Rinnovate ambizioni: come l’Europa dovrebbe approcciare il ritorno dell’Egitto alla leadership regionale

Il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi arriva a Kigali per una visita ufficiale nell’agosto 2017
Immagine di Paul Kagame
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In breve

  • Dopo un decennio di disordini interni, oggi l’Egitto sta cercando di riguadagnare un ruolo rilevante a livello regionale.
  • La crescente stabilità in patria, il miglioramento delle prospettive economiche e la recente distensione in tutto il Medio Oriente hanno rafforzato la sicurezza del Cairo.
  • In particolare, l’Egitto comincia a prendere le distanze dall’alleanza antislamista che aveva stretto con gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita e ha avviato un dialogo con gli ex avversari Qatar e Turchia.
  • Le preoccupanti minacce lungo i confini dell’Egitto, tra cui la questione della sicurezza degli approvvigionamenti idrici a sud e la guerra in Libia, hanno spinto il Cairo a riavvicinarsi ai partner europei, che ritiene siano in grado di aiutare su questi temi.
  • La convinzione di americani ed europei che l’Egitto sia troppo grande per fallire (“too big to fail”) aumentano ulteriormente la fiducia del Cairo.
  • Il regime egiziano è più incline a una maggiore apertura su questioni come i diritti umani di quanto suppongano talvolta le capitali occidentali.
  • Gli europei dovrebbero cogliere questa opportunità nell’ambito di un impegno di più ampio respiro, tenendo in considerazione tanto gli interessi regionali europei che le costanti preoccupazioni per la situazione interna in Egitto.

Introduzione

“L’Egitto è tornato”: è questo il messaggio che i rappresentanti della politica estera egiziana sembrano determinati a comunicare alle controparti in tutto il mondo. Le mutevoli dinamiche regionali hanno spinto l’Egitto ad adottare una politica estera più attiva e il governo del Cairo comincia a sentirsi più sicuro a livello interno, ad assumere nuovi ruoli e nuove responsabilità e a investire in nuove forme di allineamento regionale.

In passato l’Egitto è stato un attore chiave della politica estera in Medio Oriente. In virtù delle sue dimensioni, della sua posizione, della sua stabilità e di una grande fiducia nella propria rilevanza, è riuscito a influenzare varie dinamiche regionali e ha stabilito uno stretto e duraturo rapporto con gli Stati Uniti, nonostante le occasionali difficoltà. Tuttavia, lo stesso non si può dire dell’ultimo decennio. Su questioni importanti che vanno dalle guerre in Yemen e Siria alla proliferazione nucleare iraniana, l’Egitto è stato relativamente assente dalla diplomazia regionale, mentre sul fronte interno questo periodo è stato caratterizzato da turbolenze politiche a seguito delle rivolte arabe, che hanno allontanato l’attenzione del Cairo dalla politica estera per concentrarla invece sulle lotte per il potere e sulle difficoltà economiche interne.

Nell’ultimo decennio l’Egitto ha per lo più seguito la scia di petro-Stati più piccoli e ricchi come gli Emirati Arabi Uniti, impegnati in un’intensa rivalità con il Qatar; tuttavia, negli ultimi dodici mesi diversi sviluppi regionali e internazionali (tra cui l’avvicendamento alla leadership degli Stati Uniti, l’epilogo del blocco del Qatar dovuto alla “crisi del Golfo”, la creazione di una roadmap politica volta a porre fine al conflitto in Libia e un tentativo di riavviare i colloqui di pace in Yemen) hanno generato un cambiamento di rotta nelle valutazioni e nell’attività del governo egiziano.

Nello stesso periodo, sull’onda di una più ampia spinta alla distensione regionale, la Turchia ha iniziato a cercare il dialogo anziché il confronto con l’Egitto e i suoi vicini arabi. Inoltre, nonostante il persistere di numerosi campanelli d’allarme riguardo all’economia egiziana, il Cairo sembra sempre più convinto di poter forgiare nuove relazioni diplomatiche sfruttando al massimo quella che ritiene essere la posizione ideale per diventare il futuro hub energetico regionale per i propri vicini europei e arabi. Tutto questo è stato accompagnato da un maggiore senso di sicurezza anche sul fronte interno, tanto che il regime pare ora disposto a volgere nuovamente la propria attenzione alla politica estera con l’obiettivo di riconquistare la storica posizione di imprescindibile attore regionale.

L’Egitto è davvero “troppo grande per fallire”, come afferma un funzionario americano?[1] I principali rappresentanti politici del Paese ne sembrano spesso convinti, al punto tale da lanciarsi in riflessioni ottimiste non solo sulla solidità del sostegno degli Stati Uniti per il futuro, ma anche sulla necessità e il desiderio degli europei di lavorare con l’Egitto. Forse hanno ragione: i partner occidentali spesso chiudono un occhio sui problemi interni del Paese, come l’impatto deleterio delle politiche economiche del regime sui cittadini, e delle politiche di sicurezza sulla più ampia agenda dei diritti umani – una questione molto delicata visto il perdurare della repressione dei diritti personali e delle libertà degli egiziani. Per l’Unione Europea l’Egitto rappresenta un partner di lunga data nel Vicinato meridionale, e la stabilizzazione della regione rimane di primaria importanza per Bruxelles. Dal punto di vista dell’UE, lavorare con l’Egitto per gestire conflitti come quelli in Libia e a Gaza è assolutamente ragionevole e contribuisce in maniera significativa a stimolare la de-escalation regionale. Ma l’UE e i suoi Stati membri dovrebbero impegnarsi con questo Egitto in rinnovata ascesa senza rinnegare i propri valori fondamentali, continuando a sostenere le norme democratiche e i diritti umani. A questo riguardo, le conversazioni dell’autrice con vari funzionari egiziani suggeriscono l’esistenza di una maggiore apertura alla discussione su queste questioni di quanto si possa pensare dall’esterno.

La ritrovata fiducia del regime egiziano, sia sul fronte internazionale sia su quello interno, offre all’Europa un’opportunità unica per impegnarsi più costruttivamente con il Cairo. A questo punto i politici europei dovrebbero riflettere su come lavorare al meglio con l’Egitto e come massimizzare un’influenza positiva per perseguire i propri interessi e valori, che comprendono un Egitto e un Medio Oriente più stabili e prosperi. Se gli europei riusciranno in questa impresa, a beneficiarne saranno tanto l’Europa quanto l’Egitto.

Il decennio tranquillo dell’Egitto

In Egitto e altrove

In relazione al posizionamento regionale dell’Egitto, i funzionari del ministero degli Esteri egiziano intervistati per questo documento descrivono l’ultimo decennio, che ha visto il Paese impegnato a gestire varie questioni interne, in chiave “difensiva”.

Naturalmente l’Egitto non si è mai ritirato completamente dalla scena regionale. Interessi vitali come la sicurezza idrica nelle relazioni con l’Etiopia e il Sudan al sud e il feroce conflitto in Libia a ovest non gli permettevano certo di isolarsi dal mondo. Ma i problemi politici interni dell’Egitto a partire dalla rivoluzione del 2011, per continuare con la presa di potere del Presidente Abdel Fattah al-Sisi nel 2013 e le turbolenze ancora in atto nell’economia egiziana, hanno ostacolato la capacità del Cairo di sviluppare una politica efficace, per rispondere alle crescenti sfide regionali. L’atteggiamento difensivo si è ulteriormente irrigidito alla luce di un periodo particolarmente incerto tra il 2016 e il 2018, caratterizzato da una serie di attacchi dello Stato islamico sul suolo egiziano e da una crescente situazione di illegalità nella penisola del Sinai.

