Il momento green dell’Europa: come affrontare la sfida climatica

Gli Stati membri non sono divisi in due campi diametralmente opposti, il che rende l’attuazione del Green Deal europeo un puzzle intricato, ma realizzabile

A Greenpeace activist holds a banner reading “EU What Planet Are You On” in front of the European Council building in Brussels in December 2020
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  • Nuovi dati raccolti da ECFR mostrano che gli europei sono divisi sul clima, ma vi sono percorsi chiari per sostenere l’impegno europeo attraverso la geopolitica del clima.
  • Gli Stati membri dell’UE sono apertamente impegnati nel Green Deal europeo, ma vi sono divergenze sui dettagli della sua attuazione.
  • Gli Stati UE hanno opinioni diverse su questioni quali il proposto meccanismo di aggiustamento del carbonio alla frontiera, il ruolo dell’energia nucleare nel futuro mix energetico europeo, le tecnologie ponte nella transizione verso le zero emissioni nette e le conseguenze socioeconomiche della chiusura delle industrie ad alta intensità di carbonio.
  • Gli Stati membri non sono divisi in due campi diametralmente opposti, ma piuttosto concordano o sono in disaccordo l’uno con l’altro su diversi punti, creando così costellazioni diverse.
  • Questo rende l’attuazione del Green Deal europeo un puzzle intricato, ma realizzabile qualora le coalizioni di Stati si indirizzassero a vicenda verso l’implementazione delle parti costitutive dell’accordo.
  • L’UE ha bisogno di una strategia di politica estera forte per gestire la dimensione geopolitica del Green Deal, e per generare la volontà politica di guidare l’azione per il clima.
  • Il blocco deve anche mitigare le sfide socioeconomiche legate all’attuazione del Green Deal europeo, se si vuole che questa iniziativa abbia successo.

Gli europei sono divisi su una serie di questioni nell’ambito del Green Deal europeo, tra cui il controverso meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera (CBAM) e il futuro ruolo dell’energia nucleare. Se gli Stati membri dell’UE vogliono affrontare le sfide legate all’ambiziosa attuazione del Green Deal, dovranno prima di tutto comprendere i diversi approcci degli altri Stati membri alle questioni climatiche.

È questo il risultato di un nuovo importante report di Susi Dennison, Rafael Loss e Jenny Söderström dello European Council on Foreign Relations, intitolato: Europe’s green moment: How to meet the climate challenge. Il report delinea una mappatura delle politiche nazionali legate al Green Deal europeo, utilizzando le informazioni raccolte tramite sondaggi condotti in nove Paesi dell’UE, e valutazioni condotte da esperti di 27 Stati membri. Lo studio mostra anche come i responsabili politici possano unire le diverse prospettive degli Stati membri per sostenere un forte impegno europeo in materia di geopolitica climatica.

Nessun governo dell’UE può affermare che il cambiamento climatico l’abbia colto di sorpresa. Tuttavia, alcuni governi hanno reagito più rapidamente di altri.

Circolano diverse riflessioni tra gli Stati membri sulle sfide e sui rischi a livello nazionale dell’attuazione del Green Deal europeo.

