Grandi illusioni: i Partenariati nella Bussola Strategica europea

La cooperazione con i Paesi terzi è parte fondamentale della politica estera dell’UE. Tuttavia, nel quadro della sua Bussola Strategica l’Unione dovrà fare attenzione ad evitare quei partenariati in materia di sicurezza e di difesa che creano solo un’apparenza di progresso.

Belgium, Brussels, 2021/05/19. European Union Military Committee Chairman General Claudio Graziano (c,l), NATO Military Committee Chairman Air Chief Marshal Sir Stuart Peach (c,r) and EU Chiefs of Defense (CHODs) pose for the family photo on May 19, 2021 in Brussels, Belgium. EU High Representative for Foreign Affairs and Security Policy Josep Borrell addressed the EUMC which agenda includes the strategic compass and the EU battle group. Aspects of cooperation between the EU and NATO were discussed together with Air Chief Marshal Sir Stuart Peach. Photograph by Olivier Matthys / Pool / Hans Lucas. || Mindestpreis 10 Euro
Il Presidente del Comitato militare dell’UE, Generale Claudio Graziano, il Presidente del Comitato militare della NATO, Maresciallo Sir Stuart Peach e i Capi della difesa dell’UE
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I partenariati internazionali sono alla base della politica estera europea. Ciononostante, l’approccio dell’Unione europea a tali accordi è stato a lungo tutt’altro che intuitivo. Infatti, anziché subordinare ciascun partner ad un preciso obiettivo politico, l’UE ha fatto spesso l’opposto. Questa tendenza è stata catturata dall’ ex Presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, con il suo esordio: “Ora che abbiamo partenariati strategici, abbiamo bisogno di una strategia”. La Bussola Strategica che l’Europa sta attualmente sviluppando avrebbe il potenziale di invertire questa tendenza e apportare coesione ad un approccio UE finora fortemente frammentario verso i partenariati. Tuttavia, le prime bozze del documento sembrano essere imbevute di retorica ma prive di contenuti. 

Il capitolo riguardante i partenariati non fa eccezione. Non ci sono, infatti, indicazioni precise su come l’Europa possa realizzare le proprie ambizioni globali. A differenza dei precedenti documenti strategici, la Bussola Strategica prova a distinguere e categorizzare i partenariati strategici dell’UE, addirittura organizzandoli secondo la loro natura multilaterale (NATO e ONU), regionale (Unione Africana, Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, e Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico) o bilaterale. Il documento introduce anche una distinzione tra i partner bilaterali dell’UE. Gli Stati Uniti vengono presentati come un partner essenziale con cui rafforzare la vantaggiosa cooperazione in materia di sicurezza e difesa, alla luce dello slancio creato in proposito dal vertice UE-USA tenutosi a giugno 2021. Segue poi un breve paragrafo in merito a Norvegia, Canada e Regno Unito, nonché sezioni riguardanti la Turchia, i Balcani Occidentali, il Partenariato Orientale, il Vicinato meridionale, l’Africa, l’Indo-Pacifico e l’America Latina.

Naturalmente, il voler costruire ponti con Stati terzi è una politica difficile da criticare. Eppure, in ambito di sicurezza e difesa, la proliferazione dei partenariati tende a diventare un modo ingegnoso per creare un’illusione di progresso. La Bussola Strategica deve riuscire ad evitare questo errore. Affinché i partenariati dell’UE siano efficaci, è necessario che i leader europei intraprendano i seguenti passi. 


Partenariati “su misura”

L’Unione europea dovrebbe innanzitutto ammettere che i suoi partner sono puramente un tramite per conseguire i propri obiettivi di politica estera. A tal proposito, ogni partenariato dovrebbe includere una componente su misura, che dettagli meccanismi su come una determinata collaborazione è la più adatta a raggiungere un certo specifico obiettivo politico. Tuttavia, l’Europa è stata a lungo riluttante nel personalizzare ed individualizzare le proprie partnership, preferendo invece accordi applicabili a gruppi di Paesi piuttosto che a uno soltanto.  Questa preferenza è, in parte, dovuta al timore che possano sorgere tensioni politiche in Stati membri come Danimarca e Svezia, dove i partiti euroscettici potrebbero spingere per ulteriori opt-out dalle politiche comuni. È vero che la retorica della Bussola Strategica sui partenariati su misura è promettente, ma non dà comunque alcuna indicazione su come questo lavoro di “sartoria” si tradurrà in misure concrete. Se l’UE vuole relazioni con Paesi extra-europei che siano veramente orientate al raggiungimento di obiettivi, dovrà necessariamente fare una serie di considerazioni pratiche. 

In primo luogo, l’UE dovrebbe differenziare i nuovi partenariati di sicurezza dai modelli già esistenti, come gli accordi di partenariato e cooperazione, le associazioni e gli accordi quadro. Inoltre, l’Unione dovrà decidere se adattare questi partenariati agli obiettivi di politica estera europea – e, se sì, quali – o, piuttosto, al contesto nazionale del Paese partner. Infine, è necessario pensare come questi accordi più ad hoc andrebbero a influenzare la struttura e la composizione del Servizio europeo per l’azione esterna. Ad esempio, è necessario interrogarsi 

sulla possibile necessità di avere una delegazione più grande e un funzionale militare in quei Paesi che sono stati identificati come partner strategici dell’UE.  Non affrontare queste questioni non fa che addensare il miasma di responsabilità confuse e conflittuali tra partenariati bilaterali ed altri vettori di cooperazione, come le relazioni interregionali e i formati di cooperazione multilaterale.


