Può l’Iran superare la tempesta delle sanzioni sul petrolio?
Le sanzioni USA contro l’Iran avanzano e gli effetti negativi si ripercuotono a catena sul mercato energetico globale.
Nelle prossime settimane l’amministrazione americana aumenterà la pressione economica sull’Iran imponendo delle sanzioni dirette a ridurre le esportazioni petrolifere del paese. Considerato che queste esportazioni rappresentano una fetta importante delle entrate statali (nonostante gli sforzi governativi per promuovere la diversificazione economica), le misure colpiranno dolorosamente l’Iran. L’impatto delle sanzioni sul mercato energetico si spingerà ben oltre l’Iran, ed è probabile che si assisterà ad un innalzamento del prezzo del petrolio a livello mondiale. Inoltre, le sanzioni potrebbero impattare negativamente sulla sicurezza energetica globale, attingendo da gran parte delle riserve del mercato.
Da quando, nel maggio di quest’anno, il presidente Donald Trump ha ritirato gli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano (formalmente conosciuto come Piano d’azione congiunto globale, o JCPOA), gli ufficiali USA hanno dichiarato che il loro obiettivo è impedire le esportazioni di petrolio dell’Iran. Sebbene la seconda fase delle nuove sanzioni USA non entrerà in effetto prima del 4 novembre, la produzione petrolifera iraniana e le esportazioni hanno già visto un calo – a causa, in parte, delle dichiarazioni contrastanti degli Stati Uniti sull’intenzione, o meno, di concedere esenzioni ad alcuni importatori e alle restrizioni imposte dal round di sanzioni USA di agosto 2018 che hanno riguardato il sistema di pagamento, i trasporti e le assicurazioni.
Se la reale intenzione dell’amministrazione Trump è quella di bloccare le esportazioni di petrolio dell’Iran, questa andrebbe in notevole contrasto con quanto fatto tanto dall’amministrazione Obama quanto dall’Unione europea tra il 2012 e il 2015. Queste misure, di fatti, causarono un calo delle esportazioni di petrolio dell’Iran di circa il 40 percento, facendole arrivare ad un totale di 1,5 milioni di barili al giorno. Le nuove sanzioni, al contrario, potrebbero far calare le esportazioni a meno di un milione di barili al giorno entro novembre. Ci sono diverse ragioni a spiegazione di questa differenza. La prima è che l’amministrazione Trump ha adottato un atteggiamento molto severo nei confronti degli importatori di petrolio dall’Iran. L’amministrazione Obama, imponeva ad altri paesi di ridurre le importazioni di petrolio iraniano, ma non di interromperle. Sebbene l’amministrazione Obama non abbia mai fatto espresse dichiarazioni in merito all’obiettivo da raggiungere con queste riduzioni, si può dire che si aggirasse intorno al 20 percento. E non ultima, si ricordi la decisione dell’UE di mettere al bando le importazioni di petrolio dall’Iran e il blocco quasi totale di tali importazioni da parte degli stati membri UE.
Avendo pagato il conto delle sanzioni USA secondarie tra il 2012 e il 2015, diverse aziende e paesi del mondo sono ora ben consapevoli delle conseguenze dell’inosservanza di tali sanzioni. Hanno inoltre ben chiaro come gli Stati Uniti tengano traccia delle esportazioni iraniane e sanno bene fino a dove possano arrivare le capacità di sorveglianza degli Stati Uniti. L’amministrazione Obama dovette condurre ampi negoziati con gli importatori di petrolio iraniano per spiegare le conseguenze dell’inadempienza delle sanzioni. A questo giro, le regole del gioco sono molto più chiare.
