Costruire la sicurezza: come gli europei possono contribuire alla riforma della Libia

(210815) — KHOMS CITY (LIBYA), Aug. 15, 2021 (Xinhua) — Libyan anti-terrorism force members take part in a military parade in Khoms city, some 120 km east of the capital Tripoli, Libya, on Aug. 15, 2021. (Photo by Hamza Turkia/Xinhua)
Un membro della forza libica anti-terrorismo durante una parata militare a Khoms lo scorso agosto
Immagine di Hamza Turkia / Xinhua News Agency / picture alliance
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In breve

  • A partire dal 2011, le divisioni nelle strutture di governance in Libia hanno indebolito il monopolio dello Stato sull’uso della forza; a questo indebolimento hanno contribuito anche la proliferazione di gruppi armati e la loro graduale infiltrazione nelle istituzioni di sicurezza in tutto il Paese.
  • Uno degli errori ricorrenti riguardo al processo di disarmo, smobilitazione e reintegrazione (DDR) in Libia è la convinzione che i combattenti possano essere comprati.
  • Un altro errore riguarda la convinzione che la riforma del settore della sicurezza (SSR) dipenda dalla scelta delle personalità giuste piuttosto che di sistemi e processi adeguati.
  • Per l’Europa, l’esigenza di stabilizzazione nel breve termine, in particolare in relazione a migrazione e lotta al terrorismo, ha favorito una politica reattiva che ha contribuito soltanto ad aumentare l’instabilità.
  • Per permettere all’Europa di assumere un ruolo significativo nel processo di riforma del settore di sicurezza occorrono una strategia e principi operativi condivisi.
  • Bisognerà inoltre riconoscere che, almeno inizialmente, lo spazio di manovra europeo sarà limitato e che lo sforzo dovrà necessariamente essere a medio e lungo termine.
  • Nel breve termine, gli europei dovrebbero promuovere la creazione di un organismo di SSR di matrice libica, che possa guidare gli sforzi a livello nazionale insieme alla diplomazia delle Nazioni Unite.
  • A ciò si dovrebbe accompagnare una maggiore attenzione al rafforzamento delle iniziative di sicurezza bottom-up che possano aiutare a stabilizzare il Paese e a ripristinare l’influenza europea.

Introduzione

Un decennio dopo la morte di Muammar Gheddafi, in Libia l’apparato di sicurezza è nel caos. Le strutture di sicurezza sono divise e predatorie e rappresentano una chiara minaccia al progresso politico e alle iniziative di stabilizzazione del Paese.

Negli ultimi anni sono stati messi in atto vari tentativi di riforma del settore della sicurezza (SSR), ma nessuno di questi ha permesso di compiere progressi significativi. I politici libici ed europei hanno usato forze semi-formali per servire i propri interessi a breve termine, trascurando la professionalizzazione dei servizi di sicurezza del Paese in modo da contribuire alla stabilità a livello nazionale. A partire dal 2014, quando le Nazioni Unite hanno avviato il processo di dialogo in Libia, gli sforzi di peace building a guida internazionale hanno tenuto in considerazione sia la SSR sia il processo di disarmo, smobilitazione e reintegrazione (DDR), due processi separati ma complementari. Tuttavia, troppo spesso i decisori politici hanno considerato entrambi come aspetti secondari, quando sono invece di vitale importanza nel cammino verso la pace.

La situazione è rimasta invariata, come dimostrano le azioni della Commissione militare congiunta (JMC). La JMC, formatasi nell’estate 2020 dopo il tracollo dell’offensiva lanciata dal generale Khalifa Haftar contro Tripoli, si presentava come strumento per garantire la pace, unificare le milizie libiche e affrontare le sfide della SSR del Paese. Tuttavia, nonostante inizialmente abbia contributo al raggiungimento di un accordo sul cessate il fuoco nell’ottobre 2020, la JMC è stato largamente trascurata da tutti gli attori principali e, nella sua dimensione di personificazione della politica internazionale di assistenza alla sicurezza in Libia, si è atrofizzata.

Ma la questione va oltre il mero disinteresse. Sia i leader libici che quelli europei hanno cominciato infatti a sfruttare l’anarchia che caratterizza lo scenario di sicurezza del Paese per ottenere guadagni a breve termine. Gli uni hanno sostenuto diverse milizie per ottenere benefici finanziari e politici, mentre gli altri hanno fatto lo stesso mirando a raggiungere obiettivi limitati nell’ambito delle politiche di migrazione e antiterrorismo, sfruttando una zona grigia del diritto internazionale. Troppo concentrati sulle rispettive priorità, entrambi hanno perso di vista gli effetti a medio e lungo termine dell’ibridazione del settore della sicurezza in Libia: gruppi armati incontrollabili, inerzia politica, abusi di potere, frequenti scoppi di violenza e instabilità cronica nei Paesi vicini e, potenzialmente, nell’Europa meridionale.

Tuttavia, ora che il conflitto è temporaneamente sospeso, esiste per gli attori politici coinvolti la possibilità di porre rimedio a tale situazione. Il fallimento dell’ultimo processo elettorale in Libia ha generato grande frustrazione tra gli attori internazionali che auspicano la stabilizzazione del Paese, spingendoli a esplorare altre possibili vie verso il progresso, tra cui la SSR. In Libia la maggioranza della popolazione è stanca dell’approccio transazionale delle élite al governo, anch’esse comunque in cerca di nuove strade, come dimostrano i recenti incontri e la crescente collaborazione tra forze che una volta erano nemiche. Per i Paesi europei, la cui influenza in Libia è stata indebolita dalle divisioni in seno all’Unione e dagli interventi più assertivi di Turchia, Russia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti, concentrarsi sulla SSR offre anche l’opportunità di dare nuovo slancio alle partnership e di lavorare sulla resilienza locale davanti all’influenza delle potenze rivali nel Paese. I decisori politici europei avvertono, con cognizione di causa, la necessità di rafforzare la sovranità libica e di dare vita a un settore della sicurezza nuovo che favorisca la creazione di partenariati sostenibili volti a promuovere le priorità europee, che spaziano dalle iniziative per contenere i flussi migratori agli sforzi per contrastare gli attori statali ostili.

Inoltre, i progressi sulla SSR sono imprescindibili al fine di garantire un nuovo percorso politico che permetta lo svolgimento delle elezioni, la nomina di un esecutivo che sia in grado di governare e la creazione del consenso di cui la Libia ha bisogno per uscire dal periodo di transizione.

Non esiste però una bacchetta magica per risolvere i problemi della SSR: se da un lato gli europei sanno per esperienza che le aspettative verso la Libia devono essere limitate, dall’altro sono consapevoli che esiste ancora uno spazio sufficiente a garantire all’Europa un ruolo nel panorama del settore di sicurezza del Paese che risponda agli interessi europei a lungo termine. Aiutare la leadership libica a organizzare il settore della sicurezza in modo coerente e a sostenere iniziative di sicurezza chiare e bottom-up (come quelle guidate dalla società civile) significherebbe per l’Europa contribuire a stabilizzare il Paese e a ritrovare parte della sua influenza. Inoltre, la leadership libica è stanca della presenza di forze straniere e dei fallimentari tentativi di attuare una strategia globale di SSR. In virtù di ciò, esiste oggi lo spazio per un diverso tipo di intervento, più consono alle capacità europee.

