Il momento di Roma: Draghi, il multilateralismo e la nuova strategia italiana

Italian Prime Minister Mario Draghi during a press conference after the G20 interministerial meeting on tourism in Rome, May 2021
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In breve

  • L’Italia avrà un ruolo determinante nell’utilizzo del Fondo Europeo per la Ripresa, il cui successo o fallimento darà forma all’integrazione europea per anni a venire.
  • Sotto la guida di Mario Draghi, il Paese si sta concentrando sulla gestione della pandemia e promuove gli interessi italiani ed europei durante il periodo di presidenza italiana del G20 e di co-presidenza della COP26.
  • In politica estera il governo Draghi si concentra prioritariamente sull’Unione Europea, sulle relazioni transatlantiche e sul multilateralismo in generale, in discontinuità rispetto ai due governi precedenti orientati a sviluppare la collaborazione con la Cina e la Russia.
  • L’Italia di Draghi lavorerà principalmente a fianco degli altri Stati membri dell’UE in particolare in materia di sicurezza sanitaria, clima, sviluppo economico e infrastrutture, ma potrebbe anche fungere da ponte tra le grandi potenze in competizione.
  • Così facendo, l’Italia ha l’opportunità di posizionarsi più vicino al motore franco-tedesco e di contribuire alla costruzione di un sistema multilaterale che vedrebbe l’UE e gli USA quali partner alla pari.

Introduction

Il presidente del consiglio italiano Mario Draghi ha un compito tra i più ardui in Europa. La pandemia rappresenta una sfida di enorme portata per l’Italia, il Paese colpito per primo dal virus rispetto agli altri Stati membri dell’UE. A fine aprile 2021 l’Italia registrava più di quattro milioni di casi confermati di Covid-19 e 122.000 morti e, secondo i dati pubblicati dalla Commissione Europea nell’autunno 2020, i tassi di crescita e di disoccupazione sono tra i peggiori dell’Unione Europea.

Ciononostante, l’Italia continua a rappresentare il 17% della produzione industriale dell’Unione, seconda solo alla Germania (30%), e sta vivendo una ripresa economica di più ampio respiro. L’UE è pronta a stanziare quasi 300 miliardi di euro per la ripresa, più di due terzi dei quali rientreranno nei fondi dell’iniziativa Next Generation EU. Come afferma il celebre oratore e politico greco Demostene, “esiste un’isola di opportunità all’interno di ogni difficoltà”: lo stimolo economico offre ora all’Italia la possibilità unica di attuare una nuova strategia di sviluppo a medio e lungo termine.

Molti commentatori hanno paragonato il Next Generation EU al Piano Marshall. Tuttavia, se nel 1948 l’economia italiana e quella europea erano in ginocchio, oggi l’UE è un attore economico globale impegnato a proteggere la sua sovranità e ad adattarsi alla crescente rivalità tra le grandi potenze. L’Italia, membro del G7 in quanto tra le cinque maggiori economie europee e attualmente alla presidenza del G20, ha l’opportunità di plasmare questo processo e di posizionarsi come mediatore e leader internazionale credibile.

L’Italia può contribuire concretamente a realizzare l’idea di Europa promossa da leader come la Cancelliera tedesca Angela Merkel, la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e il Presidente francese Emmanuel Macron, che vede un’Unione Europea proattiva intenta ad avanzare strategie e proposte innovative per affrontare  sfide globali come il Covid-19 che fa sentire la propria voce in un mondo di crescente competizione tra grandi potenze e che saprà diventare un partner geopolitico alla pari per gli Stati Uniti, lavorando in sinergia con il proprio alleato. Per raggiungere questo obiettivo, il governo Draghi sembra intenzionato a mettere da parte la diplomazia bilaterale ad hoc con la Cina e la Russia, promossa da alcuni dei suoi predecessori, ponendo invece l’europeismo e l’atlantismo al centro della nuova strategia. In tale contesto sarà importante per l’Italia sostenere il motore franco-tedesco nel momento in cui Angela Merkel si prepara a lasciare l’incarico ed Emmanuel Macron entra in un terreno politico difficile in vista delle elezioni presidenziali francesi dell’aprile 2022.

Poco dopo la nomina di Draghi alla Presidenza del Consiglio il 13 febbraio 2021, il governo italiano ha fatto una serie di dichiarazioni che indicavano la volontà di adottare un approccio proattivo e assertivo in politica estera, forse inteso a riempire un vuoto nella leadership europea. Draghi ha esposto chiaramente la sua opposizione alla deriva autoritaria di Stati come la Russia, la Cina e la Turchia e ha segnalato il suo impegno a favore della politica mediterranea scegliendo la Libia per il suo primo viaggio ufficiale. Il Ministro degli Esteri del governo Draghi, Luigi Di Maio, ha visitato Tripoli con i suoi omologhi francese e tedesco, per poi diventare il primo leader europeo a incontrare il nuovo segretario di Stato americano Antony Blinken.

Il governo Draghi ha anche compiuto altri importanti passi politici. A marzo il Consiglio dei ministri ha emesso un decreto per impedire a Huawei e ZTE, accusate dalle agenzie di intelligence statunitensi di spionaggio per conto di Pechino, di concretizzare un accordo con un’azienda di telecomunicazioni italiana. Sempre a marzo, Draghi ha sostenuto il ricorso a uno strumento approvato dal Consiglio Europeo per fermare l’esportazione di un lotto di vaccini in Australia.

Questo attivismo in politica estera sembra destinato a durare e Draghi pare determinato a creare un’Europa più forte e coesa, rafforzando il multilateralismo e lavorando per riparare le relazioni transatlantiche.

