Early warning: Come l’Iraq può rispondere al cambiamento climatico

Fotomontaggio del bacino del Tigri-Eufrate e dalla carta climatica dell’Iraq, che documenta il cambiamento della temperatura dal 1901
Testo integrale disponibile anche in

In breve

  • L’Iraq è tra i Paesi più a rischio in termini di cambiamento climatico, i cui effetti più seri comprendono l’aumento delle temperature e la scarsità d’acqua.
  • A mano a mano che i terreni adatti all’agricoltura si riducono e i posti di lavoro nelle campagne scompaiono, gli iracheni si spostano verso le città in cerca di lavoro. Questo fenomeno aumenta la pressione sui servizi, fa lievitare i prezzi dei generi alimentari e acuisce le tensioni sociali, che sfociano in proteste e persino nella violenza.
  • La debolezza della governance interna impedisce all’Iraq di migliorare la gestione dell’acqua, di prevenire i conflitti interprovinciali e intertribali e di attrarre investimenti e competenze per creare nuova occupazione nell’economia verde e adattarsi al cambiamento climatico.
  • La consapevolezza dei rischi climatici nell’opinione pubblica sta crescendo, ma sono troppo pochi i leader politici che ritengono la questione prioritaria.
  • Da tempo l’Iraq tenta di raggiungere un accordo in materia di risorse idriche con i Paesi a monte, la Turchia e l’Iran, che stanno costruendo dighe che influiscono sulle forniture all’Iraq; inoltre, essi ritengono che la gestione delle risorse idriche dell’Iraq sia lacunosa. L’acqua rappresenta una fonte di tensione anche nei rapporti tra Baghdad e la regione del Kurdistan.
  • Iracheni ed europei dovrebbero collaborare per migliorare la capacità di governance dell’Iraq e prendere in considerazione misure come l’istituzione di un sistema di “early warning” sui potenziali conflitti derivanti dagli effetti della crisi climatica.

Introduzione

Negli ultimi sei mesi una serie di drammatici eventi naturali ha mostrato al popolo iracheno la concretezza e i pericoli del cambiamento climatico. Ben nove tempeste di sabbia hanno colpito il Paese in appena otto settimane, determinando la chiusura di uffici governativi e aeroporti, l’interruzione delle attività economiche e il ricovero in ospedale di migliaia di persone. Non da ultimo, alcune cellule dello Stato Islamico (ISIS) hanno poi approfittato della ridotta visibilità causata dalle tempeste per sferrare attacchi contro le forze di sicurezza irachene.

All’inizio del 2022 la notizia del completo prosciugamento del lago Sawa, nella provincia di Muthanna, ha provocato un’ondata di dolore e nostalgia, mentre la popolazione locale e i cronisti ne hanno lamentato l’impatto in termini di sussistenza e identità della provincia. A questa sono seguite ulteriori storie allarmanti sul livello critico di bacini idrici come il lago Hamrin, nella provincia di Diyala, e sull’aumento dell’inquinamento del lago Razzaz, nella provincia di Karbala.

Nel 2018 la qualità dell’acqua a Bassora è diminuita in modo sostanziale a causa dell’innalzamento del livello del Golfo Persico che, insieme alla riduzione dei flussi d’acqua provenienti dai fiumi a monte e alla diminuzione delle precipitazioni, ha aumentato la salinità nel fiume Shatt al-Arab che attraversa la città. Ciò ha causato il ricovero in ospedale di quasi 120.000 persone e ha spinto migliaia di cittadini a scendere in piazza per protestare contro le autorità governative locali e federali. Le forze di sicurezza e i gruppi armati con affiliazione politica hanno risposto con la violenza, uccidendo almeno 31 persone e ferendone altre centinaia. La cattiva gestione della crisi da parte del governo ha spento le speranze del primo ministro Haidar al-Abadi di venire eletto per un secondo mandato, ha danneggiato la legittimità delle istituzioni statali e ha permesso ai gruppi armati di lanciare una campagna di sangue per eliminare attivisti e manifestanti.

Tutti questi eventi hanno finalmente portato la questione del cambiamento climatico nel dibattito politico iracheno, ma nonostante le inquietanti prospettive a medio e lungo termine che profilano effetti estremamente seri, i leader del Paese ancora non hanno adottato misure significative. Secondo un Rapporto delle Nazioni Unite del 2019, l’Iraq è il quinto Paese più vulnerabile al mondo in termini di disponibilità di acqua e cibo e di esposizione a temperature estreme, che stanno aumentando fino a sette volte più velocemente della media globale, mentre si prevede che le precipitazioni annuali diminuiranno del 9 per cento entro il 2050. Allo stesso tempo, il Paese si trova ad affrontare un tasso di crescita demografica doppio rispetto alla media mondiale, pari al 2,25% annuo, che porterà la popolazione a raggiungere i 50 milioni entro il 2030 e i 70 milioni entro il 2050.

Le dinamiche in atto hanno dato vita a una migrazione di massa dalle campagne verso le città, dove i già limitati servizi disponibili sono sottoposti a una pressione enorme e le opportunità di lavoro scarseggiano. Questo fenomeno ha innescato disordini sociali e alimenta la competizione e i conflitti interprovinciali e intertribali, favorendo talvolta l’ascesa di gruppi estremisti nelle aree rurali impoverite. L’inadeguatezza della governance irachena, l’anemia del settore privato e la conseguente mancanza di investimenti diretti esteri impediscono al Paese di intraprendere un’azione più concertata per affrontare sia le cause che gli effetti del cambiamento climatico. La scarsa governance interna si riflette anche sulla gestione delle risorse idriche generando sprechi significativi e pone il Paese in una posizione di debolezza nei confronti dei vicini a monte, Turchia e Iran, che stanno costruendo dighe destinate a peggiorare la situazione.

Baghdad ha urgente bisogno di definire un’agenda per il clima efficace, che sia accompagnata da adeguati e ingenti dotazioni finanziarie. L’Europa può offrire sostegno in varie forme, certamente sul piano tecnico ma anche convincendo i leader politici iracheni dei vantaggi derivanti da una strategia che contribuisca ad affrontare gli effetti del cambiamento climatico, nonché a migliorare la governance interna e a diversificare l’economia del Paese.

Politica ed economia del cambiamento climatico in Iraq

La politica

L’Iraq si trova attualmente prigioniero di una paralisi politica. A nove mesi dalle elezioni parlamentari di ottobre 2021, ancora non esiste un governo e le recenti dimissioni di massa dal Parlamento dei membri del Movimento Sadrista, il partito che ha ottenuto il maggior successo alle urne, ha scatenato un terremoto sulla scena politica. Nonostante l’Iraq abbia beneficiato di un aumento delle entrate grazie a un periodo in cui i prezzi del petrolio si sono mantenuti elevati, fino a quando non si sarà insediato un nuovo governo lo Stato potrebbe non essere in grado, dal punto di vista formale, di approvare il bilancio e quindi di distribuire fondi sia per affrontare gli effetti del cambiamento climatico che per altre questioni che richiedono investimenti e impegni a lungo termine.