Nel pianificare la SSR in Libia, gli Stati europei dovrebbero concentrarsi su iniziative che coinvolgano sia la leadership che la popolazione. Occorrerà adottare un approccio più strategico e a lungo termine che tenga conto non solo delle priorità politiche, ma anche delle esigenze di sicurezza del popolo libico (al contrario di quanto stanno facendo le autorità attualmente al potere). Le esigenze di stabilizzazione a breve termine, in particolare in relazione a migrazione e lotta al terrorismo, hanno ripetutamente portato l’Europa ad adottare un approccio politico reattivo che ha contribuito soltanto ad aumentare l’instabilità. Meglio sarebbe invece favorire l’affermazione di un partner istituzionale in grado di allinearsi alla visione strategica dell’Europa, di rafforzare lo stato di diritto e di proteggere il popolo libico attraverso lo sviluppo di meccanismi di controllo e di accountability.

Gli sforzi europei dovrebbero concentrarsi sulla definizione di standard professionali nel settore della sicurezza, fornendo sostegno sia alle istituzioni libiche, affinché riescano ad evolversi e a diventare efficaci nel lungo termine, che ai gruppi locali che già svolgono importanti funzioni di sicurezza, come i pattugliamenti congiunti lungo la linea del cessate il fuoco, la protezione delle risorse economiche chiave e le attività di polizia. L’appoggio europeo può aiutare a promuovere miglioramenti sostenibili a lungo termine che avrebbero ripercussioni positive anche su altri aspetti della transizione della Libia, come il processo politico e la riconciliazione nazionale.

Gli europei dovranno dare prova di flessibilità allo scopo di contenere, cooptare o bloccare le iniziative degli spoiler libici e internazionali che vorrebbero mettere fine a questo processo. Per fare ciò, dovranno condizionare il sostegno politico ed economico agli attori libici (compreso l’attuale governo) alla promozione di una SSR olistica, cercando al tempo stesso di coinvolgere i principali alleati in questo sforzo e puntando a isolare potenze come la Russia, che sarà sempre contraria alla riforma. Ciò dovrebbe essere oggi più facile alla luce della recente distensione in Medio Oriente e Nord Africa, che ha già portato gli Emirati Arabi Uniti, la Turchia e l’Egitto su posizioni meno distanti. Tutti e tre questi Stati potrebbero accettare una leadership europea nella definizione del nuovo apparato di sicurezza, a condizione che i rispettivi timori di restare esclusi dal processo siano fugati.

Un settore della sicurezza caotico

All’indomani della rivoluzione, la Libia è stata costretta a fare i conti con l’eredità del suo leader di lungo corso, il colonnello Gheddafi, che per decenni ha intenzionalmente indebolito il settore della sicurezza e ha fatto in modo che mancasse qualsiasi forma di supervisione civile.

Dopo la rivoluzione, le divisioni nelle strutture di governance hanno indebolito il monopolio dello Stato sull’uso della forza, così come hanno fatto la proliferazione di gruppi armati e la loro graduale infiltrazione nelle istituzioni di sicurezza in tutto il Paese. A mano a mano che le forze di sicurezza libiche, esautorate e divise, hanno perso la capacità di svolgere il proprio ruolo, i politici hanno progressivamente “ibridato” le istituzioni di sicurezza per disperazione, opportunismo o semplice paura, mentre le potenti milizie cercavano maggiore legittimità sotto l’ombrello dello Stato. Per esempio, il primo parlamento libico, il Congresso Nazionale Generale (GNC), era regolarmente soggetto a incursioni da parte delle milizie che ostacolavano lo svolgimento delle sessioni e intimidivano i legislatori, nella speranza di tutelare i propri interessi e di ottenere ulteriori concessioni. Il problema è stato ulteriormente amplificato da fazioni politiche che hanno usato le stesse tattiche per intimorire i proprio rivali e rafforzarsi.

Le forze informali sono state progressivamente integrate nelle istituzioni di sicurezza regolari senza particolari controlli, per poi formalizzare i loro ruoli in base a rapporti preesistenti e lasciando intatte le rispettive strutture di comando. Questo non ha che peggiorato la situazione, soprattutto perché i gruppi armati si sono poi scontrati tra loro per ottenere posizioni di potere e per l’accesso ai fondi statali. Gli effetti di questi errori sono stati poi ingigantiti dal fatto che il governo non ha saputo trovare la volontà politica necessaria a disarmare e smobilitare tali gruppi prima della loro integrazione nelle istituzioni di sicurezza, né è riuscito a cambiare rotta nel contesto più ampio della SSR a seguito di questo precedente. Alcuni politici libici hanno intravisto in questa situazione l’opportunità di formalizzare il riconoscimento di gruppi armati che avrebbero potuto controllare, sperando di utilizzarli per indebolire gli avversari politici o per ottenere altri benefici.

Uno degli errori ricorrenti in materia di DDR in Libia consiste nella convinzione che i combattenti possano essere semplicemente comprati. Un altro è la convinzione che la SSR dipenda dalla scelta delle personalità giuste piuttosto che di sistemi e processi adeguati. Entrambi questi errori persistono ancora oggi.

Per esempio, il Consiglio Nazionale di Transizione ha deciso, alla fine del 2011, di concedere uno stipendio ai membri di gruppi armati di stampo rivoluzionario. Questo non ha contribuito a disarmarli, smobilitarli o reintegrarli, ma semplicemente a svuotare le casse pubbliche e a promuovere l’idea che appartenere a una milizia potesse garantire una fonte di sostentamento. La corsa al DDR dopo la guerra del 2011 ha ridotto il controllo democratico sul settore della sicurezza alla sostituzione degli ufficiali dell’era Gheddafi con figure rivoluzionarie. La principale politica dell’epoca, il Programma libico per la reintegrazione e lo sviluppo (LPRD), originariamente noto come “Warriors Affairs Commission”, era caratterizzato da molto entusiasmo, scarsa pianificazione e poche conoscenze tecniche. Il LPRD non è riuscito a definire la riorganizzazione della catena di comando né il controllo a livello istituzionale e neppure a formare adeguatamente o comunque assumere personale in grado di gestire un apparato di sicurezza moderno, democratico e funzionale. Questi problemi sono stati esacerbati dalla scarsa consapevolezza dei forti legami che si erano originati tra le brigate rivoluzionarie (e, in seguito, le milizie) durante i combattimenti, che avrebbero richiesto un processo di completa smobilitazione e di disarmo prima di considerarne l’integrazione nelle strutture statali e in una nuova catena di comando.

Dal punto di vista delle comunità locali sono stati questi i problemi di fondo che hanno caratterizzato gli sforzi per il DDR intrapresi nell’ambito del LPRD, che si sono concentrati sull’integrazione degli ex combattenti nel settore della sicurezza piuttosto che sulla dimensione civile e sui programmi di formazione professionale. In realtà, nel suo Progress Report 2011-2015, il LPRD ha riferito di aver firmato protocolli d’intesa con varie istituzioni di sicurezza per integrare 38.000 ex combattenti, mentre, nello stesso periodo di tempo, solo 1.400 persone avevano ricevuto una formazione professionale attraverso i programmi di reintegrazione economica e di empowerment civico del LPRD. Legittimare la sovraespansione dell’apparato di sicurezza libico è stato un errore strategico, anche se il governo lo ha fatto in pieno coordinamento con la Missione di Sostegno delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL).