Il presente contributo si propone di analizzare come, sotto la guida di Draghi, l’Italia sia ora concentrata sulla ridefinizione degli interessi nazionali nel quadro europeo, sulla promozione degli interessi europei e sul rafforzamento dell’impegno verso il multilateralismo durante la co-presidenza della COP26 (insieme al Regno Unito) e la presidenza del G20, che Roma ricopre per la prima volta. Nella prima parte, l’analisi si concentra su come il governo Draghi stia spostando le priorità della politica estera italiana verso l’UE, le relazioni transatlantiche e il multilateralismo in senso più ampio; nella seconda si sofferma invece su ciò che il governo italiano intende fare per contribuire a rilanciare l’economia globale, promuovere la sicurezza sanitaria e combattere i cambiamenti climatici.

Draghi si è inizialmente occupato delle sfide interne poste dalla pandemia, soprattutto in relazione alla distribuzione dei vaccini e alla definizione del piano per la ripresa. Questo dovrebbe permettergli di agire a livello internazionale attraverso il G20 e la COP26. Entrambi i consessi internazionali – dove la salute, il clima e la ripresa economica giocano un ruolo di primo piano – sono complementari alle priorità dell’Italia in quanto attore chiave nel Mediterraneo, Stato membro dell’UE attivamente impegnato e partner credibile e affidabile. In questo modo, Roma può cogliere l’opportunità di unirsi a Parigi e Berlino nel guidare il rinnovamento delle relazioni transatlantiche.

Il ritorno di Draghi al multilateralismo

Dopo una fase turbolenta nella politica estera italiana, Draghi sembra ben avviato a riportare l’Italia nell’orbita pro-UE e atlantista. In effetti, l’avvento del governo di unità nazionale, che coinvolge tutti i principali partiti ad eccezione di Fratelli d’Italia, di orientamento euroscettico e nazionalista, rappresenta un’opportunità per ridefinire gli obiettivi di politica estera dell’Italia e tutelare l’interesse nazionale. Per farlo occorre però lasciarsi alle spalle la retorica populista e sovranista che ha caratterizzato i due governi precedenti, costituiti rispettivamente da Lega e Movimento Cinque Stelle tra giugno 2018 e settembre 2019, e da Movimento Cinque Stelle e Partito Democratico da agosto 2019 a gennaio 2021.

Fin dall’inizio del suo mandato, Draghi ha evidenziato come un trasferimento di sovranità all’UE sia nell’interesse del Paese –  un passo importante in quanto tale concetto risulta insolitamente problematico nel contesto italiano. Da tempo molti Paesi occidentali impostano la propria politica estera in base al perseguimento dell’interesse nazionale, così che in Francia, nel Regno Unito e negli Stati Uniti discutere apertamente di interesse nazionale è ritenuto accettabile, anche per i partiti di sinistra. In Italia invece, a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, il dibattito politico ha volutamente evitato qualsiasi riferimento a tale concetto in quanto ampiamente associato al fascismo. Tuttavia, negli ultimi anni l’interesse nazionale ha fatto ritorno nella retorica politica italiana con riferimento alla politica estera e di difesa attraverso l’influenza dei partiti sovranisti: una retorica che riflette la tendenza di molti italiani a incolpare Bruxelles per tutti i mali che affliggono il Paese.

In risposta al malcontento verso l’UE, i due governi precedenti hanno usato l’interesse nazionale per giustificare un rapporto più stretto con la Russia e la Cina, mettendo in discussione le tradizionali alleanze dell’Italia. Inoltre, l’allontanamento degli Stati Uniti dalla cooperazione internazionale con l’amministrazione Trump ha aiutato alcuni leader italiani ad aggiungere una dimensione globale alla retorica sovranista. In un mondo caratterizzato da alleanze flessibili e da una crescente competizione tra grandi potenze, l’Italia ha cominciato a valutare la possibilità che il multilateralismo non fosse più essenziale.

Draghi sta cercando di invertire questa tendenza. Egli riconosce che Roma non può perseguire la sovranità italiana a spese del multilateralismo, ma deve al contrario restare fermamente radicata nelle istituzioni europee e nell’alleanza con Washington. Gli aspetti più importanti della politica estera italiana riguardano la cooperazione con altri Stati, in particolare in ambito multilaterale, e le dichiarazioni di Draghi sembrano riflettere la convinzione che sia preferibile menzionare direttamente l’interesse nazionale piuttosto che permettere a populisti e nazionalisti di impregnare tale concetto di un significato anti-UE e isolazionista.

Si tratta di una svolta importante in quanto la cooperazione è essenziale per stabilizzare due aree potenzialmente esplosive che confinano con l’Italia: Nord Africa e Medio Oriente. Inoltre, la pandemia rappresenta una minaccia transnazionale che richiede una risposta collettiva. L’approccio sovranista dei due governi precedenti era basato su una lettura errata degli interessi dell’Italia e della sua storia, cosa che il nuovo governo deve necessariamente spiegare agli elettori italiani se vuole evitare una deriva a livello domestico e l’isolazionismo all’estero. In tal senso, l’Italia dovrebbe approfittare della determinazione dell’amministrazione Biden a rivitalizzare il multilateralismo.

In tal senso, Draghi dovrebbe dimostrare che la cooperazione internazionale non implica il sacrificio dell’interesse nazionale, bensì la sua collocazione in un quadro più ampio di interessi collettivi, con un impatto positivo e tangibile sulla vita degli italiani e sull’economia. Fortunatamente, il suo governo si trova in una posizione sufficientemente solida da permettere all’Italia di ripristinare il sostegno al multilateralismo, soprattutto in ambito europeo.

A tale scopo rivestiranno un ruolo fondamentale sia la presidenza italiana del G20 che la gestione interna dei fondi Next Generation EU. Al tempo stesso, il Green Deal europeo offre all’Italia l’opportunità di ridurre la dipendenza da fonti energetiche esterne e di sviluppare il settore dell’innovazione tecnologica. Il Paese potrà così contribuire a sostenere e trarre beneficio dalla spinta europea verso la “sovranità digitale” su questioni come potere digitale, la protezione dei dati e la connettività.

