Sanzioni iraniane: l’impatto sull’Europa

La prima analisi della nuova serie ECFR sugli effetti delle sanzioni americane sui rapporti commerciali UE-Iran

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La decisione di Donald Trump di ritirare gli Stati Uniti dall’Accordo sul nucleare iraniano ha posto l’Europa e gli USA ai due estremi di una complessa strategia sanzionatoria. Nel corso degli ultimi mesi, gli Stati Uniti hanno dato avvio a sanzioni unilaterali con l’obiettivo di indurre gli altri paesi a porre un freno al commercio con l’Iran. I governi europei hanno tentato di minimizzare l’impatto delle sanzioni ai danni delle proprie aziende senza per questo causare un ulteriore strappo alle già tese relazioni transatlantiche.

Europa, Cina e Russia restano parti dell’Accordo, conosciuto formalmente come il Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), poiché questo limita, attraverso speciali restrizioni, lo sviluppo del programma nucleare iraniano, contribuendo dunque alla salvaguardia della sicurezza globale.

Gli Stati europei si sono impegnati a mantenere in piedi l’accordo (seppur appeso ad un filo) fino a che l’Iran avesse aderito ai termini stabiliti. Questo mese, il paese ha ribadito la propria fedeltà al Trattato. Per assicurarsi che Teheran continui ad occupare un posto nel processo negoziale, l’UE sta cercando di mantenere intatte le relazioni economiche con l’Iran nonostante numerose aziende europee comincino a sospendere i propri affari con il paese.

Fino ad ora, le compagnie europee si sono strettamente attenute alle sanzioni secondarie americane. Non è chiaro tuttavia se continueranno a farlo, e fino a che punto, nel lungo periodo. Nei prossimi mesi, ciò che risulterà dai negoziati influenzerà la cooperazione transatlantica in merito a sanzioni future, e definirà la percezione che gli altri paesi hanno del potere europeo, nonché della sua autonomia in politica economica.

L’ultimatum americano: è tempo di scegliere

Dall’uscita di Trump dall’Accordo nel maggio di quest’anno, i funzionari americani hanno viaggiato in lungo e in largo per dare un ultimatum alle imprese non europee: interrompere gli scambi commerciali con l’Iran, pena l’impossibilità di accedere al mercato e al settore finanziario americano. Questa minaccia si è dimostrata più efficace delle pesanti multe che queste aziende avevano ricevuto per la violazione delle sanzioni americane in merito ad entità commerciali in Iran e a Cuba.

Per la maggior parte delle compagnie europee, gli interessi sono chiari: l’entità degli accordi commerciali che intrattengono con gli Stati Uniti e la propria dipendenza dal sistema finanziario americano, sovrastano qualsiasi collegamento con l’Iran. Le aziende europee che operano in aree non interessate dalle sanzioni o che non dipendono dagli USA tentano di salvaguardare le relazioni commerciali con l’Iran. Ciononostante, devono affrontare numerose difficoltà operative che affiorano dall’impatto  delle sanzioni secondarie a danno di parti terze, incluse istituzioni finanziarie e il settore delle assicurazioni.

I dirigenti europei spesso sottolineano quanto siano tenuti a rispondere ai propri azionisti e al Consiglio di Amministrazione, e di come le rassicurazioni europee che promettono di difenderli dalle sanzioni americane siano di scarso conforto. Durante l’ultima fase di sanzioni statunitensi nei confronti dell’Iran, tra il 2010 e il 2012, le autorità di controllo americane hanno spesso indagato sulle compagnie europee. Al tempo, senza che l’Europa si impegnasse realmente a respingere politicamente le accuse, da quelle indagini scaturirono pesanti multe per le aziende. L’esperienza ha avuto un forte impatto anche su diverse compagnie europee di calcolo del rischio.

Nuove sanzioni americane  

Nel JCPOA, gli Stati Uniti hanno accettato di abolire alcune sanzioni dirette al programma nucleare iraniano. Per le aziende non americane, attenuare le sanzioni secondarie rappresentava un aspetto cruciale, pena la rinuncia agli affari con gli Stati Uniti e consecutive sanzioni. A gennaio 2016, gli USA hanno ridotto alcune importanti sanzioni secondarie dirette ai settori dell’energia e bancario iraniani, e così anche l’Europa. Queste misure hanno spianato la strada alle compagnie europee per rientrare nel mercato iraniano.

Subito dopo la decisione di Trump di ritirarsi, gli Stati Uniti hanno cominciato a reintrodurre le sanzioni secondarie dirette al nucleare iraniano. Hanno concesso alle compagnie tra i 90 e i 180 giorni per ridurre gradualmente le operazioni connesse all’Iran. Le sanzioni saranno reintrodotte in due fasi. Nella prima, inaugurata il 7 agosto, rientrano gli aerei commerciali, le automobili, i metalli preziosi e i tappeti, l’acquisto iraniano di dollari e lo scambio di Riyal iraniani (anche per i fondi al di fuori dell’Iran). L’ondata di sanzioni viene applicata anche alle aziende europee che offrono servizi collegati, come il trasporto marittimo in questi settori.

La seconda fase verrà inaugurata il 4 novembre, e sarà destinata al settore dell’energia, a quello finanziario, delle assicurazioni, del trasporto marittimo e dei porti, così come a entità finanziarie non americane che effettuano transazioni con la Banca Centrale iraniana e apposite altre. Queste sanzioni danneggeranno particolarmente l’economia del paese, essendo finalizzate a ridurre drasticamente l’esportazione di petrolio da cui dipende la maggior parte delle entrate statali, e a bloccare l’accesso dell’Iran alla rete finanziaria globale.

