dava per scontato che l’apertura dei mercati, l’aumento del commercio e degli investimenti e la diffusione della tecnologia avrebbero generalmente aumentato la prosperità, la stabilità e persino la diffusione della democrazia liberale nel mondo.

La globalizzazione ha contribuito a far uscire centinaia di milioni di persone dalla povertà. L’aumento della crescita economica ha spesso sostenuto la stabilità e la democratizzazione, per esempio in Asia orientale, e le economie e i cittadini europei hanno beneficiato dei mercati aperti. Ma si sono venute a creare dipendenze asimmetriche, ad esempio dalla Cina per materiali essenziali, dagli Stati Uniti per l’accesso ai mercati finanziari in dollari e dalla Russia per l’energia. A volte, questi paesi hanno sfruttato tali dipendenze per ottenere un guadagno geopolitico. Non si tratta di un appello al protezionismo o al decoupling, perché sarebbe il colmo della follia credere che la ricerca della sovranità strategica giustifichi un ritorno all’isolazionismo. Allo stesso tempo, la semplice resilienza di fronte a tale competizione geopolitica non è sufficiente, occorre invece un’agenda di sovranità proattiva che possa proiettare all’esterno il potere europeo e valutare, ridurre e mettere al riparo l’UE dalle dipendenze asimmetriche.

Gli europei hanno chiaramente bisogno di istituzioni internazionali più efficaci per mantenere l’apertura dei mercati, conservando al tempo stesso la capacità di difendersi dalla coercizione economica. L’Europa gode di molti vantaggi in questi sforzi. Gli europei rimangono ben rappresentati e influenti in molte istituzioni multilaterali, il loro profondo impegno per le strutture e le regole multilaterali genera un’enorme credibilità di fronte ad altri attori per riformare e riorientare le istituzioni internazionali. Le dimensioni del mercato unico e l’efficacia dei suoi organi di governo sono prova tangibile della capacità sostanziale dell’UE di usare il potere normativo per plasmare il commercio e i flussi di investimento, di cui ha dato prova ad esempio su questioni come la privacy e gli standard alimentari. Tuttavia occorre trasformare questo potere in uno sforzo consapevole per dare forma a un nuovo modello di globalizzazione e ridurre le dipendenze asimmetriche europee.

Nonostante questi vantaggi, gli europei hanno ottenuto collettivamente risultati insoddisfacenti in ambito geopolitico perché troppo spesso non sono riusciti a sfruttare i loro punti di forza né le risorse in varie aree di policy e nemmeno, più semplicemente, a presentare un fronte unito. Queste carenze influenzano quotidianamente la capacità europea di esercitare influenza al di fuori dei propri confini. In Asia orientale l’UE ha perso l’opportunità di formare strutture multilaterali alternative con al centro i principali partner asiatici, in Medio Oriente e Nord Africa non è riuscita a usare il suo peso collettivo per coordinare un pacchetto di assistenza finanziaria e tecnica più ampio a favore degli stati deboli, e nel vicinato orientale ha permesso alla Russia di ostacolare varie organizzazioni internazionali e regionali che potrebbero garantire il monitoraggio delle elezioni e il rispetto dei diritti umani e ridurre le tensioni.

L’essenza del problema non sono i finanziamenti o i processi decisionali anche se, chiaramente, esiste spazio di miglioramento in entrambe le aree. Ricorrere a stanziamenti più ingenti o eliminare la necessità di un voto unanime sulle questioni di politica estera faranno poca differenza se l’UE non sarà in grado di sfruttare le leve di cui dispone e se non sarà in grado di aiutare i suoi Stati membri ad affrontare i rispettivi problemi di sovranità. In generale, l’Unione deve iniziare a vedere la capacità di regolamentazione come uno strumento geopolitico che può aiutare a proteggersi dalle vulnerabilità create dalla globalizzazione e dalle dipendenze asimmetriche.