Un’Unione accattivante

L’Unione europea dovrebbe anche migliorare le proprie credenziali come partner strategico. I partenariati strategici sono, in definitiva, una questione politica e, in politica, le percezioni contano. Le potenze emergenti si approcciano in modo spiccatamente strumentale alla cooperazione internazionale. Perciò, se l’Europa vuole stabilire delle relazioni significative con questi attori, deve innanzitutto far sì che possa essere percepita come un partner accattivante.

Come ha detto il politologo Giovanni Grevi, “in un contesto caratterizzato dalla rinascita del nazionalismo e dalla politica di potere, un’Unione tra Stati e popoli che cerca di creare cooperazione internazionale basata sulle regola è un bene pubblico globale”. Dunque, l’Europa dovrebbe sfruttare meglio le proprie credenziali di superpotenza normativa trovando modi di conciliare le politiche e le risorse interne con i suoi obiettivi di politica estera. Per esempio, l’Unione dovrebbe cercare di stabilire un level playing field per lo sviluppo e l’uso delle tecnologie emergenti in Europa come un passo verso l’istituzione di regimi multilaterali affini.

Al fine di diventare un partner strategico più attraente, l’UE avrà anche bisogno di coordinarsi in maniera più efficace con i suoi Stati membri, soprattutto alla luce del fatto che alcuni di essi hanno già delle proprie partnership strategiche che si vanno a sovrapporre a quelle dell’UE. Per evitare queste ridondanze, l’Unione dovrebbe scandire agli Stati terzi il motivo per cui relazionarsi con Bruxelles sia preferibile al trattare esclusivamente con le capitali nazionali. 


Less can be more

In materia di sicurezza e difesa, anziché estendere lo status di partner a svariati Paesi in giro per il mondo, l’Europa dovrebbe concentrarsi su quegli attori, come la Norvegia e il Regno Unito, che sono fondamentali per rendere l’Unione più autonoma da un punto di vista strategico. È quindi sorprendente che la Bussola Strategica si limiti a menzionare appena entrambi i Paesi. Anche se il legame transatlantico resterà un elemento centrale della sicurezza e della difesa europee, è soltanto attraverso il rafforzamento dei legami con partner europei non-UE che l’Unione può riconciliare il proprio obiettivo di autonomia strategica con l’esigenza di maggiore apertura. A tal fine, l’UE dovrebbe far sì, attraverso meccanismi e processi già esistenti, che la possibilità di partecipare alla Politica estera e di sicurezza comune (PESC) divenga più attraente per questi partner europei. 

È importante che l’Unione riconosca che l’esclusione del Regno Unito dalla difesa europea è tanto irrealistico quanto controproducente. Alla luce di ciò, è ora che qualsiasi incertezza e tensione politica più ampia associata alla Brexit lasci il posto a un dialogo costruttivo tra le due parti in materia di difesa. Bruxelles dovrebbe fare delle offerte allettanti a Londra, come la partecipazione ad hoc alle riunioni del Consiglio Affari Esteri ad altri processi PESC. Come ho sostenuto in precedenza, la sicurezza e la difesa sono aree politiche versatili e hanno il potenziale necessario per agevolare la ricostruzione di un rapporto funzionante tra Londra e Bruxelles. Una cooperazione ad hoc in questi settori potrebbe fornire le basi per una migliore relazione politica in futuro.

Per quanto riguarda la Norvegia, invece, è sorprendente che la Bussola Strategica la menzioni nello stesso contesto in cui menziona il Regno Unito e il Canada, entrambi aventi relazioni molto meno istituzionalizzate con l’Europa. Così facendo, il documento sembra ignorare il fatto che la Norvegia sia lo Stato non-membro più integrato nell’UE e rischia potenzialmente di intaccare l’ intenzione di Oslo di coltivare ulteriormente le relazioni con l’Unione in materia di  sicurezza e difesa. Alla luce di questo, qualsiasi partenariato con la Norvegia dovrà rassicurare Oslo che non verrà lasciata fuori dal processo di integrazione della difesa europea (soprattutto in ambiti come lo sviluppo industriale, i meccanismi di sostegno finanziario e i diritti di proprietà intellettuale – l’ultima di queste è una questione che preoccupa particolarmente la Norvegia). 

Nel complesso, Unione europea fa bene a investire capitale politico e risorse adeguate nei propri partenariati. Partenariati e autonomia strategica, infatti, possono essere complementari. L’UE dovrebbe però focalizzarsi sull’elaborare partnership che portino benefici politici sostanziali. La forma deve seguire la funzione, soprattutto in ambito di sicurezza e difesa. Come nel film di Jean Renoir, la difesa europea è prigioniera di una grande illusione, ossia la convinzione di poter trasformare qualcosa in realtà solo parlandone. Nel definire i propri partenariati, l’UE dovrebbe prima decidere perché un obiettivo specifico è meglio raggiunto attraverso una partnership, e cosa spera di ottenere da quel partner specifico. Allora – e solo allora – potrà determinare il processo più conforme a realizzare i suoi interessi.

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