In questo periodo la politica interna, in particolare l’agenda politica antislamista di al-Sisi e lo sforzo in atto da anni per escludere i Fratelli Musulmani dalla vita politica, sociale ed economica in Egitto, ha plasmato la politica estera del Paese, portando in particolare alla decisione del Cairo di unirsi a un’alleanza guidata dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti, volta a contenere l’Iran e i Paesi “islamisti” come il Qatar e la Turchia.

Se la nuova alleanza ha indubbiamente portato con sé un considerevole sostegno finanziario emiratino e saudita in un momento in cui l’economia egiziana era alle corde, questa era comunque sostenuta da un’ideologia condivisa incentrata sull’obiettivo di dare potere a regimi autoritari e sradicare l’Islam politico in tutta la regione. Tale visione trovava sostegno in Arabia Saudita, ma è stata perseguita con grande fervore soprattutto da al-Sisi e dal principe ereditario nonché leader de facto degli Emirati Arabi Uniti, lo sceicco Mohamed bin Zayed Al Nahyan.

Questo sforzo congiunto ha preso di mira il Qatar, che ha giocato a lungo un ruolo importante nell’ospitare e alimentare i gruppi islamisti regionali, culminato poi nell’imposizione di un blocco economico nei confronti del Paese nel giugno 2017. La politica antislamista ha anche dato vita a tentativi concertati intesi a sostenere l’uomo forte della Libia Khalifa Haftar, che si presentava come un baluardo contro l’islamismo, e ha portato inoltre l’Egitto, insieme agli Emirati Arabi Uniti e all’Arabia Saudita, ad adottare la linea dura contro il gruppo islamista palestinese Hamas quale propaggine dei Fratelli Musulmani. L’Egitto e i suoi alleati del Golfo hanno regolarmente accusato il gruppo di fomentare l’insicurezza interna. Nel 2013 l’Egitto ha classificato i Fratelli Musulmani come organizzazione terroristica e nel 2015 la sentenza di un tribunale egiziano ha aggiunto Hamas alla lista delle entità terroristiche nazionali.

Lo stallo con il Qatar si è finalmente risolto nel gennaio 2021 con la firma dell’accordo di Al Ula, che ha eliminato il blocco. L’accordo, firmato nel deserto saudita nel gennaio 2021 dall’Arabia Saudita e da altri membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo tra cui il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti, è nato in parte a causa dell’alto costo economico che il blocco imponeva alle parti. Questo accordo è stato inoltre un riflesso del più diffuso calo delle tensioni regionali, come testimoniano i recenti sforzi della Turchia per ridurre la competizione con gli Emirati Arabi Uniti e migliorare le relazioni con l’Arabia Saudita e l’Egitto, nonché la ripresa del dialogo bilaterale tra Arabia Saudita e Iran.

Inizialmente, tuttavia, il nuovo accordo non è stato accolto con grande entusiasmo al Cairo. Esso è infatti stato accompagnato, a livello confidenziale, da una profonda delusione per la natura di questo sforzo di de-escalation, originato su impulso dell’Arabia Saudita e del suo leader de facto, il principe ereditario Mohamed bin Salman, che molto probabilmente non ha tenuto in grande considerazione le preoccupazioni egiziane[2]. Lo stesso sentimento è stato condiviso anche dagli Emirati Arabi Uniti, che tuttavia hanno deciso di approvare l’iniziativa saudita. L’Egitto ha finito per accettare ufficialmente l’accordo, ipotizzando però all’inizio di non partecipare alla cerimonia della firma, per poi arrivare a uno stallo tra egiziani e sauditi sul livello di rappresentanza[3] da inviare all’evento. Nonostante le accorate richieste dei sauditi, al-Sisi ha mandato al suo posto il ministro degli Esteri Sameh Shoukry – chiaro segnale, questo, non di totale ostilità, ma comunque di una disponibilità molto contenuta a riallacciare i rapporti con il Qatar.

I rappresentanti del regime egiziano sostengono ora di non aver mai avuto intenzione di tagliare definitivamente ponti con il Qatar[4]. Al contrario, secondo fonti dell’intelligence egiziana, Il Cairo era favorevole a mettere fine al blocco anche prima della genesi dell’accordo di Al Ula, in quanto l’Egitto avrebbe beneficiato del riallacciamento dei legami diplomatici ed economici con il Qatar[5]. Tuttavia, l’Egitto rimane ideologicamente ostile al Qatar a causa del continuo sostegno di quest’ultimo ai gruppi islamisti; inoltre, parti dell’apparato di sicurezza egiziano, una forza dominante all’interno del regime, non hanno ancora perdonato i qatarioti per aver sostenuto i Fratelli Musulmani e la loro ascesa al potere in Egitto dopo la rivoluzione del 2011.

Ciononostante, nell’ambito di uno sforzo volto a sganciarsi dagli Emirati Arabi Uniti in seguito all’accordo, l’Egitto sta ora perseguendo un riavvicinamento con il Qatar. Il Cairo e Doha hanno ripristinato i legami diplomatici, anche attraverso lo scambio degli ambasciatori, e hanno trovato un terreno comune lavorando insieme sul commercio bilaterale e le opportunità di investimento e cercando spazi di allineamento in politica estera nei confronti della Libia e del Corno d’Africa[6] [7]. Alcune fonti suggeriscono inoltre che, più di recente, ci sono stati progressi sulla questione dei gruppi islamisti allo scopo di adottare un approccio più equilibrato che possa aiutare a sviluppare le relazioni bilaterali[8]. Tale sforzo comporta, da parte dell’Egitto, l’eliminazione della richiesta generalizzata di estradizione di qualsiasi presunto islamista attualmente in esilio e la rimozione del divieto di trasmissione per l’emittente qatariota Al Jazeera, che ha da poco riportato al Cairo i suoi giornalisti.

La disgiunzione tra Egitto e EAU

La partnership dell’Egitto con gli Emirati Arabi Uniti (e, per estensione, con l’Arabia Saudita) non è mai stata un’alleanza incondizionata. Nonostante l’ideologia condivisa, l’Egitto e gli EAU hanno perseguito obiettivi diversi in politica estera in vari momenti dell’ultimo decennio, talvolta seguendo traiettorie contrastanti[9]. Ad esempio, il Cairo ha rifiutato di inviare truppe a sostegno dell’alleanza del Golfo nello Yemen nel 2015. I leader militari egiziani sono stati irremovibili nella propria opposizione alla richiesta, essendo consapevoli dell’eredità della guerra nello Yemen negli anni ’60, durante la quale morirono migliaia di soldati egiziani. L’Egitto ha inoltre continuato a sostenere il presidente siriano Bashar al-Assad nonostante l’opposizione al suo governo da parte di alcuni Stati arabi del Golfo. Nel 2018 l’Egitto ha deciso di non sostenere pubblicamente il rovesciamento del sudanese Omar al-Bashir fino a quando l’epilogo non è apparso scontato, a dispetto di una prima spinta da parte dei Paesi arabi del Golfo per rimuoverlo dal potere. Oggi le divergenze tra il Cairo e Abu Dhabi si estendono a questioni di vitale importanza per l’Egitto, come la Libia e il Corno d’Africa, quest’ultimo un territorio critico per la sicurezza idrica egiziana.