Resta poi da chiarire se, una volta insediato, il nuovo governo provvederà a definire un’agenda per il clima garantendo un sostegno ad alto livello e fornendo i finanziamenti necessari. La competizione politica è intensa, in particolare tra i partiti sciiti armati che governano alcune delle aree più colpite dal cambiamento climatico, ma che danno priorità ad altre questioni. Il caos politico è dovuto a una scarsa comprensione della rilevanza dei fenomeni climatici in atto da parte dell’élite al potere nel Paese.

Alcune figure di primo piano, anche ai vertici della politica irachena, si stanno facendo portavoce della necessità di investire per il clima. Su iniziativa del presidente Barham Salih, nel novembre 2021 il governo federale ha adottato il Progetto di rivitalizzazione della Mesopotamia che delinea per la prima volta un piano ambizioso volto ad affrontare gli effetti più critici del cambiamento climatico nel Paese, un tema di cui il Presidente Salih è appassionato sostenitore. In un’intervista con l’autore, Salih ha dichiarato: “La portata del problema [del cambiamento climatico] è tale da alimentare conflitti e instabilità e la questione sta diventando così seria che i politici iracheni ritengono finalmente che valga la pena parlarne”[1].

Il presidente Salih, che propone, tra l’altro, un’iniziativa per la gestione delle risorse idriche, un programma di riforestazione e piani di investimento in energia verde, è riuscito a convincere l’esecutivo ad adottare il Progetto di rivitalizzazione della Mesopotamia come quadro politico, ma affinché questo ottenga adeguati finanziamenti e diventi operativo, occorre che la leadership politica irachena sia disposta a investire in queste iniziative a lungo termine. Sebbene al momento non esista la possibilità di approvare un bilancio, la maggior parte dei decisori iracheni preferisce comunque perseguire soluzioni populiste a breve termine, ad esempio offrendo opportunità di impiego nel settore pubblico. 

Anche il Ministro delle Finanze Ali Allawi ha pubblicato un libro bianco sulla riforma economica che mira a creare basi più sostenibili per l’economia irachena, liberando fondi pubblici da investire per far fronte alla questione climatica. È in questo modo, sensibilizzando l’élite politica sul problema, che i singoli leader possono avere un impatto significativo.

Nonostante le fosche prospettive, il Progetto di rivitalizzazione della Mesopotamia e iniziative come quella di Allawi dimostrano che la questione climatica sta finalmente ricevendo una certa attenzione ai più alti livelli della politica irachena. Quando l’establishment politico riuscirà finalmente a trovare un accordo sul nuovo governo, sarà fondamentale che questo dia priorità al finanziamento e all’attuazione di iniziative ambiziose per affrontare il cambiamento climatico, i cui effetti saranno presto talmente disastrosi da costringere i leader iracheni a smettere di ignorare il problema.

L’opinione pubblica

Sebbene sia difficile accertare l’effettiva consapevolezza del cambiamento climatico tra la popolazione irachena, esiste sicuramente una certa sensibilità nei confronti dei relativi effetti; la preoccupazione sta crescendo, tanto tra i pastori nomadi alle prese con scarse precipitazioni che tra i pescatori che vedono i livelli dei laghi in costante diminuzione. Un numero crescente di iracheni ha ormai compreso il legame esistente tra il cambiamento climatico e le lotte quotidiane da affrontare, tanto che questioni come la scarsità d’acqua sono spesso causa di proteste. La popolazione è inoltre consapevole della cattiva gestione ambientale da parte dei governi che si sono succeduti e delle autorità locali, che non sono riusciti a rispondere alla crisi climatica.

La rilevanza della questione climatica è sempre più indiscussa. Nel periodo immediatamente successivo alla guerra contro l’ISIS, tra le principali preoccupazioni delle popolazioni locali tematiche come la corruzione, l’istruzione, l’economia e la ricostruzione avevano la precedenza rispetto al clima, ma ora che il conflitto è alle spalle e i danni causati dal cambiamento climatico diventano più evidenti, l’attenzione dell’opinione pubblica si sta riorientando. Durante le tempeste di sabbia che hanno colpito l’Iraq nella prima metà del 2022, i social media sono stati inondati di post che ne individuavano la causa nel clima. Emerge inoltre una maggiore sensibilità su base demografica: i giovani iracheni sono infatti molto più attenti alle questioni ambientali, come dimostra un’indagine del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP), che ha rilevato che il 67% della popolazione irachena sotto i 18 anni ritiene di trovarsi di fronte a una “emergenza climatica”.

Economia e decarbonizzazione

Anche qualora l’opinione pubblica e la classe politica riescano a convergere su un programma di azione più incisivo sul clima, qualsiasi progresso sarà condizionato dalla disponibilità di investimenti diretti esteri nell’energia verde. Tuttavia, fino a quando l’élite al governo non adotterà misure indispensabili a creare in Iraq un contesto più attraente per gli investimenti, cosa che si è ripetutamente rifiutata di fare, il governo federale così come i governi locali non disporranno di risorse sufficienti da investire nella conservazione delle acque, nelle azioni volte ad arrestare e invertire il processo di desertificazione e nel miglioramento della sicurezza energetica attraverso lo sviluppo del considerevole potenziale iracheno in materia di energia rinnovabile.

La riforma economica potrebbe contribuire a questo obiettivo ed è comunque necessaria. Nell’ultimo decennio i proventi del petrolio hanno rappresentato oltre il 99% delle esportazioni irachene e l’85% del bilancio del governo. Allawi ha sottolineato che se il mondo raggiungerà le emissioni zero entro il 2050, le entrate nette dei Paesi produttori di petrolio crolleranno del 75%. Con grande probabilità l’abbandono del petrolio porterà con sé opportunità significative, considerato che il settore domina l’economia irachena ma rappresenta solo l’1% dell’occupazione totale, e la transizione verso l’energia verde offrirà quindi nuove possibilità di lavoro.

Tuttavia, la natura estremamente poco diversificata dell’economia irachena rappresenta una grande vulnerabilità al passaggio globale verso la decarbonizzazione. Il Green Deal dell’Unione Europea, uno dei motori di tale processo, potrebbe avere serie implicazioni geopolitiche per le economie che dipendono dalle esportazioni di combustibili fossili. L’Iraq ha firmato l’Accordo di Parigi per limitare le emissioni globali, anche se si è impegnato a ridurre le proprie emissioni di gas serra di un modesto 1% entro il 2035, mentre un ulteriore obiettivo del 13% è subordinato al sostegno internazionale. Il Ministro delle Finanze iracheno ha affermato che tale sostegno sarà fondamentale per garantire che la transizione verso la decarbonizzazione globale non abbia impatti negativi sull’Iraq o sulla sicurezza e la stabilità della regione. I funzionari iracheni hanno anche rivolto un monito ai Paesi sviluppati e agli Stati non dipendenti dagli idrocarburi affinché non spingano per una transizione troppo rapida.

Resta ancora molto da fare per garantire investimenti che permetterebbero di diversificare l’economia, in primis affrontando le profonde carenze di governance dell’Iraq, compresa la riduzione della corruzione. Tali sviluppi aiuterebbero anche il Paese ad attirare investimenti per finanziare misure di adattamento e mitigazione del clima, che genererebbero nuovi posti di lavoro e allevierebbero lo stress sociale.