Ora in molti concordano sul fatto che integrare i miliziani nelle forze di polizia regolari e nelle forze armate sia stato un disastro annunciato, che ha ostacolato i tentativi di ripristinare lo stato di diritto, poiché ex combattenti non addestrati hanno assunto ruoli per i quali non erano qualificati. Inoltre, le autorità hanno condotto questo processo senza modificare le strutture di comando al fine di garantire un controllo civile alle attività del settore della sicurezza. Ciò si è rivelato particolarmente dannoso perché alcuni di questi gruppi altamente radicati nella dimensione locale hanno usato il riconoscimento del loro nuovo status e l’accesso alle risorse pubbliche per rafforzare i rapporti esistenti con la comunità, offrendo benefici di cui si sono presi il merito a scapito dello Stato.

Nel frattempo, i partner stranieri della Libia (come gli Stati Uniti, il Regno Unito, l’Italia e la Turchia) hanno contribuito a promuovere l’integrazione delle milizie nei servizi di sicurezza ma non nella vita civile. Gli sforzi di questi Paesi sono stati ostacolati da un processo di selezione inadeguato e da considerazioni di opportunismo piuttosto che di efficacia. L’esempio più eclatante di questi progetti, nella fase iniziale, riguarda il tentativo del Regno Unito di addestrare 2.000 soldati libici a Cambridge, che andò a monte quando i cadetti libici, che non erano stati sottoposti ad alcuna selezione, sfuggirono al controllo degli addestratori britannici e arrivarono addirittura a commettere reati tra cui lo stupro. In generale, questi sforzi internazionali non coordinati in ambito di SSR non sono riusciti a fornire alle reclute libiche l’addestramento di cui avevano bisogno per svolgere efficacemente le proprie funzioni dopo l’integrazione, anche considerando che nella maggior parte dei casi anni di indispensabile preparazione accademica venivano concentrati in corsi della durata di poche settimane o, nel migliore dei casi, di qualche mese.

La formazione di due governi rivali nel 2014 ha ulteriormente peggiorato le cose, poiché nessuna delle due autorità civili è stata ritenuta abbastanza legittima da meritare il comando dei gruppi armati. Poiché vari gruppi politici controllavano diverse milizie di riferimento, le iniziative di SSR e DDR hanno assunto una dimensione politicizzata, sono state contestate ed erano limitate a gruppi specifici. Nonostante queste difficoltà, le autorità hanno apportato solo cambiamenti di facciata alle politiche di SSR e DDR di alto livello, mentre cercavano di integrare le unità armate in organismi di nuova creazione. Per esempio, su spinta degli Stati Uniti e di alcuni Stati europei, il Governo di Accordo Nazionale (GNA) ha istituito nel 2016 la Guardia Presidenziale, che si è rivelata un tentativo di parte per promuovere l’integrazione. La creazione di questa sorta di milizia ha in realtà indebolito il controllo statale nella capitale, che presto è caduta nelle mani di gruppi appartenenti al cosiddetto Cartello di Tripoli. Questa situazione ha evidenziato come i tentativi di separare piuttosto che allineare DDR e SSR abbiano portato al fallimento di entrambi.

Oggi alcuni gruppi armati sono diventati battitori liberi mentre altri rimangono allineati a fazioni politiche concorrenti. Come è emerso chiaramente nel periodo che ha preceduto le elezioni previste per dicembre 2021 (che non hanno mai avuto luogo), entrambe le categorie di milizie hanno cercato di bloccare i tentativi di alcuni leader di partecipare al processo elettorale, impedendone di fatto la realizzazione.

In seguito a successive ondate di integrazione politicizzata di massa, si stima che il settore della sicurezza in Libia coinvolga oggi 400.000 persone, ovvero circa il 6% della popolazione. Questo rende la gestione di SSR e DDR ancora più difficile e diminuisce le possibilità di affrontare con successo le sfide politiche e di governance del Paese, in particolare ora che i gruppi armati hanno ottenuto il controllo di vari ministeri.

Come la SSR ha alimentato una guerra per procura

In parte, il motivo per cui gli sforzi di DDR in Libia sono falliti risiede nel fatto che le autorità non hanno vincolato l’integrazione degli ex combattenti a una valutazione accurata dei requisiti del settore di sicurezza del Paese, che avrebbe richiesto una dettagliata analisi interna ed esterna delle minacce che la Libia doveva affrontare. Tale analisi dovrebbe essere alla base della dottrina e delle politiche di SSR e DDR alla luce del processo di pace internazionale. Non sorprende, tuttavia, che la pressione interna e internazionale all’indomani della rivoluzione abbia reso difficile condurre valutazioni di questo tipo.

Gheddafi ha volutamente trascurato e indebolito i servizi di sicurezza formali per paura che qualche giovane ufficiale seguisse le sue orme dando vita a un colpo di stato. Così, dopo la rivoluzione, la Libia si è ritrovata priva delle competenze tecniche necessarie per organizzare servizi di sicurezza moderni e funzionali e per adattarsi a una realtà post-bellica caratterizzata dalla proliferazione di armi e gruppi armati. Inoltre, i fallimenti del DDR hanno reso più difficile per il fragile settore di sicurezza libico, per la politica e lo stato di diritto rapportarsi a milizie bene equipaggiate. Questi problemi sono stati aggravati dal comportamento delle élite politiche che, come accennato, hanno cercato di usare le milizie per dominarsi a vicenda. Di conseguenza, le iniziative di SSR sono diventate tentativi politicizzati di rafforzare il proprio campo. Gli attori internazionali hanno preferito optare per vittorie più facili lanciando roboanti progetti di addestramento ed equipaggiamento piuttosto che adoperarsi per il prolungato contatto ravvicinato e la tediosa assistenza tecnica richiesti dal processo di SSR.

La politicizzazione della SSR si è intensificata solo quando il conflitto libico è diventato una guerra internazionale per procura. A partire dal 2011 gli attori per procura hanno avviato programmi di addestramento ed equipaggiamento destinati principalmente a rafforzare l’influenza e la legittimità dei rispettivi rappresentanti locali. Le Forze Armate Arabe Libiche (LAAF) di Haftar rappresentano un ottimo esempio di questa dinamica. Dal 2014 in poi, gli Emirati Arabi Uniti, l’Egitto e altri Stati hanno organizzato, finanziato e costruito la LAAF allo scopo di portare al governo in Libia un uomo forte e compiacente. Allo stesso modo, l’approccio della Turchia alla SSR è iniziato con un tentativo di aiutare i libici a fermare l’offensiva di Haftar su Tripoli, ed ora è diventato uno sforzo politicizzato volto ad addestrare, equipaggiare e sostenere gruppi armati o politici compiacenti.

Queste iniziative hanno violato l’embargo delle Nazioni Unite sulle armi, in vigore dal 2011, e hanno visto il coinvolgimento di mercenari stranieri provenienti da Siria, Sudan, Ciad e Russia. Chiaramente, il fallimento iniziale della SSR non ha solo condannato al fallimento i progetti di DDR, ma ha anche aperto la porta all’internazionalizzazione del conflitto.

Una transizione incerta

In virtù delle dinamiche geopolitiche che hanno avviato e concluso l’offensiva di Haftar su Tripoli, le discussioni sugli accordi di sicurezza a livello nazionale che hanno portato, nell’ottobre 2020, a un accordo di cessate il fuoco sono state in gran parte un affare internazionale piuttosto che libico. Lo stesso vale per la successiva road map politica delle Nazioni Unite. Attraverso tali iniziative, il processo politico nel Paese, le dinamiche del settore della sicurezza e gli interessi politici, di sicurezza ed economici degli attori esterni sono diventati sempre più strettamente interconnessi.

