Mosca chiama Teheran risponde: Scenari e conseguenze dell’utilizzo russo dei droni iraniani in Ucraina

È improbabile che il chiacchierato acquisto russo di droni iraniani abbia un impatto importante nella guerra contro l’Ucraina. Non è chiaro di quanto tempo le forze russe avrebbero bisogno per utilizzare in modo efficiente questi sistemi.

UAV alla parata nazionale dell’Esercito iraniano a Teheran
Immagine di Hamid Vakili

La Russia intende dotarsi di velivoli a pilotaggio remoto (unmanned aerial vehicles – UAV) iraniani – inclusi modelli armati – per sostenere la guerra in Ucraina. Nonostante questo possibile sviluppo abbia suscitato grande scalpore mediatico, è però improbabile che questi droni – così sono comunemente chiamati questi sistemi – abbiano un impatto significativo sull’andamento del conflitto.

La notizia del possibile acquisto, rivelata dal Consigliere americano per la sicurezza nazionale Jake Sullivan ma prontamente smentita da Teheran, offre diverse indicazioni sulla tipologia e sul possibile utilizzo dei sistemi che la Russia potrebbe ricevere dall’Iran. Al contempo, conferma anche le carenze strutturali dei droni russi, specialmente per quanto concerne i sistemi con capacità offensive, il cui impatto nel teatro ucraino appare finora assai modesto.

Alcuni dei più noti droni russi come l’Eleron-3 e l’Orlan-10, entrambi aventi dimensioni ridotte e usati per scopi di intelligence, sorveglianza, acquisizione di obiettivi e ricognizione, sono stati decimati dai sistemi per la guerra elettronica e le difese aeree a corto raggio ucraini. In termini di droni armati, la Russia possiede solo un numero limitato di Inokhodets, di fabbricazione domestica, e Forpost-R, originariamente basati sul Searcher II israeliano, e li sta utilizzando in maniera selettiva e con risultati risibili. Similmente, le munizioni circuitanti prodotte a livello nazionale come la Zala KYB, dotata di una testata esplosiva di 3 kg e di un raggio operativo di 40 km, stanno dimostrando poca affidabilità dovuta a frequenti malfunzionamenti.

È anche vero che la Russia può facilmente rimpiazzare sistemi come l’Orlan-10 e l’Eleron-3 anche tramite donazioni pubbliche di UAV facilmente reperibili sul mercato civile. Ma non può fare lo stesso per droni da attacco che richiedono componentistica avanzata e tempi di produzione più lunghi. Questo problema è ulteriormente acuito dall’impossibilità di reperire materiali e componenti tecnologiche d’importazione per via delle sanzioni occidentali. Sebbene sia imprudente sottovalutare la resilienza dell’industria della difesa russa, tale difficoltà è destinata a peggiorare nel medio-lungo periodo. Ne è esempio il recente sequestro – ad opera delle autorità italiane – di un consistente carico di componenti per droni provenienti dagli Stati Uniti, che era con ogni probabilità destinato alla Russia attraverso il Qatar.

Mosca sta avendo enormi difficoltà nel contrastare il crescente numero di sistemi di artiglieria a lunga gittata che l’Ucraina sta ricevendo dai partner occidentali, come ad esempio gli HIMARS e gli M270, che le forze di Kiev hanno utilizzato per distruggere svariati depositi di munizioni e centri di comando russi nelle ultime settimane. Anche per questa ragione, la Russia ha un disperato bisogno di droni con capacità di attacco – sull’esempio del TB2 di fabbricazione turca usato dall’Ucraina – relativamente sacrificabili e che siano in grado di penetrare in profondità nel territorio nemico per colpire la nuova artiglieria ucraina. L’Iran è sicuramente in grado di soddisfare queste esigenze, fornendo droni da attacco economici e velocemente dispiegabili.

La Repubblica Islamica da tempo produce un’ampia varietà di droni, da piccoli sistemi tattici a UAV di categoria MALE (medium altitude long endurance) equipaggiati con sistema di guida satellitare e munizioni guidate, alcuni dei quali sono copie di sistemi americani e israeliani catturati negli anni.

Teheran ha puntato fortemente sui droni principalmente per necessità, al fine di compensare le carenze strutturali di un’aviazione atrofizzata da decenni di sanzioni internazionali. Ciò ha fatto sì che il programma di droni iraniano abbia ricevuto crescenti risorse e investimenti e sia diventato il fiore all’occhiello delle forze armate del Paese.

Negli ultimi anni, inoltre, Teheran ha esportato i propri droni in paesi come l’Etiopia e il Venezuela, oltre a fornirne grandi quantità a varie formazioni paramilitari alleate in Medio Oriente, come Hezbollah in Libano e gli Houthi nello Yemen, che li hanno utilizzati per attaccare rispettivamente Israele e vari obiettivi in Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. L’Iran ha anche costruito un impianto di produzione di droni Ababil-2 in Tajikistan, contribuendo così a rafforzare il proprio status di potenza militare a livello regionale.

Teheran potrebbe quindi soddisfare le necessità militari di Mosca, fornendole sistemi come Mohajer-6 e Shahed-129, che sono stati testati sul campo in Siria e Iraq, nonché contro minacce interne. Entrambi questi droni possono utilizzare varie munizioni guidate e hanno un raggio operativo rispettivamente di 200 e oltre 1.000 km.

