La nuova guerra culturale spagnola

L'inaugurazione del Parlamento più frammentato dal 1978 preannuncia un periodo di guerra culturale incentrato sull'identità nazionale.

Dopo il più lungo periodo di stallo del parlamento nella sua storia recente e l’ennesima elezione generale, la Spagna ha finalmente un nuovo governo. Pedro Sánchez resterà a La Moncloa, la residenza del primo ministro, ma è difficile dire per quanto tempo. Egli conta sulla maggioranza più ridotta di sempre per formare un governo nel Congresso spagnolo, consistente in 167 sì, 165 no e 18 astensioni. Nonostante abbia formato un governo di coalizione (il primo dal ripristino della democrazia nel 1978), Sánchez può contare solo sui 155 seggi composti dal suo partito socialista e da Podemos di Pablo Iglesias, rendendolo dipendente dall'appoggio di altri otto partiti. Dato che nessun precedente governo spagnolo ha mai avuto bisogno dell'appoggio di dieci partiti per approvare una legge, questo aggiunge un elemento di instabilità alla sua leadership.

I problemi di Sánchez non finiscono qui. Per stabilire questa piccola maggioranza, si è assicurato l'astensione di due partiti dannosi: Esquerra Republicana de Catalunya (ERC), un gruppo separatista catalano di sinistra guidato da Oriol Junqueras, che attualmente sta scontando una pena per sedizione, e il basco EH Bildu, il braccio politico dell'ex organizzazione terroristica Euskadi Ta Askatasuna, che ha ucciso più di 850 persone. Sánchez ha ottenuto l'astensione dell’ERC firmando un documento che promette di aprire una nuova fase di dialogo con i separatisti catalani e di condurre una consultazione con il popolo catalano. Il fatto che il documento non limiti i colloqui alla Costituzione del 1978 e non ne definisca gli obiettivi, ma soprattutto che parli di un “conflitto politico”, cioè di una delle principali richieste dei separatisti, ha creato una tempesta politica. Infatti, anche alcuni leader socialisti sostengono che Sánchez abbia venduto la Costituzione per una manciata di voti, accuse che egli respinge. Il documento è abbastanza ambiguo da sostenere le argomentazioni di entrambe le parti.

In ogni caso, l’insediamento del nuovo governo ha rivelato come Sánchez sia ora più debole di quanto non fosse ad aprile, quando non è riuscito a formare una coalizione di governo con Podemos. La sua speranza di schiacciare Iglesias e di vincere la maggioranza in un'altra elezione non si è realizzata. La sua azzardata scommessa gli si è anche ritorta contro dato che durante la campagna elettorale si era fortemente impegnato a sostenere la Costituzione e a combattere il separatismo (con il motto “Ahora España”, o “Ora Spagna”). A causa dell'inversione di marcia su questi temi, ha perso credibilità e ha aggravato la sua posizione.

Purtroppo, questa turbolenta sessione di investitura non si concluderà con la votazione per l'approvazione del governo. C'è almeno un ambito in cui la Spagna è profondamente diversa dal resto dei paesi europei. Mentre altrove nel continente le guerre culturali in genere ruotano intorno a tematiche come integrazione europea, politica estera, immigrazione e a questioni morali come diritti LGBT, aborto e gender, in Spagna c’è un ampio consenso su questi temi. Le divisioni più viscerali tra i partiti e gli elettori spagnoli emergono in settori come identità nazionale, Costituzione, monarchia e eredità del regime franchista. Mentre le controversie che circondano questi temi sono latenti e il consenso del 1978 regge (per quanto incerto), nei rapporti con gli altri stati le élite spagnole sono rafforzate da un paese che gode di un ampio consenso. Tuttavia, quando queste controversie riemergono, la Spagna si trova ad affrontare molti degli stessi problemi degli altri Paesi europei: polarizzazione politica, debolezza istituzionale, influenza mediatica e opinione pubblica dominata da leader arrabbiati sui social media.

L'inaugurazione del parlamento più frammentato dalle elezioni del 1979 dà inizio a un periodo di guerra culturale incentrata sull'identità nazionale. Questo avrà probabilmente due conseguenze sulla politica estera spagnola. In primo luogo, se la politica estera ha sofferto per la necessità di garantire la sopravvivenza economica della Spagna sotto il governo conservatore di Mariano Rajoy, in modo simile il pasticcio catalano consumerà molte energie, in quanto i partiti spagnoli continuano le loro lotte domestiche all'interno delle istituzioni dell'UE. Questo processo è già iniziato: la Corte di Giustizia Europea ha recentemente stabilito che Junqueras e Carles Puigdemont, ex presidente del governo catalano, possono ricoprire il ruolo di eurodeputati, una sentenza che il Partito Popolare e Ciudadanos stanno contestando in seno al Parlamento Europeo.

In secondo luogo, anche se ci sono indicazioni che i leader di Podemos non otterranno il controllo di alcun ministero principale, fatto che dovrebbe garantire continuità alla politica estera e di difesa, l'aumento delle tensioni in Bolivia, in Medio Oriente o in Venezuela potrebbe portare a uno scontro tra le visioni contrastanti degli affari esteri dei socialisti e di Podemos. Ciò potrebbe indebolire la credibilità internazionale del governo spagnolo. La Spagna, quindi, cercherà di completare il suo ritorno sulla scena internazionale iniziato da Sánchez nel giugno 2018, ma dovrà farlo con una maggiore instabilità in patria.

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