In tutti questi ambiti Draghi può certamente attingere all’esperienza acquisita in ambito multilaterale nel suo precedente ruolo a capo della Banca Centrale Europea. Il suo governo dovrebbe ritagliarsi un ruolo creando e rafforzando coalizioni flessibili tra Stati per gestire questioni multilaterali relative alle fonti di ricchezza del Paese, la sua esposizione globale, i rischi da affrontare nel contesto economico globale e l’integrazione europea. Mettendo fine a un atteggiamento passivo riguardo a tali questioni, Roma può far sentire la sua voce sia all’interno che all’esterno dell’Unione.

Nel discorso di insediamento in Parlamento, Draghi ha sottolineato la centralità delle relazioni europee e transatlantiche per gli interessi politici ed economici italiani. Tale aspetto potrebbe apparire scontato data l’appartenenza dell’Italia all’UE e alla NATO, ma non bisogna dimenticare che era caduto nel dimenticatoio con i due governi precedenti, come ha dimostrato l’annuncio dell’adesione dell’Italia alla Belt and Road Initiative cinese nel marzo 2019, una decisione che ha generato preoccupazione tra molti alleati occidentali.

Ripresa economica e sviluppo   

L’interesse dell’Italia a promuovere un ordine internazionale incentrato sul multilateralismo riguarda innanzitutto gli scambi commerciali. Nel 2019 il Paese ha esportato beni e servizi per un valore pari a 585 miliardi di euro (32,7% del PIL) e ha registrato un surplus commerciale di oltre 50 miliardi di euro (invariato ormai dal 2012). Le principali destinazioni delle esportazioni italiane sono la Germania e la Francia, seguite da Stati Uniti, Svizzera e Regno Unito, con la Cina al nono posto. L’industria manifatturiera italiana è intimamente connessa a quella tedesca e questa interdipendenza tra le basi industriali italiane e tedesche è particolarmente evidente nell’Italia settentrionale.

È evidente quindi che gli interessi economici italiani sono ancorati all’Europa e al partenariato transatlantico. Se il mercato cinese è enorme, è comunque improbabile che possa compensare il mercato integrato europeo ad alto valore. Inoltre, i vari ambiziosi progetti che Pechino ha avviato in tutto il mondo nell’ultimo decennio, acquistando infrastrutture e aumentando gli investimenti diretti esteri, difficilmente potranno eguagliare le profonde relazioni economiche dell’Italia con i Paesi occidentali.

Nel lungo termine, la ripresa economica dell’Italia una volta finita la pandemia sarà strettamente legata al Next Generation EU. Nel breve termine molto dipenderà dalla velocità di recupero delle economie europee, in particolare quella tedesca che ha rivisto al ribasso le stime di crescita del PIL per il 2021 (dal 4,4% al 3%). In questo contesto, il governo Draghi dovrebbe cercare di evidenziare il potenziale impatto economico del declino del multilateralismo in quanto principio organizzativo del sistema internazionale in un momento in cui gli Stati più potenti si affidano sempre più a soluzioni bilaterali per ottenere risultati a breve termine.

L’Italia non può più contare su Washington quale garante del libero scambio. La natura della globalizzazione sta cambiando in virtù della crescente rivalità tra Cina e Stati Uniti, delle politiche di reshoring e del crescente ricorso alle tariffe commerciali. Di conseguenza, l’economia globale appare sempre più regionalizzata. Le preoccupazioni relative alle interferenze di Pechino in ambito tecnologico spingono l’UE e gli USA a rafforzare la rispettiva sovranità tecnologica. L’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) è praticamente paralizzata dai veti statunitensi in seno al suo organo di appello e le grandi potenze tendono comunque a ricorrere a negoziati diretti per risolvere le controversie commerciali. Per ora, l’aspetto più delicato di questo processo di riorganizzazione riguarda la concorrenza sino-americana, con gli Stati Uniti determinati a scollegare molte delle loro catene di valore dalla Cina.

Nel frattempo, gli scontri tra l’UE e gli USA sulla tassazione digitale, sugli standard delle telecomunicazioni, sull’energia e sulla spesa militare potrebbero aumentare le tensioni transatlantiche. Questo è apparso particolarmente evidente in occasione di una riunione dei Ministri delle Finanze del G20 che ha avuto luogo lo scorso anno sotto la presidenza italiana, in cui si è affrontata la questione delle pratiche fiscali nei confronti dei giganti della tecnologia. In un clima così teso e mutevole, il governo Draghi potrebbe farsi carico di mediare le discussioni per risolvere le controversie. Ad esempio, nell’ambito dei negoziati del G20, l’Italia potrebbe sostenere la richiesta del Segretario del Tesoro americano Janet Yellen per una tassazione minima sulle multinazionali in cambio di una tassa europea sulle grandi imprese tecnologiche americane. Dato il livello di coordinamento internazionale che questo richiederebbe, tale passo potrebbe costituire un elemento sostanziale del contributo della presidenza italiana del G20 a una forma più equa e controllata di multilateralismo. Allo stesso tempo, la tassa sulle grandi imprese tecnologiche rafforzerebbe la sovranità europea.

L’Italia, non disponendo delle risorse di una grande potenza, deve necessariamente agire attraverso l’UE per proteggere i propri interessi economici. Così facendo, il Paese può radicare il suo settore manifatturiero ancora più profondamente nelle catene di valore europee, specialmente in importanti industrie emergenti, e quindi rendersi indispensabile per l’economia europea. Anche i partiti italiani più diffidenti nei confronti di una maggiore integrazione europea sembrano aver sposato questa linea politica. Ad esempio, in un recente evento pubblico, Giancarlo Giorgetti, Ministro dello Sviluppo Economico e numero due della Lega, ha sottolineato la necessità, nell’epoca attuale, di un’integrazione economica europea nei settori del digitale e delle telecomunicazioni. Questo approccio potrebbe anche aiutare l’UE a fissare standard globali per beni e servizi e a creare una forma di multilateralismo che tuteli maggiormente gli interessi europei.