La Commissione Militare Congiunta (JMC) è un caso esemplare. Creata nell’estate 2020, era costituita da cinque rappresentanti ciascuno per la Libia orientale e occidentale e il suo scopo era affidare alla Libia il controllo su quello che era stato un accordo di cessate il fuoco di fatto raggiunto tra la Turchia e la Russia. L’ONU aveva concepito la JMC durante l’offensiva di Haftar contro Tripoli, sperando che avrebbe portato le parti in guerra attorno allo stesso tavolo per gestire il processo di cessate il fuoco e, in seguito, promuovere l’unificazione istituzionale e la SSR.

Ma l’ONU non ha potuto attuare tale strategia politica fino a quando altri hanno messo fine all’offensiva. Questo ha modificato la ragion d’essere della JMC, che ha smesso di essere un organo di peace-making per diventare piuttosto uno strumento di peace-keeping, una sorta di facciata per il coinvolgimento degli attori internazionali. La Commissione, composta da ufficiali relativamente poco influenti e non da decisori o comandanti di rango, ha raggiunto rapidamente un accordo formale di cessate il fuoco in base al quale tutte le forze straniere avrebbero dovuto lasciare la Libia entro sei mesi – un obiettivo che non è mai stato raggiunto, ma che ha fatto leva sul desiderio condiviso dai libici e dagli attori occidentali di espellere i molti combattenti stranieri che avevano partecipato alla battaglia per Tripoli.

Una volta raggiunto il suo scopo primario, la JMC ha perso la propria rilevanza. Quando la comunità internazionale ha spostato la sua attenzione sulla transizione politica, non ha saputo cogliere l’opportunità di sostenere la JMC aiutandola a definire il futuro dei servizi di sicurezza libici. La JMC è così andata alla deriva, incaricata in sostanza di spuntare le caselle di un elenco volto a definire accordi di sicurezza provvisori. I membri della Commissione hanno continuato a svolgere alcune attività significative, come la riapertura di un’importante rotta commerciale costiera attraverso la Libia (con il sostegno dell’Unione Europea nell’ambito degli Strumenti di Politica Estera e di programmi correlati) e la pianificazione del ritiro dei mercenari stranieri dalla Libia, senza però alcun riferimento a una pianificazione che avrebbe promosso gli accordi per la sicurezza o l’unificazione istituzionale.

Anche quando hanno avuto inizio i ritiri simbolici delle potenze straniere dal Paese, i membri della JMC non hanno svolto alcun ruolo di rilievo ma sono comunque stati messi in bella mostra per dare all’evento (e a sé stessi) maggiore rilevanza. Le discussioni sull’unificazione istituzionale, sulla SSR e sulla presenza di forze straniere sembrano non rientrare nelle loro competenze. Questo è particolarmente vero se si considera che la JMC ha sede a Sirte, città in cui il peso della Russia è tale da avere impedito a cinque membri della Commissione di arrivare in aereo, costringendoli così a optare per un viaggio via terra, e che una vera unificazione militare sotto il Governo di unità nazionale (GNU) segnerebbe la fine delle ambizioni di Haftar, il che infliggerebbe un duro colpo alle ambizioni dei suoi sostenitori stranieri.

Nel frattempo, la SSR è stata relegata a questione secondaria nel processo politico guidato dall’ONU, che si è concentrato sulla necessità di trovare una data per le elezioni a discapito di una più ampia discussione sulla stabilizzazione o anche sulle stesse modalità di facilitare il voto. Pertanto, al momento in Libia la SSR resta una materia da definire e non esiste alcuna visione comune neanche sulle esigenze di sicurezza più basilari. La situazione resta potenzialmente esplosiva, perché la riunificazione del paese sotto il GNU avrebbe dovuto stabilizzare il processo politico, facilitare le elezioni e creare le basi per il progresso democratico.

La complessità del problema e i rischi insiti nel tentativo di semplificarlo eccessivamente sono diventati evidenti nel fallimento del processo elettorale. Il voto avrebbe dovuto mettere fine alla crisi di legittimità derivante dall’avere un parlamento eletto nel 2014, una camera alta eletta nel 2012 e un governo nominato invece che scelto dal popolo. Tuttavia, in mancanza di un piano olistico per dare una struttura alla politica e alla governance in Libia, era improbabile che le elezioni rimettessero in moto la transizione politica. In tale contesto, l’Inviato Speciale dell’ONU Jan Kubis ha fatto affidamento su figure politiche non rappresentative della Libia per definire e attuare il processo elettorale e non sorprende quindi che costoro abbiano puntato principalmente a restare al potere, indebolire i rivali e massimizzare sia il loro controllo sull’apparato statale libico che le opportunità di dedicarsi a pratiche corrotte. La mancanza di dialogo sulla pianificazione e sulla programmazione di SSR e DDR ha creato un ambiente in cui i politici libici hanno potuto sviluppare liberamente le proprie relazioni con vari gruppi armati nell’ambito delle rispettive manovre elettorali.

Di conseguenza, l’elezione ha perso ogni legittimità. I politici libici hanno ostacolato qualsiasi tentativo di arrivare a un accordo sulla definizione di una legge elettorale o di una base per il voto e per ciò che doveva seguirne. Alla fine, il Portavoce del parlamento ha approvato unilateralmente una legge elettorale che ha rimandato a tempo indeterminato le elezioni parlamentari e ha creato le condizioni per dare vita a un esecutivo onnipotente. Nel frattempo, la mancanza di standard rigorosi nella selezione dei candidati ha permesso ad Haftar di scendere in campo per la presidenza pur mantenendo il comando della LAAF, e ha fornito un assaggio di ciò che sarebbe accaduto se le elezioni avessero avuto luogo schierando il suo esercito per costringere la commissione elettorale e la magistratura a bloccare la candidatura del suo rivale Saif al-Islam Gheddafi (su cui pende un mandato della Corte Penale Internazionale). Le unità allineate con il primo ministro Abdul-Hamid Dabaiba hanno sfruttato i timori del pubblico riguardo alla possibile vittoria di Haftar per chiudere i seggi e gli uffici della commissione elettorale e Dabaiba è venuto meno alla promessa di non candidarsi alla presidenza. Tutto questo ha aumentato la pressione sul processo elettorale.

Dopo il fallimento di questa complicato tentativo di arrivare alle urne, Kubis è stato sostituito da Stephanie Williams, che anche grazie al sostegno dei Paesi occidentali è stata nominata Consigliere Speciale del Segretario Generale dell’ONU sulla Libia per cercare di riportare in vita l’intero processo, ma le élite libiche rimangono più interessate a sfruttare l’assenza di un chiaro processo elettorale. I rivali del Primo ministro lavorano per portare al potere un nuovo governo attraverso la Camera dei Rappresentanti e fanno leva sulle milizie associate a Tripoli per rimuovere con la forza il GNU in carica. Allo stesso tempo, milizie rivali si sono spostate nella capitale per proteggere Dabaiba, mentre lui e i suoi avversari politici propongono percorsi costituzionali alternativi come ennesimo stratagemma per ritardare le elezioni.

