“La strategia che serve all’Europa”, Marta Dassù, La Stampa

Marta Dassù, Consigliere ECFR, per La Stampa, parla del ruolo dell'Alto Rappresentante e del perchè tale carica spetti all'Italia

LA STRATEGIA CHE SERVE ALL' EUROPA

Marta Dassù, 20 luglio 2014, La Stampa

Al governo italiano piacerebbe, naturalmente, vincere la battaglia su Federica Mogherini. E io credo che varrebbe la pena, ma per motivi diversi da quelli circolati in questi giorni – per farla breve: l'idea che ci «spetti», visti i risultati delle elezioni europee. Continuare la battaglia e vincerla avrebbe senso solo se – dopo i primi cinque anni di rodaggio del nuovo impianto della politica estera comune – il ruolo di Alto Rappresentante diventasse qualcosa di serio. Per ora non è stato così, nonostante che si tratti anche del Vice Presidente della Commissione, che guidi il Servizio diplomatico europeo e via dicendo.

Le spiegazioni sono tre: Catherine Ashton non era la persona adatta per mettersi sulle spalle un fardello simile (anche se, a dire il vero, la sua performance è migliorata nel tempo); gli Stati nazionali non hanno voglia di cedere ulteriori brandelli di sovranità e sono divisi su dossier decisivi per la sicurezza europea, a cominciare dalla relazione con la Russia; la politica estera comune è stata gestita in modo burocratico, come dimostra il fallimento totale della strategia di «vicinato», intesa a pacificare aree di confine che sono invece andate progressivamente in fiamme, prima nel Mediterraneo allargato e poi con la crisi Ucraina-Russia. Il califfato in Iraq da una parte, l'abbattimento del Boeing malese su cieli dell'Ucraina dall'altra. I vari dopoguerra, in Europa, sono decisamente finiti: sia sul fronte meridionale che su quello orientale. Ma nulla dimostra che l'Ue, in quanto tale, sia in grado di reagire o di influire.

Se il ruolo di Alto Rappresentante ha mostrato così tutti i suoi limiti, è giusto che interessi all'Italia? Sì, in teoria sì. Da un punto di vista geopolitico, il nostro è il Paese più esposto alle tensioni da Sud (basti pensare ai flussi migratori); da un punto di vista economico ed energetico, ha parecchio da perdere di fronte a un deterioramento secco dei rapporti Ue-Russia. Se c'è un Paese per cui la politica estera europea sarebbe una necessità, non un lusso, questo è precisamente l'Italia. Lo ha ricordato pochi giorni fa su questo giornale, con grande lucidità, il Presidente Napolitano.

Il punto essenziale è che, per diventare utile, il ruolo di Alto Rappresentante deve compiere un salto di qualità. Invece di dire «questo posto è mio e lo gestisco io» – rischia di suonare più o meno così l'approccio battagliero di Matteo Renzi – il governo italiano dovrebbe forse spendere il mese che resta prima di una decisione finale concentrandosi non sulla sedia ma sulla politica.

In che modo può diventare utile e «vera» la posizione di Alto Rappresentante? Su che linee impostare una politica estera comune che non resti una formula vuota?

L'Europa ha assolutamente bisogno di una visione strategica condivisa. Oggi, molto semplicemente, non la ha. Nella sua azione esterna, l'Ue deve riuscire ad esercitare un'influenza nelle aree vicine, tenendo conto di un parziale disimpegno americano e del revanscismo russo. In queste aree, sicurezza, difesa, politiche energetiche, politiche di sviluppo, controllo dei flussi migratori, dovranno funzionare insieme: come vice presidente della Commissione, l'Alto rappresentante dovrà riuscire a coordinarle in un'azione coerente. Non è stato fatto, per ora, ma farlo è possibile e necessario.

Al tempo stesso, l'Unione europea deve avere un'idea del proprio ruolo globale, usando anzitutto la politica commerciale. Compiere progressi nel negoziato ad hoc con gli Stati Uniti è decisivo (la presidenza italiana dell'Ue ne fa giustamente una priorità). Non solo per i benefici economici attesi ma per ragioni geopolitiche. Il fatto che il gruppo dei Brics cominci a costruirsi proprie istituzioni (la Banca di sviluppo) non è trascurabile.

Questi, io credo, sono i messaggi generali che un Paese come l'Italia può mettere sul tavolo negoziale: senza complessi, con alcune idee concrete e liberandosi di qualche cliché, in particolare sul rapporto con la Russia. Matteo Renzi ha un mese a disposizione per indicare che il nostro Paese, con un giusto equilibrio fra ambizioni e modestia, è interessato a guidare una politica estera comune europea, non a una posizione di bandiera. Quando lo avrà fatto, Federica Mogherini seguirà.

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