Draghi si trova di fronte alla rara opportunità di posizionare l’Italia come leader su questioni internazionali chiave. Il successore della Merkel avrà bisogno di tempo per stabilire le sue credenziali, Macron è impegnato nella campagna elettorale per le elezioni presidenziali e il Primo Ministro britannico Boris Johnson non sembra disposto a impegnarsi nel contesto europeo. Draghi possiede non solo una chiara visione dell’interesse europeo, ma l’esperienza e le relazioni globali necessarie a guidare l’Italia in questa impresa.

Dalla diplomazia delle crisi a un rinnovato ordine multilaterale

Nel febbraio 2021 la Commissione Europea e l’Alto Rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza hanno presentato una strategia volta a dare nuovo slancio al multilateralismo, che definisce il ruolo delle priorità e dei valori dell’UE nel contesto della governance globale e mira a guidare gli sforzi dell’Unione per ricostruire il sistema multilaterale e un ordine basato sulle regole. Attualmente la presidenza italiana del G20 collabora con la presidenza portoghese dell’UE nella gestione della terza ondata della pandemia e persegue una serie di obbiettivi ambiziosi legati al Next Generation EU e ad altre priorità.

A livello nazionale, europeo e multilaterale, le priorità dell’Italia sono la salute e il clima (principalmente a seguito della pandemia e del massiccio afflusso di fondi del Next Generation EU legati a queste tematiche). Entrambe le questioni sono centrali nelle discussioni economiche e nel processo decisionale del G7, del G20 e della COP26, specialmente in relazione alla tassazione, alla politica monetaria e alle procedure finanziarie. Il 10 maggio Draghi ha incontrato a Roma il Direttore Generale dell’OMC Ngozi Okonjo-Iweala, nell’ambito degli sforzi per coordinare le proposte del G20 con le riforme e i meccanismi dell’organizzazione.

Sovranità sanitaria europea

Per l’Italia il 2020 si è chiuso con grandi speranze nei confronti della campagna vaccinale contro il Covid-19 e della riorganizzazione delle catene di approvvigionamento in nome della solidarietà e del coordinamento europeo, ma il 2021 ha visto riemergere molti disaccordi di lunga data all’interno dell’UE. Se nel 2020 gli Stati membri hanno dovuto fare i conti con la carenza di attrezzature mediche, che ha limitato la capacità dell’Europa di agire in modo indipendente, nel 2021 la crisi interna ha riguardato invece la produzione e la distribuzione di vaccini. L’UE è passata dalla corsa alle mascherine cinesi a un acceso dibattito sui vaccini, evidenziando la sua incapacità di negoziare come attore sovrano e di coordinare e comunicare efficacemente in ambito sanitario.

Se, da una parte, la questione dei vaccini ha rappresentato una sfida per i processi interni dell’UE, dall’altra si è tramutata in uno strumento di propaganda per i partiti al governo in Europa, per i populisti e i movimenti anti-establishment, a discapito del perseguimento della sovranità strategica dell’Unione. Tutto questo ha contribuito a generare uno shock legato all’improvvisa consapevolezza dell’importanza della salute quale area politica chiave.

Il governo Draghi dovrebbe reagire a tali sviluppi su due piani. In primo luogo, l’Italia non dovrebbe permettere che i negoziati interni sui vaccini siano strumentalizzati dai populisti anti-UE. In secondo luogo, il Paese dovrebbe scoraggiare gli altri Stati membri dal rivolgersi ai fornitori più convenienti per ricevere assistenza, come accaduto con la “diplomazia delle mascherine” di Russia e Cina l’anno scorso e come sta facendo oggi l’Ungheria con i vaccini cinesi. Qualsiasi altra linea d’azione potrebbe comportare molti rischi, facendo sembrare l’UE incapace di sviluppare le proprie strategie o di proteggere la salute dei suoi cittadini odi tutelare i propri interessi, spingendo gli Stati membri a guardare al di fuori del quadro giuridico e politico europeo.

Dai primi giorni della pandemia a oggi, la politica e le prospettive strategiche dell’Italia sono cambiate in maniera significativa. Roma non si rivolge più a Pechino alla ricerca di assistenza nella gestione della crisi come accaduto durante il secondo governo Conte. Questo cambio di rotta si riflette nell’evoluzione dell’umore e della percezione della popolazione: un sondaggio condotto dallo European Council on Foreign Relations a novembre e dicembre dello scorso anno indicava che il 27% degli italiani riteneva che la Cina fosse la principale fonte di divisione per l’Europa (seconda solo all’America di Donald Trump). Draghi è impegnato a riportare l’UE e le relazioni transatlantiche al centro della politica estera italiana, limitando al tempo stesso la rilevanza delle partnership e del dialogo con grandi potenze come la Cina e la Russia. Il suo approccio rompe con l’impegno del Movimento Cinque Stelle nei confronti della Belt and Road Initiative e con i tentativi della Lega di ricreare con la Russia il rapporto speciale dell’era Berlusconi.

Il governo Draghi sta cercando di ancorare l’interesse nazionale italiano alla protezione della sovranità strategica dell’Europa sulle questioni sanitarie, anche imparando dagli errori dell’UE nella gestione della pandemia – come l’eccessiva dipendenza da alcuni vaccini e fornitori e un investimento troppo limitato nelle capacità di ricerca, nella tecnologia medica e in altre risorse sanitarie europee. Come evidenzia Anthony Dworkin di ECFR in una recente analisi sul multilateralismo, “per ricostruire il sostegno popolare al multilateralismo, i leader dovranno essere attenti a bilanciare l’impegno nei meccanismi globali con le responsabilità nei confronti delle rispettive popolazioni.”