La debolezza della governance e la scarsa capacità dell’Iraq di rispondere al cambiamento climatico

La governance

Come si è detto, in Iraq manca una cultura politica in grado di rispondere alle sfide poste dal cambiamento climatico e di sviluppare un piano di trasformazione economica. Tali problemi sono, almeno in parte, conseguenza di una governance debole e dell’incapacità di tradurre la politica in azioni concrete in termini di servizi, regolamentazione e infrastrutture.  

Se, teoricamente, l’impennata del prezzo del petrolio permetterebbe all’Iraq di investire per adattarsi al cambiamento climatico e mitigarne gli effetti, anche qualora il futuro governo stanziasse fondi di bilancio adeguati in tal senso sarebbe comunque necessario affrontare le debolezze della governance su più livelli. Sono queste problematiche a impedire al Paese di arginare alcuni degli effetti del cambiamento climatico che sarebbero più semplici da gestire, a condizione di allineare in tale ottica le politiche, le risorse, le strutture di governance e le procedure di attuazione.

Tali debolezze esistono sia a livello locale che nazionale. Emergono regolarmente tensioni significative tra le istituzioni pubbliche riguardo alla distribuzione delle risorse idriche, come accaduto tra le province di Maysan e Kut e tra le province di Muthanna, Qadisiya e Dhi Qar. I funzionari delle province meridionali, come Maysan e Muthanna, lamentano il fatto che l’approvvigionamento delle province settentrionali è maggiore del dovuto, a discapito degli insediamenti più a valle. Nel marzo 2017 il governatore di Muthanna, Faleh al-Ziyadi, ha inviato bulldozer e forze di sicurezza per rimuovere le barriere ai flussi d’acqua nel quartiere al-Hamza di Qadisiya, rischiando uno scontro armato. L’ex governatore di Dhi Qar, Yahya al-Nasiri, ha osservato che “i governatorati agiscono unilateralmente [in materia di risorse idriche], il che fa presagire una catastrofe”.

A livello nazionale, la competenza per l’irrigazione spetta al Ministero dell’Agricoltura e non a quello per le Risorse Idriche, il che comporta una mancanza di chiarezza nella definizione e nell’attuazione delle politiche relative alla conservazione dell’acqua e alla modernizzazione delle tecniche di irrigazione, questione di grande rilevanza in quanto l’Iraq utilizza attualmente metodi di irrigazione estremamente inefficienti. La modernizzazione dei sistemi di irrigazione permetterebbe un risparmio di acqua, ma secondo le stime del Ministero per le Risorse Idriche comporterebbe un costo compreso tra 50 e 70 miliardi di dollari nei prossimi 13 anni. A tal fine, un approccio governativo nazionale più coordinato e una maggiore collaborazione con le autorità provinciali potrebbero aiutare gli agricoltori locali di tutto il Paese ad adottare rapidamente metodi a bassa tecnologia che riducano l’uso dell’acqua.

Impatti sociali

In Iraq la scarsità d’acqua nelle aree rurali, esacerbata dalla cattiva gestione delle risorse idriche, ha molteplici conseguenze, tra cui la desertificazione, che rende aridi i terreni fertili. Tale situazione mette a rischio ben il 92% dei terreni agricoli del Paese ed è destinata ad alimentare massicci flussi migratori interni e potenzialmente internazionali in futuro. La migrazione interna dalle campagne verso le aree urbane è determinata principalmente dalla penuria di opportunità di lavoro generata dall’assenza di acqua per coltivare i terreni agricoli. La Banca Mondiale calcola che una diminuzione del 20% dell’approvvigionamento idrico dell’Iraq potrebbe deprimere la domanda di lavoro agricolo dell’11,8% e ridurre il PIL del Paese di 6,6 miliardi di dollari, pari a circa il 4%.

Tutto ciò si ripercuote anche sulla sicurezza alimentare: la scarsità d’acqua e la siccità hanno reso più frequenti le perdite di raccolto tanto che, ad esempio, nel 2021 il 37% degli agricoltori ha dichiarato perdite relative al grano e il 30% all’orzo. La siccità ha anche un grave impatto sugli allevatori, in quanto la mancanza di raccolti fa aumentare il prezzo dei mangimi per il bestiame, mentre la scarsità idrica porta alla proliferazione di malattie trasmesse dall’acqua negli allevamenti. I piccoli agricoltori e le comunità nomadi in particolare faticano ad assorbire l’impatto dei periodi di siccità sui rispettivi redditi e ne risultano così i più colpiti.  

Queste difficoltà ambientali aumentano i livelli di stress sociale e mettono sotto pressione uno Stato già debole, contribuendo a creare disordini nelle aree rurali in via di spopolamento, aumentando le richieste di servizi nelle aree urbane e accrescendo la rabbia locale nei confronti del governo. L’aumento della disponibilità di lavoratori a giornata che non trovano più un impiego in agricoltura rende più aspra la competizione per l’occupazione in altri settori, come l’edilizia nelle aree urbane. A sua volta, questa dinamica genera crescenti tensioni tra gli sfollati e le comunità ospitanti, come accaduto in diverse province tra cui Karbala, Salah al-Din, e Diyala.

In alcune aree tali tensioni sono sfociate in conflitti armati, come è accaduto ad esempio in alcune zone di Dhi Qar e Maysan intorno allo Shatt al-Arab meridionale, dove sono scoppiati scontri quando gli sfollati hanno fatto pascolare mandrie di bufali su terreni su cui non avevano alcun diritto. I conflitti locali causati dalle tensioni tra sfollati e comunità ospitanti sembrano destinati ad aumentare considerato l’intensificarsi dei flussi migratori, dell’inarrestabile crescita demografica e della crescente difficoltà da parte delle autorità irachene di fornire i servizi di base necessari a una popolazione urbana in crescita. Nelle città la competizione per le limitate abitazioni disponibili è in aumento a causa dei flussi migratori interni, e ciò favorisce la crescita di baraccopoli nei centri maggiormente interessati dal fenomeno. Nel frattempo, i migranti climatici sono spesso emarginati e impoveriti e tendono a concentrarsi nelle zone più svantaggiate delle città, poco sicure e con servizi inadeguati.

Queste dinamiche rendono l’Iraq sempre più vulnerabile ai fenomeni e agli eventi globali: il Paese importa circa la metà del proprio fabbisogno alimentare e la guerra in Ucraina ha contribuito ad aumentare i prezzi delle derrate anche del 20%. Secondo il Programma Alimentare Mondiale ben 2,4 milioni di iracheni necessitano di assistenza alimentare e altre forme di sostentamento. Baghdad ha aumentato il compenso corrisposto dallo Stato agli agricoltori e ha fornito sussidi ad alcune famiglie a basso reddito per contenere potenziali effetti deleteri, ma la situazione non è sostenibile. Secondo quanto dichiarato all’autrice da Azzam Alwash, esperto di clima e consigliere del presidente, il governo iracheno dovrebbe utilizzare i sussidi che attualmente fornisce al settore agricolo per l’acquisto di prodotti a prezzi fissi (molto elevati) per incentivare invece gli agricoltori ad adottare tecniche di irrigazione più efficienti[2]. Sebbene si tratti certamente di una strategia di per sé politicamente impegnativa, essa aprirebbe nuove prospettive di policy se inserita in un contesto di misure più incisive volte alla conservazione dell’acqua in Iraq, che potrebbero incontrare il sostegno della popolazione.  