Un ulteriore fattore a spiegare la differenza, sta nel fatto che, al contrario del 2012, al momento vi è abbastanza petrolio per ovviare alle carenze di mercato. Recentemente, i commercianti e gli importatori di petrolio iraniano hanno dichiarato di essere facilmente in grado di trovare dei sostituti per rifornirsi del prodotto. Da maggio, i maggiori produttori di petrolio come Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e altri membri dell’OPEC, hanno nell’insieme aumentato il loro rifornimento di petrolio di circa un milione di barili al giorno, firmando contratti con gli importatori per assicurarsi un rifornimento alternativo a quello del petrolio iraniano. Tuttavia, la sostituzione del petrolio iraniano presenta una minaccia per la sicurezza del mercato energetico mondiale: gli acquirenti stanno sfruttando la maggior parte delle riserve di petrolio mondiali, aumentando il rischio di crescita dei prezzi del petrolio.
Dal momento che i prezzi del petrolio sono attualmente più bassi di quanto non lo siano stati tra il 2012 e il 2015, i tassi di sconto ai quali l’Iran spera di esportare petrolio, spingono relativamente poco gli acquirenti a violare le sanzioni USA. Nel frattempo, avendo imposto restrizioni alle transazioni finanziarie con l’Iran e all’accesso di quest’ultimo al mercato assicurativo, le sanzioni USA entrate in vigore ad agosto 2018 hanno generato un regime ben più restrittivo di quello applicato sotto l’amministrazione Obama.
Le ambiguità in merito alle modalità di applicazione delle sanzioni USA, rendono difficile fare una stima della portata e durata dell’incombente calo delle esportazioni di petrolio dall’Iran. Mentre le sanzioni USA in atto dal 2012 al 2015 sono state accompagnate da misure di simile natura da parte dell’UE e trovavano una base nelle sanzioni ONU mirate a limitare il programma del nucleare iraniano, le attuali sanzioni USA hanno una natura unilaterale e si applicano nonostante Russia, Cina e Europa continuino a sostenere gli esoneri sulle sanzioni come specificato nel JCPOA.
Eppure, le sanzioni USA secondarie hanno dimostrato di essere efficaci. Alcuni segnali fanno intendere che diversi importatori di petrolio iraniano come Giappone, Corea del Sud, Sri Lanka e una maggioranza di paesi europei, dopo novembre non si rivolgeranno più all’Iran per rifornirsi del prodotto. Dal canto suo, anche la Cina, sebbene abbia più volte dichiarato di volere continuare ad importare petrolio dall’Iran, sta tentando di sfruttare tale posizione per contrastare Trump nella sua guerra commerciale in corso con gli Stati Uniti. L’India, il maggior importatore di petrolio iraniano dopo la Cina, ad agosto ha significativamente ridotto le sue importazioni ma sta tuttavia negoziando esoneri dalle sanzioni con l’amministrazione americana.
In seguito all’introduzione delle sanzioni USA sulle transazioni finanziarie legate all’Iran, sull’assicurazione merci e il trasporto tramite navi cisterna, le esportazioni di petrolio greggio dell’Iran sono calate da un ammontare stimato di 2,3 milioni di barili quotidiani nel luglio 2018 a meno di 2 milioni di barili quotidiani nel mese successivo. In tal caso, il calo non è necessariamente legato all’adempimento al bando USA sulle importazioni di petrolio iraniano ma è piuttosto dovuto alle nuove difficoltà di pagamento e trasporto del prodotto. Stando ai contratti di acquisto della National Iranian Oil Company e ad altre fonti, è probabile che entro novembre le esportazioni di petrolio iraniano scendano fino al di sotto di 750.000 – 850.000 barili giornalieri.
Ad agosto, nel mezzo di questo drastico calo di esportazioni di petrolio iraniano, l’OPEC ha aumentato la produzione di petrolio fino a 32,89 milioni di barili giornalieri, il più alto livello raggiunto in dieci mesi. È probabile che l’OPEC aumenterà la produzione nonostante le pressioni dell’Iran contro tale mossa. A far penare Teheran, contribuisce anche la decisione della Russia – che non è un membro OPEC – di aumentare il suo output petrolifero da 148.000 barili giornalieri a 11,215 milioni di barili giornalieri a luglio, andando vicino al suo record post-sovietico di 11,247 milioni di barili giornalieri.
