Resilienza e reinvenzione: il ruolo dell’UE nella crisi Covid-19

Per coloro che vogliono veramente consolidare l'UE, sarebbe pericoloso concludere che converrebbe reinventarla.

L'Europa ci ha deluso – è stata inadeguata durante la crisi Covid-19. Oggi, tali opinioni sono sempre più comuni a causa del rivelato ‘schadenfreude’ degli oppositori dell'Unione Europea e dell’onesta disperazione dei suoi più convinti sostenitori. Mentre gli Stati membri chiudono i confini tra di loro e custodiscono gelosamente le risorse mediche, tutti sono convinti di aver avuto ragione sull'UE fin dall'inizio. Coloro che hanno sempre difeso la sovranità nazionale contro l’avvertita invasione di Bruxelles si compiacciono della percepita impotenza della Commissione europea, sostenendo il ritorno trionfale dello Stato-nazionale. Nel frattempo, i difensori di un'Unione più forte sostengono che “sì, l'Europa come la conosciamo da tanto tempo è alla fine giunta al termine”, aggiungendo che è arrivato il momento di un nuovo inizio.

Le emozioni alla base di tali critiche sono in gran parte comprensibili. Eppure, dietro l'euforia causata dalla delusione nell’”Europa” non ci sono altro che idee superficiali su un’appropriata linea d'azione che però minacciano di delegittimare l'UE per com’è costituita.

Il problema inizia dal linguaggio di molti europei. L’uso intercambiabile di termini come “UE”, “Bruxelles” e “Europa” rivela l'incomprensione della questione e l'oggetto delle critiche. In realtà, ci sono due UE. Nell’acclamato libro Alarums and Excursions: Improvising Politics on the European Stage, lo storico Luuk van Middelaar distingue tra l’Unione della “politica delle regole” e una che segue la logica della “politica degli eventi”. La prima si concentra su procedure stabilite dai trattati, la seconda su misure ad hoc adottate dagli Stati membri senza ricorrere alle istituzioni o ai regolamenti UE.

Nelle profonde crisi, la politica delle regole smette di funzionare. L'UE non è stata concepita per reagire rapidamente a situazioni impreviste; di conseguenza, gli Stati membri non hanno affidato alla Commissione europea tali competenze. Ci si potrebbe lamentare del fatto che la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen non si sia recata in Italia nel bel mezzo della crisi Covid-19 in segno di solidarietà. Dato che i simboli hanno una rilevanza, forse la presenza di von der Leyen a Milano o Roma avrebbe dato un segnale positivo. Tuttavia, sarebbe stata costretta ad andarci a mani vuote, e forse avrebbe solo rafforzato la frustrazione causata dalla percezione dell'incapacità dell'UE di aiutare. Alla fine, la Commissione ha adottato misure sostanziali, seppur limitate, laddove disponeva davvero di strumenti per farlo, cioè riassegnando i fondi di bilancio inutilizzati per combattere la pandemia e le sue conseguenze; tuttavia, la Commissione non è stata concepita per affrontare le implicazioni immediate della pandemia.

Molti europei chiedono ora qualcosa di simile al meccanismo di trasferimento che la Commissione ha proposto durante la crisi dei rifugiati nel 2015: uno strumento ad azione rapida basato sul principio di solidarietà. Tuttavia, alcuni paesi hanno boicottato il meccanismo di trasferimento, creando conseguenze dannose per l'UE.

Sia la crisi dell'eurozona che la crisi migratoria sono stati eventi improvvisi e inaspettati che hanno richiesto agli Stati membri di rispondere secondo i propri interessi comunemente intesi. Tuttavia, non esistono regole o fondamenti giuridici adatti a una tale risposta. La mancanza di principi di azione standard è evidente anche nella pandemia. In tali crisi, quando regna la politica degli eventi, emerge la seconda UE. Di tanto in tanto, essa appare caotica e mal coordinata, fornendo soluzioni deboli o addirittura controproducenti e dispendiose in termini di tempo.

Eppure una prospettiva fredda potrebbe smorzare lo zelo di chi parla della fine dell'UE (indipendentemente dalle motivazioni). La reazione dell'UE alla crisi Covid-19 è stata deludente non per la disfunzionalità dell’Unione stessa, quanto piuttosto per un'ampia mancanza di preparazione alla sfida, una carenza che però condividono anche tutti gli Stati membri. I governi nazionali hanno preso la maggior parte delle decisioni nel panico, trascurando di informare la Commissione Europea (nonostante le implicazioni delle misure per il mercato unico); spesso, come nel caso delle chiusure delle frontiere, hanno addirittura agito in contrasto con la posizione della Commissione. Tuttavia, come è emerso, pochi ora dubitano della convenienza delle restrizioni introdotte dagli Stati membri, nonostante queste misure siano in contrasto con i principi di solidarietà europea.

Tuttavia, questa reazione a catena può avere effetti drastici sull'UE. Ivan Krastev ha ragione ad affermare che la crisi sembra minare molti dei presupposti su cui si fonda l'UE: riabilita gli Stati nazionali a discapito della cooperazione, rafforza la narrativa degli anti-globalisti e dei nazionalisti e risveglia la fiducia nelle soluzioni autoritarie. Se la narrazione che lambisce Europa, Ue e Bruxelles – per aver presumibilmente compromesso se stessi e fallito – continua a guadagnare slancio, può diventare una profezia che si autoavvera. “L'Europa che l'attuale Commissione rappresenta deve scomparire. Si è ridotta in polvere da sola proprio quando volevamo afferrarla”, scrive Nils Minkmar in Der Spiegel.

Per coloro che vogliono veramente salvare e rafforzare l'UE, sarebbe pericoloso concludere che converrebbe reinventarla. Proprio il contrario: quando le fondamenta dell'UE si deteriorano e l'apparente rinascita degli Stati-nazione rafforza nazionalisti e populisti, gli europei devono difendere con fermezza l'Unione che conoscono. L'unica alternativa realistica all'attuale UE non è una comunità efficace e compatta, ma una creatura progettata da persone come il primo ministro ungherese Viktor Orbán e il leader nazionale di Rassemblement Marine Le Pen.

Gli europei non devono lasciarsi confondere da blocchi di frontiere, restrizioni temporanee alle esportazioni e scarso coordinamento. È troppo presto per scrivere un necrologio per l'UE. In effetti, la vera prova deve ancora venire. L'attuale estasi di alcuni europei per l'efficacia dei governi nazionali non durerà. I governi nazionali sono obbligati a sostenere i propri servizi sanitari e a introdurre misure di sicurezza in risposta al Covid-19. Tuttavia, la risposta economica alla crisi, che deve arrivare tanto rapidamente quanto la diffusione del virus, richiederà uno stretto coordinamento tra Paesi. Questo è un settore in cui l'UE dispone di importanti strumenti e opportunità di azione. Progettare uno stimolo fiscale e una protezione per le economie perseguitate dalla crisi sarà una vera sfida europea.

Gli europei potrebbero uscire da questa crisi con la forte convinzione di essere tutti sulla stessa barca, che piaccia o no. Tuttavia, non verrà richiesto loro di nutrire l'illusione di una nuova e migliore UE; gli verrà richiesto di difendere l’Unione che hanno, minacciata come mai prima d'ora.

ECFR non assume posizioni collettive. Le pubblicazioni di ECFR rappresentano il punto di vista degli autori.