Più in generale, in tutto il Paese l’inefficacia della governance sfocia ciclicamente in proteste di massa. I cittadini lamentano l’incapacità dello Stato di affrontare in maniera adeguata una serie di problematiche, molte delle quali sono rese ancora più complesse dall’impatto del cambiamento climatico.

Ad esempio, ad ottobre 2019 hanno avuto inizio le cosiddette proteste di Tishreen, alimentate da una serie di rimostranze relative, tra il resto, alla mancanza di opportunità di lavoro per i giovani iracheni, aggravata dalla perdita di mezzi di sussistenza nelle zone rurali a causa del declino del settore agricolo dovuto alla scarsità d’acqua. La situazione è ulteriormente deteriorata quando attori statali e non statali hanno risposto alle proteste con una violenza sconvolgente, uccidendo oltre 600 manifestanti e ferendone oltre 20.000, una reazione che ha seriamente danneggiato la credibilità del governo iracheno e ha portato alle dimissioni del primo ministro, Adel Abdul Al-Mahdi, e all’insediamento di un nuovo governo ad interim.

In questo modo, ogni ciclo di proteste e violenze erode ulteriormente la legittimità del governo iracheno e aumenta il disincanto dei cittadini nei confronti della politica, aumentando così il divario sempre più marcato tra le élite e la popolazione, come testimonia la partecipazione storicamente bassa alle elezioni parlamentari dell’ottobre 2021.

Oltre alle proteste di Tishreen, che hanno attraversato il centro e il sud dell’Iraq, si verificano ormai regolarmente proteste localizzate in relazione alle problematiche generate dal cambiamento climatico. Ad esempio, nel marzo 2022, nel distretto di al-Salam, nella provincia di Maysan, si è svolta una manifestazione contro la scarsità e la contaminazione delle acque del fiume al-Batiraa a seguito dell’insorgenza di tifo, scabbia e altre malattie della pelle nella popolazione locale. Anche nella provincia di Dhi Qar si è assistito a un aumento delle proteste durante le quali i manifestanti hanno bloccato le strade principali per esprimere la loro rabbia nei confronti della mancanza di servizi, tra cui la carente fornitura di acqua. La regione del Kurdistan è stata a sua volta teatro di manifestazioni, che raramente però ricevono copertura da parte della stampa, come le proteste a Sulaymaniyah nel giugno 2021 a seguito della proliferazione di malattie trasmesse dall’acqua.

Lo Stato fatica inoltre a garantire la regolare fornitura di energia elettrica che sarebbe necessaria per far fronte a una serie di esigenze tra cui l’aria condizionata in estate, quando le temperature raggiungono i 50°. Le interruzioni di corrente nel sud dell’Iraq nel 2021 hanno spinto i residenti di Amara, nella provincia di Maysan, a manifestare la loro rabbia dando fuoco a pile di pneumatici davanti al Dipartimento per la gestione dell’elettricità. Le proteste si sono diffuse in diversi governatorati e hanno costretto il ministro dell’Elettricità, Majid Hantoush, a dimettersi.

Si prevede che ulteriori disordini affliggeranno il Paese, poiché la popolazione delle aree urbane ad alta densità è in continua crescita, la temperatura aumenta e i servizi statali vengono meno. Queste problematiche sarebbero meno difficili da gestire se il governo fosse in grado, in primo luogo, di adottare misure di adattamento che potrebbero alleviare lo stress sociale e, in secondo luogo, di tracciare un percorso che permetta all’Iraq di recuperare il ritardo accumulato nella transizione verso una nuova economia decarbonizzata, offrendo inoltre nuovi posti di lavoro “verdi” e maggiore sicurezza alimentare.

Sicurezza

L’impatto congiunto delle privazioni indotte dal cambiamento climatico in termini di acqua, cibo, lavoro e servizi da una parte e, dall’altra, della debolezza o assenza dello Stato in molte aree del Paese espone alcune comunità rurali al reclutamento da parte di gruppi armati che offrono accesso a queste risorse. Ad esempio, la siccità diffusa nelle province di Anbar e Ninewa nel 2006 e 2007 ha spazzato via migliaia di posti di lavoro nelle zone rurali e ha contribuito all’ascesa di Al-Qaeda che ha fatto leva sulla frustrazione per reclutare nuovi seguaci, soprattutto tra i giovani.  

La scarsità d’acqua ha contribuito anche alla crescita dell’ISIS, che inizialmente ha risposto agli eventi climatici estremi offrendo sostegno alle comunità rurali svantaggiate, ad esempio distribuendo cibo durante la siccità del 2010 e fornendo aiuti economici in seguito alle tempeste di sabbia che hanno distrutto i campi di melanzane vicino a Kirkuk nel 2012. È questo il motivo per il quale gli agricoltori sono stati tra i primi e più importanti sostenitori dell’ISIS. La scarsità d’acqua ha anche contribuito ad alimentare la retorica settaria dell’ISIS che rafforza, tra le comunità in difficoltà e maggiormente esposte alla mancanza d’acqua nelle aree sunnite, la convinzione di essere trascurate da un governo che viene dipinto come marcatamente sciita. In tal senso, ad esempio, nella provincia di Salah al-Din, la campagna di reclutamento dell’ISIS ha avuto più successo in quei sottodistretti, come Tharthar, maggiormente affetti da carenze idriche rispetto ad altri dove l’acqua era più accessibile.

Il governo iracheno ha riconosciuto il ruolo del cambiamento climatico nel favorire il reclutamento nelle organizzazioni estremiste. Nell’aprile 2021 il Ministro della Difesa Juma Inad ha dichiarato che l’effetto della crisi climatica in termini di sfollamento, distruzione dei terreni agricoli e aumento della disoccupazione spinge i giovani “verso la criminalità e il terrorismo”, rendendo chi non ha opportunità economiche e di sostentamento “facile preda di Daesh [ISIS]”, ma finora il governo non ha intrapreso azioni concrete per evitare il perpetuarsi di tale situazione.

La migrazione climatica interessa anche le province irachene liberate dalla presenza dell’ISIS, come Ninewa e Kirkuk, compromettendone gli sforzi di recupero. Sono già 1,2 milioni i civili iracheni sfollati a causa del conflitto con l’ISIS e l’impatto del cambiamento climatico potrebbe farli rimanere tali o costringerli a spostarsi di nuovo. A dicembre 2021 i dati ufficiali mostravano che 300 famiglie (circa 1.800 persone) che erano tornate a Ninewa dopo la fine del conflitto con l’ISIS sono state costrette ad andarsene nuovamente a causa della siccità. La maggior parte di questi nuclei proveniva dalle aree rurali meridionali della provincia e non era in grado di alimentare adeguatamente il proprio bestiame a causa delle scarse precipitazioni.

