La vittoria di Pirro di Tsipras

Se sul piano interno la vittoria del no al referendum greco è una vittoria per Tsipras, su quello internazionale potrebbe rivelarsi una sconfitta

Il popolo ha deciso e la Grecia rimarrà su un sentiero che porterà ulteriormente il paese verso territori inesplorati. Sul piano interno si tratta di un successo per Alexis Tsipras ma all’estero, a meno che egli non si dimostri in grado di trovare una strategia per ottenere una riduzione del debito prima delle riforme, potrebbe trasformarsi velocemente in una vittoria di Pirro.

I partner della Grecia nell’Eurozona ora sanno che la loro controparte nei negoziati continuerà a essere un governo guidato da Syriza, così come sanno che ora Syriza crede ancora di più nella sua strategia finalizzata a costringere UE e Fondo Monetario Internazionale a cancellare il debito maturato nel 2015. Di per sé il risultato del referendum non aumenterà la volontà o la probabilità di approvare un accordo; ciò che crescerà sarà il pericolo di un ulteriore deterioramento della situazione nel paese.

In primo luogo, sembra probabile che questo dramma si svolgerà con la Grecia all’interno dell’eurozona; Atene non vuole lasciare l’Unione europea e l’UE non ha gli strumenti per espellere il paese. Se continueranno le sofferenze del popolo greco, è plausibile che Tsipras faccia leva sulla necessità della solidarietà europea nei confronti dei greci. Le nozioni di coesione e di integrazione europea dell’UE e degli stati membri porterebbero a un intervento in soccorso della Grecia,  qualora il prezzo umanitario dovesse essere troppo alto. Tsipras sembra esserne consapevole, quindi sa di poter fare affidamento su questo riflesso europeo.

Ciò che probabilmente non succederà è una significativa riforma dello stato greco. Secondo gli standard dell’UE, la Grecia è uno stato in fallimento, una repubblica con una minoranza di repubblicani. Non è una novità, né una conseguenza del referendum, ma è stato così per molti anni, emergendo violentemente dopo la crisi finanziaria del 2008. Né il governo di Syriza, né il suo predecessore hanno mostrato di avere la volontà politica sufficiente, il necessario appoggio popolare o l’abilità amministrativa per cambiare radicalmente la repubblica e costruire un nuovo stato sui pilastri di una governance buona, responsabile ed efficace. I risultati del referendum di domenica rendono queste riforme più lontane che mai.

Se la Grecia non ha avuto la volontà o la capacità di apportare questi cambiamenti, appare ora evidente l’incapacità del FMI e dell’UE di imporli in modo categorico. Gli aiuti hanno fatto guadagnare tempo alla Grecia e questo sostegno ha portato a tagli massicci del budget pubblico, senza però risolvere il problema. Alla fine, il fallimento dei successivi governi greci e delle istituzioni internazionali ha portato a una riduzione del controllo greco sul cambiamento, ad un’esternalizzazione della responsabilità politica e ad un’ascesa delle posizioni più estreme.

In questa prospettiva, quali saranno i prossimi passi, cosa potrà fare Tsipras e come potrebbero rispondere l’Eurozona, l’UE e il FMI?

Innanzitutto, questa settimana il governo greco tornerà a Bruxelles e chiederà un nuovo round di negoziati.  Verranno ripresi in mano alcuni, ma non tutti, i punti dei risultati provvisori del 25 giugno e verrà aggiunto uno schema di alleggerimento del debito, coprendo tutto il debito in scadenza entro la fine dell’anno. Senza una riduzione del debito, Tsipras non firmerà nulla, anzi minaccerà di non ripagare i debiti al FMI e alla Banca centrale europea, in scadenza nei prossimi mesi.

Da parte sua, il FMI praticamente non ha margine di manovra: è vincolato dalle sue stesse regole. Le procedure per gli arretrati sono già state lanciate e la Grecia non può ricevere altri finanziamenti dal Fondo Monetario Internazionale. Inoltre, secondo gli analisti del FMI, la sostenibilità del debito greco ora è messa in discussione. Il governo di Syriza ha fatto quanto ha potuto per arrivare a questo risultato quindi, se saranno disponibili nuovi fondi del FMI, per avervi accesso saranno necessarie misure per raggiungere la sostenibilità del debito. Questo rafforza la strategia del governo di Tsipras: o la Grecia si libererà del debito verso il FMI tutto in una volta e non ripagherà i 3,6 miliardi di euro in scadenza quest’anno, oppure nei negoziati con l’UE  farà forte leva sulla ristrutturazione del debito o sulla sua cancellazione.