Non è tutt’ora chiaro se gli Stati Uniti stabiliranno delle proroghe o delle esenzioni per alcuni paesi che potranno continuare ad importare petrolio iraniano anche dopo novembre.

A giugno, l’amministrazione americana ha revocato o limitato i permessi generali che aveva fornito all’interno del JCPOA. Tra queste, anche il Permesso Generale H, che permette agli enti americani stranieri di intraprendere attività con l’Iran.

La risposta europea

Francia, Germania e Regno Unito hanno chiesto agli Stati Uniti di “evitare di intraprendere azioni che ostacolino la piena implementazione del JCPOA da parte di tutti gli altri paesi nell’Accordo”. L’amministrazione Trump non solo ha ignorato l’appello, ma ha addirittura adottato un approccio più propriamente massimalista, facendo presagire per le compagnie europee la possibilità di incappare in sanzioni dirette, in caso di reiterati rapporti commerciali con l’Iran. In risposta, alcuni dirigenti tedeschi e francesi hanno richiesto misure che proteggano la sovranità europea negli accordi commerciali e in politica estera, anche attraverso la creazione di linee di credito indipendenti dagli Stati Uniti.

Al netto di tutti i discorsi, l’Europa ha ancora bisogno di un gran lavoro preparatorio per cercare di minimizzare l’impatto delle sanzioni secondarie americane. Fino ad ora, ha mosso pochi passi, ma efficaci. Ad agosto, l’Unione Europea ha ripristinato il Regolamento di blocco, introdotto per la prima volta nel 1996, per includere le sanzioni secondarie rivolte all’Iran. Concepito per dissuadere le aziende europee dall’aderire alle sanzioni extraterritoriali americane, il Regolamento permette loro di limitare i danni causati dalle sanzioni attraverso dei reclami legali “contro le persone che li procurano e annulla, all’interno dell’UE, gli effetti di ogni decisione presa da un tribunale in merito a quelle”. In teoria, il Regolamento di blocco impedirebbe ai cittadini e alle aziende UE di attenersi alle sanzioni americane.

Nella pratica, data l’ininterrotta ritirata delle multinazionali europee dal territorio iraniano, c’è poco che possa far prevedere l’effettivo impatto di questa misura, a meno che non venga pienamente applicata attraverso, per esempio, un’azione legale presso una corte europea avanzata da una compagnia danneggiata dalle sanzioni. Tuttavia, ci sono pochi precedenti rispetto ad un’iniziativa del genere. Inoltre, il Regolamento di blocco permette alle aziende di applicare delle eccezioni nei casi in cui dimostrino che ignorare le sanzioni secondarie significherebbe danneggiare ancora di più i propri interessi (come farebbero in molte). Ciononostante, il Regolamento offre alcuni vantaggi legali alle piccole realtà europee che hanno una presenza limitata sul mercato americano.

La Commissione Europea ha recentemente stanziato 18 dei 50 milioni di euro che compongono il fondo per i progetti “a supporto di uno sviluppo economico e sociale sostenibile in Iran”, inclusi 8 milioni di euro per l’assistenza al settore privato. Questi numeri sono incredibilmente bassi rispetto ai 20 miliardi che componevano il flusso commerciale tra l’UE e l’Iran nel 2017. Tuttavia, come il Regolamento di blocco, anche questa è un’evidente sfida politica nei confronti del sistema sanzionatorio americana.

L’UE deve ancora decidere su alcune questioni cruciali, come ad esempio l’entità dei rapporti tra il proprio settore bancario e l’Iran dopo novembre, e il modo attraverso cui evitare una significativa riduzione nelle esportazioni di petrolio iraniano. Come Giappone, India e Iraq, anche molte compagnie europee stanno intavolando trattative con l’amministrazione americana sul modo in cui le sanzioni opereranno, e sulla possibilità che il Tesoro USA possa esentare le aziende che agiscono in aree economiche strategicamente rilevanti (come quella dell’energia). L’Europa sta inoltre premendo affinché tali esenzioni proteggano il sistema di informazione finanziaria SWIFT, con sede in Belgio, dalle attuali richieste di disconnettere, da novembre, le banche iraniane.

Dal 2010 al 2012, l’UE e l’amministrazione Obama condividevano gli obiettivi politici in Iran e il sistema delle sanzioni. Consideravano le sanzioni come uno strumento necessario a costringere i leader iraniani a partecipare ai negoziati sul ridimensionamento del loro programma nucleare. Questa visione condivisa aveva facilitato la coordinazione tra le due potenze rispetto alla definizione e all’implementazione delle sanzioni. Il consenso politico transatlantico aveva permesso al lungo braccio delle sanzioni americane di protendersi all’interno del territorio europeo.

Oggi, l’Europa si trova impegnata in un rapporto transatlantico altamente più complicato. Ha poche possibilità di difendere le proprie aziende dalle sanzioni e scarsa voglia di imporre quelle contromisure necessarie a moderare l’approccio dell’amministrazione Trump rispetto alla loro implementazione, come ad esempio le contro-tariffe.

L’Europa potrà anche riluttantemente acconsentire alla posizione di Washington sull’Iran, un paese in cui ha un interesse economico relativamente limitato, e che spesso le appare come una forza destabilizzante in Medio Oriente. Tuttavia, se dovesse fallire a dare forma a una più effettiva risposta alle sanzioni secondarie, l’Europa creerà un duraturo precedente a vantaggio delle future amministrazioni americane per controllare il commercio e la politica estera europea. 

ECFR non assume posizioni collettive. Le pubblicazioni di ECFR rappresentano il punto di vista degli autori.