L’impatto del cambiamento climatico promuove anche il reclutamento da parte di gruppi armati politici che hanno un impatto destabilizzante sulla governance e minano il controllo dello Stato. Questo avviene ad esempio a Bassora in conseguenza, almeno in parte, del degrado ambientale lungo lo Shatt al-Arab che è causa, come ben noto, di disoccupazione, sfollamento e disgregazione della vita rurale. Alcuni di questi gruppi armati sono impegnati in attività illecite, tra cui il contrabbando di droga, e fomentano la violenza politica minando la capacità del governo iracheno di gestire i conflitti locali e di fornire servizi.

Infine, la competizione per l’acqua nelle aree rurali contribuisce all’insorgere di conflitti armati tra gruppi tribali, dispute che hanno luogo prevalentemente nel sud rurale dell’Iraq. Sebbene le cause dei conflitti tribali siano molteplici, l’accesso alle risorse idriche è tra le più comuni e tali tensioni sfociano spesso nella violenza. In alcuni casi, le tribù più importanti hanno deviato il corso delle acque per irrigare i terreni agricoli, creando tensioni con gruppi limitrofi che non erano più in grado di far fronte alle proprie esigenze. Secondo quanto riferito, gli incidenti legati all’acqua nel nord di Bassora hanno portato a dispute tribali che durano da decenni e hanno causato la morte e il ferimento di decine di persone. I dati locali indicano che la scarsità d’acqua è causa di circa il 10% di tutte le dispute tribali in corso, e che gli episodi di violenza tribale sono in aumento: il loro numero è raddoppiato tra il 2019 e il 2020, per poi aumentare nuovamente nel 2021. Oltre la metà degli incidenti del 2021 si sono verificati nelle tre province irachene più sottoposte a stress idrico: Bassora, Dhi Qar e Maysan. In alcuni casi, i conflitti tribali provocano a loro volta uno spostamento delle popolazioni tanto che, ad esempio, tra dicembre 2021 e marzo 2022, nel distretto di al-Hai, nella provincia di Wasit, 25 famiglie hanno dovuto lasciare le loro case a causa di disaccordi tribali sull’accesso all’acqua.

Nella maggior parte dei casi, il governo non ha voluto o potuto intervenire e le dispute sulle risorse idriche hanno talvolta portato i gruppi tribali a ricorrere alla violenza direttamente contro le autorità governative. A Mosul, ad esempio, è stato riferito che i villaggi si sono armati e hanno impedito alle autorità di costruire pozzi per i villaggi vicini, nel timore che ciò riducesse le loro forniture d’acqua. Nel dicembre 2021, in segno di protesta per la scarsità d’acqua, alcuni membri della tribù Shuweilat, nei pressi del giacimento petrolifero di Gharraf a Dhi Qar, hanno attaccato con lanciarazzi e mitragliatrici una pattuglia della polizia vicino a un canale di irrigazione nel distretto di Rifai. Anche a causa del ricorso sempre più frequente alle armi pesanti, i gruppi tribali rappresentano ormai una problematica difficile da gestire per le autorità locali di polizia.

Il posizionamento regionale dell’Iraq sulle questioni climatiche

In termini idrologici la regione in cui si trova l’Iraq è nota come bacino del Tigri-Eufrate. Si tratta di una zona particolarmente vulnerabile alla scarsità d’acqua e le immagini satellitari mostrano che le acque sotterranee del bacino si stanno riducendo più rapidamente che in quasi tutti gli altri bacini a livello globale. I livelli esatti di tale diminuzione sono difficili da verificare a causa della variabilità del clima, della siccità, della fluttuazione della disponibilità a seconda del periodo e delle costruzioni sui corsi d’acqua, ma la tendenza è chiara. Secondo le stime, la portata dell’Eufrate e del Tigri potrebbe ridursi rispettivamente del 30% e del 60% entro la fine del secolo. L’aumento delle temperature e la diminuzione delle precipitazioni continueranno a peggiorare la situazione per tutti i Paesi del bacino, ma in virtù della sua posizione a valle l’Iraq è particolarmente vulnerabile a qualsiasi cambiamento messo in atto dagli Stati a monte. Tali Paesi, in particolare la Turchia e l’Iran, affermano che i volumi di acqua ricevuti dall’Iraq sono corretti, ma la gestione da parte di Baghdad è lacunosa. Nel frattempo, in Iraq l’aumento della popolazione spinge la domanda a crescere.

La carenza idrica dell’Iraq è esacerbata dalle attività degli Stati vicini, tra cui lo sviluppo delle infrastrutture, la costruzione di dighe e la deviazione degli affluenti in Turchia e in Iran. La riduzione dei flussi idrici da questi Paesi limita ulteriormente l’accesso all’acqua in Iraq e influisce negativamente sulle relazioni tra Baghdad e i suoi vicini a monte. Il vicepresidente del Parlamento, Hakim al-Zamili, ha recentemente minacciato di boicottare le merci turche e iraniane e di interrompere le relazioni economiche con i due Paesi a causa della riduzione dei flussi d’acqua. Sebbene un’azione così drastica sia altamente improbabile, la dichiarazione dimostra che la questione può essere strumentalizzata dai politici populisti e complicare le relazioni transfrontaliere.

Turchia

Anche solo in termini di volumi, la quantità d’acqua che raggiunge l’Iraq dalla Turchia rende quest’ultimo un Paese particolarmente importante in relazione alla questione della condivisione delle risorse idriche. Circa il 90% del flusso dell’Eufrate e il 40% di quello del Tigri provengono dalla Turchia, e altri affluenti che si uniscono a quest’ultimo più a valle hanno anch’essi origine in Turchia. Il cambiamento climatico ha costretto la Turchia a conservare una quota sempre maggiore di acqua e, a partire dagli anni ‘90, questo ha portato Ankara a realizzare progetti infrastrutturali su larga scala tra cui il controverso Progetto Anatolia nel sud-est del Paese, che ha portato alla costruzione di 22 dighe sull’Eufrate e sul Tigri.

A partire dagli anni Sessanta Iraq e Turchia hanno condotto una serie di trattative sulla condivisione dell’acqua senza riuscire, tuttavia, ad arrivare a un accordo che soddisfi le preoccupazioni di Baghdad riguardo ai flussi provenienti dalla Turchia. In tal senso, il memorandum d’intesa recentemente ratificato tra Iraq e Turchia, che prevede l’impegno a garantire un flusso adeguato d’acqua all’Iraq, è sicuramente emblematico in quanto impegna Ankara ad assicurare una fornitura equa senza però specificarne la portata. Nel frattempo, la costruzione di infrastrutture in Turchia procede a ritmo sostenuto. Nel novembre 2021, appena due giorni dopo l’inaugurazione dell’enorme diga di Ilisu sul Tigri in presenza del presidente Erdogan, il Ministero iracheno delle risorse idriche avvertiva che Ankara stava già progettando di costruire una ulteriore diga sullo stesso fiume.paes

Le tensioni sulla condivisione dell’acqua complicano e intensificano altre problematiche nei rapporti tra Turchia e Iraq, in particolare riguardo alla presenza del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) nel nord dell’Iraq. Da decenni il gruppo combatte una battaglia insurrezionista contro lo Stato turco che Ankara percepisce come una seria minaccia. Per contrastare il PKK, la Turchia ha installato numerose basi militari in Iraq e conduce regolarmente operazioni anti-PKK all’interno del Paese, come la recente operazione Claw-Lock. Ha inoltre organizzato diversi attacchi aerei in Kurdistan e nella contestata e vulnerabile provincia di Ninewa. Da un lato, queste iniziative mettono in discussione la sovranità irachena e, dall’altro, indeboliscono la governance di Baghdad, assorbendone capacità in termini di governo, sicurezza e politica e distogliendo l’attenzione da altre tematiche importanti come il cambiamento climatico.