La decisione dell’UE di bloccare l’esportazione di vaccini verso l’Australia, ai sensi del Regolamento di esecuzione (UE) 2021/111 della Commissione del 29 gennaio 2021, potrebbe rientrare nello sforzo di un’azione multilaterale che sappia soddisfare le aspettative dei cittadini europei. Tale decisione potrebbe anche contribuire a creare la percezione di una strategia europea dei vaccini intesa a salvaguardare prima di tutto la salute dei propri cittadini, favorendo di conseguenza la ripresa di una delle più grandi economie del mondo. Se è stato Draghi a informare della decisione Scott Morrison, suo omologo australiano, non si è trattato però di una mossa unilaterale italiana. Il regolamento è dettato dal fatto che la Commissione Europea ha stanziato fondi UE per sostenere la produzione interna di vaccini (per conto degli Stati membri e nell’interesse della sicurezza sanitaria dell’UE), ma alcuni produttori non stanno tenendo fede agli impegni presi. Le carenze che ne sono derivate hanno causato un temporaneo rallentamento dello sforzo vaccinale europeo, alimentando i dubbi sulla capacità dell’Unione di proteggere i suoi cittadini e sé stessa. Alcuni leader europei sostengono che l’esportazione di vaccini in Paesi con tassi di contagio molto più bassi potrebbe ostacolare ulteriormente la strategia di ripresa dell’Unione.

Naturalmente la frequenza del ricorso a tale regolamento, benché sostenuto delle istituzioni dell’UE e degli Stati membri, deve essere limitata, in particolare nei confronti di Paesi con alti tassi di infezione come quelli che rientrano nel programma COVAX. Ciononostante, l’episodio ha fornito una dimostrazione della capacità europea di proteggere la propria sovranità strategica in relazione alle catene di approvvigionamento e, più in generale, di costruire una maggiore resilienza di fronte a shock come la pandemia.

Quasi certamente non era intenzione di Draghi minare il tipo di solidarietà internazionale di cui l’Italia ha beneficiato. L’UE ha usato il regolamento per adottare una posizione politica più ferma basata sulla trasparenza, la sicurezza sanitaria e il desiderio di evitare carenze di vaccini in un momento critico. L’obbiettivo dell’Italia in relazione alla sicurezza sanitaria è realizzare una cooperazione equa e trasparente con i fornitori e i partner internazionali su tre fronti: in ambito nazionale, il Paese intende utilizzare tutti i vaccini che riceve attraverso l’UE, in linea con il piano europeo per la ripresa; a livello europeo, l’Italia continuerà a coordinarsi con gli altri Stati membri per rafforzare la sovranità strategica dell’UE; a livello globale, l’Italia intende sostenere tutti i meccanismi multilaterali volti a fornire vaccini ai Paesi più vulnerabili e resta impegnata in tal senso con le grandi potenze in prima linea nella ripresa, in particolare gli Stati Uniti.

In tal senso, il Global Health Summit che si terrà a Roma a maggio 2021 potrebbe aiutare l’Italia a consolidare il ruolo della sicurezza sanitaria nella cooperazione e nel coordinamento multilaterale. Il Paese può sfruttare la presidenza del G20, insieme all’appartenenza al G7, per amplificare l’importanza di una strategia multilaterale di sicurezza sanitaria.

Il vertice potrebbe servire come piattaforma dove far convergere varie questioni sanitarie in una priorità condivisa da tutti i 27 Stati membri dell’UE all’interno del sistema multilaterale. L’approccio “One Health”, che è alla base dell’agenda italiana del G20, potrebbe sostenere il dialogo e gli obiettivi del vertice. Avviata per aumentare il riconoscimento pubblico degli sforzi sanitari dell’UE, l’iniziativa potrebbe gradualmente svilupparsi sino a coinvolgere una rete di stakeholder e rappresentanti politici di alto livello che si potrebbero coordinare per raggiungere gli obiettivi di sicurezza sanitaria, ma soprattutto potrebbe aiutare i partecipanti a prepararsi ad affrontare crisi future come quella del Covid-19.

Come discusso da Merkel e Draghi in una recente telefonata, il vertice dovrebbe anche creare slancio politico per garantire che l’UE agisca in modo più strutturato nelle crisi di domani, evitando di ripetere gli errori commessi nei negoziati e nella distribuzione dei vaccini. L’evento potrebbe segnare l’avvio di un graduale ritorno alla normalità attraverso il Certificato Verde Digitale (Green Digital Certificate), un processo che la Commissione Europea ha lanciato a marzo attraverso una proposta legislativa.

Tutto questo potrebbe permettere all’UE di posizionarsi come leader globale in materia di sicurezza sanitaria non solo nella produzione di vaccini ma anche nella loro distribuzione oltre i confini europei, con un’attenzione particolare al Vicinato orientale e meridionale, dove i problemi di governance e le crisi sociali ed economiche preesistenti stanno complicando gli sforzi di lotta alla pandemia. L’iniziativa potrebbe anche promuovere la cooperazione scientifica e l’innovazione tecnologica sulla sicurezza sanitaria.

Il governo Draghi si è impegnato a dare seguito a gran parte della strategia del suo predecessore nel G20, in linea con quella adottata dalla Commissione Europea e basata su tre pilastri: il pianeta, la prosperità e le persone. Uno dei principali modi in cui il governo potrà agire in tal senso è attraverso il COVAX, tramite una gestione più efficiente del programma e spingendo per maggiori contributi da parte degli Stati.

L’Italia dovrebbe anche utilizzare il G20 per coinvolgere tutte le comunità, specialmente quelle più vulnerabili, nelle decisioni sulla sicurezza sanitaria, promuovere un sistema più efficiente di scambio di informazioni sanitarie tra gli Stati e accelerare la distribuzione dei vaccini attraverso catene di approvvigionamento più forti e diversificate. Quest’ultimo punto si allineerebbe alla richiesta rivolta dal governo italiano alla Commissione Europea di armonizzare la produzione di vaccini in tutta l’UE.

