Mali e Algeria a confronto nella difficile ricerca della pace

Quest’estate Ibrahim Boubacar Keita è stato rieletto presidente del Mali. Il suo piano per la pace del paese potrebbe fermare il conflitto, ma come dimostra il caso algerino, il processo di riconciliazione può essere scoraggiante.

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Nel giugno di quest’anno, l’Assemblea Nazionale del Mali ha approvato un testo di una nuova legge di riconciliazione nazionale (“law of national understanding”) che mira a guarire le sempre più profonde ferite del paese. La legge è intesa ad adempiere all’Accordo per la pace e la riconciliazione in Mali, firmato ad Algeri nel 2015 per risolvere il conflitto esploso tre anni prima con la ribellione dei Tuareg. La legge è stata proposta dal Presidente del Mali Ibrahim Boubacar Keita alle fine del 2017 ed è poi stata presentata in Parlamento dal Primo Ministro Soumeylou Boubèye Maiga. Vista la conferma ad agosto di Keita come Presidente e l’ulteriore nomina di Maiga come Primo Ministro, è probabile che la legge rimanga un aspetto chiave del piano di riconciliazione del governo.

Al momento della proposta della legge, Maiga e altri leader maliani senior specificarono che questa avrebbe tratto ispirazione dall’iniziativa di riconciliazione civile dell’Algeria (Algeria’s Civil Concord) e dalla Carta per la Pace e la Riconciliazione nazionale che vennero adottate in seguito alla violenta guerra civile degli anni ‘90. Un paragone tra il conflitto del Mali e quello dell’Algeria, nonché dei rispettivi contesti da cui sono scaturiti, possono essere di aiuto nel far luce sulle prospettive di riconciliazione in Mali.

Sembrerebbe che, nel breve termine, l’impatto della nuova legge sulla riduzione della violenza o su una concreta riconciliazione del Mali sarà minimo, dal momento che le vittime del conflitto in corso continuano a non avere accesso alla giustizia. Inoltre, sono poche le riforme della governance che recheranno un sostanziale beneficio ai cittadini maliani. In aggiunta, l’Unione europea e gli stati membri continuano ad investire massicciamente nel processo di pace del Mali – cui la riconciliazione è un elemento chiave – così come in programmi relativi ad esso. Ad esempio, l’UE ha stabilito un programma di 12 milioni di euro per sostenere la giustizia in Mali, mentre il governo danese e tedesco stanno investendo in progetti di dialogo e riconciliazione. In un momento in cui l’intervento internazionale nel Sahel sta aumentando – tramite l’Alleanza per il Sahel, il sostegno al G5 Sahel e ad una molteplicità di altri programmi – il destino del processo di pace del Mali, e in particolar modo i suoi sforzi per la riconciliazione, sono di un’importanza cruciale non soltanto per il paese in sé ma anche per l’intera regione del Sahel e l’Europa.

Cosa si può imparare dall’Algeria?

L’accordo di pace del Mali prevede che il governo crei una carta per la pace, l’unità e la riconciliazione nazionale. Il prodotto finale ha delle forti similitudini con le leggi approvate in Algeria nel 1999 e nel 2006 sotto il Presidente Abdelaziz Bouteflika. Queste leggi concessero l’amnistia tanto ai militanti quanto al personale di sicurezza statale che commisero violazioni meno gravi degli omicidi di massa, stupri, o altri crimini contro l’umanità. Le disposizioni chiave della versione maliana includono delle misure di compensazione per le vittime di reati e le loro famiglie, nonché un programma di reintegrazione di queste persone nella società. In modo analogo, l’articolo 3 della legge di riconciliazione non ancora pubblicata, chiama al rigetto dell’azione giudiziaria nei confronti di chiunque abbia commesso reati durante la ribellione del 2012 e nel periodo che l’ha seguita. Tale articolo include quei reati che possono essere puniti applicando il codice penale maliano così come altre convenzioni o leggi internazionali sui diritti umani ratificate dal Mali. Come la sua controparte algerina, la legge maliana non si applica a chiunque sia stato ritenuto di aver commesso reati di guerra, crimini contro l’umanità, stupri, e altri crimini che sono ritenuti ovvi e non possono essere cancellati con il passare del tempo. La legge comprende altresì delle disposizioni sulla compensazione per le vittime del conflitto e le loro famiglie, e un programma di reintegrazione di tali persone nella società.

L’articolo 12 precisa che gli accantonamenti dell’azione giudiziaria si applicano ad individui piuttosto che ad interi gruppi armati. L’articolo 14 stabilisce che questi si applicano a qualunque membro di un gruppo armato che abbia firmato l’accordo del 2015 e non abbia commesso reati dopo tale firma, e ai membri dei gruppi armati firmatari che aderirono all’accordo come singoli individui.

Per beneficiare delle misure, i cittadini maliani devono presentarsi alle autorità entro sei mesi dalla pubblicazione della legge e consegnare armi, munizioni, e qualsiasi altro oggetto letale in loro possesso. (Questa condizione si applica anche in Algeria, dove i militanti spesso si costituiscono di loro spontanea volontà alle autorità.)

