A tutto gas: Gli ostacoli al progetto italiano di diventare un hub del gas europeo

L’Italia riaccende l’ambizione di diventare un hub del gas per l’Europa. Ma per evitare le insidie del passato, Roma dovrà contestualizzare tale strategia in un quadro europeo più ampio.

La primera ministra italiana, Giorgia Meloni, habla durante una rueda de prensa en Trípoli, Libia, el 28 de enero de 2023 Imagen por picture alliance / REUTERS | Hazem Ahmed ©conference in Tripoli, Libya January 28, 2023Image bypicture alliance / REUTERS | Hazem Ahmed ©
Il primo ministro italiano Giorgia Meloni parla durante una conferenza stampa a Tripoli, in Libia, il 28 gennaio 2023
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Il governo di Giorgia Meloni è tornato a parlare dell’Italia come possibile hub del gas per l’Europa. Nei primi 100 giorni di governo, Meloni ha mostrato un rinnovato attivismo nell’area Mediterranea, firmando un accordo per il gas da 8 miliardi di dollari con la Compagnia petrolifera nazionale libica per sviluppare due giacimenti di gas offshore e riaffermando il proprio impegno per una maggiore cooperazione energetica con l’Algeria. Il progetto di Meloni riprende in realtà un’ambizione italiana di lunga data, ma i tentativi di concretizzarla sono stati ostacolati da fattori tecnici, economici e geopolitici. Il piano dell’attuale governo si troverà a fare i conti con le stesse insidie del passato se non sarà ancorato a una più ampia strategia energetica europea.

L’idea non è affatto nuova e risale almeno agli anni Novanta/Duemila, con l’entrata in funzione del gasdotto Trans Med, che collega l’Italia con l’Algeria (passando dalla Tunisia), e del Greenstream con la Libia. La crescita della domanda europea di gas ha poi incentivato Roma ad attivarsi per creare nuove infrastrutture nel Mediterraneo. Alcuni progetti sono stati completati, come il gasdotto Trans-Adriatico che trasporta il gas dell’Azerbaijan arrivando in Puglia, mentre altri sono rimasti sulla carta come il Galsi (che sempre dall’Algeria sarebbe arrivato in nord Italia passando per la Sardegna) o l’EastMed, che avrebbe dovuto portare il gas dal Mediterraneo orientale.

Questi progetti non hanno mai visto la luce per diverse ragioni. La prima è di natura tecnico-economica. La rivoluzione dello shale gas, la sua trasportabilità tramite GNL e i bassi prezzi hanno fatto sì che alcuni progetti non avessero più i requisiti economici tali da giustificare questi investimenti. La seconda motivazione è di natura geopolitica. La primavera araba del 2011 e la conseguente instabilità nel Nord Africa hanno fatto percepire tali impegni nella regione come troppo rischiosi. I governi europei hanno ritenuto, a torto, che la Russia potesse rappresentare un partner più affidabile e più conveniente e diverse capitali, in particolare Berlino, hanno spinto con maggior convinzione perché la sicurezza energetica europea si legasse a Mosca. Il via libera americano a progetti come il Nordstream 2 e le buone relazioni tra Mosca e Roma hanno sancito la rinuncia italiana a un ruolo strategico in questo settore.

L’evoluzione dello scenario geopolitico odierno ha rilanciato l’ambizione dell’Italia di giocare un ruolo di primo piano nella sicurezza energetica europea. Le relazioni dell’Europa con la Russia, a prescindere dall’esito della guerra in Ucraina, rimarranno tese per un periodo di tempo lungo e indeterminato. I Paesi europei stanno già riorientando la produzione di energia verso il Mediterraneo e il Medio Oriente. Meloni ha dichiarato che l’Italia non intende assumere un ruolo “predatore” in Libia o in Algeria, sostenendo che il progetto del gas è ispirato a Enrico Mattei, il fondatore dell’ENI che per primo tra gli occidentali nel dopoguerra si è offerto di concludere accordi equi con i Paesi produttori di petrolio. Già Mario Draghi aveva concluso numerosi accordi con i Paesi produttori nel tentativo di sostituire prima possibile il gas russo. Nei fatti Roma ha già ottenuto un grande successo riducendo il consumo di gas russo dal 40% al 16% del totale.

Tuttavia, l’idea di diventare un gas hub solleva almeno due lecite perplessità. La prima è relativa al fatto che questa strategia possa apparire solamente di breve periodo, senza considerare poi le valutazioni di natura più tecnica. Con lo European Green Deal, l’UE punta oggi sulle energie verdi e ambisce ad arrivare alla neutralità climatica entro il 2050. Alcune stime valutano che il fabbisogno europeo di gas nel 2030 potrebbe essere tra il 30% e il 50% inferiore a quello del 2019, alimentando i dubbi sulla fondatezza economica di investimenti in infrastrutture di esplorazione e sviluppo nel settore, soprattutto considerando i tempi che sarebbero necessari per rendere tali sistemi operativi.

