La Russia alle porte di Aleppo
Nel contesto dell'offensiva di Aleppo qual è la posta in gioco per Mosca? In che modo Mosca vede guadagni e perdite, rischi e benefici? Qual è la sua strategia? Cosa possiamo aspettarci da Mosca nel processo diplomatico che è stato riavviato a Monaco?
L’assedio di Aleppo da parte dell’esercito siriano, appoggiato dalla Russia, ha causato il fallimento dei colloqui di pace di Ginevra, l’aggravarsi della crisi umanitaria e un nuovo massiccio flusso di rifugiati diretti in Turchia ed Europa. Nel contesto di tale offensiva qual è la posta in gioco per Mosca? In che modo Mosca vede guadagni e perdite, rischi e benefici? Qual è la sua strategia? Cosa possiamo aspettarci da Mosca nel processo diplomatico che è stato riavviato a Monaco?
Obiettivi e limiti della Russia
Sta diventando evidente come, in modi diversi, la Russia stia ripetendo ciò che fece un anno fa nel Donbas: un’escalation militare per imporre negoziati a condizioni favorevoli a Mosca. Lo scorso anno, la Russia e i suoirappresentanti in Donbas hanno circondato il contingente ucraino a Debaltseve, minacciando l’Ucraina con il rischio di gravi perdite militari.
La Russia ha poi usato la paura dei leader europei per un’escalation (sommata al dibattito americano sul fornire armi all’Ucraina) per imporre l’accordo Minsk II, fortemente sbilanciato in favore di Mosca.
Esattamente un anno dopo, la stessa strategia è stata messa in atto in Siria: l’assedio di Aleppo ha lasciato agli altri attori poche scelte, se non quella di accettare i termini di Mosca. L’opposizione moderata siriana si nasconde dai bombardamenti, disperata per la mancanza di rifornimenti. Per gli Stati Uniti sarà difficile, a questo punto, sostenere l’opposizione moderata senza scontrarsi direttamente con Mosca. In ogni caso, una controffensiva volta a riconquistare il terreno perduto in favore di Assad si tradurrebbe in un prolungamento della guerra, con molte più vite perse e flussi di rifugiati ancora maggiori di quelli che abbiamo visto. Ciò sarebbe intollerabile per l'Europa, cosciente di come la popolazione di Aleppo potrebbe presto finire per le strade di Berlino e Stoccolma. Proprio come nel Donbas, se gli Stati Uniti cercassero di perseguire l’opzione militare – cosa comunque improbabile – faticherebbero a trovare alleati tra le potenze europee, soprattutto tra i leader.
Mosca sa che circondando Aleppo ha alzato la posta in gioco, tuttavia spera ancora di vincere. Ci si aspetta che l'opposizione siriana moderata – ora tagliata fuori dalle rotte di approvvigionamento verso la Turchia – accetti le condizioni loro offerte, e che la smetta di avanzare richieste. Si spera che l'Occidente sia pronto ad accettare quasi tutte le soluzioni per fermare lo spargimento di sangue e il flusso di profughi – dato che Mosca ha fornito un assaggio della portata della carneficina e del caos che altrimenti potrebbe scatenarsi. Ci si aspetta che gli Stati Uniti facciano pressione sull’Arabia Saudita per correggere la percezione di quella che, in linea di principio, dovrebbe essere considerata legittima opposizione (la delegazione inizialmente concepita da Riyadh non era del tutto gradita a Mosca). La Russia si aspetta che sia la Turchia a rinunciare ai propri tentativi di aiutare l'opposizione, ora che è chiaro che continuare ad sostenerla porterebbe a scontri diretti con l'esercito siriano e, eventualmente, anche con elementi di quello russo. Ankara sta subendo la rappresaglia economica e diplomatica della Russia da quando, a novembre, è stato abbattuto uno dei suoi jet da combattimento: Mosca spera che la Turchia abbia ormai imparato la lezione una volta per tutte.
L'avanzata delle forze siriane ad Aleppo aiuta Mosca anche sul fronte interno, in quanto sembra un chiaro successo militare. Per molti mesi gli attacchi aerei russi non sono riusciti ad avere un impatto significativo sulla capacità dell'esercito siriano di guadagnare terreno, ma ora, finalmente, la strategia ha iniziato a dare alcuni risultati tangibili. Questa svolta era il tipo di successo militare che Mosca stava aspettando. Tutto questo fa crescere la fiducia interna sulla posizione russa e fa buona pubblicità sulla televisione nazionale, cosa importante, dato che nel 2016 ci saranno le elezioni della Duma, e che la Russia sta attraversando un periodo di declino economico. Ci voleva una storia di successo, e Aleppo va nella direzione sperata.