Benché la legge maliana non sia ancora entrata in vigore, a Bamako il governo ha già concesso l’amnistia ad alcune persone, specialmente jihadisti. Una persona di alto profilo ad aver beneficiato dell’amnistia è Houka Houka Ag Alfousseiny, il principale qadi (giudice islamico) di Timbuktu durante l’occupazione jihadista della città nel 2012. Rilasciato dal carcere nel 2014, come risultato delle negoziazioni dell’Accordo di Algeri, Houka Houka, come viene riportato, ha emesso diverse ingiunzioni sulla corretta pratica della sharia ed è persino apparso accanto al governatore della regione di Timbuktu a febbraio 2018. Nonostante le truppe francesi impegnate nell’Operazione Barkhane nel Sahel abbiano, a quanto riferito, eseguito più di un raid nella sua abitazione a Zouera e arrestato uno dei suoi più vicini collaboratori, Houka Houka non è stato arrestato. Alcuni rapporti indicano che Mali, Francia e Algeria abbiano stretto un accordo per concedere l’amnistia ai militanti jihadisti che si siano consegnati alle autorità – un esempio di come le leggi di riconciliazione possano essere utilizzate per dividere e indebolire i gruppi militanti.

L’approccio adottato dal Mali presenta delle somiglianze con il processo intrapreso dall’ Algeria negli anni ’90 che, a suo tempo, contribuì a porre fine alla guerra civile; tuttavia, il processo di pace in Mali ha di fronte a sé delle sfide tali che rendono la sua efficacia improbabile. Ad esempio, sebbene la guerra civile algerina abbia colpito alcune aree del paese più di altre, gli abitanti algerini di molte delle aree più popolate furono costretti a convivere con attacchi frequenti, l’imposizione del coprifuoco e un regime di sicurezza militarizzato. Ad Algeri, quasi ogni famiglia che visse durante gli anni ’90 ha oggi dei ricordi di guerra da raccontare – un trauma che ha aiutato a mantenere un sostegno relativamente diffuso nei confronti del processo di riconciliazione istituito dal Presidente Bouteflika poco dopo la sua elezione.

Al contrario, a dispetto dei numerosi attacchi verificatesi a Bamako negli ultimi anni, il maggior numero delle violenze in Mali si sono verificate nelle aree meno densamente popolate del nord e centro del paese. Questa configurazione sta però cambiando, in quanto l’insorgenza di conflitti intercomunitari sta colpendo in misura crescente aree più popolate del Mali centrale. Tuttavia, a sud, la vita quotidiana continua a svolgersi in maniera pressoché regolare, sebbene altre parti del paese siano in fiamme. Ne è un esempio la decisione del governo di accettare i risultati anticipati delle elezioni di quest’anno nonostante la chiusura, per ragioni di sicurezza, di centinaia di seggi elettorali nel centro del Mali. Ciò riduce la pressione esercitata sul governo affinché avanzi delle significative negoziazioni di pace, così come il potenziale sostegno a tali disposizioni da parte dei cittadini.

Un’ulteriore importante differenza tra i conflitti del Mali e dell’Algeria risiede nella natura delle rispettive insurrezioni emerse quando il governo implementò le strategie di amnistia e riconciliazione. Al momento dell’elezione di Bouteflika in Algeria, il movimento jihadista si trovava in declino. Ciò era dovuto ad una serie di diversi fattori, tra cui l’intensa pressione militare esercitata sul Gruppo Islamico Armato (GIA) e l’Esercito Islamico di Salvezza (AIS), braccio armato del Fronte Islamico di Salvezza (FIS). La crescente brutalità del GIA e diversi massacri di civili contribuirono a portare la popolazione a sostegno dell’accordo di riconciliazione.

La frammentazione e l’indebolimento dei gruppi jihadisti dell’Algeria – che contribuirono a rendere il processo di pace possibile – discesero da anni di conflitto, negoziazioni e crescente faziosità. Un tentativo di accordo di pace che includeva parte del FIS venne avanzato a Sant’Egidio nel 1995. Sebbene il GIA e il governo algerino rifiutarono l’accordo, nel 1997 l’AIS dichiarò un cessate il fuoco unilaterale dopo aver preso parte a feroci lotte con altri islamisti e aver ricevuto intense pressioni da parte del governo. Questi sforzi spianarono la strada alle negoziazioni e aiutarono Bouteflika a reintegrare i combattenti nella società.

In Mali, la situazione è molto differente. Il clima di sicurezza del paese continua a deteriorarsi malgrado l’uccisione o la cattura di numerosi importanti leader militanti e i rinnovati sforzi dell’Operazione Barkhane. Stando alle stime delle Nazioni Unite (presumibilmente prudenti), nella prima metà del 2018 gli attacchi in Mali sono raddoppiati rispetto a quanti verificatesi nello stesso periodo l’anno precedente. È difficile far uscire i gruppi armati dall’isolamento quando hanno l’impressione di essere vittoriosi – o, per lo meno, quando non vedono alcun vantaggio nell’arrendersi.