Nonostante tale scenario e i disaccordi interni, la partnership “antiislamista” dell’Egitto con gli EAU e l’Arabia Saudita è lungi dal venire meno e gli EAU si dimostrano, al contrario, decisamente allineati con l’Egitto. Un funzionario emiratino ha dichiarato all’autrice che la dimensione della popolazione e la rilevanza strategica dell’Egitto in virtù della sua posizione geografica lo rendono parte integrante degli obiettivi di politica estera del suo Paese nella regione[10], e i due Paesi continuano a perseguire la stessa causa. Per esempio, quest’anno gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita e l’Egitto hanno fornito un notevole sostegno diplomatico al presidente della Tunisia Kais Saied, che ha lanciato un “colpo di stato costituzionale” a luglio e ha preso di mira il partito democratico islamico Ennahda.

 

Dopo aver più o meno ricucito i rapporti con Doha, il Cairo ritiene che lo slancio di Abu Dhabi stia ora venendo meno, anche considerato che la sua riluttanza ad accettare una riconciliazione è stata ampiamente liquidata da Riad[11]. Per i funzionari egiziani si tratta soltanto di uno dei tanti segnali del declino della rilevanza regionale degli Emirati Arabi Uniti, dettato da un’eccessiva esposizione regionale e da un atteggiamento diplomatico che ha alimentato l’ostilità di molti arabi. Al centro di tale dinamica, secondo un diplomatico egiziano, c’è l’accordo firmato dagli Emirati Arabi Uniti per normalizzare le relazioni con Israele, che non impone precondizioni materiali rispetto ai palestinesi, e il conseguente danno reputazionale che questo ha causato[12] al Paese. L’accordo è stato firmato dopo che gli EAU hanno appoggiato il Piano di pace in Medio Oriente dell’allora presidente Trump (il cosiddetto “accordo del secolo”), ritenuto inaccettabile dalla maggior parte degli altri Stati arabi.

Alcuni funzionari egiziani ora sostengono, seppure non pubblicamente, che il loro Paese dovrebbe prendere le distanze dagli Emirati Arabi Uniti per evitare ulteriori danni reputazionali “per associazione” tra gli Stati arabi, in particolare davanti a Giordania e Palestina[13]; emerge un senso di delusione nei confronti di Abu Dhabi per il comportamento tenuto e per la riluttanza a sostenere apertamente gli obiettivi di politica estera del Cairo. I funzionari egiziani respingono categoricamente l’idea che l’Egitto si stia ora muovendo di nuovo da solo, pur sostenendo che il loro Paese ha sempre avuto il peso necessario per raggiungere i suoi obiettivi nella regione[14]. Tuttavia, sentono un senso di urgenza nel prendere le distanze da Abu Dhabi, anche perché la posizione di quest’ultima sulle questioni del Corno d’Africa è causa di un crescente allarme in Egitto sul futuro dell’accesso alle risorse idriche.

Nel complesso, la leadership militare egiziana si sente ora ben più sicura rispetto agli ultimi anni, essendo sostenuta da una maggiore stabilità a livello interno e dal miglioramento delle prospettive economiche dell’Egitto. Quando l’Egitto riacquisterà sufficiente fiducia, probabilmente tenterà di mettere in discussione l’ordine regionale che è emerso negli ultimi anni. Il Paese spera di tornare a uno scenario di normalità che ritiene al pari con la visione storica di sé in quanto leader regionale, in linea con il mantra nazionalistico che vede l’Egitto come “om el donia” (madre del mondo).

La posizione regionale emergente dell’Egitto

Oltre a un raffreddamento delle relazioni con gli Emirati Arabi Uniti e ad una sorta di avvicinamento con il Qatar, l’Egitto ha recentemente cercato di migliorare i rapporti con altri attori regionali. Il Cairo sta cercando nuove posizioni di influenza in diverse zone del suo vicinato.

Israele e Palestina

Quest’anno il conflitto tra Hamas e Israele a Gaza ha fornito all’Egitto l’opportunità di riprendere il proprio ruolo tradizionale di interlocutore internazionale chiave sulle questioni di sicurezza, un’opportunità che il Paese ha saputo cogliere. L’Egitto ha infatti ottenuto il plauso internazionale per aver contribuito ad assicurare una fine relativamente rapida del conflitto durato undici giorni. Da allora, il Paese non ha mancato di ricordare ai suoi vicini, così come al resto del mondo, che, in quanto vicino prossimo di Gaza, rimane il partner più forte negli sforzi per proteggere gli interessi di sicurezza di Israele e raggiungere un risultato più sostenibile per i palestinesi[15]. A questo, l’Egitto ha associato una posizione più pragmatica su Hamas rispetto a quella adottata in precedenza sotto la guida di al-Sisi: il Paese ha infatti mediato attivamente un accordo di cessate il fuoco tra Hamas e Israele, puntando a ottenere collaborazione negli sforzi per stabilizzare la penisola del Sinai e ridurre la minaccia delle forze militanti in Egitto.

Tuttavia, secondo gli osservatori internazionali, gli sforzi egiziani per stabilizzare la Striscia non possono realizzarsi a pieno senza l’allineamento con Doha e il sostegno finanziario del Qatar a favore di Gaza[16]. Il Cairo, Washington e Doha stanno attualmente discutendo di possibili accordi per favorire lo sviluppo di Gaza, ma anche per finanziare le forniture di gas egiziano alla Striscia e per promuovere progetti economici nel Sinai settentrionale, che comprenderebbero i porti ed eventualmente un aeroporto[17].

L’alleanza araba

Oltre a riaffermare il suo ruolo di principale partner di sicurezza di Israele nella regione, l’Egitto ha anche cercato di costruire nuove alleanze sulla scorta di relazioni storiche[18]. In collaborazione con la Giordania e l’Iraq, l’Egitto sta ora lavorando per dare vita a una vera “alleanza araba”, uno sforzo che era inizialmente intenso a riavviare i negoziati di pace tra israeliani e palestinesi (almeno pubblicamente) e che adesso mira a rafforzare i legami economici tra questi tre Paesi.

Negli ultimi due anni, i membri di questa alleanza hanno tenuto numerosi incontri trilaterali, l’ultimo dei quali a Baghdad, e hanno preso impegni per implementare accordi infrastrutturali, fornire energia l’uno all’altro e rafforzare le relazioni commerciali. Questo crescente allineamento offrirebbe, in linea di principio, al Cairo, Amman e Baghdad l’opportunità di diminuire la dipendenza dagli Stati del Golfo. L’iniziativa ha generato l’apprezzamento degli Stati Uniti, che hanno accolto con favore questi sviluppi in particolare alla luce della loro potenziale capacità di ridurre la dipendenza economica dell’Iraq dall’Iran (anche se alcuni esperti iracheni rimangono scettici sul fatto che ciò possa realmente accadere).

