Elezioni presidenziali in Turchia: necessario per l’UE un riavvicinamento, non lo scontro

La Turchia si sta allontanando dal sentiero della democrazia

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Se si vogliono prevenire ulteriori passi indietro della Turchia sulle riforme democratiche, l’Unione Europea dovrebbe attuare una politica di riavvicinamento, con o senza Recep Tayyip Erdoğan.

Il Primo Ministro Erdoğan, che ha portato l’AKP alla vittoria nel 2002 e nelle due successive consultazioni elettorali, molto probabilmente vincerà anche alle prossime elezioni del 10 agosto, quando, per la prima volta, i turchi voteranno con elezione diretta il Presidente della Repubblica.

Anche con Erdoğan eletto alla Presidenza, l’UE dovrebbe ristabilire i contatti con i gruppi riformatori e modernizzatori dell’AKP, per evitare una concentrazione di poteri nelle mani del nuovo Capo di Stato.

Fino a dieci anni fa, buone erano le prospettive che la Turchia, con il sostegno dell’UE, potesse diventare una democrazia avanzata. In questo momento, la Turchia sta diventando una “democrazia illiberale” in cui Erdoğan potrebbe usare il proprio potere per trasformare il paese in una Repubblica presidenziale. Tra le cause della deriva illiberale turca:

·         Lo scandalo della corruzione che ha coinvolto Erdogan e i suoi Ministri

·         L’indebolimento dello stato di diritto, come evidenziato dai moniti della Commissione europea sull’indipendenza giudiziale

·         La concentrazione del potere, all’interno del Governo, nelle mani di un esecutivo sempre più inaffidabile e il declino della libertà di stampa.

·         L’inefficace opposizione parlamentare che non offre nessuna valida alternativa all’AKP.

Il cambiamento dei vertici della politica turca avrà conseguenze importantissime, soprattutto alla luce delle mire presidenzialiste di Erdoğan, ma la credibilità dell’AKP dipenderà dalla sua capacità di far fronte a tre sfide:

1.      La situazione economica. La crescita economica è il fulcro del programma dell’AKP. Rallentamenti nella crescita potrebbero risultare in una diminuzione di consensi.

2.      Il processo di pace con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK). Il “processo di soluzione” della questione curda è in uno stato avanzato ma ci sono ancora molte questioni aperte che la leadership dell’AKP deve gestire con cautela: lo status costituzionale per i curdi, l’introduzione della lingua curda nell’insegnamento pubblico come lingua principale, non elettiva, l’autonomia democratica per le regioni sud-orientali.

3.      La politica estera. La politica estera turca oggi è “vulnerabile”. Mentre l’instabilità si diffonde nel suo vicinato, la Turchia è sulla difensiva. La crisi siriana ha alimentato i timori di uno sconfinamento del conflitto in territorio turco. L’elezione di Rouhani e l’accordo ad interim tra Iran e P5+1 ha sminuito il ruolo della Turchia come naturale mediatore. Infine, la crisi ucraina e l’annessione della Crimea hanno messo in luce la dipendenza turca dalla Russia.

L’UE detiene l’80% degli investimenti esteri diretti in Turchia. Tuttavia, secondo Dimitar Bechev, autore del rapporto “Turkey’s illiberal turn”, a differenza del periodo 1999 – 2005, ora Europa e Turchia non pensano più l’una all’altra. Se l’Europa è impegnata in Ucraina, la Turchia è assorbita dai drammi nazionali. L’Europa potrà recuperare la propria influenza e insistere sulle riforme, solo se collaborerà pragmaticamente con la nuova leadership turca in diverse aree politiche e in un arco di tempo ampio.

Per quanto riguarda le prospettive di adesione all’UE, che andrebbero rafforzate, il sentimento anti-allargamento che sta investendo l’Europa e il successo dell’estrema destra alle ultime elezioni europee, potrebbero portare a derive pericolose. Secondo Dimitar Bechev, nel caso di fallimento dell’accordo di adesione, “Turchia e UE torneranno facilmente ad incolparsi a vicenda”.

 

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