La questione dell’acqua aggrava il conflitto tra la Turchia e il PKK. I media filogovernativi turchi hanno esplicitamente presentato le nuove infrastrutture, come la diga di Ilisu, come elementi di disturbo per il PKK, ma nel lungo termine tali progetti rischiano di intensificare lo sfollamento dei curdi verso la Turchia e di accrescere il sostegno al gruppo sul territorio nazionale. L’Iraq ha avviato negoziati con la Turchia per l’acquisto di materiale militare in cambio di un aumento dei flussi d’acqua e del ritiro delle truppe turche da una base vicino a Mosul. In questo quadro complesso, il conflitto con il PKK e le questioni ad esso correlate continueranno a essere una forte leva e una fonte di discordia nelle discussioni sulla condivisione dell’acqua tra Turchia e Iraq.

Vale anche la pena notare che, storicamente, i funzionari turchi non hanno mai esitato a sfruttare a proprio vantaggio la posizione a monte del Paese per fare pressione sui vicini a valle affinché prendessero parte o acconsentissero alle operazioni anti-PKK. Ad esempio, nel 1987 la Turchia ha firmato un accordo con la Siria in cui condizionava esplicitamente la fornitura dell’acqua alla cessazione del sostegno di Damasco al PKK.

Iran

Nel contesto del cambiamento climatico, le relazioni tra Iraq e Iran poggiano, tra l’altro, sulla condivisione dell’acqua, sulla dipendenza di Baghdad dalle importazioni a prezzi accessibili dall’Iran e sull’approvvigionamento energetico.

L’Iran è una fonte d’acqua vitale ma precaria per le province meridionali dell’Iraq. I fiumi Karun e Karkheh, che nascono nell’Iran occidentale, confluiscono nel fiume Shatt al-Arab vicino a Bassora. Sempre più spesso l’Iran ha deviato gli affluenti per soddisfare il fabbisogno idrico interno. In più occasioni il Ministro delle Risorse Idriche dell’Iraq Mahdi Rashid al-Hamdani ha minacciato di intentare una causa internazionale contro l’Iran per i tagli alla fornitura d’acqua e per contestare la costruzione di infrastrutture iraniane sui fiumi che sfociano in Iraq, ipotizzando di portare l’Iran davanti alla Corte Internazionale di Giustizia o di adire gli organismi per i diritti umani come il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite. A dicembre il Ministro ha affermato che l’Iraq riceveva dall’Iran solo il 10% dell’acqua che affluiva in passato e ha dichiarato che il Ministero “ha completato tutte le procedure tecniche e legali per istruire una causa” redigendo un rapporto di otto pagine, prodotto da un gruppo di esperti, sulle violazioni da parte dell’Iran.

Tuttavia, nella realtà l’Iraq non sembra aver intrapreso alcuna azione del genere in ambito internazionale, anche considerato che una simile iniziativa sarebbe quasi impossibile da perseguire realisticamente per Baghdad data la significativa influenza dell’Iran sull’élite politica irachena. In ogni caso, i funzionari iraniani hanno respinto l’accusa che Teheran abbia limitato la fornitura di acqua al suo vicino e alcuni hanno affermato che l’Iraq dovrebbe concentrarsi invece sulla riduzione dei flussi d’acqua dalla Turchia. Un alto consigliere del governo iracheno ha dichiarato all’autrice che, sebbene Hamdani abbia espresso critiche nei confronti dell’Iran, ciò rientra soprattutto nei teatrini politici che prendono forma nei momenti di tensione interna in Iraq[3]. Il ministro, politicamente vicino al Movimento Sadrista, ha ritenuto conveniente muovere tali critiche anche in virtù del declino della reputazione dell’Iran presso l’opinione pubblica irachena.

Anche le importazioni di prodotti alimentari sono un fattore significativo nei rapporti tra i due Paesi. Gli attivisti accusano l’Iran di lasciare deliberatamente a secco l’Iraq per distruggere il settore agricolo e inondare il mercato iracheno di prodotti agricoli iraniani. Tali accuse hanno portato ad appelli da parte di gruppi della società civile a boicottare le merci iraniane, mentre le proteste di Tishreen hanno preso di mira (a volte in modo violento) i simboli dell’influenza iraniana in Iraq, tra cui ambasciate e consolati. Nel contesto delle severe sanzioni internazionali imposte all’economia iraniana, il mercato iracheno è stato una fonte vitale di liquidità per Teheran. Gli scarsi raccolti, la perdita delle colture e il calo delle rese in Iraq hanno reso più economico e affidabile per Baghdad affidarsi alle produzioni alimentari provenienti dall’Iran, aumentando la dipendenza dal suo grande vicino.

La rabbia della popolazione è esplosa anche durante le ondate di caldo estivo, quando l’Iran ha periodicamente interrotto la fornitura di energia elettrica all’Iraq a causa del mancato pagamento di quanto dovuto. Le proteste per la mancanza di elettricità nel 2018 sono state accompagnate da manifestazioni in cui sono stati incendiati cartelloni pubblicitari di personaggi iraniani e uffici di partiti politici legati all’Iran, scene che si sono ripetute più volte e con grande ferocia durante le proteste di Tishreen.

La rabbia della popolazione è dettata dall’opinione diffusa che i potenti gruppi politici e movimenti armati iracheni siano così strettamente legati all’Iran da privilegiare gli interessi iraniani rispetto a quelli iracheni. Come si è detto, l’Iraq è un Paese particolarmente vulnerabile agli effetti del cambiamento climatico e poco attrezzato per affrontarlo, e non è escluso che gli attori iraniani abbiano in effetti tutto l’interesse ad alimentare la violenta repressione della società civile locale che si oppone a questa situazione. L’adozione di misure più concertate per superare le vulnerabilità climatiche permetterebbe all’Iraq di eliminare un fattore che complica le relazioni con l’Iran in senso più generale.

Governo regionale del Kurdistan

Tra il governo federale di Baghdad e il governo regionale del Kurdistan(KRG) emergono regolarmente tensioni politiche e il KRG ha più volte tentato di fare leva sulla posizione di territorio a monte nei negoziati con Baghdad. È accaduto, ad esempio, nel 2014 e nel 2020 in relazione a disaccordi con il governo federale in materia di bilancio, quando i funzionari curdi hanno suggerito di tagliare i flussi d’acqua verso l’Iraq, descrivendo addirittura l’acqua come una “forte carta vincente”. Nel 2016, durante una disputa sul bestiame, la minaccia di interrompere le forniture di acqua da parte curda ha suscitato una risposta furiosa da parte del governo federale di Baghdad, che ha accusato il KRG di violare i diritti umani e la Costituzione irachena.