Gli sforzi dell’Italia per plasmare l’agenda sanitaria globale dovrebbero inoltre comportare una più stretta cooperazione con gli Stati Uniti. Il presidente Biden sembra intenzionato a riportare gli Stati Uniti all’antico ruolo di difensore del multilateralismo sulle questioni sanitarie. Tuttavia, per farlo avrà bisogno di un sostegno più incisivo da parte di molte potenze, compresa l’UE. Quando l’amministrazione Trump ha sospeso il contributo annuale degli Stati Uniti all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l’UE e i suoi Stati membri sono prontamente intervenuti per compensare tale mancanza, ma si è trattato solo di una soluzione a breve termine. L’Europa e gli Stati Uniti devono ora coordinarsi nella definizione di un piano a lungo termine per affrontare le nuove sfide sanitarie globali come il Covid-19.

Il programma COVAX mira a fornire a 92 dei Paesi più vulnerabili 1,3 miliardi di dosi di vaccino entro la fine del 2021 e ha ottenuto un sostegno pari a 2,47 miliardi di euro dall’iniziativa “Team Europe” per la distribuzione di 59 milioni di dosi, nonché finanziamenti e altri contributi dall’amministrazione Biden. Al Global Health Summit l’Italia dovrebbe partire proprio da questo, fornendo sostegno politico agli Stati Uniti nel momento in cui tornano a impegnarsi nel multilateralismo sanitario. Lo sforzo richiederà all’Italia di contribuire a riequilibrare l’influenza di Russia e Cina al fine di evitare che, grazie alla diplomazia dei vaccini, le due potenze riescano a imprimere all’ordine geopolitico una direzione che potrebbe rivelarsi estremamente deleteria per l’Europa, ad esempio influenzando l’opinione pubblica negli Stati membri in cui le forze populiste e anti-UE sono relativamente consolidate nel panorama politico e nelle istituzioni governative.

Un consenso sul clima

Il clima rimarrà una questione interna fondamentale per gli Stati membri dell’UE negli anni a venire, specialmente alla luce dei finanziamenti disponibili per le tecnologie verdi nell’ambito del Next Generation EU. Inoltre, l’Europa punta a diventare un leader a livello multilaterale in questo settore. Come indicato in una recente analisi pubblicata da ECFR e Bruegel, l’attuazione del Green Deal europeo avrà un impatto significativo sulle relazioni dell’Unione con i principali produttori di energia come la Russia, l’Arabia Saudita e l’Algeria, così come con la Cina. L’UE potrebbe anche riuscire a utilizzare il Green Deal per ricostruire i rapporti con gli Stati Uniti e per fissare standard globali sull’energia in aree che vanno dagli idrocarburi alle più recenti forme di produzione e fornitura di energie rinnovabili, che sono al centro dell’ambiziosa agenda verde dell’UE.

Questa agenda è particolarmente importante per l’Italia in quanto presidente del G20, co-presidente della COP26 e uno dei principali beneficiari dei fondi per la ripresa dell’UE. Il Paese dovrà trovare il giusto equilibrio tra i suoi alleati e partner in vista della presentazione di una strategia climatica alla riunione del 2021 dei Capi di Stato del G20 e dell’attività congiunta con il Regno Unito sugli obiettivi della COP26. L’obiettivo ultimo dell’Italia dovrebbe essere quello di utilizzare il clima come strumento di politica estera, adottando un approccio pragmatico che sposi i principi e i valori fondamentali europei e multilaterali, come quelli derivanti dall’Accordo di Parigi e dall’Agenda 2030, pur riconoscendo l’influenza delle grandi potenze come la Cina sulle politiche climatiche e tecnologiche dell’UE. Questo potrà richiedere il riconoscimento da parte dell’Italia di ambiti in cui sono queste grandi potenze a stabilire tendenze e standard.

Se da tempo il clima rappresenta una priorità per l’Italia, a seguito della pandemia tale rilevanza si è fatta ancora più marcata: 123 miliardi di euro di finanziamenti del Next Generation UE destinati al Paese saranno dedicati alla transizione verde e digitale. Secondo le stime pubblicate dal Ministero delle Finanze italiano nel gennaio 2021, questi fondi dovrebbero far aumentare il PIL italiano del 3% entro il 2026 e a maggio 2021 anche la Commissione Europea prevedeva per l’economia italiana una crescita del 4,2%nel 2021 e del 4,4 %nel 2022.

La prima grande sfida per l’Italia consisterà nell’allineare i suoi obiettivi climatici alle altre priorità contenute nella bozza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), vale a dire sanità, uguaglianza sociale, di genere e territoriale, digitalizzazione, innovazione e competitività, infrastrutture per la mobilità, istruzione, formazione, ricerca e cultura. La seconda grande sfida consisterà nella riduzione delle emissioni di gas a effetto serra nei trasporti, ambito in cui il Paese ha ampio spazio di miglioramento, e nell’aumento della capacità di produzione di energie rinnovabili, attualmente la più contenuta dei Paesi del G20.

Per far fronte a queste sfide l’Italia dovrà modificare le sue pratiche industriali tradizionali e la sua mentalità, migliorare in maniera significativa l’utilizzo dei fondi UE, ridurre la dipendenza dai tradizionali fornitori di energia minimizzando i danni alle relative relazioni politiche ed economiche, e lanciare una campagna di informazione che convinca i cittadini dei benefici della transizione verde. Tutte queste iniziative aiuterebbero a modificare la diffusa percezione che l’Italia sia in ritardo rispetto agli altri Stati membri dell’UE, in particolare Germania e Francia, sulle questioni climatiche.

La difficoltà dell’Italia nel fare un uso efficace dei fondi UE è una questione particolarmente pressante, come evidenziano i dibattiti a livello europeo, specialmente laddove gli Stati membri  “frugali” giocano un ruolo di primo piano. Secondo un rapporto del 2020 della Corte dei Conti europea, l’uso dei fondi europei in Italia è stato tra i meno efficaci dell’Unione tra il 2014 e il 2020, una situazione che dovrà cambiare dato l’ammontare senza precedenti dei finanziamenti che il Paese riceverà nell’ambito del Next Generation EU.