La grande strategia della Russia in Siria rimane la stessa di quando è intervenuta. L'obiettivo di Mosca è quello di arrivare a una soluzione negoziata, i cui termini sarebbero dettati dal regime siriano e da Mosca, lasciando l'opposizione moderata e l'Occidente senza altra scelta che accettarla, anche in maniera riluttante. Mentre Assad potrebbe aver sperato o forse ancora spera in una piena vittoria militare, Mosca ha bisogno di raggiungere una soluzione diplomatica che alla fine sia accettata e ritenuta legittima, sebbene a malincuore. In caso contrario, la Russia potrebbe finire per “accollarsi” il conflitto e le sue conseguenze per gli anni a venire – qualcosa che non vuole e probabilmente non può permettersi.
La differenza di obiettivi tra la Russia e la Siria non deve essere interpretata dall'Occidente come opportunità di creare una spaccatura tra Mosca e Assado possibilità di spingere Mosca più vicino alla visione Occidentale della soluzione. È vero che Mosca non è “sposata” con Assad. Tuttavia qualora lo dovesse affossare, non sarebbe per unirsi all’Occidente, ma per sconfiggerlo. Assad può essere sacrificato per dare al suo regime la migliore possibilità di sopravvivere e vincere, ma non per eliminarlo del tutto.
È importante ricordare che il conflitto siriano ha uno base filosofica importante per Mosca, e per Putin in persona. Il presidente russo vuole vincere il dibattito ideologicocon l'Occidente, mostrando come il cambio verso un regime democratico e i interventi militari generano caos, e come il sostegno a regimi “legittimi” possa essere un modo più fruttuoso di risolvere le crisi. Ciò significa che Mosca non può discostarsi troppo dall’agenda del regime ma, allo stesso tempo, fare affidamento sulla sola forza militare e su una “lunga presenza” non sono l'ideale per Mosca, per il rischio di dare l’impressione di essere impantanati come gli Stati Uniti in Iraq. La strategia di Mosca ha bisogno di essere compresa ed inquadrata in questi due limiti.
Rischi e sconfitte della Russia
Mosca ha perso qualcosa attraverso questa offensiva? Finora, le perdite apertamente politiche di Mosca appartengono alla realtà virtuale. È chiaramente finita l'illusione che la Russia sia in qualche modo coinvolta in una coalizione anti-ISIS con l'Occidente. Quelli che speravano che emergesse una tale coalizione in seguito agli attentati di Parigi possono smettere di illudersi.
La questione del perché Mosca consideri questa illusione così superflua è interessante, sebbene meno nel contesto siriano che in quello ucraino. Non è un segreto che, tra le altre cose, uno dei motivi alla base dell'intervento di Mosca in Siria è stata la situazione di stallo raggiunta in Ucraina orientale, e la sofferenza causata dalle sanzioni. Mosca spera che, ampliando il dialogo con l'Occidente in generale, e con gli Stati Uniti in particolare, si riesca almeno a marginalizzare il Donbas come parte della sua agenda con l'Occidente, portarlo lontano dai riflettori, e quindi avvicinarsi a un soluzione accettabile. Non è del tutto chiaro come, nella mente del Cremlino, l'assedio di Aleppo e la rabbia che ciò ha provocato in Occidente possa influenzare il processo diplomatico associato al Donbas, o se il Cremlino non ci abbia pensato affatto.
La strategia comprende anche altre idee mal congegnate, e queste hanno a che fare con le potenze regionali. Nella sua visione “grande potenza-centrica” la Russia tende ad avere una percezione gonfiata di quanto i grandi attori possano imporsi sui partner più piccoli. Mosca ha probabilmente calcolato che gli Stati Uniti possano calmare Riyadh in un modo che lei stessa non riesce a fare. L'annuncio dell’intervento dell’Arabia Saudita è quindi probabilmente qualcosa che la Russia non si aspettava e non sa come affrontare.