In questo scenario, i leader europei esercitano una scarsa influenza sugli eventi e sperano in cuor loro che Stephanie Williams riesca in qualche modo a far ripartire il processo elettorale, ma questo sarà praticamente impossibile (anche Williams comincia a rendersene conto) senza un processo politico più profondo. Come accennato, le questioni di sicurezza hanno ostacolato il processo elettorale a livello locale e nazionale, anche grazie a una opaca linea di demarcazione tra élite politiche e attori del conflitto. Mentre l’ONU si concentra su questioni come l’ordine da seguire per le elezioni legislative e presidenziali, il processo costituzionale e l’istituzione di una legge elettorale più solida, gli europei dovrebbero cercare nuove vie per mantenere viva l’ambizione di riforma e impedire che la Libia scivoli di nuovo nel conflitto.

Non si può prescindere da una discussione sulla SSR se si vuole che le strutture necessarie a garantire la sicurezza e ad avviare il ripristino dello stato di diritto siano inserite nella pianificazione istituzionale della Libia. Inoltre, gli investimenti nel settore della sicurezza ibrideranno ulteriormente il settore in Libia, senza tenere in alcuna considerazione il concetto di supervisione civile. Per questo motivo c’è bisogno di un approccio più olistico verso la riunificazione della Libia e il processo di pace più in generale, un approccio che sappia associare alla discussione politica i temi della sicurezza e della giustizia. Altrimenti, ancora una volta i libici cercheranno di avviare una transizione e di costruire un nuovo Stato su basi profondamente sbagliate.

Gli europei hanno mostrato un crescente interesse per un approccio diverso ai processi di SSR e DDR, grazie all’imminente dispiegamento di una missione ONU di monitoraggio del cessate il fuoco a Sirte e alla crescente pressione internazionale sulle forze straniere per il ritiro dalla Libia. A dicembre 2021 si è assistito a vari sforzi di unificazione militare sostenuti da forze straniere, solo vagamente coordinati e del tutto estranei alla JMC. Tra questi rientrano l’iniziativa Haddad-Nathouri, che ha portato a un incontro tra i Capi di Stato maggiore del governo e le forze di Haftar per colloqui esplorativi, i colloqui Dabaiba-Haftar sponsorizzati dagli Emirati Arabi, e un incontro a Roma tra il figlio di Haftar e i rappresentanti dei gruppi armati di Tripoli.

Tali iniziative sono nelle fasi iniziali e potrebbero non essere realmente destinate ad affrontare le questioni di sicurezza, ma potrebbero fornire agli europei l’opportunità di sostenere l’unificazione militare se il processo politico dovesse rimanere in stallo. Sebbene non ci siano leader libici che godono della legittimità popolare che interessa agli europei, ci sono comunque tecnocrati e comandanti all’interno del settore della sicurezza libica che potrebbero essere rivelarsi partner preziosi.

Assistenza europea alla sicurezza

La natura ibrida del settore della sicurezza in Libia, caratterizzato da molti gruppi armati che operano al di fuori del controllo statale, ha creato significativi ostacoli giuridici e procedurali per le agenzie dell’UE. La mancanza di supporto per la SSR da parte dei leader libici è uno dei principali motivi per cui le iniziative di supporto bilaterale e multilaterale europeo non sono mai andate al di là di esercizi di addestramento ed equipaggiamento male eseguiti. Peggio ancora, la mancanza di condizioni legate alla consegna di attrezzature da parte degli europei ha talvolta permesso al governo libico di integrare i miliziani nel settore della sicurezza formale prima che avessero ricevuto la necessaria formazione.

I fallimenti che da anni caratterizzano i partenariati per la sicurezza sono anche conseguenza di una politica europea incoerente in Libia. I leader europei, come i loro omologhi libici, non hanno mai avuto alcun disegno preciso per la SSR. Questo, nel lungo periodo, ha minato le iniziative europee in Libia, portando l’attenzione dei responsabili politici verso soluzioni temporanee ai problemi all’ordine del giorno.

La Francia è stata uno dei primi Paesi occidentali a sostenere la fiorente autocrazia militare di Haftar in Cirenaica, anche attraverso l’addestramento e la fornitura di armi. Il sostegno di Parigi si è appoggiato su una retorica di ordine pubblico e di lotta al terrorismo e all’islamismo. Tuttavia, le forze francesi e la LAAF non hanno partecipato alla più grande operazione antiterrorismo degli ultimi anni, che ha rimosso il gruppo dello Stato islamico da Sirte nel 2016 e che è stata guidata da gruppi di Misurata appoggiati da Stati Uniti, Regno Unito e Italia. L’operazione ha richiesto supporto logistico e materiale, iniziative di capacity building rivolte all’ambito operativo locale, il dispiegamento di forze speciali, attacchi aerei e altre misure volte a costruire un fronte coeso contro il terrorismo, e si è dimostrata più efficace e mirata della campagna antiterrorismo della LAAF, che è diventata un colosso politico ed economico che sfrutta i civili nelle zone sotto il suo controllo.

La Francia, al contrario, sembrava dare priorità alla partnership con Haftar e i partner regionali come gli Emirati Arabi Uniti, piuttosto che alla posizione comune europea. Tale approccio era inteso a rafforzare la posizione francese in Libia e nel Sahel più in generale, ma non teneva in alcuna considerazione le violazioni dei diritti umani da parte di Haftar. Questo ha indebolito direttamente i meccanismi internazionali di accountability, ha stabilito precedenti di impunità per altri attori libici e ha permesso ad Haftar di rimanere un attore politico problematico anche dopo la sconfitta militare. Inoltre, ha aiutato la Russia e la Turchia ad assumere maggiore influenza in Libia, mentre alimentava la tensione geopolitica franco-turca anche nel Mediterraneo orientale.

Gli sforzi dell’Italia per competere con la Francia in Libia hanno avuto un effetto simile, risultando in un evidente sostegno italiano ai gruppi nella Libia occidentale. La rivalità tra Italia e Francia persiste, nonostante l’accordo del Quirinale del 2021, a causa della divergenza fondamentale dei rispettivi interessi nel Paese. Per Roma la Libia è sempre stata una priorità in politica estera, e la totale indifferenza di Parigi nei confronti delle considerazioni di sicurezza nazionale dell’Italia risulta quindi particolarmente irritante. Nonostante le critiche all’approccio francese, tuttavia, anche l’Italia ha mostrato un atteggiamento distruttivo verso i partenariati per la sicurezza, come dimostrano i 32,6 milioni di euro spesi dal 2017 a oggi a favore della guardia costiera libica, le cui unità hanno abusato di migranti e rifugiati.

La strategia italiana ha contribuito a rafforzare la posizione di milizie locali predatorie e spesso criminali, a scapito delle iniziative volte a costruire una capacità strutturale di governo e partenariati sostenibili sulla migrazione. Anche se all’epoca hanno aiutato a contenere i tentativi dei rifugiati di attraversare il Mediterraneo, oggi queste politiche si rivoltano contro l’Italia stessa. Le atrocità nell’ambito dei diritti umani compiute dalle milizie finanziate dall’Italia non sono solo imbarazzanti per Roma, ma potrebbero portare ad azioni legali. Peggio ancora, il GNU cerca ora di estendere il modello italiano ad altri Stati europei, dando vita a una sorta di estorsione che lascia irrisolte le questioni migratorie.

I casi della Francia e dell’Italia illustrano il motivo per cui gli europei hanno perso influenza in Libia dal 2011 ad oggi, nonostante i molti tentativi di alto profilo di impegnarsi con le autorità libiche. Non abbastanza strategici a livello bilaterale e non abbastanza coesi per formare un potente blocco politico, gli europei non sono stati in grado di competere con gli attori regionali, che sono più determinati nel perseguire l’obiettivo della transizione politica e che si trovano ad affrontare meno ostacoli interni alle proprie strategie. Inoltre, le pressioni che caratterizzano le politiche migratorie e antiterrorismo degli europei hanno portato ad adottare soluzioni di convenienza che raramente hanno richiesto una seria selezione dei partner libici.

