Oltre il piano Mattei: la ricerca di una politica italiana per l’Africa

Questa settimana, la Presidente del Consiglio dei Ministri italiana Giorgia Meloni presenterà un urgente e necessario piano strategico per l’Africa. Tuttavia, allo stato attuale, manca una strategia chiara e una necessaria pianificazione.

epa10916635 Mozambique’s President Filipe Nyusi (R) accompanied by Italian Prime Minister Giorgia Meloni (L) upon arrival at a meeting at Presidential Palace in Maputo, Mozambique, 13 October 2023. Photo: picture alliance/EPA/LUISA NHANTUMBO
Il Presidente del Mozambico Filipe Nyusi accompagnato dalla Presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni all’arrivo ad un incontro al Palazzo Presidenziale di Maputo, Mozambico, 13 ottobre 2023
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Questa settimana, la Presidente del Consiglio dei Ministri italiana Giorgia Meloni presenterà un urgente e necessario piano strategico per l’Africa. Tuttavia, per come stanno le cose, manca una strategia chiara e una necessaria pianificazione.

Il 28 e 29 gennaio, il governo italiano terrà il tanto atteso Summit Italia-Africa, dove la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni presenterà un piano strategico per il continente. Il piano prende il suo nome da Enrico Mattei, amministratore pubblico italiano che, nel 1950, sosteneva che l’Italia dovesse supportare i governi del Nord Africa nel far crescere le loro economie e nello sviluppare nuove risorse naturali. Settanta anni dopo, Meloni sta presentando il Piano Mattei come il gioiello della sua politica estera, prefiggendosi ancora una volta di rinnovare l’interesse italiano verso il continente africano. Allo stato attuale, tuttavia, il piano è lontano dall’essere completo.

Guardando all’anno che verrà, l’Italia non può permettersi di rimanere vaga in merito alla politica africana: circa il 40% del suo gas arriva da produttori africani, e questa percentuale potrà solo aumentare; il suo coinvolgimento nel Sahel e nel Nord Africa per mitigare la crescente instabilità e l’interferenza straniera è stato a volte negligente; e nonostante l’80% degli arrivi irregolari in Italia provenga da porti nordafricani, i tentativi di Roma in merito alla cooperazione in materia migratoria sono stati per lo più fallimentari. La crisi climatica ed energetica, l’instabilità politica e la migrazione irregolare difficilmente termineranno nel breve periodo. Nel definire i dettagli del Piano Mattei, il governo italiano farebbe bene a modificare la sua politica africana, passando da reazione ad azione, favorendo la cooperazione con le capitali africane per dare risposta a tali interessi reciproci e a lungo termine.

Enrico Mattei considerava l’Africa il nuovo campo di battaglia tra est ed ovest. Per certi versi, ciò può ancora apparire allo stesso modo: dal Sudan al Mali, la Russia ha intensificato il suo coinvolgimento in Africa, mentre la Nuova Via della Seta cinese ha rafforzato l’influenza del paese nel continente. In passato, l’approccio impiegato dall’Italia, e dall’Occidente in generale, era basato più sul contenimento che su interessi reciproci o sulla collaborazione alla pari – e molti africani ricordano ciò con sdegno. Il quadro non è aiutato dal fatto che l’Italia non ha mai fatto i conti con il suo passato coloniale ed ha largamente ignorato la sua responsabilità morale verso i diritti violati nelle ex colonie. Questa diffusa ignoranza è dunque terreno fertile per Meloni per presentare il Piano Mattei come non-predatorio per le controparti africane, nonostante non ci sia nessuna evidenza a sostanziare ciò. Al contrario, il successo delle nuove iniziative tra l’Italia e il continente africano richiede una consapevolezza storica ed una profonda lungimiranza della sua ricezione.

Meloni non è la prima premier italiana che si concentra nel rinsaldare le relazioni con l’Africa. Nel 2007, Romani Prodi fu il primo Presidente del Consiglio italiano a visitare l’Unione Africana. In seguito, Matteo Renzi ha intensificato tali sforzi. Tra il 2014 e il 2016 ha annunciato l’apertura di cinque nuove ambasciate nel continente, ha approvato una nuova legge per l’aiuto allo sviluppo ed ha visitato sette capitali africane con il fine di stimolare cooperazione, investimenti e relazioni più strette. Tuttavia, diversamente dal suo predecessore, Meloni sembra aver capito che, affinché il coinvolgimento italiano in Africa ripaghi in termini di influenza, è necessaria una politica pluriennale supportata da precisi strumenti di policy.

