José Ignacio Torreblanca citato su Il Foglio

David Carretta, su Il Foglio, cita José Ignacio Torreblaca, Direttore dell'Ufficio di Madrid di ECFR, su elezioni europee, euroscetticismo e futuro Presidente della Commissione europea

La prossima vita dell' Europa

David Carretta, Il Foglio, 21 maggio 2014

Non sarà Bruxelles a soffrire di più per il trionfo degli euroscettici cosa accadrà il giorno dopo il voto Tra cinque anni gli antieuropei potranno rivendicare la paralisi politica, che colpirà soprattutto il progetto della “Nato per il commercio”. I vari paesi dovranno fare i conti con le forze nuove, e sceglieranno il compromesso. Bruxelles vuole fare a meno dei candidati di Ppe e Pse per salvare Parigi dalla Le Pen

 

Il trionfo euroscettico che si annuncia per domenica notte produrrà sull'Unione europea lo stesso effetto del “no” francese e olandese al Trattato costituzionale nel 2005: uno stallo politico, accompagnato da una grande coalizione brussellese per gestire gli affari correnti e da una deriva antieuropea dei governi nazionali. I movimenti e i partiti populisti e antieuropei sono pronti a vincere la scommessa comune contro l'Europa. Il Front National di Marine Le Pen e l'Ukip di Nigel Farage dovrebbero imporsi come primo partito a Parigi e Londra. L'Italia vacilla nella bolla del M5s. L'estrema sinistra di Alexis Tsipras potrebbe superare Nuova democrazia in Grecia. Il Pvv di Geert Wilders in Olanda è testa a testa con gli europeisti liberali e libertari del D66. Gli antieuropei sono destinati a occupare il primo, secondo o terzo posto in paesi più piccoli – il Partito del popolo danese, i Veri finlandesi, il Jobbik ungherese – e la Germania eleggerà per la prima volta eurodeputati euroscettici (Alternative für Deutschland e un paio di neonazisti). Eppure il “day after” non sembra l'inferno degli europeisti disegnato sulla copertina dell'Economist. Gli antieuropei sono troppo pochi, e troppo divisi tra loro, per imporsi sull'Ue. Le Pen e Farage si sono scambiati accuse di razzismo durante tutta la campagna elettorale. Il pro Israele Wilders non è voluto comparire al fianco di Le Pen per sospetto antisemitismo. Le Pen, Farage e Wilders considerano il Jobbik troppo neonazista per essere frequentabile. Le proiezioni più pessimiste dicono che tutti uniti (dall'estrema destra all'estrema sinistra) gli antieuropei otterranno tra il 20 e il 30 per cento dei seggi. Il miglior risultato di sempre, che consentirà la formazione di uno o due gruppi parlamentari rumorosi, ma non sufficiente per far tremare la grande coalizione che governa Europarlamento e Commissione da sempre. Sarà la “politics as usual”, come l'ha definita José Ignacio Torreblanca dell'European Council on Foreign Relations. “Una grande coalizione tra socialisti e popolari arriverebbe a 421 seggi (il 56 per cento), al di sopra della maggioranza assoluta”, dice Torreblanca: “Potrebbero chiedere ai liberali di unirsi”, costituendo una maggioranza del 64 per cento a prova di bomba euroscettica. La scelta del presidente della Commissione è destinata a essere la principale risposta politica all'euroscetticismo. Il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, ha già convocato i capi di stato e di governo per discuterne a cena il 27 maggio. In vista c'è una minicrisi istituzionale e uno scontro di visioni. L'Europarlamento e i federalisti insisteranno affinché sia il candidato del partito che ha ottenuto più seggi (il lussemburghese Jean-Claude Juncker per il Ppe e il tedesco Martin Schulz per il Pse) a guidare il prossimo esecutivo comunitario. La cancelliera tedesca, Angela Merkel, farà un appello al realismo e al senso di responsabilità: meno del 30 per cento dei seggi non basta per dare legittimità democratica e, soprattutto, serve un presidente del Commissione francese per non lasciare un grande paese fondatore in balia della Le Pen. Van Rompuy ha annunciato che cercherà di trovare “una soluzione equilibrata per ridurre il pericolo di uno scontro tra Consiglio europeo e Parlamento”. E che con ogni probabilità il successore di Barroso non sarà né Juncker né Schulz, ma un outsider. Nei corridoi brussellesi circola con insistenza il nome della preferita di Merkel: Christine Lagarde. La direttrice del Fmi è della famiglia popolare, ma piace ai socialisti perché critica l'austerità. Un altro francese con un profilo consensuale – socialista di partito ma liberale nell'animo – è l'ex direttore generale dell'Organizzazione mondiale del commercio, Pascal Lamy. Lungi dall'abbattere o ridimensionare l'Ue, gli euroscettici tra cinque anni potranno almeno rivendicare la paralisi politica. La fatica da allargamento congelerà le adesioni dei Balcani e della Turchia. La fatica da integrazione impedirà altri balzi federali. La fatica da austerità e bailout bloccherà il rafforzamento istituzional-economico della zona euro. Nel 2005 il “no” alla Costituzione europea in Francia, trascinato dall'allarmismo per l'invasione di idraulici polacchi dovuto alla direttiva Bolkestein, aveva portato all'arresto delle iniziative per  completare il mercato interno. Allo stesso modo, a catalizzare le passioni della prossima legislatura sarà il trattato di libero scambio con gli Stati Uniti: la “Nato del commercio” per un dominio transatlantico della governance economica mondiale diventerà il bersaglio contro cui scatenare i risentimenti verso l'Ue. La storia dell'Ue dimostra che i dirigenti europei riescono a essere creativi solo se c'è una minaccia esistenziale. Ma un successo che gli euroscettici possono già rivendicare è la deriva nazionalista e anti-europea dei governi nazionali. Il britannico David Cameron ha già ceduto alle pressioni dell'ala euroscettica dei Tory, promettendo un referendum “dentro o fuori” dall'Ue. Merkel ha dovuto mediare tra l'europeismo ufficiale della Cdu e una base molto più scettica. Il francese François Hollande sarà tentato dal patriottismo economico del suo ministro no global Arnaud Montebourg. Così, molto più degli euroscettici, un'ondata di sfiducia dei mercati, o un'ondata migratoria massiccia, o un'ondata terrorista europea, o un'ondata militare russa nel Baltico questa volta potrebbe rompere il sottile filo che ha tenuto uniti gli europei.

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