Anche se c’è ancora spazio affinché gli europei contribuiscano a stabilizzare la Libia, sia in ambito tecnico che politico, resta da chiarire come raggiungere questo obiettivo e, cosa ancora più importante, se si riuscirà a cogliere l’opportunità di farlo. Occorre in tal senso evitare l’adozione di politiche a breve termine basate su considerazioni di sicurezza ritenute prioritarie che hanno fino ad ora danneggiato la reputazione europea tra i libici. Le politiche unilaterali di Francia e Italia hanno plasmato la percezione pubblica libica nei confronti di tutti gli europei. Di conseguenza, i libici non considerano più i singoli Stati europei come partner affidabili, nonostante la quantità di finanziamenti che questi Paesi hanno dedicato all’assistenza allo sviluppo, in particolare per la gestione delle frontiere, la lotta all’immigrazione e al terrorismo.

I contributi dell’UE agli sforzi multilaterali intesi a promuovere il capacity building attraverso le missioni e alcune organizzazioni internazionali sono stati insufficienti e inefficaci, in parte a causa della scarsa coesione tra i principali Stati membri, e non sono riusciti a contrastare l’impatto negativo delle iniziative italiane e francesi in Libia, né hanno bilanciato gli impegni finanziari e politici di attori come la Russia, la Turchia, l’Egitto e gli Emirati Arabi.

Mentre molti contributi di basso livello alla SSR sono stati finanziati attraverso i fondi di assistenza allo sviluppo dei Paesi europei, spesso si è trattato di iniziative a sé stanti che sono state ampiamente minate dalla mancanza di coesione strategica dell’Europa. La Germania ha ottenuto maggiore successo con il suo approccio diplomatico, in particolare attraverso il processo di Berlino e i tentativi di unificare gli europei sulla Libia. Questa iniziativa politica ha aperto la strada al progresso in ambito di SSR. La JMC, nonostante i fallimenti, dimostra che gli europei possono avere un ruolo significativo nelle politiche di sicurezza internazionale quando lavorano insieme.

L’inadeguatezza della strategia e della leadership europee ha ostacolato i meccanismi multilaterali che avrebbero potuto coordinare l’assistenza alla sicurezza a lungo termine. Inoltre, i meccanismi di coordinamento tra le missioni europee rimangono rudimentali e in gran parte informali, a causa della riluttanza a condividere informazioni sulle questioni di sicurezza. Tuttavia, di recente la situazione è lievemente migliorata. Durante l’offensiva di Haftar su Tripoli, gli Stati europei hanno prodotto un rapporto congiunto sul loro ruolo in Libia, che è stato redatto dai Capi missione e che ha fatto riferimento alla SSR come un ambito di cooperazione tra UE e UNSMIL. Il riconoscimento condiviso della minaccia che l’offensiva rappresentava per gli interessi europei ha contribuito ad abbattere le tradizionali barriere alla condivisione delle informazioni e ha spinto gli Stati europei a fare un bilancio delle iniziative esistenti e a limitare la duplicazione ove possibile.

La cooperazione tra Francia, Germania e Italia in Libia sta finalmente migliorando, come ha dimostrato una visita congiunta dei Ministri degli esteri all’inizio del 2021. Più concretamente, la Francia ha assunto la guida del processo di Berlino a novembre 2021, organizzando una conferenza a Parigi per cercare di salvare le elezioni in Libia, e l’Italia sta cercando di continuare a sviluppare il processo. Questo ha dato nuovo impulso alla diplomazia europea in Libia al fine di favorire la definizione di politiche di sicurezza europee più coese.

Raccomandazioni di policy

Per poter competere efficacemente con i loro rivali geopolitici in Libia, gli europei avranno bisogno di una strategia condivisa di alto livello e di principi operativi comuni. Dato il limitato spazio di manovra, dovrebbero sviluppare un piano a medio e lungo termine per l’assistenza al settore della sicurezza. In materia di SSR dovrebbero iniziare con l’istituzione di un organismo libico che sia dotato di una certa influenza politica per poi sostenere i tentativi di riorganizzare il settore della sicurezza del Paese. L’obiettivo dovrebbe essere la creazione di un’istituzione che riesca a sopravvivere alle attuali lotte e crisi politiche del Paese, oltre a sostenere iniziative locali e partner disposti a impegnarsi in programmi di SSR a più breve termine.

Step 1: Definire un approccio europeo coerente

Come sottolineato, le ansie politiche e l’ossessione per il breve termine dei leader europei e libici rimangono l’ostacolo principale alla riforma globale delle istituzioni di sicurezza. La Germania, la Francia e l’Italia dovrebbero guidare la definizione delle priorità, dei limiti e dei principi operativi di un approccio condiviso dell’UE alla SSR in Libia. Senza una strategia e una politica unificata, gli europei non saranno in grado di porre fine all’inerzia generata dai loro rivali in Libia e sprecheranno le proprie carte migliori: le competenze tecniche e le risorse di organizzazioni come la NATO e l’UE.

Una strategia europea coerente per la SSR potrebbe incoraggiare Stati membri come la Spagna, i Paesi Bassi e la Danimarca a massimizzare l’impatto del loro sostegno alla Libia come parte di un approccio a livello europeo. Questo sforzo dovrebbe iniziare con una valutazione obiettiva dei bisogni del settore della sicurezza in Libia, che riesca a mappare tutte le iniziative di SSR nel Paese. Tale processo migliorerebbe il supporto tecnico che gli europei forniscono alla Libia e identificherebbe le aree in cui sarebbe più efficace lavorare bilateralmente, in partnership o attraverso istituzioni multilaterali. Bruxelles dovrebbe attuare un piano europeo coordinato e a lungo termine per la SSR libica che includa meccanismi di cooperazione e trasferimento di conoscenze tra europei.

In questo modo, identificare e tracciare una strategia europea di sostegno alla SSR potrebbe anche facilitare una maggiore cooperazione multilaterale con partner chiave come il Regno Unito, gli Stati Uniti e la NATO. La crescente presenza della Russia in Libia, non distante dalle basi NATO in Sicilia, aggiunge ulteriore urgenza a questi sforzi. Gli accordi Berlin Plus del 2003 tra la NATO e l’UE offrono la possibilità di una programmazione congiunta e potrebbero migliorare i progetti organizzativi e di capacity building in Libia, un ambito quest’ultimo su cui la NATO si è dichiarata disponibile qualora interpellata dal governo libico.

Raggiungere un consenso europeo sulla portata della cooperazione in ambito di SSR con la NATO potrebbe anche aiutare a riparare il rapporto Europa-Turchia in Libia. Lavorare attraverso la NATO diminuirebbe le preoccupazioni della Turchia di essere emarginata in Libia e fornirebbe agli europei una piattaforma per ridurre l’influenza turca sul settore della sicurezza libica. Tale cooperazione non indurrebbe Ankara ad abbandonare il controverso accordo con il governo libico sui confini marittimi, ma potrebbe aiutare gli europei a scoraggiare la Turchia dal ricorrere a ricatti relativi alla politica libica, alle riserve di gas o ai flussi migratori per ottenere concessioni dall’UE. Questo potrebbe creare fiducia tra l’Europa e la Turchia in un momento in cui le relazioni sono fragili e ridurrebbe anche le possibilità che una partnership turco-russa prenda il controllo in Libia. Data la crescente influenza della Russia nell’Africa sub-sahariana, un fronte unito con la Turchia potrebbe portare benefici geopolitici anche oltre la Libia, aiutando gli europei a riguadagnare influenza rispetto all’espansione della Russia in Africa.

