I passi indietro di Belgrado: lo stato della Serbia nel futuro dell’Unione Europea
La Serbia sta rapidamente virando lontano dal suo percorso verso l’adesione. Le elezioni generali potenzialmente fraudolente del mese scorso e la crescente distanza di Belgrado dalla politica estera dell’UE dovrebbero preoccupare Bruxelles
La Serbia sta rapidamente virando lontano dal suo percorso verso l’adesione. Le elezioni generali potenzialmente fraudolente del mese scorso e la crescente distanza di Belgrado dalla politica estera dell’UE dovrebbero preoccupare Bruxelles.
La questione dell’allargamento è oggi più reale che mai: dopo la riunione del Consiglio Europeo di metà dicembre, i leader hanno deciso di portare avanti l’apertura dei negoziati con Ucraina e Moldavia ed hanno concesso lo status di candidato alla Georgia. La questione dei Balcani occidentali invece non è stata portata avanti con la stessa risolutezza. Mentre altri Paesi come la Bosnia-Erzegovina, la Macedonia del Nord e l’Albania rimangono fermi a causa di alcune questioni irrisolte quali forti divisioni etniche, casi di corruzione istituzionale e mancanza di stato di diritto, la Serbia sta invece diventando il Paese più controverso di tutti ad avere già lo status di candidato.
Da metà dicembre i progressi della Serbia riguardo ai requisiti di adesione all’Unione europea hanno preso una brutta piega. I risultati delle elezioni generali del Paese nel 17 dicembre scorso – le quarte in tre anni – rivelano una democrazia in stato di pericolo. Dopo che le autorità hanno annunciato la vittoria del “Partito Progressista Serbo” (SNS) di Vucic, migliaia di persone sono scese nelle strade di Belgrado per protestare contro quella che consideravano un imbroglio per chiedere l’annullamento delle elezioni. Diversi politici della coalizione di opposizione “Serbia Contro la Violenza” (SPN) hanno iniziato lo sciopero della fame. Un mese dopo, le strade sono più tranquille e Vucic non fa più notizia a livello internazionale, ma i timori dei serbi di un arretramento democratico rimangono profondi – e con buone ragioni. Gli osservatori elettorali hanno scoperto che i vantaggi sistemici del SNS “creavano condizioni ingiuste”, insieme alle segnalazioni di elettori fantasma, brogli e compravendita di voti.
Mentre la Serbia devia dalle misure di “corretto funzionamento” delle sue istituzioni democratiche, crescono le preoccupazioni anche a Bruxelles. All’inizio di questo mese, alcuni politici europei hanno invitato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ad aprire un’investigazione sulle elezioni serbe. A questo punto, un ritorno a processi democratici più sani sarà difficile se Vucic continuerà ad evitare un dialogo significativo con i politici dell’opposizione, ad erodere la libertà dei media e a limitare i diritti politici dei serbi. Dopo le elezioni non ha mostrato segni di cedimento. In risposta alle irregolarità segnalate, sono state indette ri-elezioni in 30 seggi elettorali. Ma i risultati finali non sono cambiati e le accuse di brogli non si sono fermate.
Vucic pare essersi progressivamente allontanato dall’allineamento con la politica estera UE, nonostante ne possa apparire sostenitore, in particolare nei discorsi pubblici per quanto riguarda i valori europei e l’allargamento. Tra le sue azioni più concrete, basti ricordare la mancata aderenza al pacchetto di sanzioni contro la Russia ed il rafforzamento dei legami economici con la Cina firmando un accordo di libero scambio lo stesso scorso ottobre. Vucic ha recentemente dichiarato che non metterà a repentaglio il futuro europeo della Serbia o le sue “amicizie con Cina e Russia”. Nell’agosto dello scorso anno, l’UE ha valutato l’allineamento della politica estera di Belgrado al 51% – trascorsi alcuni mesi, ora probabilmente sceso sotto il 50%. Un simile atto di sbilanciamento potrebbe aggiungersi ad un lungo elenco di ostacoli per il futuro europeo della Serbia.
