L’Italia e il Golfo, alla ricerca di una visione strategica

Con una posizione ancorata fino ad oggi agli allineamenti statunitensi, Roma si è posta raramente il quesito di una propria posizione nel Golfo. Ora che gli USA si stanno arretrando nella regione, come reagirà l'Italia?

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Questa settimana l’Italia è stata al centro di intensi discorsi politici nelle monarchie arabe del Golfo, come succede molto di rado. La ragione è che è trapelata la notizia di un memorandum d’intesa firmato tra Fincantieri e lo Stato del Qatar a gennaio, che fornirebbe in un prossimo futuro a Doha i primi sottomarini della sua flotta, un unicum tra tutte le flotte delle monarchie arabe del Golfo. Ad oggi, infatti, l’unico stato dell’area a possedere veicoli sottomarini è l’Iran.

In un’area di altissima tensione dove il conflitto asimmetrico tra Iran, alcuni dei suoi dirimpettai e Stati Uniti si sta già combattendo via mare, questa fornitura potrebbe cambiare l’equilibrio geostrategico del pezzo di mare più internazionalizzato al mondo. Tra le monarchie molti si chiedono se questa sia una scelta geopolitica mirata dell’Italia: con Doha ed Ankara, strizzando l’occhio a Teheran, e contro il gruppo guidato da Abu Dhabi e Riad. Una rivalità che si basa su due visioni e allineamenti geopolitici opposti per il futuro dell’area mediorientale-africana.

Certamente l’Italia ha sempre avuto un approccio più morbido rispetto ad altre cancellerie europee nei confronti dell’Iran, e non a caso Teheran voleva Roma nel gruppo P5+1 che negoziò l’accordo sul nucleare. In Libia, Roma ha appoggiato a lungo il governo ufficiale di Tripoli di Fayez al-Serraj, quello sostenuto convintamente da Ankara e da Doha. Allo stesso tempo, la relazione economica e commerciale che l’Italia ha con la Turchia, sempre più vicina al Qatar, è tra le più significative dell’area, seguita però da quella con gli Emirati Arabi Uniti, specialmente Dubai, dove l’Italia esporta un terzo in più di quanto non faccia col Qatar.

Sul fronte opposto, l’impatto politico della diplomazia religiosa che la leadership di Abu Dhabi ha attivato nei confronti del Vaticano, che ha portato alla firma nel 2018 del Documento sulla Fratellanza Umana da parte di Papa Francesco e del Grand Imam dell’ Azhar Ahmed el-Tayeb, non può essere sottovalutato. Gli EAU sono anche l’unico paese del Golfo che ospita un contingente di militari italiani, con 106 militari impegnati nella Task Force Air Al Minhad, e che vedrà un nuovo impegno per la missione europea di monitoraggio della sicurezza marittima controllata dalla base navale francese Camp de la Paix (ad Abu Dhabi). La missione, sebbene non esplicitamente ostile all’Iran come quella parallela guidata dagli Stati Uniti, è indubbiamente uno strumento gradito a Arabia Saudita e EAU per fungere da deterrente verso gli attacchi iraniani, che nel 2019 hanno danneggiato petroliere emiratine e infrastrutture strategiche saudite. L’Arabia Saudita, dove le opportunità offerte dagli investimenti nella modernizzazione del paese tramite Vision 2030 sono monumentali, potrebbe diventare un partner più interessante, con gli EAU, nel quadro della crescente irritazione italiana nei confronti della Turchia, impegnata a contrastare i piani energetici dell’EastMed. EastMed è un progetto di gasdotto che connetterebbe giacimenti del Mediterraneo orientale, alcuni di questi parte in un modo o nell’altro del portfolio ENI, alla Grecia, con possibilità di giungere in Italia. Riad, consapevole delle rilevanza del progetto per Grecia e Italia, e sempre più ostile alla Turchia che invece risulterebbe tagliata fuori dalla rete, ha corteggiato intensamente Atene nell’ultimo mese, e guarda a Roma.

L’Italia, come altre potenze europee, ha interessi diffusi in tutta l’area del Golfo. Non a caso l’Europa si è posta in posizione neutrale durante la crisi interna alle monarchie del 2017, quando Riad e Abu Dhabi hanno coordinato il boicottaggio politico e l’embargo economico di Doha. La priorità delle cancellerie europee in quel contesto è stata semplicemente di impedire che il fronte anti-Doha imponesse sanzioni a parti terze, quindi a attori europei, che volevano continuare a fare affari con il Qatar. Una volta ottenuto ciò, gli europei si sono presentati come utili fonti di beni strategici per i qatarini. E’ questo il contesto in cui, complice un team diplomatico particolarmente efficace, Roma ha portato a casa una lunga serie di lucrativi accordi da Doha, soprattutto in ambito dell’industria della difesa. Sentitasi abbandonata da Washington, che aveva autorizzato boicottaggio ed embargo, Doha voleva assicurarsi una partnership strategica con altri attori significativi sullo scacchiere geopolitico, soprattutto l’Europa, tramite i singoli paesi europei. Nel Golfo non c’è miglior partnership strategica degli accordi nel settore difesa. L’accordo con Fincantieri, inizialmente discusso nel 2016 e accelerato nel 2017, rientra proprio in questo ragionamento. Tuttavia, prima di considerarla una scelta geopolitica il salto è significativo.

La diplomazia italiana nel Golfo, come quella di diverse capitali europee, si occupa soprattutto di questioni economiche e commerciali. Tuttavia, in assenza di un quadro strategico questa dinamica può lasciare troppa influenza agli attori locali, fonti di accordi profittevoli. Vista da Roma, le rivalità che si emanano dal Golfo e ribollono in tutta le regione sembrano fin troppo lontane. Con una posizione ancorata fino ad oggi agli allineamenti statunitensi, Roma si è posta raramente il quesito di una propria posizione nel Golfo, che è stato per decenni bacino americano. Le dinamiche di arretramento strategico americano e avanzamento di potenze regionali e altri attori globali, oramai a pieno titolo nel Mediterraneo, non sono ancora entrate a pieno titolo nel quadro strategico italiano. Insomma, se il Golfo ogni tanto pensa all’Italia, Roma, quasi inconsapevole, pensa ancora troppo poco al Golfo.

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