Per l’Egitto la prospettiva di una nuova connettività economica regionale ha assunto un’importanza ancora maggiore da quando Israele ha normalizzato le relazioni con gli Emirati Arabi Uniti (e, secondo molti, farà presto lo stesso con l’Arabia Saudita). L’iniziativa potrebbe infatti permettere di aggirare l’Egitto quale tradizionale sede di infrastrutture chiave che collegano il Mediterraneo al Golfo e oltre, rendendo Israele una potenziale alternativa che offre una sede ancora più conveniente per tali infrastrutture. Alcuni esperti egiziani minimizzano tale rischio, ma resta il fatto che il nuovo allineamento economico e politico regionale dell’Egitto con la Giordania e l’Iraq potrebbe servire a contenerne le conseguenze[19].

Libia

I funzionari egiziani dichiarano di ritenere da tempo che non ci possa essere una soluzione militare al conflitto in Libia. Nonostante inizialmente abbia messo i bastoni tra le ruote ai tentativi di avviare un processo politico in Libia, negli ultimi dodici mesi l’Egitto ha contribuito a raggiungere un accordo diplomatico, seppure allo scopo di assicurarsi il ruolo di principale partner politico e di sicurezza per la Libia orientale. Tale cambiamento di rotta ha contribuito a sbloccare il processo di pace a guida ONU e ha anche fornito un’opportunità di riavvicinamento con la Turchia e il Qatar, che hanno sostenuto le forze libiche occidentali opposte a Haftar[20].

Pur continuando a sostenere i propri partner in Libia orientale, l’Egitto non appoggia più direttamente Haftar ma piuttosto l’insieme di forze dell’esercito nazionale libico di cui egli è a capo. Tale scelta ha generato tensioni con gli Emirati Arabi Uniti, che perseguono una politica più conflittuale e continuano a sostenere direttamente Haftar. Il Cairo giudica il sostegno degli Emirati Arabi Uniti ai tentativi di Haftar di conquistare Tripoli con la forza non solo irrealistico, ma anche dannoso per la politica e gli obiettivi di sicurezza egiziani[21]. Di conseguenza, gli egiziani ritengono che Abu Dhabi non capisca o comunque non rispetti pienamente le priorità di sicurezza del Cairo, il cui confine con la Libia si estende per più di 1.100 km.

Mentre spinge per portare avanti la roadmap diplomatica in Libia, l’Egitto continua al tempo stesso a sollevare la questione delle altre attività militanti nel Paese, sfruttando il riavvicinamento con Ankara e Doha per chiedere il ritiro dei mercenari e delle forze di sicurezza ufficiali dalla Libia. Tuttavia, il Cairo esita a caldeggiare il ritiro degli attori per procura che sostengono le forze libiche orientali, un atteggiamento che riflette la strategia, rimasta inalterata, di usare la propria posizione diplomatica per influenzare la roadmap.

Turchia

Da quando è cominciata la spinta alla distensione su larga scala nella regione, i colloqui per facilitare il riavvicinamento tra il Cairo e Ankara hanno subito battute d’arresto ma non si sono mai fermati, sebbene sussistano ostacoli significativi alla piena normalizzazione. Come indicano i colloqui dell’autrice con alcuni funzionari della sicurezza egiziana, persiste una profonda animosità verso la Turchia – addirittura maggiore rispetto a quella verso il Qatar – in gran parte dovuta alle politiche islamiste del presidente Recep Tayyip Erdogan e al continuo sostegno del Paese ai Fratelli Musulmani. I funzionari egiziani descrivono la Turchia come un “aggressore non arabo”, ma si riferiscono ai qatarioti come ai “nostri fratelli arabi”[22]. Inoltre, la Turchia rappresenta un punto più dolente del Qatar perché, a partire dal 2013, migliaia di egiziani hanno ottenuto la cittadinanza turca dopo essere andati in esilio.

La relazione bilaterale tra il Cairo e Ankara è poi messa in ombra dal significativo sforzo che l’Egitto ha compiuto, insieme a Cipro, Israele e Grecia, per istituire il Forum del gas del Mediterraneo orientale (EMGF) nel 2020. Da allora, il Forum si è trasformato in un meccanismo regionale legittimo per la gestione della diplomazia energetica e ha attirato membri come l’Italia e la Francia. Ciononostante, la Turchia continua a considerare la creazione dell’organizzazione come un grande affronto diplomatico, una mossa che l’ha di fatto tagliata fuori dal processo decisionale relativo agli interessi energetici chiave nel suo vicinato.

Tuttavia, negli ultimi tempi, la Turchia ha riferito di aver fatto pressione sui media dei Fratelli Musulmani affinché moderassero la retorica contro il Presidente egiziano o cessassero del tutto le trasmissioni, chiudendo alcuni uffici di rappresentanza dei Fratelli Musulmani nel Paese. Queste iniziative potrebbero preludere a un’ulteriore distensione tra il Cairo e Ankara.

L’Egitto e la Turchia hanno anche avviato un dialogo sui rispettivi ruoli in Libia. Il Cairo crede di poter convincere Ankara a adottare un ruolo meno aggressivo nel conflitto, arrivando anche a ritirare i suoi mercenari dalla Libia[23]. Per i funzionari egiziani questo significherebbe, in pratica, sostenere la leadership egiziana nel processo politico libico e promuoverne la continua presenza in Libia, il che fungerebbe da barriera di protezione per la sicurezza nazionale egiziana[24]. Tuttavia, il fatto che la Turchia abbia recentemente assunto un ruolo più attivo nel Corno d’Africa fornendo droni da combattimento all’Etiopia, in base a un accordo promosso dagli Emirati Arabi Uniti, ha profondamente deluso l’Egitto e fatto regredire gli sforzi di riavvicinamento.

Sicurezza idrica in Egitto e nel Corno d’Africa

Oltre alle crisi in Libia e Gaza, un ex diplomatico egiziano considera l’attuale corso degli eventi nel Corno d’Africa come un’ulteriore minaccia ai confini dell’Egitto, su una scala che non si vedeva dai tempi delle guerre arabo-israeliane[25]. Una particolare fonte di preoccupazione per il Cairo è rappresentata dalla costruzione della Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD) sul Nilo, una struttura che potrebbe ridurre significativamente i livelli di disponibilità idrica a valle in Egitto e stabilire un precedente dannoso per il futuro sviluppo a monte lungo il fiume. È importante notare che, data la consistenza delle relazioni tra il Cairo e Abu Dhabi, tale questione rischia di portare a un faccia a faccia tra le due parti.

La stretta relazione tra l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti negli ultimi anni non è servita ad affrontare questa minaccia. Dall’inizio della crisi della GERD nel 2011 l’Egitto ha avuto un’influenza limitata sui negoziati con l’Etiopia. Nel 2015 l’Egitto ha firmato la Dichiarazione dei Principi, un documento che forniva il quadro entro il quale si sarebbe dovuto raggiungere un accordo con l’Etiopia e il Sudan. Sebbene la firma del documento abbia segnato un cambiamento di rotta nella politica del Cairo, che è passato da un rifiuto totale della GERD a un’apertura al negoziato, da allora l’Egitto ha comunque respinto qualsiasi opportunità di raggiungere un accordo, negando concessioni materiali sui propri diritti in materia idrica. Dal fallimento dei colloqui a Washington all’inizio del 2020, l’Etiopia ha continuato a rifiutarsi di negoziare un accordo di gestione delle risorse idriche e l’Egitto ha risposto cercando di costruire alleanze e partenariati strategici per isolare l’Etiopia e acquisire una posizione più favorevole. Ma, nonostante una serie di accordi congiunti di difesa e cooperazione commerciale con un certo numero di Paesi del Corno d’Africa, l’Egitto non è stato in grado di cambiare l’equilibrio di potere e raggiungere un accordo politico negoziato sull’uso delle acque del Nilo.

