Il Green Deal sarà decisivo per l’Europa

La nuova leadership dell'Unione Europea ha deciso di investire gran parte del proprio capitale politico in un piano per far diventare l’Europa un leader mondiale nella transizione verso un'economia a zero emissioni di carbonio. Ma se troppi elettori si sentissero come sacrificati per un'alternativa verde, il piano potrebbe non partire nemmeno.

L'ambizione della Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen di guidare una “commissione geopolitica” sta per affrontare la sua prima grande prova. I capi di Stato europei si riuniscono per discutere la proposta sul Green Deal europeo, un progetto gigantesco che potrebbe unire l'Unione Europea e rafforzare la sua posizione sulla scena mondiale o generare una nuova scissione politica interna che lascerebbe il blocco fratturato e vulnerabile.

La necessità di un'azione organizzata è evidente. Il Green Deal è una risposta all'accelerazione del cambiamento climatico, che rappresenta una minaccia esistenziale non solo per l'Europa ma per l'intero pianeta. Il problema non rispetta i confini nazionali e richiede quindi un'azione collettiva globale. La transizione verso un'economia a zero emissioni di carbonio offre anche opportunità di vasta portata. Con la giusta strategia in atto, l'Europa può promuovere la propria innovazione tecnologica e determinare i prezzi di vendita del carbonio e altre politiche fiscali, così da proteggere i mercati del lavoro europei dall’essere colpiti dalla produzione a basso costo in Cina e altrove.

Inoltre, attraverso la Banca europea per gli investimenti, l'UE dispone già di uno strumento per mobilitare massicce riserve di capitale per investimenti in infrastrutture, ricerca e sviluppo e altri settori essenziali. Come sostiene Adam Tooze, emettendo obbligazioni verdi e altri “beni sicuri”, l'Europa può garantire una maggiore indipendenza economica da altre potenze e iniziare a far affermare l'euro come moneta globale.

Ma accanto a questa visione positiva ci sono scenari più distopici in cui il dibattito sulle politiche climatiche crea divisioni geografiche e socioeconomiche e alimenta una reazione populista. Nonostante il cambiamento climatico tocchi tutti, gli effetti sono asimmetrici, così come i costi della transizione verso un'economia a zero emissioni di carbonio. Il pericolo per gli europei è che la diversa distribuzione dei costi e delle opportunità alimenti una guerra culturale tra est e ovest, tra città e campagna, e così via.

Il dibattito europeo è l'eco di una più ampia sfida globale. Molti paesi dell'Europa orientale dipendono ancora fortemente dal carbone per la produzione di energia, e quindi temono che la spinta alla neutralità di emissioni di carbonio sia una forma subdola di protezionismo da parte di economie avanzate come la Germania. Il ministro dell'energia polacco, Krzysztof Tchórzewski, ha respinto come “fantasia” l'idea che la Polonia, che si basa sul carbone per l'80% della sua elettricità, potrebbe raggiungere la neutralità delle emissioni di carbonio entro il 2050, stimando che i costi di una tale transizione si avvicinerebbero a 1 trilione di euro (1.1 trilioni di dollari).

Oltre al divario est-ovest, il Green Deal potrebbe anche creare divisioni politiche all'interno di ciascun Stato membro dell'UE. Il presidente francese Emmanuel Macron ha cercato di posizionare la Francia come leader climatico globale. Tuttavia, il tentativo del governo di aumentare le tasse sul carburante dello scorso anno gli si è ritorto contro quando milioni di gilet gialli sono scesi in piazza per protestare a fine 2018.

ECFR ha condotto uno studio approfondito per capire le preferenze politiche in Europa; ne è scaturito che la politica climatica è una questione che crea particolari divisioni. Circa due terzi degli europei nella maggior parte dei paesi analizzati pensano che affrontare il cambiamento climatico dovrebbe essere una priorità, anche se ciò significa limitare la crescita economica. Tuttavia, una persona su quattro non pensa che il cambiamento climatico sia una minaccia reale e si preoccupa molto di più del radicalismo islamico e dell'ascesa dei nazionalismi.

I gilet gialli non sono un fenomeno isolato. Le recenti elezioni hanno dimostrato che un programma come il Green Deal può rafforzare le posizioni di populisti e partiti come l'Alternative für Deutschland (AfD) in Germania e il Rassemblement National (già Fronte Nazionale) in Francia.

Significativamente, una volta che si passa dal chiedere alle persone se il cambiamento climatico è un problema a come affrontarlo, le preoccupazioni sulla correttezza socioeconomica e la distribuzione dei costi si rivelano estremamente divisorie. Anche nel Parlamento europeo, dove il 62% dei deputati è stato eletto su piattaforme di ispirazione ecologica, solo il 56% è d'accordo sul fatto che l'UE dovrebbe portare avanti una rapida transizione verso un'economia a basse emissioni. Per di più, solo un terzo dei deputati è disposto ad adottare misure severe contro le imprese che utilizzano ampiamente il carbonio.

In generale, quindi, vi sono due possibili alternative per la politica climatica europea. Il Green Deal potrebbe diventare il nuovo scopo principale dell'Europa, dando slancio all'integrazione europea e rafforzando la posizione globale dell'UE nei confronti della Cina e degli Stati Uniti. Altrimenti, potrebbe diventare la prossima “crisi dei rifugiati”, una questione estremamente importante che divide l'Europa tra est e ovest e che mobilita le forze populiste all'interno dei paesi del blocco.

Per rendere più probabile il primo scenario, i leader dell'UE dovrebbero ascoltare meno i moralisti come la giovane attivista climatica Greta Thunberg e più i realisti pragmatici che riconoscono che avvantaggiare le forze reazionarie ha a lungo favorito il progresso. L'unico modo per portare avanti con successo il Green Deal sarà quello di offrire grandi trasferimenti fiscali ai ritardatari, in modo che anch'essi abbiano un interesse nella transizione verso l'energia pulita. Senza l'unità dell’Europa, non ci può essere una risposta europea efficace al cambiamento climatico.
 

Questo commento è stato originariamente pubblicato su Project Syndicate.

ECFR non assume posizioni collettive. Le pubblicazioni di ECFR rappresentano il punto di vista degli autori.