Nell’eurozona i partner della Grecia non vogliono accettare un accordo in tutta fretta. Invece che accettare le richieste greche, i governi dell’eurozona dovranno prima raggiungere un’intesa comune su quale strategia potrebbe funzionare, qualora ne esista una. Questo comporterebbe diversi tipi di condizionalità e monitoraggio, assegnare il ruolo di tutor ad alcuni stati membri, previa accettazione della Grecia. Sulla base dei negoziati di giugno, una ristrutturazione o cancellazione del debito è fuori discussione. È improbabile che si raggiunga un accordo in questo senso tra i 18 governi dell’eurozona e la Grecia e certamente non supererebbe il voto nei cinque parlamenti che dovrebbero pronunciarsi su questo accordo.

La prossima scadenza per ripagare il FMI è il 13 luglio, seguita una settimana dopo da circa 3.4 miliardi di euro che la Grecia deve alla BCE e alle banche centrali nazionali. Fino a quel momento, la situazione del settore bancario greco rimarrà critica e quindi anche le restrizioni e i controlli sui capitali. Se la Grecia non ripagasse la BCE e le banche centrali, le prime vere perdite dovranno essere cancellate. L’opzione di Draghi di mantenere la liquidità d’emergenza (ELA) per le banche sarà esaurita, quindi la BCE non fornirà ulteriore assistenza.  Le banche, le imprese e la popolazione greca dovranno farsi bastare il fondo di euro in contanti nel paese ma una corsa che forzerebbe le banche greche a chiudere sembra l’opzione più probabile. Tutto questo rende il raggiungimento di un accordo ancora più complicato di prima. 

Una volta arrivata a questo punto, la Grecia potrebbe scegliere di non ripagare i 3,2 miliardi di euro che deve alla BCE, in scadenza il 20 agosto. In questo modo, il governo potrà continuare a pagare le spese e i salari ancora per qualche mese, spostando la data dell’introduzione di una moneta quasi parallela. Nel frattempo, l’economia del paese cadrà in una depressione più profonda, ancora senza accesso ai servizi finanziari. Al contempo, il governo greco implementerebbe la propria versione di riforma del debito, entrando in default su parte dei 21 miliardi di euro di debito verso il FMI e dei 27 miliardi di euro che deve alla BCE e le altre banche centrali. Unilateralmente, la Grecia creerà condizioni tali da sperare di poter sostenere questa nuova realtà al tavolo dei negoziati. Il conflitto politico aumenterà in parallelo a questo unilateralismo, mentre alcuni governi UE esigeranno un contrappasso, ponendo il veto su ulteriori concessioni alla Grecia e allontanando ulteriormente le due parti.

Con nessuna delle due parti disposta ad arrendersi, è difficile capire come poter evitare questa sequenza di eventi. I problemi potrebbero peggiorare ulteriormente, dato che anche questo scenario da incubo presuppone che il pubblico greco rimanga calmo in mezzo alla tempesta politica che sta per abbattersi su di loro. Durante la campagna per il referendum, Tsipras ha fatto appello all’orgoglio e all’identità del popolo greco -Davide che resiste a Golia; se questa percezione lo aiuterà nelle prossime settimane, non durerà per sempre.

In risposta, gli architetti dell’Eurozona devono agire velocemente. Se entrambe le parti mantengono la linea dura, una piccola parte dell’Eurozona potrebbe fare a pezzi l’unione monetaria, con conseguenze su tutta Europa, creando frizioni su politiche essenziali come quelle del mercato unico e di Schengen. Il Cremlino osserverà con molto piacere. Tuttavia, con Germania e Francia alla guida, rimangono ostacoli significativi. Merkel e Holland non possono cedere alle richieste greche senza creare dei problemi potenzialmente maggiori per se stessi. Qualsiasi percezione di una vittoria per Syriza potrebbe danneggiare la situazione in Spagna e Portogallo. Se la Germania, per sbloccare questo stallo, si facesse avanti sul piano finanziario per la Grecia, senza alcuna nuova promessa da parte di Atene, Merkel perderebbe il suo ruolo di Cancelliera. Quindi siamo al punto di partenza. Ogni movimento sulla questione del debito dovrà essere legato a un programma di riforme più profonde. Non vi è altra soluzione.

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