I funzionari egiziani vedono il sostegno degli Emirati Arabi Uniti all’Etiopia come un fattore determinante nelle difficoltà che il Cairo ha dovuto affrontare[26]. La divergenza di politiche e priorità tra l’Egitto e gli Emirati Arabi nel Corno d’Africa ha spinto i funzionari egiziani a riconoscere con riluttanza (anche se non pubblicamente) che gli Emirati Arabi hanno ormai assunto un ruolo di “spoiler” negli sforzi del Paese volti a proteggerne un interesse vitale: la sicurezza idrica[27]. Avendo concluso di non poter più contare su Abu Dhabi per salvaguardare i propri interessi in questa regione, il Cairo sta ora esplorando apertamente un ruolo diplomatico e di sicurezza che non si basa né si aspetta il sostegno degli Emirati. Questo approccio è stato concepito per sfruttare le relazioni commerciali e di investimento esistenti, così come la posizione dell’Egitto come leader nella produzione di energia e hub emergente di gas, senza dimenticare gli accordi di difesa congiunta e di cooperazione in materia di sicurezza citati in precedenza. Di recente questa strategia ha dato i suoi frutti, sfociando in una crescente partnership e in un’alleanza di sicurezza con il Sudan che si è estesa a una forte alleanza diplomatica sulla GERD.

Fondamentalmente, l’Egitto vede anche il Qatar come un contrappeso agli Emirati Arabi Uniti sulla questione. Sebbene il Qatar non intrattenga stretti rapporti strategici con l’Etiopia, le dinamiche regionali richiedono comunque un approccio olistico e l’Egitto riconosce il crescente potere politico degli Stati arabi del Golfo nel Corno d’Africa. Il Qatar potrebbe, in ultima analisi, aiutare l’Egitto a raggiungere i propri obiettivi di sicurezza.

Siria e Iran

Il crescente attivismo regionale dell’Egitto si estende agli eventi in Siria e alla loro connessione con l’Iran. Infatti, al-Sisi ha a lungo cercato di ottenere per il proprio Paese un ruolo di primo piano negli sviluppi diplomatici relativi alla guerra siriana. Tale tentativo, nonostante le forti pressioni rivolte all’UE, non ha avuto successo in seno alle conferenze di Ginevra a metà dello scorso decennio, e ora l’Egitto si sta concentrando sull’acquisizione del ruolo di “leader arabo” nel processo di Astana, che coinvolge Turchia, Iran e Russia[28].

A differenza degli Stati arabi del Golfo, al-Sisi ha sostenuto per molti anni il governo di Assad in Siria e ha guidato la spinta per riabilitare diplomaticamente il leader siriano. Anche se non possiede lo stesso potere di investimento degli Emirati Arabi Uniti o dell’Arabia Saudita, l’Egitto è determinato a posizionarsi in testa al gruppo per fornire un punto d’appoggio nel contesto di un eventuale programma di ricostruzione e riabilitazione della Siria. In tal senso, non va dimenticato che il Cairo ha ospitato regolarmente, seppure discretamente, incontri con i funzionari dell’intelligence siriana durante tutta la durata del conflitto.

Al-Sisi spera che il ruolo di principale partner arabo in Siria permetterà all’Egitto di ottenere sostegno diplomatico nei confronti di Teheran, verso il quale l’atteggiamento del Cairo è alquanto altalenante da decenni. L’Egitto è infatti convinto che la propria significativa componente araba sunnita permetterà al Paese di assumere un ruolo importante nei negoziati tra l’Iran e gli Stati arabi del Golfo, sia in termini di supporto materiale che nella tutela dei propri interessi – uno sforzo di distensione con Teheran, questo, che stimolerà la competizione tra i leader del Golfo[29]. A tal fine, l’Egitto ha recentemente ospitato funzionari della sicurezza iraniana.

Economia, energia e infrastrutture

Dopo una sfiancante carenza di elettricità nel 2013, l’Egitto ha cercato di rafforzare il proprio settore energetico. La scoperta di enormi riserve di gas offshore nel 2015, insieme agli accordi per importare ulteriore gas da Israele, hanno reso l’Egitto un autoproclamato “hub energetico” nella regione. Più recentemente, il governo ha rivolto la propria attenzione allo sviluppo del settore dell’energia solare dando avvio a una grande riforma del settore elettrico (che sfocerà in ultimo in una privatizzazione) e puntando sulla realizzazione di parchi solari su larga scala.

Oggi l’Egitto gode di un surplus energetico, che si traduce in un vantaggio da sfruttare al meglio nell’ambito della politica estera. Il Paese mira infatti a vendere il surplus di elettricità ai vicini regionali tra cui l’UE, che ha già iniziato a fornire aiuti per finanziare gli ambiziosi progetti egiziani nel campo dell’energia solare. L’espansione delle infrastrutture energetiche che, attraverso Cipro, collegano l’Egitto all’Europa e ad altri mercati regionali fornirebbe un’ulteriore opportunità per espandere la diplomazia economica emergente dell’Egitto. Per quanto i leader egiziani preferiscano non inquadrare i propri sforzi in questi termini, è chiaro che lo scopo è assumere un ruolo economico più significativo in paesi come l’Iraq, dove l’Egitto è da decenni un semplice osservatore.

Tuttavia, sono molte le difficoltà da affrontare nel tentativo di tradurre queste ambizioni in un’influenza reale. Come notano gli economisti e altri esperti, l’Egitto non solo soffre di problemi interni, tra cui una disorganizzazione burocratica e un rigido controllo militare sulle risorse naturali, ma deve anche fare i conti con la mancanza di creatività riguardo allo sviluppo del settore energetico[30]. Gli investitori del settore privato in Egitto rimangono cautamente ottimisti sulle prospettive di aumentare le esportazioni di energia verso l’Europa, ma vedono un guadagno netto economicamente limitato nell’applicare questa politica in tutto il Medio Oriente[31]. Anche qui gli ostacoli non mancano, non da ultimo il graduale allontanamento dell’Europa dai combustibili fossili e l’epilogo del progetto del gasdotto “East Med” che prevedeva di trasportare il gas dall’Egitto all’Europa (anche se oggi prende forma una nuova versione del gasdotto, che collegherebbe i giacimenti di gas di Cipro agli impianti di gas naturale liquefatto dell’Egitto). A ciò si aggiunge il calo delle forniture di gas dall’Egitto in un momento di aumento del consumo interno, che ha limitato la quantità di energia esportabile all’estero[32].

Accordi energetici più modesti possono essere più realistici. Il governo egiziano spera di aumentare la fornitura interna di gas attraverso un nuovo accordo “power for gas” con Paesi come l’Iraq e la Libia, che insieme a nuovi accordi con il Qatar potrà assicurare una fornitura di gas a basso costo e a lungo termine in cambio di rotte più economiche e convenienti attraverso il progetto del Corridoio del Canale di Suez. Questo permetterebbe all’Egitto di entrare nel mercato regionale dell’energia rinnovabile, rendendolo probabilmente un partner economico desiderabile per gli europei, che danno priorità alle politiche improntate alla lotta al cambiamento climatico.