Anche la condivisione dell’acqua è stata oggetto di dissapori nei territori contesi. Ad esempio, in passato i contadini arabi di Kirkuk hanno accusato le autorità curde di aver deliberatamente ridotto il flusso dell’acqua per costringerli a lasciare le loro terre. Anche a Kirkuk sono state segnalate tensioni intracomunitarie tra arabi, turkmeni e curdi per l’acqua. L’area è sotto il controllo federale a seguito del referendum sull’indipendenza curda del 2017 e del successivo scontro militare, ma il territorio rimane conteso e l’acqua potrebbe essere utilizzata come leva e oggetto di contestazione in qualsiasi escalation futura.

Come nel caso delle relazioni con la Turchia, le infrastrutture hanno un ruolo importante: il governo federale ha espresso con veemenza il suo disappunto nei confronti del KRG per aver costruito dighe senza richiedere alcun consenso. Nell’aprile 2022 il Ministero delle Risorse Idriche ha dichiarato che il KRG aveva firmato, senza darne alcuna comunicazione a Baghdad, un accordo con una società cinese per la costruzione di quattro nuove dighe. Ciò è avvenuto in un contesto di tensioni crescenti tra Erbil e Baghdad, dopo che una decisione della Corte Suprema Federale aveva dichiarato incostituzionale l’esportazione indipendente di petrolio e gas da parte del KRG, scatenando il panico e la furia del governo regionale. Poiché il governo federale sta iniziando ad agire per dare seguito alla decisione del tribunale, il KRG potrebbe essere più propenso a usare il controllo dei flussi d’acqua a monte come leva nei futuri negoziati.

Altre relazioni regionali

L’Iraq ha partecipato a vari incontri regionali su possibili azioni coordinate per ridurre l’impatto delle tempeste di sabbia e a giugno Hamdani ha annunciato che Baghdad ospiterà un incontro con l’Iran e la Turchia per discutere delle risorse idriche, anche se non è ancora stata fissata una data. Le iniziative regionali di questo tipo rappresentano uno strumento importante per affrontare la questione del cambiamento climatico e promuovere una maggiore consapevolezza tanto dei relativi effetti che della necessità di cooperazione piuttosto che di competizione. La tempistica di questo incontro coincide inoltre con una fase in cui l’Iraq ha assunto un ruolo chiave per portare intorno allo stesso tavolo vari attori regionali per discutere di politica e sicurezza. Baghdad potrebbe tentare di espandere la portata di tali iniziative al fine di inserire all’ordine del giorno la definizione di approcci regionali volti a mitigare l’impatto del cambiamento climatico.  

Cosa può fare l’Iraq

Al governo iracheno resta molto da fare per gestire la competizione tra le istituzioni locali per l’accesso alle risorse idriche. Una possibilità sarebbe la creazione di un quadro di coordinamento per garantire un’equa distribuzione dell’acqua, magari basato su una valutazione delle esigenze di ciascuna area esplicita e verificata in modo indipendente, che preveda inoltre meccanismi di risoluzione delle controversie per ridurre le tensioni legate all’acqua in ambito locale.

Le istituzioni finanziarie irachene (in particolare il Ministero delle Finanze, le autorità anticorruzione e le entità affiliate) dovrebbero aumentare gli sforzi per migliorare il contesto generale in modo da favorire gli investimenti esteri nel Paese, elemento imprescindibile per aiutare l’economia ad adattarsi alla transizione energetica. Un’attenzione particolare dovrebbe essere rivolta alla creazione di un clima atto a favorire gli investimenti nella green economy, comprese misure per valutare e mappare il potenziale dell’Iraq in termini di energia verde. Tutto ciò, riconoscendo che la corruzione è profondamente radicata nel Paese; in generale, il miglioramento del contesto per gli investimenti sarà un processo lento e a lungo termine.

Gli attori iracheni dovrebbero affrontare il dialogo sull’acqua e i negoziati sul clima in buona fede, limitando le dichiarazioni roboanti e le inutili minacce legali contro i Paesi vicini per le violazioni legate all’acqua. Sarebbe auspicabile astenersi dalla strumentalizzazione della questione per scopi politici al fine di raccogliere consensi e affrontare invece le diverse problematiche attraverso i canali diplomatici formali. Questo ne aumenterebbe la rilevanza politica e impedirebbe la politicizzazione di una questione che riguarda non solo alcuni settori della società, ma l’intero Paese.

Infine, il governo nazionale e le autorità locali dovrebbero lanciare campagne di informazione per preparare il pubblico al potenziale impatto del cambiamento climatico e aumentare la consapevolezza della gravità della posizione attuale dell’Iraq. Tali campagne dovrebbero mirare a creare consenso per spingere la classe politica ad affrontare il problema, costringendo così all’azione anche i soggetti più riluttanti. Da parte loro, i partiti politici e gli individui legati al movimento di protesta, alcuni dei quali hanno ottenuto seggi parlamentari a ottobre, dovrebbero porre il clima al centro delle rispettive priorità di policy. Ciò contribuirebbe a dare slancio alla questione e offrirebbe inoltre una soluzione ad alcune delle criticità sociali e in ambito di servizi pubblici che hanno generato tanta frustrazione in gran parte dell’opinione pubblica irachena.

Cosa può fare l’Europa

Gli Stati europei sono impegnati a mantenere la stabilità in Iraq e la gestione del cambiamento climatico sarà un fattore importante in tal senso. Gli europei possono offrire competenze specialistiche per aiutare il Paese a rispondere meglio ai problemi legati al clima, ma dovrebbero anche sottolineare l’importanza di dare priorità alla questione nella politica interna, coinvolgendo direttamente l’opinione pubblica sul clima, rafforzando la governance interna, diversificando l’economia e portando avanti con maggiore determinazione il dialogo regionale.

Azione politica

In primo luogo, a livello politico gli Stati europei possono incoraggiare i partiti iracheni a formare un nuovo governo, cercando di sfruttare l’opportunità della formazione del nuovo esecutivo per sollecitare i leader politici ad adottare e finanziare un’agenda climatica seria. In virtù della stretta partnership esistente, l’UE potrebbe assumere un ruolo guida in questo senso, offrendo anche la sua esperienza nell’elaborazione delle politiche.

L’UE dovrebbe inserire formalmente la questione climatica tra gli elementi integranti del suo impegno in Iraq. Pur essendo Bruxelles leader in materia, sono pochi i documenti strategici europei sull’Iraq che fanno esplicito riferimento al clima, tra questi l’Accordo di partenariato e cooperazione UE-Iraq e le conclusioni del Consiglio dell’UE sull’Iraq. Singoli Paesi come la Svezia riconoscono ufficialmente le ricadute politiche e sociali dei cambiamenti ambientali, ma non esiste un quadro comunitario analogo. Fare del cambiamento climatico una priorità esplicita incoraggerebbe anche gli Stati membri a lavorare ulteriormente su questo tema, mettendo a disposizione anche le rispettive competenze per aiutare Baghdad (ad esempio, i rapporti diplomatici dei Paesi Bassi con l’Iraq si concentrano sulla gestione dell’acqua e sull’alimentazione e l’agricoltura).