Sfortunatamente, dietro la convinzione che siano necessari, i contenuti strategici e gli strumenti politici rimangono un enigma. Fino ad ora, il governo ha rilasciato un decreto per l’erogazione di 3 milioni di euro per creare una struttura in grado di gestire il piano. Al momento è chiaro che Palazzo Chigi sarà al comando, ma ciò non è nuovo. Come con molti altri dossier, Meloni ha bypassato gli strumenti tradizionalmente utilizzati e probabilmente meglio dotati, quali la Farnesina – il Ministero degli Affari Esteri italiani – o l’Agenzia italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, e gli strumenti di programmazione e coordinamento previsti dalla legge sulla cooperazione allo sviluppo. Di questo passo, la nuova struttura del Piano Mattei necessiterà di almeno sei mesi per entrare in azione e nel frattempo la sua strategia, i suoi obiettivi e i suoi finanziamenti rimangono sconosciuti.

Per quanto riguarda la strategia, le dichiarazioni della premier suggeriscono che il Piano Mattei ha l’obiettivo di stimolare gli investimenti nel continente, con un focus sulle forniture di energia. Questa sembra una visione un po’ datata. Iniziare una politica di investimento nell’energia fossile africana mentre si cerca di rendere l’economia italiana indipendente dai combustibili fossili appare, nel migliore dei casi, incoerente e richiede più anticipo. Al contrario, il Piano Mattei dovrebbe concentrarsi nello sviluppare delle riserve di energia a prova di futuro che beneficino l’Italia e il suo paese alleato, seguendo le orme del nuovo accordo dell’Unione Europea sull’idrogeno verde con la Namibia, per esempio.

Tuttavia, prima di ogni cosa, molti paesi africani ai quali l’Italia è più vicina, sia mediante le comunità di migranti, come il Senegal, sia per mezzo di coinvolgimenti storici, come Etiopia o Mozambico, necessitano più di semplici accordi energetici, ed in alcuni casi possono non essere nella posizione di aderirvi. Senza dubbio, alcuni paesi del Sahel, del Nord Africa e del Corno d’Africa stanno mostrando dei forti segnali di conflittualità interna. Ed in questi casi, ricercare investimenti privati nei mercati energetici nella striscia del Shel, che ha visto ben otto colpi di stato negli ultimi tre anni, potrebbe rivelarsi difficile, così come l’incapacità dello stato di facilitare e implementare tale accordo.

I policymaker italiani dovrebbero iniziare dall’investire in sforzi di mediazione. Questo tipo di approccio potrebbe essere utile per gli interessi italiani, che riguardano principalmente la stabilità dei vicini paesi africani, in particolare in relazione ai flussi migratori e alla neutralizzazione dell’influenza russa e cinese. Questo è un ambito in cui l’Italia, contando sulle capacità della Farnesina e della società civile (come Sant’Egidio), è riuscita a raggiungere dei risultati notevoli in passato (per esempio l’accordo di pace firmato nel 1992 tra FRELIMO e RENAMO che ha messo fine alle tre decadi di guerra civile in Mozambico). In futuro, il governo di Roma farebbe bene a mettere a disposizione ancora una volta tali strumenti per la cooperazione allo sviluppo.

In merito al finanziamento, l’Italia sta facendo i conti con delle difficoltà di budget e le risorse sono generalmente scarse. Senza denaro, tuttavia, non si può fare nulla, men che meno una politica tangibile per 23 volte la popolazione italiana. I paesi africani hanno partecipato a numerosi Summit internazionali nel corso delle due decadi passate, dal Forum per la Cooperazione tra Italia e Cina, attualmente al suo ottavo anno, alla Partnership tra Italia ed UE, che ha promesso sostanziali piani umanitari. Senza risorse sufficienti, il piano italiano impallidirà al confronto. Per evitare di apparire inattendibile, l’interesse proclamato di Roma nel continente deve essere sostenuto da allocazioni finanziarie adeguate. Meloni, che tra le sue prime iniziative ha tagliato i fondi per gli aiuti umanitari stranieri nel bilancio del 2023, dovrebbe invece dotare l’Italia di un programma pluriennale di allocazioni che permetterà al paese di raggiungere l’obiettivo della Nazioni Unite dello 0.7% del GDP per gli aiuti allo sviluppo nel 2023.

Infine, una nota riguardante il nome del piano: la nostalgia può essere una trappola. Usare il nome di un anti-fascista, pragmatico e visionario italiano può essere evocativo, ma Italia ed Africa non sono più quelle di Enrico Mattei. Non ci può essere nessuna politica italiana per l’Africa senza o contro l’Europa. Il grande progetto italiano per l’Africa può funzionare solo in accordo con progetti europei di mediazione e stabilizzazione in Africa. A questo riguardo, il governo di Roma dovrebbe guidare ulteriori impegni attraverso la Commissione Europea per rafforzare i tentativi di mediazione nei conflitti africani. Ma, per coordinare tali sforzi di mediazione, sono necessari fondi, persistenza, buone relazioni con le altre capitali europee (iniziando con Parigi) e continui impegni politici, più che idee generiche che potrebbero scomparire dopo una campagna elettorale. Questa sarà una prova ed un’opportunità, per l’Italia e per l’Europa.


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