Relazioni con l’Occidente

A partire dal rovesciamento del presidente democraticamente eletto, il perdurante sostegno degli Stati Uniti e le costanti preoccupazioni europee hanno rafforzato la convinzione, sia al Cairo che altrove, che l’Egitto sia “too big to fail”. Se l’attuale presidente ha consolidato nel corso degli anni un potere tale da non destare preoccupazioni in ambito domestico, la sua principale legittimazione deriva oggi principalmente dalla comunità internazionale, in particolare l’UE, gli Stati Uniti e le potenze regionali come gli Emirati Arabi Uniti[33], a dispetto delle critiche che regolarmente vengono mosse da Washington e dalle capitali europee riguardo alle pratiche autoritarie di al-Sisi e delle accuse di violazioni dei diritti umani, cosa che non manca di irritare il regime.

Per anni, gli Stati Uniti e l’Europa hanno trovato frustranti le relazioni con l’Egitto e hanno regolarmente espresso la loro costernazione per gli sviluppi nel Paese. Eppure, i rappresentanti politici di USA e UE sembrano spesso rassegnati a esercitare una scarsa influenza sul regime di al-Sisi, soprattutto alla luce del sostegno che ha ricevuto negli ultimi anni dagli Stati arabi del Golfo. Sono stati pochi i tentativi per creare le condizioni che permetterebbero di esercitare maggiore pressione affinché l’Egitto affronti i propri problemi interni, o per lavorare a più stretto contatto con il Paese per risolvere alcune delle principali questioni regionali ancora aperte. Laddove il tentativo c’è stato, come nel caso della revoca delle restrizioni sugli aiuti militari, è stato di breve durata e quasi privo di conseguenze. Talvolta sono prevalse altre considerazioni, come ad esempio durante gli scontri a Gaza nel 2021, quando le potenze occidentali hanno preferito lodare l’Egitto per il ruolo svolto nel portare alla cessazione delle ostilità.

Ora che il Medio Oriente comincia ad adattarsi al ritiro degli Stati Uniti dalla regione, la rilevanza e la priorità dei rapporti con l’Occidente e il corrispondente valore finanziario per l’Egitto si fanno sempre meno chiari[34]. Non c’è dubbio che al-Sisi faccia affidamento sulla legittimità diplomatica che gli deriva dal mantenimento di buone relazioni con partner come gli Stati Uniti e l’Europa. Tuttavia, mentre aumenta la cooperazione in materia di sicurezza con gli Stati membri dell’UE (sebbene pagandone un costo finanziario, in quanto in contrasto con il sostegno alla sicurezza degli Stati Uniti), l’Egitto rafforza i propri legami economici con la Cina e la Russia, ricalibra le relazioni con il Golfo e la Turchia e comincia a credere sempre più convintamente che gli Stati Uniti “hanno più bisogno di noi che noi di loro”[35].

Gli Stati Uniti

All’inizio del 2021 l’Egitto si aspettava un significativo deterioramento delle relazioni con gli Stati Uniti dopo l’arrivo di Biden alla Casa Bianca. A seguito dell’esito delle elezioni americane del novembre 2020, al-Sisi si è affrettato ad assumere importanti lobbisti  a Washington per promuovere l’agenda dell’Egitto, ma si è scontrato per diversi mesi con il silenzio dalla controparte. Tuttavia, il conflitto a Gaza ha riportato i legami USA-Egitto alla “normalità”, in virtù del fatto che, come in passato, gli Stati Uniti si sono affidati all’Egitto per guidare gli sforzi diplomatici e di sicurezza volti a garantire un cessate il fuoco. Al-Sisi è stato premiato con due telefonate di Biden in una settimana, alcune visite ufficiali al Cairo del Segretario di Stato Antony Blinken e una visita a Washington del capo dell’intelligence egiziana Abbas Kamel. Da allora, la Casa Bianca ha offerto all’Egitto una efficace moratoria sulle critiche per la situazione dei diritti umani all’interno del Paese, rifiutando di porre condizioni ai futuri finanziamenti militari degli Stati Uniti. Su questo punto, tuttavia, l’amministrazione Biden ha imposto vincoli per l’accesso a 130 milioni di dollari, la parte rimanente di un pacchetto di aiuti del valore totale di 300 milioni di dollari (per il 2020). Tra le condizioni figurano la richiesta di chiudere definitivamente le lunghe indagini sulla società civile (un’iniziativa comunemente nota come “Caso 173”) e il rilascio di 16 prigionieri politici. Si ritiene che la spinta per tale condizionalità sia venuta da una base di sostenitori e dal Congresso, che hanno chiesto risposte davanti alla continua detenzione di attivisti per ii diritti umani da parte dell’Egitto.

Nell’ultimo decennio, Washington si è spesso lamentata dei legami del Cairo con gli Stati arabi del Golfo, temendo che il significativo sostegno finanziario di questi Paesi all’Egitto rendesse inefficace l’assistenza militare statunitense, non da ultimo erodendo l’influenza americana sui diritti umani e sulle questioni di governance[36]. Fonti di Capitol Hill riferiscono che il sostegno palese di Trump a al-Sisi ha reso molto più impegnativo per gli Stati Uniti impegnarsi in modo produttivo con l’Egitto sulla questione del condizionamento dei finanziamenti militari esteri o sul mancato rispetto dei diritti umani, in quanto il regime di al-Sisi si sentiva al sicuro[37]. Tuttavia, in generale, varie amministrazioni americane si sono dimostrate riluttanti a modificare in maniera radicale le relazioni con il Cairo o a mettere in campo capitale politico per affrontare le repressioni e gli abusi dei diritti umani in Egitto.

Il Congresso, sempre più progressista, continua a scalfire i tradizionali 1,3 miliardi di dollari di finanziamenti militari annuali che gli Stati Uniti forniscono all’Egitto. I recenti bilanci per i finanziamenti militari esteri approvati dalla Camera dei Rappresentanti hanno aumentato la quantità di aiuti all’Egitto, che sono però condizionati alla questione dei diritti umani. Per la prima volta, porzioni future di tali fondi potranno essere incondizionatamente trattenute in risposta alle detenzioni dei cittadini da parte dell’Egitto e al trattamento di figure di spicco nell’ambito dei diritti umani e dei prigionieri politici. Oggi sembra crescere la volontà del Congresso di condizionare i finanziamenti militari fino a 300 milioni di dollari senza la possibilità di ricorrere ad alcuna deroga per motivi di sicurezza nazionale, un atteggiamento decisamente diverso rispetto alla posizione del presidente degli Stati Uniti[38].

Al-Sisi potrà anche continuare a godere della relazione con la Casa Bianca a cui è ormai abituato, ma il valore finanziario di questa relazione sta lentamente diminuendo, e questa dinamica avrà effetti diversi su diverse componenti del regime. L’apparato militare vede in questi aiuti una conferma del ruolo dell’Egitto come partner chiave per la sicurezza di Israele, mentre altre fonti suggeriscono che al-Sisi preferisce concentrarsi sull’impegno diplomatico e sulla legittimità politica derivante dal rapporto dell’Egitto con gli Stati Uniti, ad esempio assicurandosi un incontro faccia a faccia con Biden o una visita di Stato a Washington o organizzando una visita americana al Cairo. Gli sforzi americani sarebbero probabilmente più efficaci se si separasse la questione del sostegno militare dall’alleanza politica con il Cairo, rispondendo alle priorità presenti all’interno del regime per gestire meglio la relazione USA-Egitto.