Da sempre la politica verde in Italia fatica a trovare terreno fertile, né ha ottenuto risultati duraturi come accaduto invece in Francia e Germania, ma da tempo i cittadini italiani hanno acquisito una notevole consapevolezza della questione climatica, soprattutto considerando l’esperienza del Paese con la crisi dell’euro e la crisi migratoria nell’ultimo decennio – questioni, queste, che hanno spesso monopolizzato il dibattito pubblico. Tuttavia, come dimostra un recente sondaggio della Banca Europea per gli Investimenti, la pandemia ha avuto un enorme impatto sulla percezione degli europei rispetto alle questioni climatiche. Più del 60% degli italiani pensa che il governo dovrebbe ridefinire la ripresa economica affinché comprenda un approccio più pervasivo e istituzionalizzato all’azione climatica. Come affermano Susi Dennison, Rafael Loss e Jenny Söderström in un policy brief di ECFR pubblicato nell’aprile 2021, l’Italia è tra i vari Stati membri dell’UE interessati a inserire il clima nell’agenda della politica estera nazionale.

L’Italia dovrebbe sfruttare il ruolo che ricopre nel G20 e nella COP26 per consolidare la sua posizione sulle questioni ambientali, il che aiuterebbe a promuovere gli obiettivi e le strategie del Green Deal europeo. Questo è particolarmente importante se si considera che i Paesi del G20 sono responsabili collettivamente l’80% delle emissioni globali di gas serra.

L’Italia potrebbe anche cercare di colmare il divario tra le grandi potenze in competizione per gli investimenti green, come gli Stati Uniti e la Cina. In tal senso la spinta italiana a migliorare le relazioni con la Cina sotto i due governi precedenti potrebbe rivelarsi utile, come potrebbe esserlo anche la decisione, presa nel 2020, di diventare un partner per lo sviluppo dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico, cosa che richiederà di lavorare con i membri dell’organizzazione su priorità come l’educazione e la cultura, l’economia e la finanza, la decarbonizzazione e altre questioni climatiche.

Come per la sicurezza sanitaria, l’Italia deve attuare contemporaneamente la sua strategia sul clima a livello nazionale, europeo e globale. A livello nazionale, il governo Draghi ha iniziato tale processo con la creazione del Ministero per la Transizione Ecologica e il Ministero per le Infrastrutture e la Mobilità Sostenibili, che si sono appropriati di elementi importanti del portafoglio di altri dicasteri. Mai come oggi la questione verde assume un ruolo di primo piano nell’agenda nazionale, nonostante il fatto che la missione originaria del Movimento Cinque Stelle, che è stato a lungo al governo, fosse proprio quella di fare dell’ambiente la principale priorità nazionale (vale la pena notare che la decisione del partito di mettere da parte l’elemento ambientale per ragioni politiche ha comportato una significativa perdita di credibilità agli occhi di molti elettori).

A livello europeo, l’Italia sosterrà la transizione verde attraverso il Next Generation EU e in coordinamento con la presidenza portoghese dell’UE. Nel frattempo, il Paese farà leva sul suo ruolo nel G20 e nella COP26 per incoraggiare gli Stati a rispettare i loro impegni nell’ambito dell’accordo di Parigi. A tutti questi livelli, l’Italia dovrebbe agire non solo come beneficiario dei piani altrui, ma come coordinatore delle strategie climatiche degli Stati – come un ponte che collega varie isole.

Il rapporto tra Italia e Regno Unito potrebbe rappresentare un elemento importante per la leadership della COP26, ma sarà comunque molto più impegnativo rispetto a quello con gli Stati membri dell’UE. La Brexit ha segnato una profonda divisione politica tra l’UE e il Regno Unito, che sembra già aver iniziato a riposizionarsi più vicino agli Stati Uniti attraverso modifiche alla propria politica di sicurezza sul 5G e alla spesa per la difesa.

L’Italia, una potenza di medie dimensioni, deve comunque agire in modo pragmatico. Roma non potrà prescindere dalle sue priorità nazionali tanto nella ridefinizione dei suoi rapporti con Londra, non solo nell’attuale quadro della COP26 ma anche in ambito NATO e nei tradizionali forum multilaterali e di gestione delle crisi, quanto nel presentarsi come un alleato credibile e stabile per Washington.

Tutti questi sforzi dovrebbero aiutare l’Italia a porre le basi di un’Europa capace di affrontare la sfida sistemica del cambiamento climatico. Come presidente del G20 il Paese mira a raggiungere gli obiettivi climatici sia agendo da leader rispetto agli impegni relativi ai Sustainable Development Goals 2030 che attraverso la cooperazione con il Regno Unito nella COP26 e il dialogo con partner chiave come gli Stati Uniti. Due pietre miliari in questa impresa saranno la riunione del G20 a Napoli a luglio e l’incontro pre-COP26 a Milano a settembre e ottobre. Come ha sottolineato il Ministro italiano per la transizione ecologica Roberto Cingolani in un recente incontro con l’Inviato speciale americano per il clima John Kerry, l’Italia lavorerà per accelerare l’azione multilaterale sul clima in collaborazione con gli Stati Uniti.

