L’accordo della Russia con la Turchia sulla Siria settentrionale
La Russia è responsabile di una guerra su più fronti. Dovrà gestire con molta attenzione le relazioni tra molteplici attori locali.
Dopo l'incontro di Sochi del 23 ottobre 2019, il presidente russo Vladimir Putin e il suo omologo turco, Recep Tayyip Erdogan, hanno annunciato un accordo di cessate il fuoco per la Siria settentrionale. L'accordo ha gettato le basi per estendere il dominio di Bashar al-Assad sulla Siria nord-orientale, ha assicurato la presenza militare russa in tutto il paese e ha formalizzato il dispiegamento militare turco nella regione vicina al suo confine settentrionale. Per il Cremlino, l'accordo indica che il regime sostenuto dalla Russia ha definitivamente vinto la guerra in Siria.
Pochi in occidente si aspettavano questa vittoria quando la Russia è intervenuta nella guerra siriana nel settembre 2015. Gli obiettivi di Mosca erano di assicurare la sopravvivenza del regime di Assad e di ridurre l'influenza degli Stati Uniti in Siria, ma non era chiaro in che misura ciò sarebbe stato possibile. La vittoria è poi caduta nelle mani di Putin dopo che sia l'amministrazione Obama che quella di Trump non sono riuscite a creare una strategia coerente sul conflitto. Le manovre sbagliate di quest'ultimo hanno inoltre impedito a qualsiasi paese europeo di intervenire per aiutare le forze statunitensi dispiegate in Siria.
Putin vede probabilmente la stretta alleanza strategica che ha forgiato con Erdogan, dopo il tentativo di colpo di stato in Turchia nel 2016, come strumentale alla vittoria di Mosca. Questa alleanza ha portato all'avvio del processo di pace di Astana con Turchia e Iran, annullando così i colloqui di Ginevra, che, a differenza di quelli di Astana, coinvolgevano forze sostenute dagli Stati Uniti. Nonostante il processo di Astana non abbia prodotto risultati immediati, è comunque riuscito a impedire qualsiasi soluzione politica in linea con gli interessi di Washington. Tuttavia, questa vittoria diplomatica non cambia il fatto che le forze sostenute dagli Stati Uniti controllavano la Siria nord-orientale. Poiché non aveva i mezzi per rimuovere le forze statunitensi da sole, la Russia temeva che, nel lungo termine, gli Stati Uniti avrebbero potuto utilizzare l'area per mettere in scena ulteriori azioni militari contro Assad.
Nella campagna militare contro le forze di opposizione siriane, la Russia ha dato la priorità alle operazioni nella Siria occidentale. Nel frattempo, l'operazione turca contro l'enclave curda di Afrin è stata utile per sviluppare un'ulteriore cooperazione tra Russia e Turchia. La pressione militare di entrambi i paesi ha spinto le forze curde fuori dall'area, garantendo alla Turchia un punto d'appoggio vicino al confine meridionale e aiutando la Russia a impedire agli Stati Uniti di stabilire una presenza militare nella Siria occidentale.
La provincia di Idlib, controllata da forze di opposizione che includevano combattenti islamisti supportati dai turchi alcuni dei quali estremisti, era l'altra roccaforte ribelle in Siria. Assad voleva riprendere il controllo dell'area, ma poteva riuscirci solo attraverso un massiccio uso della forza e impegnandosi in una pulizia etnica, poiché la popolazione sunnita conservatrice difficilmente avrebbe accettato la presenza di truppe del regime. Inoltre, il terreno di Idlib è poco adatto al tipo di guerra per la quale i consiglieri militari russi hanno addestrato l'esercito siriano. Per sconfiggere i ribelli a Idlib, la Russia dovrebbe intervenire usando più forze proprie, una mossa che il Cremlino avrebbe difficoltà a giustificare nei confronti del suo pubblico nazionale.