Questo è un momento propizio per agire in tal senso. La crisi del Covid-19 ha contribuito a dare slancio all’Europa e ha reso la sovranità una priorità concreta e urgente tanto per l’opinione pubblica che per i decisori politici. La pandemia ha dimostrato con grande chiarezza come, in un mondo interdipendente, la sovranità strategica europea sia esposta alle conseguenze di eventi che accadono in luoghi lontani e gli europei hanno acquisito collettivamente la consapevolezza che la loro capacità di essere al riparo dalle pandemie è forte solo quanto l’anello più debole della catena della salute globale. È impossibile chiamarsi fuori da quanto accade negli altri continenti in ambito sanitario senza pagare un prezzo in prosperità. E ciò che è vero per la salute globale è vero anche per tutte le altre declinazioni della sovranità.

Nei prossimi anni ci saranno molte occasioni per ricorrere al processo istituzionale allo scopo di portare avanti un’agenda strategica che trascenda le aree funzionali in cui l’Europa è esposta. Gli Stati membri si sono impegnati nel Consiglio Europeo a far progredire “l’autonomia strategica”, mentre la Commissione Europea sta portando avanti “l’autonomia strategica aperta”, il Servizio europeo di azione esterna lancerà il processo “Strategic Compass” e la Conferenza sul futuro dell’Europa cercherà di capire come la costruzione europea deve adattarsi a una nuova era.

Sarà importante trovare il modo di coordinare tutti questi processi a Bruxelles e negli Stati membri e integrarli nella politica estera europea. A tal fine, il Consiglio Europeo dovrebbe istituire una task force sulla sovranità strategica o sull’Autonomia strategica aperta e invitare gli Stati membri a nominare un ambasciatore generale. Una delle priorità di questo consesso sarebbe la promozione di una maggiore interazione e discussione tra gli Stati membri. L’Alto Rappresentante potrebbe avviare uno sforzo simile alla Strategia Globale per studiare il ricorso frequente da parte di altri Stati a strumenti non tradizionali di politica estera (come le sanzioni, l’influenza economica, gli strumenti digitali e le catene di approvvigionamento) e proporre una risposta che trovi spazio nella politica estera europea. Questo sforzo mirerebbe esplicitamente a mettere a frutto elementi chiave dell’attività della Commissione Europea, specialmente per quanto riguarda il commercio internazionale, tenendo ovviamente presente la diversa base istituzionale della politica commerciale secondo i trattati. Il presupposto sarebbe che qualsiasi sforzo europeo in questo senso sarebbe volto a rafforzare le relazioni transatlantiche piuttosto che a indebolirle e a preservare l’apertura piuttosto che a scivolare nel protezionismo. Le conclusioni che ne risulterebbero potrebbero essere presentate al Consiglio per delineare un programma d’azione inteso a integrare meglio le varie capacità dell’UE di influenzare gli affari internazionali.

L’UE ha fatto un significativo passo avanti quest’anno con la definizione del piano per la ripresa. Il pacchetto offre un’enorme opportunità per rafforzare la sovranità europea. Ci sono, naturalmente, già molte richieste, ma parte della ricostruzione consiste nel dare vita a un’Europa più sovrana. Il processo di creazione del piano di ripresa dovrebbe permettere all’UE di investire in un’Europa più sovrana che sappia fare la differenza su questioni che stanno a cuore ai cittadini, ma questo non è un passaggio automatico. Il presente documento ha individuato cinque aree in cui la sovranità europea è vulnerabile e come questo si riflette sui rapporti con il vicinato e con i principali partner economici.