Step 2: Creare una Commissione congiunta per la sicurezza gestita dalla Libia

Qualsiasi strategia europea credibile e concreta per la SSR in Libia richiederà un ente libico che eserciti la propria ownership sul processo e lo metta in pratica. Anche in questo caso, i recenti sviluppi hanno creato nuove opportunità. Attraverso l’UNSMIL, l’Europa dovrebbe avviare l’istituzione di una Commissione congiunta per la sicurezza (JSC) come una sorta di seconda fase della JMC che si concentri sulla SSR, mentre la JMC continuerà a gestire gli accordi provvisori di sicurezza. La JSC avrebbe priorità diverse dalla JMC e, per soddisfare i requisiti politici della SSR, richiederebbe una leadership civile.

Sfruttare la JMC per la creazione della JSC permetterebbe a quest’ultima di godere del riconoscimento delle Nazioni Unite ed eviterebbe le problematiche burocratiche che andrebbero affrontate per la costituzione di un meccanismo completamente nuovo, aumentando così la sua legittimità tra i libici e i partner internazionali. In quanto organo a guida civile, la JSC sarebbe più semplice da accettare per le molte forze armate e politiche che hanno combattuto contro Haftar o Gheddafi, che sono particolarmente diffuse nella Libia occidentale e che temono un ritorno alla dittatura militare. La JSC, in quanto evoluzione della JMC, potrebbe anche far leva sul cambiamento di vedute dei membri dei servizi di sicurezza libici, molti dei quali nell’ultimo anno hanno rifiutato la divisione come mezzo per stabilizzare la Libia e si sono mostrati sempre più desiderosi di proteggere la sovranità del loro Paese. Inserendo i comandanti chiave tra i suoi membri, la JSC potrebbe formalizzare l’assistenza all’iniziativa Haddad-Nathouri e agli sforzi locali di SSR. La Commissione potrebbe inoltre ottenere il necessario riconoscimento e l’appoggio, almeno di facciata, da parte di Haftar, assicurandogli una rappresentanza tra la leadership civile. Per evitare di essere di fatto esautorato, come è accaduto con la JMC, la JSC dovrebbe unire la rappresentanza politica alla presenza di tecnocrati del settore della sicurezza.

Haftar e altre élite politiche libiche potrebbero tentare di minare la JSC, ma gli europei potrebbero evitarlo attraverso l’offerta di partenariati rafforzati e minacce di sanzioni contro eventuali spoilers. Una pressione sostenuta, un forte sostegno alla JSC e i tentativi di trovare una causa comune con altri attori internazionali in Libia sarebbero fondamentali per il suo successo.

La priorità della JSC dovrebbe essere la definizione di una visione libica per la SSR che gli europei possano sostenere e che sia caratterizzata da meccanismi di supervisione efficaci. Per sostenere il peso del nuovo organismo, sin dall’inizio gli europei dovrebbero promuovere un dialogo inclusivo sui bisogni di sicurezza della popolazione e consultazioni con i gruppi armati.

Come passo successivo, gli europei dovrebbero poi fornire assistenza tecnica alla JSC mentre pianifica come superare i principali ostacoli alla SSR; questo processo potrebbe essere inquadrato e coordinato attraverso il Comitato Internazionale di Follow-up sulla Libia. In questa configurazione, la JSC fungerebbe da veicolo per gli europei e i libici per creare politiche reciprocamente vantaggiose su questioni in cui i loro interessi convergono, come il ritiro dei mercenari stranieri. Dato che la JMC lavora già sulla questione nell’ambito degli accordi di sicurezza temporanei, sarebbe utile garantire un’azione complementare da parte dei due organi in quest’area.

Al tempo stesso, il supporto tecnico europeo potrebbe aiutare a rafforzare lo stato di diritto in modo da tutelare la popolazione. Le élite libiche potrebbero non fare un uso ottimale di tale assistenza, ma si contribuirebbe comunque a un cambiamento di mentalità verso soluzioni sostenibili e sistemiche ai problemi di sicurezza.

Un’altra sfida chiave per la JSC sarebbe la pianificazione dell’unificazione della polizia e delle forze armate libiche, il primo passo verso lo sviluppo di servizi di sicurezza professionali che potrebbero in ultimo diminuire e neutralizzare l’influenza delle milizie di stampo criminale e ideologico. Questo processo potrebbe essere importante per formulare strategie globali di DDR e per aumentare il sostegno europeo al settore della sicurezza della Libia. Inoltre, permetterebbe agli europei di indirizzare i finanziamenti in modo più efficace e di affrontare questioni operative chiave, compresa la capacità locale di condurre operazioni come arresti e confische in tutta la Libia, che sono importanti per le politiche di migrazione e antiterrorismo. La professionalizzazione dei servizi di sicurezza aiuterebbe anche la Libia a definire politiche di sicurezza e giudiziarie globali per combattere il contrabbando e gestire migranti e rifugiati, rendendo molto più facile per gli Stati europei attuare le loro politiche migratorie. Allo stesso modo, la riforma del Ministero della Difesa libico permetterebbe all’Europa di incanalare fondi significativi dello Strumento Europeo per la Pace (EPF) verso il settore della sicurezza del Paese.

L’unificazione della polizia e delle forze armate libiche richiederà anche cambiamenti operativi come la standardizzazione delle regole di ingaggio in tutto il Paese. Questo permetterebbe ad altre istituzioni libiche di creare meccanismi di supervisione per la smobilitazione e la professionalizzazione del settore della sicurezza.

Un’altra strada promettente della SSR riguarda le iniziative sostenute a livello internazionale come il Forum del Dialogo Politico Libico e i futuri meccanismi di generazione del consenso e programmi consultivi (come le consultazioni del Processo della Conferenza Nazionale del 2018). È importante includere il personale del settore della sicurezza nei programmi politici, data l’influenza dei gruppi armati sullo scenario e sulle politiche della Libia. Su scala nazionale, la struttura di comando della maggior parte dei gruppi armati libici è radicata nella dimensione locale, come lo sono anche le relazioni interpersonali e la percezione di essere guardiani di specifiche comunità. Sarebbe dunque saggio consultarli nelle discussioni politiche per ottenere il loro sostegno alle politiche nazionali di SSR. Questo approccio aiuterebbe anche le autorità a comprendere i gruppi armati e quindi a costruire programmi di DDR di maggior efficacia. In effetti, arrivare a una massa critica di sostegno da parte di alcuni gruppi armati potrebbe contrastare il comportamento ostruzionistico delle milizie di stampo criminale, ideologico o politico. A tal fine, nel periodo che precede le elezioni, la JSC dovrebbe creare meccanismi che consentano ai gruppi armati di impegnarsi nel processo politico in modo costruttivo e in forme che possano sopravvivere a un cambio di governo. Alcune potenze straniere hanno già fornito a questi gruppi varie opportunità per impegnarsi nel processo politico (anche attraverso la creazione di una nuova leadership, così come iniziative istituzionali e a livello locale), ma bisogna fare di più per assicurare che tali sforzi si inseriscano in una strategia coerente di SSR.