Poiché nessun regime sanzionatorio è immune dai mutamenti del mercato, il tempo potrebbe giocare contro i decisori politici che hanno nel mirino l’Iran. In aggiunta al crescente rifornimento dei paesi OPEC e della Russia, altre condizioni di mercato potrebbero avere un effetto drastico sulle esportazioni petrolifere iraniane. Le ambiziose dichiarazioni dell’amministrazione americana in merito all’estensione e durata delle sanzioni potrebbero portare ad una non adempienza degli obblighi, se non, addirittura, ad un fallimento delle misure prima di quanto pianificato. Ad esempio, se paesi come India e Cina continuassero ad importare petrolio a prezzi vantaggiosi dall’Iran, nonostante l’applicazione del bando di altri, il regime sanzionatorio diventerebbe gradualmente inefficace. Questo è particolarmente vero dato che, prendendo in considerazione il fatto che i prezzi del petrolio aumentano in linea con le prospettive di mercato, la vendita ad un prezzo scontato dei barili di petrolio e il basso costo del trasporto faranno dell’Iran la fonte più appetibile.
Senza dubbio, la nuova ondata di sanzioni USA andrà a danneggiare l’economia dell’Iran. Trovandosi già alle prese con numerose sfide economiche nazionali, il governo iraniano dovrà affrontare con cautela ulteriori tagli alle sue entrate. Sicuramente, avendo superato una diversa serie di embarghi sul petrolio imposti nell’arco degli ultimi quarant’anni da Stati Uniti e Unione europea, i leader iraniani potrebbero decidere di affrontare pazientemente quest’ultima tempesta mettendo in pratica una strategica economia di resistenza. Teheran potrebbe pensare di gestire queste sanzioni senza smettere di rispettare gli accordi del JCPOA, causando così una graduale erosione delle misure sanzionatorie.
Cina, Russia e diversi paesi europei sembrano propensi ad appoggiare questo approccio, creando degli incentivi finanziari per assicurare il rispetto del JCPOA da parte di Iran (nonostante la maggior parte dei paesi e delle compagnie europee siano inclini ad ottemperare alle sanzioni USA). Questi incentivi saranno concepiti per aiutare l’economia iraniana a far fronte alle sanzioni, in parte attenuando il calo delle esportazioni petrolifere.
È ancora da sapere se tale approccio funzionerà. Al momento, l’economia iraniana appare vulnerabile alle nuove sanzioni: negli ultimi mesi la Banca Centrale dell’Iran è stata costretta a svalutare il riyāl più velocemente di quanto non lo abbia fatto tra il 2012 e il 2015. La scossa di assestamento post-svalutazione della moneta e la rapida inflazione potrebbero inasprire i disordini di massa che, a partire dallo scorso gennaio, hanno cominciato a verificarsi nel paese sporadicamente – principalmente espressione del malcontento economico dei cittadini iraniani.
Un reale embargo degli Stati Uniti sulla maggioranza delle esportazioni di petrolio dell’Iran, potrebbe generare una reazione aggressiva da parte del paese. I leader iraniani, incluso il presidente Hassan Rouhani, hanno minacciato di interrompere le spedizioni di petrolio dai paesi limitrofi, prendendo di mira in particolare lo Stretto di Hormuz e/o di Bab el-Mandeb. Non è neanche escluso che l’Iran effettui degli atti di sabotaggio informatico o degli attacchi in Medio Oriente per generare il panico tra i commercianti di petrolio, ciò che determinerebbe un aumento dei prezzi del petrolio a livello globale. Si rischia che tali operazioni portino ad una situazione di caos diffuso e all’eventuale formazione di un’alleanza mondiale politica e militare contro l’Iran.
La prospettiva di un dialogo futuro tra Teheran e Washington sta gradualmente svanendo, mentre le esportazioni di petrolio dell’Iran continuano a diminuire. Tuttavia, le negoziazioni in atto tra i leader iraniani e i sostenitori del JCPOA potrebbero dar vita ad un compromesso che incoraggi l’Iran a rimandare la sua reazione aggressiva, nella speranza che il corso degli eventi volga a suo favore e lo aiuti a superare le sanzioni.
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