Invece di permettere che gran parte del denaro stanziato dal piano sia speso in maniera invisibile attraverso i fondi strutturali e di coesione, l’UE dovrebbe porsi esplicitamente l’obiettivo di investire nelle infrastrutture di un’Europa sovrana. Tali infrastrutture potrebbero comprendere scorte comuni di attrezzature mediche per affrontare future pandemie, banche dati ben regolamentate per fare avanzare l’IA, investimenti in infrastrutture per promuovere l’indipendenza energetica e la transizione oltre il carbonio, e, naturalmente, progetti e investimenti comuni per la difesa. La legittimità dell’UE dipenderà in parte dalla sua capacità di dimostrare, alla fine del mandato della Commissione Europea, che il piano di ripresa ha effettivamente contribuito a costruire la sovranità strategica europea. L’UE e i suoi Stati membri hanno le risorse, le conoscenze e la capacità per sopravvivere e persino prosperare in un mondo più geopolitico. L’unica domanda è: riusciranno a farlo davvero?

Nota sugli autori

Mark Leonard è cofondatore e direttore dello European Council on Foreign Relations. È autore di Why Europe Will Run the 21st Century e What Does China Think? ed è l’editore di Connectivity Wars. Presenta il podcast settimanale dell’ECFR World in 30 Minutes.

Jeremy Shapiro è il direttore della ricerca dello European Council on Foreign Relations. In precedenza è stato membro della Brookings Institution a Washington e dello staff di pianificazione politica del Dipartimento di Stato americano, nonché senior adviser del Sottosegretario di Stato per gli affari europei ed eurasiatici.

Ringraziamenti

Data la vastità delle tematiche affrontate, questo documento ha fatto più che mai tesoro del genio collettivo e del lavoro dei colleghi dell’ECFR. In particolare, abbiamo potuto beneficiare della brillante creatività e dalla generosità intellettuale di Julien Barnes-Dacey, Susi Dennison, Anthony Dworkin, Gustav Gressel, Jonathan Hackenbroich, Carla Hobbs, Janka Oertel, Nicu Popescu, Andrew Small e Nacho Torreblanca. Pur facendoci carico di eventuali errori, non esiteremo a puntare il dito verso i veri responsabili, il cui sacrificio non si è pertanto esaurito. Desideriamo esprimere un ringraziamento particolare a Lucie Haupenthal per la sua preziosa esperienza e assistenza nella ricerca e per la sua (quasi) infinita pazienza nei confronti dei nostri voli pindarici, e ad Adam Harrison per aver fatto sì che le nostre parole esprimessero un significato reale. Abbiamo anche potuto approfittare del buon senso e della saggezza di vari interlocutori sia all’interno dell’UE che nei governi degli Stati membri i quali, sebbene spesso non condividessero le nostre opinioni, sono sempre riusciti a dare consigli che testimoniavano una grande curiosità intellettuale e il rispetto per un pensiero esterno alle mura del governo.

Raccomandazioni chiave per le cinque agende di sovranità

UE Asia orientale Vicinato orientale Medio Oriente e Nord Africa
Sanità

Proteggere il mercato unico

Rafforzare la protezione degli investimenti

Promuovere e finanziare la ricerca e lo sviluppo in ambito medico

Lavorare insieme sulle opportunità di diversificazione

Lavorare insieme sulle opportunità di near-shoring

Lavorare insieme sulle opportunità di near-shoring

Sostenere la distribuzione dei vaccini

Sostenere i canali di finanziamento umanitario per aggirare le sanzioni secondarie degli Stati Uniti

Proteggere le catene di approvvigionamento sanitario (reshoring, near-shoring, diversificazione e vulnerabilità dei colli di bottiglia)
Promuovere standard sanitari in tutta l’UE e a livello globale
Coordinamento tra le istituzioni multilaterali
Economia

Rispondere alle sanzioni secondarie e scoraggiarne l’utilizzo

Proteggere gli asset critici per la sicurezza nazionale da interferenze straniere

Fare della connettività uno strumento geopolitico (insieme all’agenda della “diversificazione”)

Accordi più significativi per commercio e investimenti, specialmente con l’India e l’ASEAN (Accordo UE-CPTPP); promuovere inizialmente accordi settoriali in linea con l’OMC invece di concentrarsi su accordi globali