La riluttanza di Vucic ad allinearsi con l’UE sulla scena mondiale o nei suoi processi democratici, mette a rischio non solo il progetto di allargamento dell’Europa, ma potrebbe indebolire la sua capacità di rafforzare la sicurezza nei suoi vicini orientali. In particolare, l’incapacità di mediare ed incentivare la ripresa democratica potrebbe creare maggiore spazio per le manovre politiche da parte dei Paesi terzi, allontanando ulteriormente la Serbia dai suoi vicini occidentali. Negli ultimi anni, la Russia, la Cina e gli Stati del Golfo hanno acquisito uno spazio significativo nell’arena politica della Serbia. Inoltre, se la Serbia continuasse ad avvicinarsi a tali attori, l’UE potrebbe perdere l’economia serba a favore dei mercati esteri. Ciò potrebbe essere dannoso anche per la Serbia stessa: mentre le sovvenzioni e il sostegno finanziario dell’UE potrebbero sembrare troppo vincolati alla politica, i fondi esteri non sono di certo meno legati ad obblighi o situazioni di dipendenza. Infine, il peggioramento dei diritti politici, compreso l’uso persistente delle forze di polizia per sedare le proteste, intimidire i giornalisti ed incarcerare i manifestanti potrebbero spingere un numero maggiore di serbi a migrare verso ovest – impoverendo il mercato del lavoro serbo e aumentando l’immigrazione in un momento in cui molti leader europei stanno cercando di diminuirne i numeri.
L’incapacità di mediare ed incentivare un risanamento democratico potrebbe creare maggiore spazio per le manovre politiche dei Paesi terzi, allontanando ulteriormente la Serbia dai suoi vicini occidentali.
Tuttavia, proseguire con l’adesione della Serbia nonostante la sua traiettoria potrebbe avere costi politici elevati. Per l’UE, ciò che rischia è di importarne al suo interno un altro Orban – una figura illiberale che potrebbe porre veti sugli obiettivi europei, quali i finanziamenti per l’Ucraina o l’adesione di altri Paesi dei Balcani – e potrebbe indebolire ulteriormente il ruolo dell’Europa nel far rispettare stato di diritto, la libertà dei media e standard democratici.
L’UE però non ha ancora perso la Serbia a causa dell’illiberalismo. Il Parlamento europeo punta a raggiungere una risoluzione su come rispondere alle elezioni serbe il prossimo 8 febbraio. L’UE dovrebbe concentrarsi sulla ricerca di un modo più efficace per comunicare con gli attori politici liberali serbi per presentarsi come punto di riferimento democratico e di politica estera – ed un sostegno su cui contare. Nonostante Vucic stesso non sembra particolarmente interessato a stabilire un rapporto autentico con l’UE, la mediazione attraverso i politici serbi meno intransigenti sarebbe più strategica e potenzialmente aprirebbe più porte alle riforme necessarie. In linea con tale politica, l’UE dovrebbe anche essere disposta ad affrontare il continuo rifiuto della Serbia di riconoscere il Kosovo e sostenere tali attori nel raggiungimento di una risoluzione bilaterale ad una controversia che ha ritardato a lungo l’adesione. Allo stesso tempo, l’UE dovrebbe assumere una posizione forte contro i segnali di decadenza illiberale. Gli europei dovrebbero monitorare da vicino la situazione democratica in Serbia ed essere pronti ad intraprendere azioni chiare in caso di ulteriore instabilità, rimanendo fermi sulle conseguenze che ciò potrebbe avere per il processo di adesione della Serbia.
I policy maker europei dovrebbero tenere presente che preservare la forza interna e visioni politiche comuni è essenziale. Per questo motivo, la creazione di canali di mediazione più efficaci e un sostegno più forte alle riforme, pur rimanendo fermi sulle conseguenze dei comportamenti illiberali, potrebbero creare un allineamento più autentico tra Belgrado e Bruxelles. Dimostrare solidarietà e solidità nei confronti degli attori politici meno intransigenti potrebbe essere la chiave per aprire i processi politici della Serbia a una maggiore pluralità. Anche se l’UE non può invertire l’arretramento democratico di Vucic, potrebbe essere in grado di invertire quella della Serbia. Lo deve ai serbi che dimostrano di essere più europei che mai e che mostrano a tutti noi quanto sia difficile e rischioso prendersi cura delle nostre democrazie.
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