I tentativi della Turchia di usare i combattenti islamisti contro i curdi nella Siria nord-orientale (allontanando così i combattenti da Idlib), e i suoi presunti piani di usare i rifugiati sunniti provenienti da tutta la Siria per sostituire la popolazione curda della zona, sono un dono alla Russia. Queste mosse potrebbero non solo permettere ad Assad di avanzare verso Idlib, ma potrebbero anche intensificare la pressione militare sui curdi nel nord-est, aumentando la tensione tra la Turchia e gli Stati Uniti, suo alleato chiave nella NATO. Pertanto, Putin non avrebbe avuto motivo di dissuadere Erdogan dal lanciare l'incursione turca nella Siria settentrionale.
L'improvviso ritiro della protezione americana dalle Forze Democratiche Siriane guidate dai curdi da parte dell'amministrazione Trump ha presentato alla Russia ulteriori rischi e opportunità inaspettate. Il ritiro ha lasciato i curdi così vulnerabili che hanno accettato le forze russe e del regime come deterrente contro l'esercito turco nella Siria nord-orientale. Per mantenere la pressione sui Curdi, Mosca ha riconfermato l'accordo di Adana del 1998 tra Siria e Turchia, permettendo ad Ankara di attraversare il confine per schiacciare le forze curde. Questo ha lasciato le Forze Democratiche Siriane in balia di chiunque fosse disposto a proteggerle. Mentre il gruppo è riuscito a respingere i combattenti islamisti che la Turchia usava come proxy, ha poche possibilità contro l'esercito turco regolare.
Questo ha lasciato Mosca con la questione di come affrontare le forze siriane. Il Cremlino non si fida di nessuno che in passato abbia cooperato con gli americani e non ci sarebbe da sorprendersi se nei prossimi mesi i leader chiave delle forze siriane fossero vittime di incidenti o cercassero volontariamente l'esilio, per essere sostituiti da personale più fedele a Mosca. Gli accordi flessibili per il cessate il fuoco temporaneo e l'accordo sulle vagamente definite “pattuglie congiunte” turco-russe offrono ampio spazio a Mosca per negoziare una transizione di potere. Finora, le forze di Assad si sono mosse entrando nella Siria nord-orientale tuttavia occupando zone lontane dalla “zona di sicurezza” che Ankara aspira a controllare; per il momento non sono né una forza interventista né un deterrente in quanto si sono spostati verso est. Se queste forze assumeranno tali ruoli in futuro dipenderà dall'accordo che otterranno.
Nel frattempo, l'incursione turca si è fermata ma non è finita. La Turchia ha sospeso i suoi presunti piani di pulizia etnica (in parte a causa del clamore dell'opinione pubblica in Occidente), ma non sembrerebbe averli abbandonati. In questo contesto, Mosca può intensificare la pressione militare sui curdi se ne dovesse sentire la necessità. Mosca vuole ancora evitare la responsabilità di controllare direttamente la Siria orientale con le sue forze armate, ma, per ora, non dispone delle strutture proxy per farlo.
La Russia è entrata in guerra temendo una campagna americana di cambiamento di regime. Aveva il vantaggio strategico di poter concentrare i suoi sforzi sull'unico obiettivo di proteggere Assad e quindi che doveva solo smussare i tentativi diplomatici e militari svolti per rimuoverlo. Dato che ora è responsabile di una guerra su più fronti, la Russia dovrà gestire con molta attenzione le relazioni con i molteplici attori locali. Il Cremlino probabilmente non aveva previsto che avrebbe assunto un ruolo così importante.
La Russia non solo dovrà trattare con i curdi, che tentano nelle loro capacità di preservare la massima indipendenza da essa, ma dovrà anche gestire gli scontri iraniano-israeliani. Iran, Israele e Turchia sono tutti in grado di minare gli sforzi di Mosca, ma non sono in grado di controllare gli eventi in Siria utilizzando le proprie risorse soltanto. Perciò, non c'è motivo di pensare che la Siria diventerà più stabile nei prossimi mesi.
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