Usare la leva economica nella regione in modo più strategico Usare la leva economica nella regione in modo più strategico, concentrandosi sui progressi riguardo agli interessi di stabilizzazione europei e sulla prevenzione o attenuazione del crollo statale
Delocalizzare e diversificare le catene di approvvigionamento
Garantire condizioni di concorrenza eque in ambito nazionale e internazionale e nella regolamentazione globale
Creare alternative per ovviare al possibile stallo delle istituzioni multilaterali
Sicurezza

Creare un pilastro europeo nella NATO

Adottare una strategia europea di forward-basing per rassicurare gli stati europei dell’est .

Sviluppare la capacità paneuropea di indagare le fonti degli attacchi informatici

Costruire una rete più fitta di relazioni europee attraverso partenariati con l’industria della difesa e definendo una politica comune di controllo alle esportazioni di armi

Utilizzare le FONOPS come prova di determinazione verso i partner regionali

Utilizzare i fondi per lo sviluppo per sviluppare capacità mirate in ambiti come la guardia costiera e i partenariati di sicurezza non tradizionale

Usare il ruolo della Cina nel cyberspazio asiatico come argomento chiave di un dialogo strategico con i partner dell’Indo-Pacifico

Attribuire priorità all’esigenza di riforma del settore della sicurezza e della giustizia

Creare un patto per la sicurezza con gli stati del partenariato orientale, con particolare riferimento alla sicurezza delle informazioni

Stabilire un approccio coordinato alle questioni di sicurezza finanziaria, come la lotta al riciclaggio e ai crimini finanziari e le politiche di contrasto al finanziamento illecito dei partiti e dei media

Fornire supporto per proteggere le frontiere esterne con Paesi terzi, gestire le questioni di asilo e migrazione e combattere efficacemente il contrabbando transfrontaliero

Tracciare un percorso che sia indipendente dagli Stati Uniti dove gli interessi divergono, con un utilizzo più autonomo delle risorse dell’Europa, come il peso diplomatico ed economico e la potenza militare

Dimostrare fermezza verso la Russia, ma anche impegnarsi in un dialogo pragmatico volto a proteggere gli interessi comuni

Definire meglio gli interessi e le relazioni europee con la Turchia e gli stati arabi del Golfo

Bilanciare gli obiettivi a breve termine, come la riduzione della migrazione e del terrorismo, con quelli a lungo termine, come la stabilità duratura e la resilienza sociale

Mettere in campo gruppi ristretti di Stati membri dell’UE interessati su questioni specifiche

Esempi dei costi dell’assenza di sovranità

Sanità

  • Non essere in grado di fornire attrezzature mediche di base nel caso di una pandemia (la Cina produceva la metà delle mascherine a livello globale prima del covid-19, e da allora ha aumentato la produzione di quasi dodici volte)
  • Il Covid-19 probabilmente ridurrà il reddito disponibile europeo del 5,9% nel 2020 (circa 600 miliardi di euro), con effetti più gravi in aree specifiche
  • L’impatto di un utilizzo strategico dell’industria farmaceutica da parte della Cina:
  • Si stima che la Cina fornisca tra l’80 e il 90 per cento dei principi attivi per gli antibiotici a livello mondiale
  • Rischi derivanti da scarsi controlli sull’industria farmaceutica cinese per le catene di approvvigionamento farmaceutico globale