Sostegno all’Africa

Il sostegno dell’Italia al multilateralismo è vitale per permettere all’UE di perseguire le sue priorità nell’ambito dei partenariati con i Paesi africani, il cui sviluppo economico è stato gravemente colpito dalla pandemia. L’Africa rappresenta una questione centrale nell’agenda italiana del G20. Il G20 Africa Advisory Group, iniziativa che la presidenza tedesca del G20 ha lanciato nel 2017 per favorire lo sviluppo e la crescita sostenibile, si è riunito ad aprile 2021 su richiesta dell’Italia. Da quando è diventata presidente del G20, l’Italia ha definito chiare priorità per le relazioni dell’Europa con l’Africa: tra queste, il multilateralismo come strumento chiave per affrontare le sfide globali e il sostegno tramite il programma COVAX agli sforzi dei Paesi africani per riprendersi dalla pandemia. È interessante notare che la proposta di agenda presentata da Roma lo scorso aprile, in vista del vertice Finance in Common che l’Italia ospiterà in autunno, chiede un dialogo con attori come la Cina sulla rinegoziazione del debito di alcuni Paesi africani, a cominciare da Ciad ed Etiopia.

Tuttavia, l’Africa rimarrà a lungo una priorità centrale della politica estera italiana anche dopo la conclusione del periodo di presidenza del G20 e l’esperienza dell’Italia nella cooperazione multilaterale sulla crisi sanitaria potrà aiutare a sviluppare una strategia più ampia sull’Africa, anche in relazione a questioni urgenti come la stabilizzazione del Sahel.

Conclusioni

Il Global Health Summit, il G20 e la COP26 possono aiutare l’Italia ad attuare una politica estera più proattiva. La nuova strategia di Roma, che pone enfasi sia sull’UE che sul multilateralismo, potrebbe aiutare l’Italia a sviluppare il suo potenziale come attore impegnato ed energico in Europa. La pandemia può aver destabilizzato la politica italiana, ma il conseguente cambio di governo ha creato un’opportunità per accrescere il ruolo internazionale del Paese.

Le priorità di Draghi sono far uscire l’Italia dalla crisi del Covid-19, realizzare le indispensabili riforme economiche e infrastrutturali descritte nel piano di ripresa del Paese e attuare la transizione verde nel contesto di una strategia di sviluppo a lungo termine, e non solo come fonte di finanziamento.

Come molti osservatori hanno sottolineato, la Brexit potrebbe aiutare l’Italia a riposizionarsi più vicino al motore franco-tedesco. Roma dovrebbe anche cercare di dare un contributo significativo alle strategie sanitarie e ambientali dell’UE, rafforzando al contempo l’alleanza transatlantica e il tormentato ordine multilaterale.

Il G20 porta con sé il vantaggio di riunire tutti i più importanti alleati e partner dell’Italia in questi sforzi. Roma dovrebbe lavorare per stabilire una posizione politica europea unificata sulle questioni discusse sopra, rafforzando così l’influenza dell’Unione nel G20. Questo potrebbe aiutare a chiarire e riequilibrare le relazioni dell’UE con gli Stati Uniti e la Cina. Le due alternative, un “G2” sino-americano o un “G0” in cui nessuno guida lo sviluppo di un nuovo ordine globale, non sarebbero nell’interesse dell’Italia né dell’UE. Entrambe le alternative rischiano di relegare l’Europa a mero campo di battaglia economico, tecnologico e normativo per altre potenze. Pertanto, l’Italia dovrebbe contribuire allo sviluppo di un sistema multilaterale in cui l’UE e gli USA siano partner paritetici.

Roma cercherà di impegnarsi con i suoi alleati e partner per promuovere un’agenda pragmatica sulle sfide globali più pressanti. Il clima e la tecnologia digitale saranno elementi importanti, ma Draghi dovrebbe iniziare concentrandosi sulla sicurezza sanitaria globale. Questa possibilità si concretizza sia nell’ambito del G20 che al Global Health Summit, esercitando pressione affinché la tecnologia dei vaccini diventi un bene globale piuttosto che appannaggio dei ricchi Paesi occidentali. La credibilità del governo Draghi dipenderà dalla sua capacità di promuovere i valori europei in linea con il suo concetto di interesse nazionale italiano.

Nota sugli autori

Teresa Coratella è Programme Manager presso la sede di Roma dello European Council on Foreign Relations. Si occupa delle tendenze della politica estera italiana e del ruolo dell’Italia in Europa e contribuisce regolarmente alla serie di ECFR View from Rome. Tra i suoi contributi più recenti “How to govern a fragmented EU: What Europeans said at the ballot box”, pubblicato a seguito delle elezioni del Parlamento Europeo del 2019, e “Together in trauma: Europeans and the world after covid-19”, pubblicato nel giugno 2020. Coratella, che ha doppia cittadinanza italiana e polacca, è entrata a far parte di ECFR nel 2011 e ha conseguito un Master in studi interdisciplinari europei presso il Collegio d’Europa con particolare attenzione all’UE come attore regionale.

Arturo Varvelli è Direttore dell’Ufficio di Roma e Senior Policy Fellow di ECFR. Si occupa di geopolitica e affari internazionali, Medio Oriente e Nord Africa, delle relazioni dell’UE e dell’Italia con la regione e dei movimenti terroristici transnazionali, con un focus particolare sulla Libia e sulle relazioni italo-libiche. In precedenza, Varvelli è stato co-responsabile del Centro MENA e responsabile del Programma terrorismo presso l’Istituto Italiano di Studi Politici Internazionali, dove ha organizzato i “Rome MED – Mediterranean Dialogues” in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri italiano. Ha conseguito un Dottorato di ricerca in storia internazionale presso l’Università di Milano e un Post-dottorato presso la Fondazione CRT, con sede a Torino.

Ringraziamenti

Gli autori desiderano ringraziare gli interlocutori e i colleghi in Italia per la collaborazione. Un ringraziamento speciale va a Lorena Stella Martini e Marco Saracco per il supporto all’attività di ricerca e per i consigli durante la stesura. Gli autori sono inoltre grati al Direttore della ricerca di ECFR Anthony Dworkin per il suo inestimabile contributo e agli editor per aver condiviso spunti oculati e puntuali che hanno reso questo lavoro veramente paneuropeo.

Questo contributo è stato reso possibile grazie al prezioso sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo.

ECFR non assume posizioni collettive. Le pubblicazioni di ECFR rappresentano il punto di vista degli autori.