  • Sfide e rischi socioeconomici: la preoccupazione più diffusa – evidente in 19 Stati membri – deriva da sfide socioeconomiche, quali la prospettiva di un aumento della disoccupazione causato dalla chiusura di settori industriali ad alta intensità di carbonio. I fattori socioeconomici sono anche i rischi percepiti più comunemente associati al Green Deal: in 15 Paesi è stata rilevata preoccupazione per l’aumento dei costi dell’energia, e in 10 Paesi per il declino del tenore di vita.
  • Opposizione ma anche sostegno da parte dell’industria e della comunità imprenditoriale: Prevedibilmente, 11 Paesi devono affrontare anche l’opposizione delle aziende al Green Deal europeo. Questo perché le industrie ad alta intensità di carbonio sono costrette a cambiare radicalmente i propri modelli di produzione, a investire in nuove tecnologie o –  in alcuni casi, come per le industrie di carbone – a chiudere la propria attività.
  • Volontà e capacità dei governi nazionali: altre grandi sfide interne sono legate alla volontà e alla capacità dei governi nazionali di attuare il Green Deal europeo. In 11 Paesi, la mancanza di volontà politica rappresenta un ostacolo alla transizione verde. Questa categoria comprende Stati con ambizioni relativamente limitate sul clima, così come quelli che aspirano a diventare campioni europei in materia, come la Polonia e la Francia rispettivamente.
  • Rischi geopolitici: 12 Stati membri rilevano rischi geopolitici nel Green Deal europeo. Essi temono che le proprie industrie di importanza strategica saranno superate da concorrenti più green in altri Stati membri o altrove. Allo stesso tempo, otto Paesi temono che la transizione verde possa creare nuove dipendenze energetiche in settori quali le importazioni di gas russo, le reazioni negative al CBAM, o la dipendenza dalle importazioni di tecnologia green dalla Cina.
  • Divisione tra i leader climatici: un gruppo di 21 Stati, tra cui alcuni stati più influenti dell’UE come Germania, Francia e Svezia, non sono accordo su come dovrebbero raggiungere lo zero netto in materia di emissioni. Sussistono significative divisioni, ad esempio sul ruolo dell’energia nucleare nel futuro mix energetico del continente e sull’opportunità del CBAM. Gli Stati membri hanno discusso entrambe le questioni sia tra loro sia in seno alle istituzioni dell’UE.
  • Mancanza di dibattito negli Stati membri dell’UE: Una delle più grandi sfide evidenziate dal sondaggio di ECFR rimanda al fatto che la narrativa sulla leadership dell’UE sull’azione per il clima non si è ancora affermata negli Stati membri. Più della metà degli intervistati nel sondaggio ha affermato che non vi è alcun dibattito sul Green Deal europeo nei media nazionali. Per una priorità di così alto livello della Commissione europea di Ursula von der Leyen, si tratta di un risultato deludente.

Tutti gli Stati membri hanno un ruolo da svolgere nell’attuazione dell’accordo da parte dell’UE. Se non lo faranno, ognuno di loro rimarrà semplicemente ancorato alla propria interpretazione di come dovrebbe essere l’azione per il clima. Pertanto, il report presenta alcune vie per sostenere l’impegno europeo attraverso la geopolitica climatica.

  • Il Consiglio europeo dovrebbe adattare il modello di Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO) sulla sicurezza per affrontare la sfida climatica. Ciò consentirebbe agli Stati membri di partecipare in quei settori in cui possono condividere le migliori pratiche, o in cui ritengono di dover compiere progressi a livello nazionale.
  • L’UE dovrebbe sviluppare urgentemente una strategia di politica estera coerente per il Green Deal europeo. Poiché molti Stati membri sono preoccupati per questa dimensione dell’accordo, l’UE dovrà affrontare un grande ostacolo in particolare con la proposta sul CBAM.
  • Per mitigare le sfide socioeconomiche legate all’attuazione del Green Deal europeo sarà fondamentale creare la giusta narrativa. L’UE e i suoi Stati membri devono ampliare la narrativa intorno alla trasformazione verde, con l’obiettivo di comunicare i benefici che potrebbe apportare per la qualità della vita e l’economia in singole regioni e Paesi, senza replicare vecchie disuguaglianze.

Secondo Susi Dennison, “L’agenda per il clima può essere impegnativa, ma l’UE deve ottenere risultati. Il blocco è uscito allo scoperto con la pubblicazione del Green Deal europeo. E, dato il livello di aspettativa circa le sue azioni sulla sfida climatica, se l’UE abbandonasse le proprie ambizioni finirebbe per danneggiare la fiducia dell’opinione pubblica sia nella cooperazione europea sia negli impegni dei leader politici per la transizione verde“.

METODOLOGIA

Lo studio, condotto a gennaio e febbraio 2021, si è basato su un questionario standard per indagare gli elementi della politica climatica di tutti i 27 Stati membri UE. Questo paper presenta una mappatura delle politiche nazionali sul Green Deal europeo, servendosi dei dati dello studio e di un sondaggio di pubblica opinione che ECFR ha commissionato a Datapraxis e YouGov, e che è stato realizzato in nove Paesi europei a novembre 2020.

ECFR non assume posizioni collettive. Le pubblicazioni di ECFR rappresentano il punto di vista degli autori.