Economia

  • Ogni decennio le interruzioni delle supply chain si traducono in perdite per le aziende pari a più del 40 per cento annuale. 
  • Elevata dipendenza dalla fornitura di materie prime critiche, tra cui litio, cobalto e metalli rari utilizzati nelle produzioni industriali ad alta tecnologia. Se l’Europa vuole raggiungere i suoi obiettivi climatici, questa dipendenza diventerà ancora più importante.
  • L’influenza cinese sui singoli Stati membri dell’UE, ottenuta attraverso investimenti strategici, è già un ostacolo a un’efficace politica estera europea.
  • Cosa accadrebbe se gli Stati Uniti limitassero il commercio e gli investimenti dell’UE in Russia o in Cina come hanno fatto con l’Iran? L’interruzione degli scambi comporterebbe perdite pari a circa 190 miliardi di euro all’anno per la Russia e circa 1 miliardo di euro al giorno per la Cina.
  • I principali partner commerciali dell’UE, in particolare la Cina, sovvenzionano pesantemente l’industria nazionale, fornendo a queste imprese un accesso privilegiato al credito e distorcendo altrimenti la concorrenza.

Sicurezza

  • Cosa potrebbe fare l’UE se la Russia decidesse di agire verso la Polonia o la Lettonia come ha fatto con l’Ucraina, ricorrendo ad attacchi informatici, disinformazione e operazioni dirette volte a destabilizzare uno stato dell’UE e forse rovesciarne il governo?
  • Potenze come gli Stati Uniti, la Russia e la Cina potrebbero rendere impossibile per l’UE l’utilizzo di risorse per stabilizzare un paese africano attraverso le Nazioni Unite, inviare una missione di monitoraggio OSCE in Europa orientale o salvare un Paese terzo attraverso il FMI.
  • Il sentimento di insicurezza di molti stati membri spiana la strada ad altri che ambiscono a dividere e governare i Paesi europei.
  • Il graduale ritiro degli Stati Uniti dal Medio Oriente e dal Nord Africa sta aprendo uno spazio per altri attori, come la Russia e la Turchia. Finora, l’UE è stata per lo più incapace di proteggere i suoi interessi chiave nella regione.
  • In Asia, il crescente impegno militare della Cina e l’indebolimento dell’influenza statunitense minacciano l’architettura di sicurezza, finora relativamente stabile, a danno degli interessi economici europei.

Digitale

  • Il costo della vulnerabilità informatica europea nel 2018 è stato stimato in 400 miliardi di euro ed è destinato ad aumentare con l’arrivo del 5G e dell'”Internet delle Cose”.
  • Si stima che l’AI genererà oltre 13 trilioni di euro per l’economia globale entro il 2030. L’Europa di quanto può beneficiare?
  • Si prevede che il mercato globale della tecnologia 5G raggiunga 668 miliardi di dollari entro il 2026. Gli Stati Uniti e la Cina stanno combattendo per il controllo geopolitico degli standard 5G, a cui farà sicuramente seguito il controllo economico.
  • L’IA sta rapidamente emergendo come la nuova frontiera nelle guerre per la sovranità digitale. Cina e gli Stati Uniti stabiliscono le regole per il suo uso futuro.

Clima

  • I costi annuali dei danni previsti in Europa a causa dell’aumento del livello del mare sono stimati tra 135 e 145 miliardi di euro nel 2050, ma aumenteranno fino a 450-650 miliardi di euro entro il 2080 se non ci saranno investimenti nell’adattamento.
  • Nel 2017, gli eventi meteorologici estremi sono costati quasi 14 miliardi di euro, ma la cifra potrebbe raggiungere 120 miliardi di euro di perdite annuali con un aumento della temperatura di 1°C.
  • Conseguenze indirette dell’aumento dei conflitti e delle migrazioni nei paesi vicini all’Europa
  • Altri attori possono approfittare dell’impegno dell’Europa per la decarbonizzazione producendo beni più economici e ad alta intensità di carbonio rispetto ai concorrenti europei che poi entrano nel mercato europeo
  • Affidarsi alle energie rinnovabili crea nuove dipendenze – come accade con la Cina, che è già leader nella produzione di pannelli solari e auto elettriche ed è pronta a dominare la produzione globale di celle per batterie.

ECFR non assume posizioni collettive. Le pubblicazioni di ECFR rappresentano il punto di vista degli autori.