Europa

A partire dal 2013, i 27 Stati membri dell’UE sono rimasti divisi su come rapportarsi all’Egitto[39], un quadro reso ancora più complicato dalle relazioni bilaterali del Cairo con i singoli Stati membri. Per l’UE il problema risiede nel fatto che le priorità politiche europee nei confronti dell’Egitto sono in gran parte condizionate, e talvolta minate, dai rapporti degli Stati membri con il Paese, impedendo così la definizione di un’agenda politica comune. Il commercio rimane l’elemento più importante, tanto nelle relazioni tra l’Egitto e l’UE che, soprattutto, tra l’Egitto e i singoli Stati membri, una situazione che appare evidente negli accordi stipulati da Italia, Francia e Germania con il Cairo in materia di sicurezza e per la vendita di armi.

Se, da una parte, gli Stati membri firmano accordi finanziariamente convenienti di questo tipo, dall’altra i tentativi dell’UE di sollevare le questioni dei diritti umani e della governance, in particolare in relazione alla società civile egiziana, il cui spazio negli ultimi anni si è ristretto significativamente, sono generalmente relegati a un inefficace intervento del Parlamento europeo. La situazione si è fatta ancora più complessa a seguito della Brexit, che ha cambiato le dinamiche a Bruxelles e ha dato maggiore slancio alle relazioni del Cairo con Londra. Difatti, il Regno Unito è un investitore chiave nel settore privato egiziano e questa relazione sembra destinata a rimanere forte, il che comporta che una quantità significativa di investimenti esulerà dall’agenda politica dell’UE.

Nonostante questa cacofonia istituzionale e politica, nell’ultimo decennio l’UE si è ampiamente allineata a diverse priorità dell’Egitto. Dopo i successi diplomatici ottenuti nel 2014 con l’ex capo di stato maggiore dell’esercito Mahmoud Hegazy, l’Egitto ha portato a casa il sostegno di importanti Stati membri dell’UE come Francia e Germania in virtù della sua strategia in Libia e ha poi ricevuto l’appoggio europeo per la creazione dell’EMGF. Inoltre, l’UE sostiene ampiamente i tentativi dell’Egitto di trovare una soluzione alla crisi della GERD, anche se gli sforzi dell’Unione in questo settore sono stati inferiori alle aspettative del Cairo[40].

Tuttavia, l’UE si dimostra spesso autolesionista nelle proprie interazioni con l’Egitto. Consapevoli delle preoccupazioni europee in materia di migrazione e terrorismo, i funzionari egiziani sono più che felici di sollevarne lo spettro in risposta ai tentativi di Bruxelles di fare pressione su questioni delicate. Non sorprende che da anni i diplomatici europei continuino a criticare, seppure privatamente, questa “ossessione”, citando il danno che ne deriva alla politica estera dell’UE[41]. Inoltre, l’abitudine dell’UE di fare sentire la propria voce in relazione ad alcuni casi relativi ai diritti umani ma di rimanere in silenzio riguardo ad altri genera una sensazione di incoerenza che a volte ne indebolisce la credibilità.

Le preoccupazioni dell’UE fanno il gioco dell’Egitto. Mentre l’Egitto non è mai stato una delle principali fonti di migrazione verso l’Europa, rimane comunque un Paese di transito per i migranti provenienti dagli Stati dell’Africa settentrionale e orientale. Il Cairo usa spesso argomenti sul “fermare i barconi” per ottenere sostegno politico e finanziario dall’Europa. Per esempio, in risposta alle minacce alle riserve idriche rappresentate dalla GERD, il Cairo ha lasciato intendere che agevolerà un aumento dei flussi migratori verso l’Europa nella speranza di inserire la questione tra le priorità dell’agenda diplomatica europea.

Come già menzionato, l’UE ha occasionalmente preso posizione sul deterioramento della situazione dei diritti umani in Egitto, per esempio sospendendo tutti gli aiuti in forma di prestiti e i meccanismi di garanzia al Paese in risposta alla violenta repressione del regime contro le proteste di Rabaa nell’estate del 2013. Tuttavia, l’UE ha in seguito ripristinato tali strumenti finanziari ed è rimasta spesso quasi silente riguardo alla situazione dei diritti umani all’interno del Paese. Gli Stati membri si sono regolarmente trovati in disaccordo su quali eventi in Egitto meritino la loro attenzione e, come già sottolineato, le capitali europee hanno continuato a espandere le rispettive relazioni bilaterali e la cooperazione di sicurezza con il Cairo. Eppure, contrariamente alle posizioni che prendono a livello pubblico, i funzionari del governo e della sicurezza egiziani sono ora più aperti alle discussioni private sulla questione dei diritti umani rispetto al passato. Non sono ancora del tutto chiari i motivi di questi crescenti cambiamenti all’interno del regime, ma la stabilità e la fiducia accompagnate dalla diminuzione delle opposizioni materiali allo status quo e della minaccia di disordini civili potrebbero avere avuto un ruolo non trascurabile. In tale contesto si può ipotizzare uno sforzo diplomatico e di advocacy più intenso su questioni come l’introduzione da parte del regime di emendamenti legislativi draconiani sulle libertà personali, la continua detenzione di attivisti per i diritti umani e la repressione dell’opposizione politica.

Conclusione

Dall’esterno si potrebbe concludere che il ruolo dell’Egitto sia ancora relegato al secondo piano rispetto alle altre potenze della regione, ma a giudicare dalle opinioni di coloro che si trovano all’interno e intorno al regime, nonché dei diplomatici mediorientali che trattano con l’Egitto, sembra che il Paese stia sviluppando una maggiore fiducia in sé stesso e stia diventando sempre più desideroso di tornare ad assumere un ruolo di leadership regionale.

Permangono reali preoccupazioni per la situazione interna in materia di diritti umani, anche se le recenti opportunità di interazione diretta con il Paese offrono qualche speranza che il regime possa allentare una repressione che dura da anni. Alla luce di ciò, nonché in considerazione di un ritrovato ottimismo, a livello nazionale e regionale, sulla politica energetica egiziana in fase di definizione e sull’evoluzione di alleanze e ruoli regionali, sarebbe auspicabile una rinnovata attenzione internazionale verso l’Egitto e il suo operato. A dispetto dell’esagerato atteggiamento di superiorità mostrato dai diplomatici egiziani in pubblico, resta il fatto che l’Egitto ha davvero bisogno di sostegno regionale e globale su questioni importanti come la lotta per la sicurezza idrica, un problema a cui l’Europa e tutti coloro che sono interessati alla stabilità della regione dovrebbero prestare maggiore e più concreta attenzione.

Ora che l’Egitto cerca di ridefinire la propria posizione nel suo vicinato, l’Europa ha la possibilità di assumere un ruolo significativo nell’assistere il Paese, cercando anche di influenzarne le future scelte di politica interna, regionale e internazionale. Non più dipendente dagli aiuti del Golfo, l’Egitto sta cercando di costruire una politica energetica e di investimenti propria, che apre nuove opportunità per l’Europa, ad esempio nell’ambito della politica marittima nel Mediterraneo orientale, dell’esplorazione energetica, dei diritti sulle risorse idriche e delle relazioni con la Libia e la Turchia. In particolare, l’UE dovrebbe impegnarsi attivamente con il gruppo dell’Alleanza Araba di Egitto, Giordania e Iraq per sostenere politiche economiche reciprocamente vantaggiose che rafforzino le rispettive economie.