Ancor più importante, il Cremlino non ha pensato in che modo la Turchia potrebbe reagire. Mosca ha già fatto un errore di calcolo quando non è riuscita a comprendere e affrontare le sensibilità della Turchia sulla Siria: Mosca prevedeva che la Turchia si allineasse alla Russia consentendogli di dettare le regole. Ciò ha portato alla più totale frustrazione turca, sfociata nell’abbattimento del jet russo, con una conseguente escalation delle tensioni. L'assedio di Aleppo è un ulteriore colpo alla Turchia; Mosca in realtà non sa come reagirà Ankara.
In questi giorni, la Turchia è la principale preoccupazionedegli esperti russi. Cosa succederebbe se la Turchia tentasse ancora di rifornire l'opposizione siriana alla quale non ha più accesso diretto? Che cosa succederebbe se si scontrasse con l'esercito siriano, e con i russi che aiutano i siriani? Mosca si vendicherebbe? Come? E cosa farebbe la NATO? La considererebbe una situazione da articolo 5? “Non ho risposte a queste domande e credo neanche Putin”, è stata la cupa valutazione di uno dei maggiori esperti di Mosca.
La dicotomia personale/professionale
Questo complesso mélange di calcoli e disattenzione che ha finito per caratterizzare la strategia della Russia in Siria offre un affascinante spaccato della politica estera russa in generale, e in Medio Oriente in particolare.
Se si guarda alle tre principali direttrici di politica estera della Russia, Occidente, Asia e Medio Oriente, l'approccio russo su quest'ultima direttrice si presenta di gran lunga come il più professionale. L'Occidente – l’Europa così come l’America – sono visti a Mosca attraverso lenti ideologiche pesantemente distorte. Mosca ha una ricchezza di conoscenze concrete circa l'Occidente, ma non riesce a interpretarle correttamente. I pochi esperti che capiscono la politica occidentale correttamente non sono molto richiesti dai poteri forti, perché chi è al potere pensa che la propria visione dell’Occidente sia altrettanto valida.
Diverso discorso per l’Asia – in questo caso non ci sono lenti ideologiche, non c'è molta conoscenza e fino a poco tempo c'è stato molto poco interesse. La Russia ha alcuni eccellenti esperti in Asia, che tendono ad avere un punto di vista puramente accademico. I pochi che hanno un approccio più pratico hanno ancora un'influenza molto limitata sulla definizione delle politiche. L’Asia rimane in gran parte terra incognita per la Russia.
Questo non è il caso del Medio Oriente. In epoca sovietica, la Russia aveva diversi esperti sul Medio Oriente che sono poi diventati molto influenti al di fuori dello stretto ambito accademico: molti arabisti hanno acquisito posizioni di rilievo nel Politburo e, in seguito, nell’architettura di potere nazionale. La tradizione arabista rimane ancora molto forte, nonostante la crisi post-sovietica nel foraggiamento delle expertise. A differenza di quando accade con l’Occidente, gli esperti del Medio Oriente sono anche molto richiesti. Il Cremlino potrebbe aver creduto (erroneamente) di sapere tutto sull’Ucraina, ma almeno riconosce di non sapere tutta la storia quando si tratta di Siria. L'Occidente non è d'accordo con i fondamenti filosofici, nonché con gli obiettivi concreti della politica russa in Siria, e condanna i suoi mezzi spesso spietati. Tuttavia bisogna riconoscere una certa professionalizzazione in tale strategia. La politica russa in Siria è stata influenzata dall’expertise più del solito, e questo è evidente. Mosca sa quello che vuole ottenere in Siria e ha un piano per farlo.
Tuttavia, questo approccio professionale tiene solo finché la politica è guidata da calcoli esperti. Quando le emozioni della leadership prendono il sopravvento, tutti i consigli professionali vengono messi da parte. Questo è esattamente quello che è successo nelle relazioni Russia-Turchia: “ora è così personalizzato che non si arriva da nessuna parte”, ha confessato uno dei maggiori esperti russi coinvolti nel negoziato. Da novembre in poi, la politica russa sulla Siria è stata – e continua ad essere – guidata da questa dicotomia tra professionalità e personalizzazione, il che la rende meno prevedibile e più pericolosa di quanto non sarebbe stato nel caso contrario. Quando si tratta del profilo professionale, dopo l'incontro di Monaco, sembra che Mosca si stia avvicinando ai suoi obiettivi: tuttavia la componente personale è ancora lì, una polveriera e un falò che possono innescare un’esplosione ancor più grande.
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