Alcune analisi inoltre evidenziano come sia urgente, per questioni di sicurezza energetica, puntare alla sostituzione di fonti fossili con energia rinnovabile, anche a fronte di una popolazione mondiale in crescita. A riprova di ciò, lo scenario di decarbonizzazione dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE) mostra una domanda mondiale di energia in calo del 23% nel 2050 rispetto al 2021. Con essa, l’offerta di gas si ridurrebbe del 90%.

L’Italia potrebbe giustificare la costruzione di nuove infrastrutture per il gas se potesse convertire la rete verso il trasporto di idrogeno più pulito in modo abbastanza semplice, ma i gasdotti esistenti consentirebbero di trasportare solo piccole quantità di idrogeno. Dato che il fabbisogno energetico è destinato a diminuire, sarebbe preferibile optare per un’infrastruttura ad hoc piuttosto che riutilizzare i gasdotti esistenti. Le stesse considerazioni hanno portato Spagna e Francia a raggiungere un accordo per la costruzione di un gasdotto nel Mediterraneo occidentale dedicato esclusivamente all’idrogeno. La validità di queste iniziative dipende, in ultima analisi, dalle decisioni dell’Unione Europea in merito al mix energetico per il settore industriale, che farà la fortuna o meno della strategia italiana.

La seconda legittima perplessità riguarda anch’essa la strategia dell’UE: è difficile pensare di puntare sulla sponda sud del Mediterraneo se al contempo non vi è un investimento politico ed economico rinnovato di Bruxelles verso questa area, dove l’insicurezza, le crisi politiche e la mancanza di una chiara governance limiteranno le iniziative italiane nella regione. Il processo di reshoring verso sud da parte della UE andrebbe accompagnato con iniziative di investimento più ampie che possano supportare un processo di stabilizzazione dell’area sul lungo corso.  L’UE ha lanciato diversi meccanismi di investimento poco prima dell’invasione russa dell’Ucraina, come il Global Gateway per promuovere infrastrutture intelligenti, pulite e sicure nei settori digitale, energetico e dei trasporti in tutto il mondo, ma sembra esitare ad assumere un maggiore ruolo politico nella regione, lasciando che gli Stati membri sviluppino vari accordi bilaterali con i Paesi della regione.

Infine, l’Europa potrebbe ricadere nelle stesse trappole geopolitiche del passato se affidasse la sicurezza energetica europea ad attori volubili e non democratici, alcuni dei quali, come l’Algeria, potrebbero essere ancora nell’orbita di Mosca. Stringendo un nuovo accordo in Libia con il governo di Dbeibah, la cui legittimità internazionale è molto fragile, il governo Meloni ha attribuito un peso significativo a un attore che in passato si è opposto alle elezioni, aiutando allo stesso tempo le Nazioni Unite a spingere per una nuova roadmap per il Paese. Secondo alcune analisi, la crescente attenzione dell’Italia alla sicurezza energetica potrebbe anche aumentare la stabilità delle relazioni tra Algeri e l’UE e la salute economica della Libia, ma anche se così fosse, il piano italiano difficilmente avrà successo se avulso da una più ampia strategia europea.

In questo potenziale ruolo non mancano poi concorrenti all’interno del contesto europeo: la Spagna ha puntato sui rigassificatori ed ha una buona capacità di accogliere il GNL dagli USA, pur scontando limiti infrastrutturali verso il resto d’Europa; la Norvegia resta un grande produttore e sta puntando sull’idrogeno anche tramite una partnership rafforzata con la Germania, oltre ad aver realizzato il più grande parco eolico offshore del mondo.

Una vera e propria unione energetica europea è ancora lontana, ma l’UE ha creato diversi meccanismi di coordinamento, tra cui un pacchetto di misure per affrontare l’aumento dei prezzi dell’energia. Dato il ruolo cruciale dell’UE nel determinare il mix energetico della regione e gli investimenti per i Paesi partner, le ambizioni dell’Italia possono avere successo solo se inserite in un approccio europeo di maggiore respiro. Il governo italiano dovrebbe quindi essere più attivamente coinvolto nei piani europei e sviluppare una maggiore capacità di influenzare le decisioni a livello europeo, soprattutto nel contesto del nuovo Piano Industriale Green Deal. Altrimenti, le ambizioni di Roma potrebbero incagliarsi ancora una volta nelle più ampie considerazioni tecniche, economiche e geopolitiche europee.

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