Bruxelles potrebbe anche cercare di ampliare il ruolo della Missione consultiva dell’UE in Iraq (EUAM), che attualmente ha il compito di assistere i funzionari dell’Ufficio del Consigliere per la Sicurezza Nazionale e del Ministero dell’Interno nel processo di riforma della sicurezza, valutando ad esempio la creazione di un’unità specifica incaricata di sostenere il governo iracheno nell’identificare e affrontare i rischi per la sicurezza legati al clima.

Nel sollecitare un impegno politico da parte degli attori iracheni, i governi europei dovrebbero coordinarsi e lavorare con altri attori internazionali che condividono una prospettiva simile. Ad esempio, il recente progetto congiunto britannico-canadese concepito per aiutare Baghdad a raggiungere gli obiettivi che si è impegnata a rispettare firmando l’Accordo di Parigi darà slancio ai processi di adattamento. I governi europei dovrebbero considerare la possibilità di creare altre iniziative di questo tipo.

L’economia e le riforme

Gli Stati europei possono continuare a intensificare gli sforzi per sostenere la diversificazione dell’economia irachena, anche incoraggiando gli investimenti privati europei e trasferendo competenze tecniche nel campo dell’energia verde. Vari attori europei, tra cui le associazioni imprenditoriali, dovrebbero continuare a collaborare con il governo iracheno per migliorare il contesto generale nel Paese al fine di attrarre investimenti diretti esteri nei settori dell’agricoltura, dell’energia verde e della gestione delle risorse idriche. L’UE, che già organizza workshop con le parti interessate irachene nell’ambito del Progetto del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) per le iniziative arbitrali e contro la corruzione volto a creare un ambiente sicuro per gli investimenti, potrebbe assumere un ruolo guida in questo senso, orientando l’attenzione in particolare sulla facilitazione degli investimenti “verdi”.

Gli Stati europei possono fornire ai leader politici iracheni e agli alti funzionari pubblici supporto tecnico, formazione e tecnologie, in particolare al fine di modernizzare le tecniche di irrigazione e migliorare la resilienza dei centri urbani rispetto alla migrazione rurale. Gli Stati europei potrebbero avviare iniziative di investimento congiunte per sostenere l’introduzione di queste nuove tecniche. A questo proposito, il governo iracheno e i donatori europei potrebbero collaborare con le organizzazioni locali della società civile per aiutare gli agricoltori a compiere la transizione.

Tensioni locali e sistemi di early warning

Gli Stati europei possono contribuire direttamente a ridurre le tensioni locali generate dal cambiamento climatico mettendo a disposizione un’assistenza specifica e mirata. Ad esempio, il progetto dell’UE recentemente annunciato per migliorare la qualità dell’acqua a Bassora non solo avrà conseguenze ambientali positive, ma potrebbe anche ridurre il malcontento della società civile nella città. Analogamente, nuove iniziative europee di investimento congiunto per aiutare le aree urbane a migliorare l’erogazione dei servizi e a prepararsi ad assorbire i migranti rurali potrebbero allentare le tensioni locali e prevenire i conflitti. 

Gli Stati europei possono sostenere ulteriormente il governo iracheno collaborando allo sviluppo di meccanismi di “early warning” intesi a riconoscere le dinamiche e i segnali di potenziali conflitti che si potrebbero scatenare a causa dell’insorgere di problemi legati al cambiamento climatico. Ad esempio, si potrebbero analizzare dati satellitari e previsioni metereologiche per monitorare siccità e precipitazioni per poi incrociarli con sistemi di feedback che permettano alle comunità di segnalare tensioni, soprattutto riferite alle risorse, evidenziando così i potenziali rischi alle autorità. Meccanismi simili esistono già nel Sahel e potrebbero aiutare a prevenire l’insorgere di conflitti localizzati. Allo stesso modo, gli Stati europei potrebbero aiutare il governo iracheno a creare e a sviluppare meccanismi di coordinamento locale per rispondere ai conflitti tra le province in materia di risorse idriche.

Le organizzazioni locali della società civile che lavorano con gli agricoltori nell’ambito della gestione dell’acqua possono collaborare con i media governativi per sensibilizzare il pubblico iracheno sull’importanza di conservare l’acqua e sui metodi per farlo.

È importante notare che gli sforzi europei per persuadere il governo iracheno a dare priorità a nuovi metodi di irrigazione potrebbero avere un impatto realmente importante se inquadrati, potenzialmente in associazione ad altre iniziative, in termini di protezione della sovranità. È probabile che l’idea di “ripristinare il ruolo dell’Iraq nella regione” incontri il favore sia dell’élite politica che dell’opinione pubblica.

Supporto regionale

Gli Stati membri dell’UE, come i Paesi Bassi e la Svezia, sono in grado di offrire una particolare esperienza nella gestione dell’acqua, e altri attori europei possono aiutare il governo iracheno a negoziare accordi equi di condivisione dell’acqua con la Turchia e l’Iran. Sebbene si tratti di uno sforzo complesso e a lungo termine, si potrebbe iniziare offrendo una formazione specifica ai negoziatori iracheni incaricati di discutere l’argomento con i partner turchi e iraniani. Si potrebbe inoltre fornire sostegno alla mediazione nei processi di negoziazione in atto, qualora ciò venisse richiesto.

Se l’Iraq deciderà di compiere passi concreti per la conservazione dell’acqua, gli Stati europei potrebbero rendersi disponibili a mediare un nuovo dialogo tra Turchia e Iraq sulla condivisione dell’acqua e potrebbero incoraggiare le parti a separare la questione dell’acqua da altre tematiche spinose, come i raid transfrontalieri della Turchia contro il PKK. Gli Stati europei dovrebbero inoltre sostenere e incoraggiare il dialogo regionale su una serie di iniziative legate al clima, che porterebbero significativi risultati già nel medio termine.  

Nota sull’autore

Nussaibah Younis è esperta di politica, economia e relazioni estere dell’Iraq e Visiting Fellow presso lo European Council on Foreign Relations. È consulente senior dello European Institute of Peace, fondatrice dell’Iraq Leadership Fellows Program e collaboratrice del Pearson Institute all’Università di Chicago. In precedenza, è stata Fellow del Programma di Sicurezza Internazionale presso il Belfer Center della Harvard Kennedy School. Per ECFR, Younis ha pubblicato il contributo “The gulf between them: What Arab Gulf countries can learn from Iran’s approach to Iraq”.

Ringraziamenti

Questo documento è stato reso possibile dal sostegno di Fondazione Compagnia di San Paolo al programma Medio Oriente e Nord Africa di ECFR.


[1] Intervista dell’autrice al Presidente Barham Salih, giugno 2022.

[2] Intervista dell’autrice con Azzam Alwash, giugno 2022.

[3] Intervista dell’autrice con un consigliere del governo iracheno, settembre 2021.

ECFR non assume posizioni collettive. Le pubblicazioni di ECFR rappresentano il punto di vista degli autori.