Step 3: Scoraggiare gli spoilers

Sarà vitale per gli europei scoraggiare l’azione degli spoilers interni e internazionali. Ciò richiederà inizialmente che l’Europa costruisca un’ampia base di sostegno internazionale per la sua strategia di SSR. L’Egitto, la Turchia e gli Emirati Arabi Uniti esercitano influenza su diverse zone della Libia e, dopo anni di competizione, stanno ora esplorando possibili strade per cooperare. Tutti e tre hanno interesse a stabilizzare la Libia, il che richiederà la creazione di un servizio di sicurezza funzionante. La Francia, la Germania e l’Italia dovrebbero cercare di persuaderli che la strategia europea di SSR è l’unico modo per andare avanti, prima di affidare loro la responsabilità di alcuni aspetti della strategia per assicurarsi che si sentano coinvolti. Gli europei dovranno anche dissuaderli dall’usare la loro influenza per procura per sabotare questi sforzi di riforma.

È probabile che la Russia continuerà a rappresentare lo spoiler numero uno in Libia. Il Gruppo Wagner, un’azienda paramilitare privata russa, usa i partner libici per ostacolare il processo politico e gli sforzi di unificazione e sfrutta la conseguente anarchia per assicurarsi basi militari e siti chiave di produzione del petrolio. Sarà probabilmente molto difficile mettere il Gruppo da parte, ma lavorando insieme o scoraggiando altri potenziali guastatori, l’Europa potrebbe contribuire a isolare la Russia e limitare la sua capacità di contrastare la strategia europea di SSR. Questo approccio dovrebbe anche cercare di trarre vantaggio dal risentimento di molti libici nei confronti degli attacchi russi alla sovranità e alla transizione politica della Libia. Se diventasse possibile sviluppare un partenariato con la Russia, l’Europa potrebbe ricorrere a un gruppo di lavoro sulla sicurezza nell’ambito del processo di Berlino per lanciare un approccio veramente multilaterale alla SSR.

Step 4: Sostenere le iniziative locali di SSR

Come discusso, la maggior parte del settore della sicurezza in Libia vede la presenza di gruppi locali con interessi relativamente campanilistici. Gli europei dovrebbero cercare di lavorare in partnership con le comunità locali sulla SSR in ambito tecnico e amministrativo su piccola scala.

A tal fine, gli europei dovrebbero indirizzare i fondi per l’assistenza allo sviluppo verso le organizzazioni locali della società civile libica che lavorano in settori come la sicurezza della comunità, anche attraverso il sostegno al dialogo tra i direttorati per la sicurezza e le popolazioni locali. Dovrebbero anche offrire assistenza finanziaria ai gruppi della società civile che forniscono una supervisione informale del settore della sicurezza, come fanno i media nel riportare le condizioni affrontate dai detenuti, e che si concentrano, tra l’altro, sull’empowerment politico delle donne e dei giovani. Maggiori capacità locali in ambito di sicurezza aiuterebbero ad allentare le tensioni attuali e a sostenere a lungo termine la SSR dal punto di vista istituzionale, contribuendo anche a facilitare un processo politico più aperto e inclusivo.

Gli europei potrebbero ampliare gli attuali progetti di assistenza alla sicurezza – come il coordinamento con la JMC e le singole unità impegnate nella lotta al terrorismo e al contrabbando – migliorando le capacità di selezione e formazione del personale di sicurezza a livello locale. Per evitare che si ripetano gli errori del passato, sarebbe fondamentale porre precise condizioni a tale sostegno, che si applichino anche dopo l’avvenuta consegna di attrezzature per la sicurezza (ad esempio con riferimento alla selezione del personale da formare, ai requisiti minimi per la durata e l’accuratezza della formazione e al livello di prestazioni attese). Questo significa mantenere aperta la possibilità di abbandonare i programmi che non forniscono alcun contributo positivo alla SSR prima che diventino dannosi. Gli europei dovrebbero favorire l’empowerment di una leadership tecnocratica e professionale nel settore della sicurezza della Libia piuttosto che affidarsi ai politici spesso cinici del Paese, e dovrebbero costruire relazioni con le unità responsabili della sicurezza di risorse chiave come terminali petroliferi, centrali elettriche e porti. Le élite politiche hanno spesso usato tali unità per impegnarsi in attività deleterie come gli embarghi petroliferi. Lavorando con i ministeri competenti, le strutture di comando e gli enti nazionali, gli europei possono aiutare ad attuare meccanismi per rendere queste unità più professionali e resilienti.

Conclusione

La Libia dovrà riformare profondamente il suo settore della sicurezza per raggiungere una stabilità duratura. Data la fragilità del processo politico del Paese e l’incompetenza delle sue élite, il sostegno europeo ai servizi di sicurezza libici sarà fondamentale per creare un ambiente favorevole al progresso politico. Tuttavia, poiché la SSR è un esercizio fondamentalmente politico, avrà successo solo se sarà radicato in una visione condivisa da Libia ed Europa. A livello multilaterale, lo sviluppo di una visione comune di successo per la SSR in Libia richiederà un coordinamento e una migliore integrazione del lavoro lungo i tre percorsi indicati dal processo delle Nazioni Unite.

Tale processo può anche essere poco efficace, ma offre comunque una fugace opportunità di riforma. Oggi più che mai gli europei e i libici hanno la possibilità concreta di costruire partenariati di sicurezza duraturi in aree di reciproco interesse, come la lotta al contrabbando, l’antiterrorismo e il rafforzamento delle forze straniere alle porte dell’Europa. L’unica alternativa sarà tollerare un ciclo di instabilità che non mancherà di manifestarsi negli anni a venire.

L’autrice

Roberta Maggi è Junior Project Officer della sezione Medio Oriente e Nord Africa del Geneva Centre for Security Governance (DCAF), dove contribuisce allo sviluppo di una dottrina innovativa sulla governance e la riforma del settore della sicurezza in contesti conflittuali e ibridi, in particolare in Libia e Yemen. Ha conseguito un Master in relazioni internazionali e scienze politiche presso il Graduate Institute of International and Development Studies di Ginevra e una Laurea in relazioni internazionali presso il dipartimento di studi sulla guerra del King’s College di Londra. I suoi interessi di ricerca riguardano la governance e la riforma del settore della sicurezza, la formazione di gruppi armati e la politica di stabilizzazione e reintegrazione in ambienti di conflitto e post-conflitto. Di recente ha collaborato alla redazione del volume The Road to Stability: Rethinking Security Sector Reform in Post-Conflict Libya.

Ringraziamenti

L’autrice desidera ringraziare i ricercatori, i giornalisti e i funzionari che hanno sostenuto il suo lavoro condividendo le loro generose osservazioni, così come i colleghi Andrea Cellino, Emadeddin Badi e Archibald Gallet per la loro assistenza durante il processo di stesura. L’autrice desidera inoltre ringraziare Frederic Wehrey, Raphaëlle Guillon e Jacqueline Stomski per i loro utili commenti in fase di revisione. Infine, l’autrice desidera ringraziare tutto il team ECFR, in particolare Edin Dedovic, Julien Barnes-Dacey e Chris Raggett per il feedback costruttivo e il supporto editoriale.

Questo documento è stato reso possibile grazie al sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo al programma Medio Oriente e Nord Africa di ECFR.

ECFR non assume posizioni collettive. Le pubblicazioni di ECFR rappresentano il punto di vista degli autori.