La Scozia adotterà l’euro?

Sebastian Dullien, Senior Policy Fellow di ECFR, analizza le possibili opzioni di regime valutario nel caso in cui la Scozia opti per l’indipendenza.

Negli ultimi anni, l’Eurozona non risulta particolarmente attraente agli occhi di nuovi potenziali membri. Fin dall’inizio della crisi nel 2010, solo i piccoli Stati Baltici hanno fatto progressi verso l’adesione, e tutti avevano iniziato tale processo prima della crisi economica.

La situazione potrebbe cambiare presto. Se la Scozia votasse per l’indipendenza, l’adesione all’euro potrebbe essere tra le scelte più attraenti in tema di moneta – a patto che la Scozia si separi dal Regno Unito per aderire all’Unione Europea.

Una Scozia indipendente potrebbe scegliere tra quattro opzioni basilari per il nuovo regime monetario. L’opzione più ovvia per uno stato indipendente sarebbe l’introduzione di un nuova moneta nazionale – diciamo una Sterlina Scozzese o SP (Scottish Pound). In questo scenario, ad un certo momento, tutti i contratti e i conti in Scozia sarebbero convertiti in SP. I Bancomat e le banche dispenserebbero SP ed il mercato determinerebbe il tasso di cambio della SP.

Questa strategia avrebbe il vantaggio di permettere alla Scozia di determinare la propria politica monetaria. Il Paese avrebbe inoltre la capacità di stabilire i tassi di interesse nazionali in base ai bisogni dell’economia scozzese e di elargire prestiti di emergenza alle banche in difficoltà.

Tuttavia, l’opzione di una moneta nazionale implicherebbe una serie di sfide. In primo luogo, nessuno sa se una nuova banca centrale scozzese sarebbe in grado di gestire una politica monetaria orientata alla stabilità. Questo significherebbe che la nuova moneta nascerebbe con molta poca credibilità. La SP correrebbe il pericolo di un iniziale deprezzamento, che porterebbe ad un’inflazione importata. Di conseguenza, gli investitori chiederebbero premi di rischio più alti sui titoli di stato (bond) scozzesi. I tassi di interesse in Scozia crescerebbero, accrescendo i costi dei finanziamenti delle famiglie, delle imprese e del governo. 

Una seconda opzione sarebbe quella di negoziare un’unione monetaria con il governo di Londra. Idealmente, la Scozia negozierebbe un accordo con cui la Banca d’Inghilterra definirebbe i tassi di interesse per la sterlina inglese, così come l’accesso ai prestiti di emergenza della Banca d’Inghilterra per le banche scozzesi e la parte dei profitti della stessa provenienti dalla emissione della sterlina inglese. Questo accordo consentirebbe alla Scozia continuo accesso a finanziamenti convenienti e garantirebbe stabilità rispetto al commercio ed agli investimenti.

Il problema è che il resto della Gran Bretagna non ha motivo di accettare tale soluzione, soprattutto se la secessione andasse di pari passo con una dura lotta per la divisione del pagamento dei titoli di stato britannici (i gilts), attualmente in circolazione, tra Edimburgo e Londra. Il governatore della Banca d’Inghilterra, Mark Carney, ha affermatoche si opporrà all’unione monetaria.

Una terza opzione per il nuovo governo scozzese potrebbe essere quella di mantenere la sterlina britannica senza stringere accordi con il Governo di Londra, nella stessa maniera in cui Panama e Ecuador attualmente usano il dollaro statunitense. L’ovvio vantaggio sarebbe la stabilità in termini di relazioni commerciali e investimenti.

Lo svantaggio di tale opzione sarebbe che la Scozia non avrebbe voce in capitolo nella determinazione dei tassi di interesse e le sue banche non avrebbero accesso alla Banca d’Inghilterra, cosa che le renderebbe molto vulnerabili alle “corse agli sportelli”. Il Governo non otterrebbe nessuna quota dei profitti derivanti dall’emissione di banconota e non avrebbe una banca centrale che agisca come “prestatore di ultima istanza”. Questo preciso problema ha creato molte difficoltà ai paesi colpiti dalla crisi dell’euro prima del discorso “We will do whatever it takes”, pronunciato dal Presidente della BCE Mario Draghi nel 2012.

La quarta opzione per la Scozia sarebbe quella di ambire all’adesione all’euro. Ciò comporterebbe l’accesso delle banche scozzesi agli strumenti di prestito della BCE, la possibilità di contribuire (anche se in maniera limitata) alla determinazione dei tassi di interesse e l’accesso ad una quota dei profitti da signoraggio della BCE.

Tuttavia, in base alle leggi europee, per introdurre l’euro, la Scozia non solo dovrebbe essere un membro dell’UE, ma anche possedere una valuta nazionale che mantenga un tasso di interesse stabile nei confronti dell’euro per almeno due anni. Ciò significa che la Scozia deve prima intraprendere e ultimare il processo di introduzione di una moneta nazionale. Ciò nonostante, la nuova banca centrale dovrebbe guadagnare credibilità dichiarando il prima possibile l’intenzione ad adottare l’euro.

Qualsiasi nuovo regime valutario della Scozia indipendente presenterà problemi, quantomeno nelle fasi iniziali. Considerando la reale possibilità che la Scozia diventi il ventesimo membro dell’euro zona, dopo l’entrata della Lituania da gennaio 2015, l’opzione euro non deve essere vista come la scelta meno allettante.

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