I rischi dell’impunità

Il processo di pace del Mali offre ai combattenti, e in particolare ai jihadisti, un percorso di riabilitazione. L’Alto Consiglio per l’Unità dell’Azawad (HCUA) – forza dominante tra le organizzazioni ombrello per i ribelli maliani – e la ramificazione del gruppo jihadista di Ansar al-Din, sono parte integrale del processo di pace. Benché, teoricamente, le autorità potrebbero perseguire i membri dell’HCUA e di altri gruppi armati per reati commessi durante e dopo la ribellione del 2012, il loro ruolo nel processo di pace offre loro una certa tutela contro ciò – così come contro le operazioni francesi e militari. Tutto avviene malgrado le ripetute accuse (del governo francese e di altre figure) rivolte ai membri dell’HCUA di mantenere legami con il gruppo affiliato di al-Qaeda, il Gruppo per il Sostegno all’Islam e ai Musulmani (JNIM), il gruppo ombrello annunciato nel marzo del 2017 da al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM), Ansar al-Din, e numerose altre unità jihadiste semi-autonome. Di fatti, gli osservatori regionali e gli ufficiali di sicurezza ritengono che i militanti maliani si muovano spesso liberamente tra jihadisti e altri gruppi chiaramente non jihadisti.

Fino all’ottobre 2016, quando venne assassinato, Cheick Ag Aoussa, ex comandante del gruppo Ansar al-Din, guidò le operazioni militari dell’HCUA malgrado il suo presunto coinvolgimento nel massacro di più di 100 soldati maliani a gennaio 2012. Molti dei quali commisero reati dall’inizio della ribellione, sono poi riusciti ad evitare l’azione giudiziaria semplicemente unendosi a gruppi armati associati con l’Accordo di Algeri o integrandosi nei meccanismi di sicurezza del processo di pace sostenuto dalla comunità internazionale. Persino le sanzioni sul Mali adottate lo scorso anno incideranno probabilmente su pochi individui.

Come la sua controparte algerina, il processo di pace e riconciliazione del Mali potrebbe avere altri significativi effetti sulla società. In Algeria, il processo di riconciliazione ha aiutato un paese esausto ad intraprendere un lento processo di pace, restaurando uno stato di stabilità e ordine pubblico inimmaginabile da ottenere per la maggior parte degli anni ’90. Il valore di ciò non dovrebbe essere sottostimato.

Tuttavia, non ha seguito nessun processo di autentica riconciliazione, verità, o giustizia. Per opera delle amnistie generali rivolte a personalità militari e jihadisti come il leader dell’AIS Madani Mezrag, l’Algeria ha ritrovato la pace ma molte delle ferite della guerra civile sono rimaste aperte. Ad esempio, molti algerini contestano ancora che alle vittime della guerra civile sia stato concesso un minore accesso ai benefici finanziari del governo rispetto a quanto dato ai jihadisti che abbandonarono le armi.

Per alcuni versi, vi è un rischio ancora maggiore che tale discontento emerga in Mali. L’Algeria escluse i leader del FIS e dell’AIS dalla possibilità di formare partiti politici. Al contrario, le persone coinvolte nella ribellione in Mali – inclusi gli ex jihadisti – andranno quasi sicuramente a rivestire importanti ruoli politici e, probabilmente, anche giudiziari, nel nord o centro del Mali. Alcune di queste persone ricevono già dei fondi dall’ONU o dal governo maliano che hanno permesso loro di costruire delle case di lusso a Bamako.

Il processo di pace del Mali porta con sé un senso di impunità (soprattutto se si tiene conto che lo stato maliano è molto più fragile di quanto non lo sia la controparte algerina) che aumenta, da una parte, la probabilità che i gruppi armati continuino ad esercitare una significativa influenza sulle istituzioni statali, e che, dall’altra, risorgano ancora qualora lo ritengano vantaggioso. L’approccio continuerà a ledere lo Stato – specialmente qualora il governo ignori iniziative come la raccolta di circa 9 mila testimonianze della Truth, Justice and Reconciliation Commission, o archivi le inchieste sulle violazioni dei diritti umani ai sensi della legge di riconciliazione nazionale.

Più in generale, la nuova legge di riconciliazione del Mali può essere utile per frenare il conflitto ma non costituisce, in nessun modo, l’unico meccanismo disponibile per ridurre la violenza. L’esperienza algerina mostra quanto un processo di pace possa essere scoraggiante e quali siano alcuni dei rischi nell’intraprendere un processo che non garantisce adeguatamente giustizia né rafforza le istituzioni statali. Qualsivoglia processo di riconciliazione che offre una mera impunità ai combattenti andrà a deteriorare ulteriormente lo Stato del Mali – pregiudicando la sicurezza in modi che, nel lungo termine, potrebbero avere un impatto sull’intera regione.

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