Il doppio volto di Giano della politica migratoria europea

Nonostante la politica della porta aperta della Germania, sembra che l'Unione europea si stia ripiegando su suoi vecchi e familiari schemi

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Nonostante la politica della porta aperta della Germania, sembra che l'Unione europea si stia ripiegando su suoi vecchi e familiari schemi. Nell’ultimo anno, la strategia europea volta a fronteggiare la crisi dei rifugiati è consistita in un mix di messaggi e di politiche, rimanendo intrappolata tra le “due facce” dell'Europa: da un lato un’Unione che sostiene norme liberali, dall’altro una “fortezza Europa” sempre più illiberale. Nonostante la mutevolezza della posizione europea, si possono osservare due costanti: una data dall'arrivo continuo di rifugiati e di migranti irregolari, l’altra dall'incapacità dell'Europa di affrontare la crisi.

L'annuncio dell’ Austria del 20 gennaio, che impone un limite alle domande di asilo, rappresenta l'ultimo sviluppo in un ciclo infinito di reazioni adottate dagli Stati membri per controllare l'arrivo dei rifugiati e limitare l'accesso allo strumento dell’asilo. Non è chiaro in che modo la decisione dell'Austria di limitare il numero di richieste all’ 1,5% della popolazione possa essere attuato, se si considera che il diritto di asilo dell'UE e la Convenzione di Ginevra sui rifugiati non lo consentono. L'unico modo per porre un benché minimo limite è attraverso un meccanismo di condivisione degli oneri, attraverso l’assegnazione di quote agli Stati membri.

La crisi dei rifugiati non ha creato una nuova spaccatura politica all'interno dell'Unione, ma ne ha rivelato una preesistente, almeno in relazione all’immigrazione. Il sistema è stato costruito su basi ineguali fin dall'inizio. In effetti è stata attribuita una responsabilità sproporzionata agli stati in prima linea, costretti a fare da guardiani alla zona Schengen.

L’attuale schizofrenia nell’Unione, in cui alcuni Stati membri praticano la politica della porta aperta mentre altri costruiscono recinzioni contro i rifugiati, non è una novità. La sua manifestazione invece lo è. Il problema di fondo è dato dal fatto che  l’immigrazione viene ancora affrontata dagli Stati membri in due modi contraddittori: in primo luogo le persone vengono dissuase dal venire in Europa. Tuttavia a quelli che arrivano viene offerta protezione. Questo approccio contraddittorio è stato mantenuto e ha permesso agli Stati membri di evitare di assumere una responsabilità condivisa in materia di immigrazione e asilo. Non esiste ancora una politica coerente in materia di asilo europeo, nessun riconoscimento condiviso delle richieste accordate, e nessuna politica migratoria coerente che impegni i paesi terzi in un modo che risulti vantaggioso per entrambe le parti.

Nel 2015 più di un milione di rifugiati e migranti irregolari hanno attraversato le frontiere esterne dell'Unione europea attraverso le rotte marittime,  e circa l’80% è entrato attraverso la Grecia. Dal momento in cui l’UE ha cominciato ad avere difficoltà nel far fronte alla crisi, la doppia faccia della politica migratoria europea è riemersa. Da un lato, la Germania ha unilateralmente dichiarato che i rifugiati sarebbero stati accolti, e sebbene si trattasse di una tattica per ottenere un plauso morale, pochi in Europa l’hanno attivamente sostenuta. Il fatto che il ricollocamento dovesse essere concordato con un voto a maggioranza è stato il chiodo nella bara per un'Unione europea che continua a combattere con un dilemma esistenziale: garantire la protezione dei propri cittadini e contemporaneamente accogliere chi ha bisogno di sicurezza.

Adesso è possibile ammettere come il ricollocamento abbia fallito e come il suo fallimento fosse sistemico.

In primo luogo, l’ideazione del sistema di ricollocamento ha evidenziato una comprensione limitata dei flussi migratori, in modo particolare di  ciò che li motiva e li attrae. Nessuno, per esempio, ha spiegato per quale motivo la Grecia registri un tasso molto basso di domande di asilo, nonostante il nuovo Sistema di asilo della Grecia. 