A sua volta, l’Egitto può aiutare gli europei lavorando per allentare le tensioni tra l’UE e la Turchia. Con l’adesione della Turchia all’UE ormai al capolinea, l’Europa ha bisogno di trovare strumenti per contenere il comportamento turco in relazione ai migranti e ai rifugiati, alle questioni nel Mediterraneo orientale e ai conflitti militari in Medio Oriente (compresi Iraq e Siria). Gli obiettivi europei ed egiziani in Libia sembrano allinearsi: il Cairo cerca di rimuovere la presenza turca dal Paese e attualmente sostiene una roadmap postbellica in linea con le priorità europee e internazionali (sebbene dando rilievo al tempo stesso, in maniera diretta, alle proprie preoccupazioni in campo di sicurezza).

La svolta nelle relazioni dell’Egitto con i partner del Golfo può a sua volta sostenere la politica dell’UE intesa a contribuire alla risoluzione dei conflitti in Siria, Libia e Yemen, e a ridurre la minaccia rappresentata dal comportamento degli Emirati Arabi Uniti (e, in misura minore, dell’Arabia Saudita).

 

Ora l’Egitto ha bisogno di un forte sostegno e di scambi sinceri con i propri partner. Le capitali europee non dovrebbero illudersi sulla possibilità di un cambiamento materiale in relazione alla questione dei diritti umani nel Paese, né pensare che il Cairo sia pronto ad accoglierne le raccomandazioni, almeno non nell’immediato. Tuttavia, in questo momento, l’Egitto attraversa la migliore fase di stabilità e sicurezza degli ultimi dieci anni e gli interlocutori europei hanno l’obbligo morale e il dovere di intensificare il dialogo, anche sviluppando relazioni regionali ed economiche spinte dal desiderio e dalla determinazione di allentare significativamente la repressione in Egitto. L’UE non dovrebbe evitare di affrontare questo problema nel proprio impegno bilaterale con il Paese, ma dovrebbe farlo continuando a lavorare con l’Egitto per allentare i conflitti, promuovere lo sviluppo economico e, cosa fondamentale, proteggere la sicurezza idrica nella regione.

L’autrice

Hafsa Halawa è Visiting Fellow del programma Medio Oriente e Nord Africa presso lo European Council on Foreign Relations. È una consulente indipendente che si occupa di questioni politiche, sociali ed economiche e di obiettivi di sviluppo in Medio Oriente, Nord Africa e Corno d’Africa. Ex avvocatessa d’impresa, ha ricoperto posizioni in ambito governativo, nelle Nazioni Unite, nelle ONG, nelle multinazionali, in aziende private e in vari think-tank. Ora lavora come consulente nello stesso ambito ed è Non-resident scholar presso il Middle East Institute. Risiede a Londra.

Ringraziamenti

L’autrice desidera ringraziare Julien Barnes-Dacey e Hugh Lovatt del programma Medio Oriente e Nord Africa di ECFR per la loro assistenza durante la pianificazione e la redazione di questo policy brief, e Adam Harrison per il suo aiuto nella fase di editing.

Questo documento è stato reso possibile dal sostegno al programma Medio Oriente e Nord Africa di ECFR da parte di Compagnia di San Paolo e dei ministeri degli Esteri di Danimarca, Norvegia e Svezia.


[1] Intervista con un esperto di politica statunitense a Washington, DC, via Signal, giugno 2021.

[2] Intervista con un funzionario della sicurezza, Il Cairo, febbraio 2021.

[3] Intervista con un diplomatico egiziano in pensione, Il Cairo, giugno 2021.

[4] Intervista con un diplomatico egiziano in pensione, Il Cairo, giugno 2021.

[5] Intervista con un diplomatico egiziano in pensione, Il Cairo, giugno 2021.

[6] Intervista con un diplomatico egiziano in pensione, Il Cairo, giugno 2021.

[7] Intervista con un investitore nazionale di gas, Il Cairo, maggio 2021.

[8] Intervista con un esperto di politica estera, Londra, settembre 2021.

[9] Interviste con un funzionario egiziano in pensione, Il Cairo, maggio 2021.

[10] Intervista con un funzionario degli EAU, Dubai, maggio 2021.

[11] Intervista con un funzionario egiziano, Il Cairo, giugno 2021.

[12] Intervista con un diplomatico egiziano in pensione, Il Cairo, maggio 2021.

[13] Intervista con un funzionario della sicurezza egiziana, Il Cairo, maggio 2021.

[14] Intervista con un diplomatico egiziano, Il Cairo, maggio 2021.

[15] Intervista con un funzionario israeliano, giugno 2021.

[16] Intervista con un esperto di politica statunitense a Washington, DC, via Signal, giugno 2021.

[17] Interviste con un consigliere egiziano con conoscenza diretta dei colloqui tra Egitto, Stati Uniti e Qatar, Il Cairo, giugno 2021.

[18] Intervista con un funzionario israeliano, giugno 2021.

[19] Intervista con un economista egiziano, Il Cairo, giugno 2021.

[20] Intervista con un diplomatico egiziano, Il Cairo, giugno 2021.

[21] Intervista con un funzionario della sicurezza egiziana, Il Cairo, maggio 2021; intervista con un diplomatico egiziano, Cairo, maggio 2021.

[22] Intervista con un funzionario della sicurezza, Il Cairo, aprile 2021.

[23] Intervista con un funzionario egiziano, Il Cairo, maggio 2021.

[24] Intervista con un funzionario in pensione con conoscenza diretta dei colloqui Egitto-Turchia, Il Cairo, 2021.

[25] Intervista con un diplomatico egiziano, Il Cairo, aprile 2021.

[26] Intervista con un diplomatico egiziano, Il Cairo, maggio 2021.

[27] Intervista con un funzionario egiziano, Il Cairo, maggio 2021.

[28] Intervista con un funzionario egiziano con conoscenza diretta dei colloqui tra Egitto e Turchia, Il Cairo, maggio 2021.

[29] Intervista con un diplomatico egiziano in pensione, Il Cairo, maggio 2021.

[30] Intervista con un economista egiziano, Il Cairo, luglio 2021.

[31] Intervista con uno specialista di energia, Il Cairo, giugno 2021.

[32] Intervista con un investitore nazionale di gas, Il Cairo, giugno 2021.

[33] Intervista con un funzionario degli EAU, Dubai, maggio 2021.

[34] Intervista con un funzionario della sicurezza, Il Cairo, aprile 2021.

[35] Intervista con un alto funzionario della sicurezza in pensione, Il Cairo, maggio 2021.

[36] Interviste regolari con esperti di politica estera e funzionari dell’amministrazione a Washington, DC, 2014-2019.

[37] Interviste con personale di Capitol Hill, Washington, DC, 2018-19.

[38] Intervista con un esperto di politica statunitense con sede a Washington, DC, via Signal, giugno 2021.

[39] Interviste periodiche con i diplomatici del Servizio europeo per l’azione esterna che lavorano sull’Egitto, 2015-2019.

[40] Intervista con un diplomatico egiziano, Il Cairo, giugno 2021.

[41] Interviste con diplomatici europei, Il Cairo, 2015-2019.

ECFR non assume posizioni collettive. Le pubblicazioni di ECFR rappresentano il punto di vista degli autori.