Citando fonti di intelligence, il Consigliere americano per la sicurezza nazionale Sullivan ha confermato che una delegazione russa ha ispezionato droni Shahed-129 e Shahed-191 dislocati presso la base aerea di Kashan durante due recenti visite segrete effettuate a giugno e luglio. Lo Shahed-191, che può portare fino a due bombe plananti guidate Sadid-342, è un drone da ricognizione e attacco con struttura a tuttala basato sullo UAV RQ-170 americano catturato dall’Iran nel 2011.

Tra gli altri sistemi iraniani che potrebbero fare comodo alla Russia sono inclusi anche il Kaman-12, e i droni Karrar e Ababil-2. Il primo, di recente introduzione, è in servizio con l’aviazione iraniana, ha un raggio operativo dichiarato di 1.000 km e può essere equipaggiato con quattro munizioni guidate di vario tipo, inclusi missili anticarro Almas e Akghar. Karrar e Ababil-2 sono invece due sistemi versatili e veloci che la Russia potrebbe utilizzare per ricoprire svariati ruoli, dalla ricognizione all’attacco, inclusa la modalità kamikaze, e come bersagli per rivelare la posizione dei sistemi di difesa aerea ucraini.

Non vi sono dati precisi sulla capacità produttiva iraniana nel comparto droni, ma negli ultimi due anni Teheran ha sviluppato ed espanso il proprio arsenale in maniera significativa ed è plausibile ritenere che possa fornirne un’ingente quantità all’alleato russo. Proprio questo aspetto quantitativo, insieme al loro costo relativamente basso rispetto ai sistemi di altri competitors, rappresenta un fattore chiave che rende i droni iraniani particolarmente appetibili per Mosca.

È invece improbabile che i Russi acquistino modelli come il Fotros, il drone iraniano di dimensioni maggiori, per via di un uso operativo sostanzialmente nullo e di una produzione ad oggi alquanto limitata.

La Russia potrebbe altresì valutare l’acquisto di munizioni circuitanti che l’Iran ha recentemente iniziato a produrre in grandi quantità. Tra queste, le più probabili sono l’Arash, un sistema con propulsione a elica e dalla lunga gittata, e il modello Shaed-136, che Teheran ha con ogni probabilità già fornito ai ribelli Houthi nello Yemen e che può anche essere impiegato in sciami.

Ciononostante, sebbene negli ultimi anni l’Iran abbia compiuto enormi progressi nel campo dei velivoli a pilotaggio remoto, poco o nulla si sa sugli effettivi risultati ottenuti nei teatri di guerra dove sono stati utilizzati. Questo comporta un’oggettiva difficoltà nel giudicare le loro reali capacità. Pertanto, resta da vedere quale impatto potrebbero avere in un contesto operativo complesso come quello ucraino, caratterizzato da una forte presenza di difese aeree a corto e medio raggio supportate da assetti per la guerra elettronica.

È inoltre difficile prevedere il livello di supporto, in termini quantitativi e di munizionamento, che l’Iran potrà dare alla Russia, nonché le tempistiche necessarie affinché le forze russe possano familiarizzare con questi sistemi e adoperarli sul campo. Più queste saranno dilatate, minori saranno le chance di un impatto significativo sull’andamento delle operazioni militari.

Infine, con l’eccezione dei missili anticarro guidati Ghaem-9 e Akhgar, rispettivamente con una gittata di 20 e 30 km, le munizioni compatibili con gli UAV iraniani hanno un raggio limitato e la loro effettiva precisione contro bersagli in movimento è tuttora incerta.

Ciò significa che i droni dovrebbero comunque avvicinarsi in maniera significativa al bersaglio, aumentando così la propria vulnerabilità rispetto alle contromisure ucraine. Questo aspetto è particolarmente rilevante proprio nel caso di operazioni contro i sistemi di artiglieria semoventi forniti dall’Occidente, dotati di grande mobilità e costantemente protetti da assetti di difesa antiaerea a corto raggio.

In generale, l’opzione dei droni iraniani non è una novità, dato che Mosca ha acquistato droni stranieri anche in passato. Nel 2010, la Russia avviò un’importante partnership con la compagnia israeliana Israel Aerospace Industry (IAI) per produrre localmente il drone Searcher-II, rinominato Forpost dai russi. Nel 2016, tuttavia, il governo israeliano ha interrotto l’accordo a seguito di crescenti pressioni americane legate all’uso del drone nei territori separatisti in Ucraina. Questo ha spinto la Russia a localizzarne completamente la produzione, creando una versione aggiornata nota come Forpost-R, già utilizzata anche in Ucraina. In un certo senso, la cooperazione con Israele è stata fondamentale per l’avvio del programma droni della Russia.

Complessivamente, se da un lato i droni iraniani sarebbero meglio di nulla, un loro impatto significativo a favore della Russia in seno al conflitto in Ucraina appare poco probabile. Del resto, anche i droni di fabbricazione turca usati dall’Ucraina non possono, da soli, essere decisivi. I droni iraniani, peraltro, non risolverebbero il principale problema che Mosca deve fronteggiare: come trovare risorse umane sufficienti per rigenerare e ruotare le proprie forze in modo da sostenere nuove operazioni e, soprattutto, mantenere il controllo dei territori conquistati.

Questo conferma che, come sempre in ambito bellico, è pericolosamente fuorviante leggere gli eventi attraverso l’impatto o il ruolo di un singolo sistema d’arma.

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