La Grecia non è un paese di “destinazione finale” per i richiedenti asilo da più di un decennio. La sola  crisi finanziaria implica che le prospettive di occupazione nel paese rimangono esigue, a voler essere generosi. Se si considera la mancanza di sussidi statali ai richiedenti asilo in Grecia, non è sorprendente comprendere il perché Germania e Svezia siano le destinazioni preferite. Non sono i sussidi finanziari di per sé ad attirare le persone, ma le garanzie, anche minime, che lo Stato li sosterrà e consentirà loro di diventare membri attivi della società.

Gli ideatori del sistema di ricollocamento  hanno anche fallito nel considerare il ruolo dei trafficanti, i quali forniscono un mezzo di ingresso in Europa più veloce di quanto riescano a fare i  meccanismi burocratici degli stati membri. Al culmine della crisi dei rifugiati, nell'estate del 2015, una famiglia poteva raggiungere la Germania in una settimana.

Quattro mesi dopo, sulle 120.000 persone precedentemente concordate, solo 272 sono state trasferite dalla Grecia e dall'Italia. La Germania ha considerato gli hotspots come un prerequisito per il ricollocamento Tuttavia, sebbene l'Italia ne abbia tre, i numeri dei trasferiti rimane estremamente basso. Ciò è in parte dovuto alla mancanza di volontà degli Stati membri di farsi avanti in questa sfida, in parte a causa dei difetti nel sistema.

Allo stato attuale, la rotta dalla Grecia ai Balcani occidentali rimane aperta solo per iracheni, afgani, eritrei o siriani che detengono documenti validi e che vogliono chiedere asilo in Germania e Austria. Al loro arrivo in Grecia, viene chiesto loro di dichiarare il loro paese di destinazione e ciò gli verrà chiesto nuovamente ad ogni passaggio di frontiera. Sebbene la Germania stia cercando di ridurre gli arrivi da 10.000 a 3.000 al giorno, lo stesso non si può dire per la Grecia, che gestisce il confine più poroso nell'UE, e che ha già registrato 43.000 ingressi dall'inizio del 2016.

Come in precedenza, i leader europei continueranno come meglio possono a spingere il problema oltre la propria porta di casa e verso i propri vicini. In primo luogo in Grecia, poi in Turchia: chi sarà il prossimo? Non è realistico aspettarsi che la Turchia sia in grado (o voglia) sostenere il peso del crescente numero di rifugiati a tempo indeterminato. L'idea della relocation direttamente dalla Turchia è una potenziale soluzione, ma  si scontra con lo stesso problema fondamentale. Gli Stati membri devono essere disposti a partecipare e non può essere solo la Germania a farlo. Gli inviti ad un aumento dei controlli alle frontiere, la discussione per spingere la Grecia fuori da Schengen, il rafforzamento dei Balcani occidentali, e la graduale riduzione dei diritti e delle tutele sviluppati in seguito alla Seconda Guerra Mondiale (ad esempio il ricongiungimento familiare) sono tutti indicatori di come l'Europa stia regredendo.

Il tentativo della Germania di affrontare la crisi su più fronti resta l'unica opzione praticabile e l'unico indicatore, al momento, di un modo di procedere che guarda al futuro. Tale strategia implicherebbe per la Turchia il miglioramento delle condizioni dei rifugiati siriani, al fine di assicurare che siano in grado di rimanere nel paese in una prospettiva a lungo termine. La Grecia dovrebbe realizzare hotspots e creare strutture di accoglienza per disciplinare gli arrivi, sebbene il ricollocamento dovrà essere rimodulato per tener conto di un numero limitato di richieste di asilo.

Dovrebbe essere istituito uno schema di ricollocamento più ampio che comprenda la partecipazione dei paesi al di fuori dell'UE. Occorrerebbe inoltre continuare a perseguire una soluzione politica del conflitto siriano, per poter gestire almeno una parte di arrivi. Tuttavia, nessuna di queste misure può essere efficace da sola, a meno che gli Stati membri dell'UE non impegnino maggiori risorse finanziarie e umane, condividendo oneri e responsabilità. Ciò richiede leadership e visione politica di un’Europa in grado di far progredire se stessa e gli altri.

Nell’antica religione romana, Giano era il Dio della transizione, dei varchi e della fine. Le porte del suo tempio erano aperte in tempo di guerra e chiuse in tempo di pace. Anche le porte dell'Europa si stanno chiudendo in fretta, e a quanto pare non solo per i rifugiati, ma anche tra gli Stati membri.

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