Ecco perché l’Europa ha bisogno di una nuova unione energetica

Quasi tutti gli Stati membri dell’UE sono esposti alle ricadute delle sanzioni occidentali contro la Russia sul mercato energetico. Per proteggere la propria sicurezza energetica e sostenere la transizione verde, questi dovrebbero quindi formare una nuova unione energetica.

October 8, 2021, Groningen, Netherlands: A number of power plants operate at the mouth of the river Ems. Electrabel and NUON operate a gas-fired power plant, RWE Innogy operates a wind farm and RWE is operating a coal-fired plant at the Energy Park Eemshaven. (Credit Image: © Matthias Oesterle/ZUMA Press Wire
Alcune centrali elettriche a gas operano accanto a un parco di turbine eoliche presso l’Energy Park Eemshaven a Groningen (Paesi Bassi)
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Le sanzioni occidentali contro la Russia potrebbero presto riguardare anche le esportazioni di gas del Paese. Col protrarsi della guerra del Cremlino contro l’Ucraina, quindi, questo ha innescato una corsa di molti Paesi europei, in primis quelli più dipendenti dagli idrocarburi russi, a diversificare le proprie forniture energetiche

La Germania, per esempio, ha posticipato la chiusura di alcune centrali a carbone, responsabili per la generazione di circa un quarto dell’elettricità del Paese, mettendo la decisione di chiuderle in stand-by “fino a nuovo ordine”.  Anche in altri Paesi come la Repubblica Ceca e la Romania le centrali a carbone stanno per essere riaccese; la Repubblica Ceca, in particolare, sta riconsiderando il suo piano di cessazione graduale circa l’estrazione del carbone. Qualche settimana fa anche il premier italiano Mario Draghi ha detto che l’Italia è pronta a riaccendere alcuni impianti che sono stati chiusi pochi mesi fa. 

La crescente imposizione di sanzioni contro la Russia da parte dell’Occidente potrebbe, quindi, mettere a rischio il conseguimento degli obiettivi climatici fissati dall’Unione europea. Ma, oltre a ciò, le sanzioni rischiano anche di dare vita a una competizione intraeuropea per assicurarsi l’approvvigionamento di gas da fonti alternative. In questo settore Germania e Italia si sono dimostrate molto attive. La Germania, infatti, sta negoziando l’avvio di una “long-term partnership” con il Qatar per aumentare le importazioni di gas liquefatto (GNL). Berlino però non dispone ancora di rigassificatori (necessari per riconvertire il GNL nel gas naturale utilizzato come combustibile) e ha dunque annunciato la costruzione di due terminali per essere in grado di ricevere il GNL trasportato via mare e introdurre così una maggiore flessibilità nella propria strategia energetica. Secondo alcuni analisti, tuttavia, potrebbero volerci anche fino a 3 anni perché questi terminali diventino pienamente funzionali. Il ministro dell’Economia Robert Habeck sostiene che la Germania sarà in grado di affrancarsi definitivamente dalle importazioni di gas russo soltanto intorno alla metà del 2024.

Anche l’Italia sembra aver attivato una strategia di diversificazione delle fonti energetiche a largo spettro, considerato che quasi il 40% delle sue importazioni di metano arrivano dalla Russia al momento. A differenza di Berlino, però, Roma ha puntato soprattutto sui Paesi nord africani. Risale a un paio di settimane fa, infatti, la firma di un accordo tra l’Italia e l’Egitto per la fornitura dell’equivalente di tre miliardi di metri cubi all’anno sotto forma di GNL. Tale accordo si aggiunge a quello già concluso in precedenza con l’Algeria per l’acquisto dalla compagnia nazionale Sonatrach di nove miliardi di metri cubi all’anno. Pertanto, il prossimo inverno l’Italia dovrebbe essere in grado di rimpiazzare metà del fabbisogno fino ad oggi coperto dalla Russia con questi nuovi contratti.

Tuttavia, l’accordo tra Roma e Algeri ha sollevato preoccupazioni in Spagna, visto che il Paese riceve il 47% delle proprie forniture di gas dall’Algeria. Non solo, ma le negoziazioni tra la Spagna e l’Algeria per nuove forniture di energia si trova in una fase di stallo da mesi, e sembra risentire del deterioramento delle relazioni tra i due Paesi dovuto al recente sostegno della Spagna verso il Marocco nella disputa sul Sahara Occidentale. Per questo motivo, si dice che la Spagna sia preoccupata al pensiero che la propria sicurezza energetica possa essere compromessa dall’accordo tra l’Algeria e l’Italia, soprattutto considerando la limitata capacità di produzione dei Paesi nordafricani. La scorsa settimana funzionari spagnoli e italiani si sono incontrati per discutere dell’accordo sul gas, ed è probabile che seguiranno ulteriori colloqui tra le parti. 

La Spagna, dipendente solo per l’8% dal gas russo, sembra puntare molto sul GNL ed è il Paese europeo che dispone di più rigassificatori (35% della capacità totale europea), ma al momento questi non sono particolarmente utilizzati. Intanto, la rete spagnola del gas è scarsamente connessa con quella europea, pregiudicando così la possibilità per Madrid di divenire un punto di accesso del GNL destinato ad altri Paesi europei. Eppure, se la sua rete di connessione migliorasse, la Spagna sarebbe l’approdo ideale per tali consegne. 

Oltre a questioni legate al sistema concorrenziale, in Europa vi è quindi anche un problema infrastrutturale, che è evidente in particolare nell’ambito delle strutture di stoccaggio del gas. Gli stoccaggi sono solitamente gestiti da società private e nei mesi scorsi l’alto prezzo del gas ha reso questo sistema poco vantaggioso a causa della limitata capacità di stoccaggio. Pertanto, l’Italia è stata costretta a incentivare le aziende private a fare riserve di gas. Come segnalato da alcuni analisti, se il flusso di gas russo venisse interrotto oggi, l’Italia avrebbe solo otto settimane di autonomia prima di finire le riserve presenti negli stoccaggi. La Germania avrebbe circa dieci settimane. Nell’attuale contesto europeo, sanzioni sul gas immediate rischierebbero quindi di obbligare a razionamenti con gravi ripercussioni sull’industria europea. A sua volta, questo potrebbe causare un ulteriore aumento dei prezzi e rallentare la ripresa economica europea dalla pandemia. 

La minaccia al Green Deal europeo è particolarmente preoccupante perché, al di là delle sue implicazioni industriali e ambientali, l’accordo mira a rafforzare la sovranità dell’UE liberandola dalla dipendenza dalle importazioni di energia. I maggiori produttori di gas – dal Qatar all’Azerbaijan, sino ai Paesi nordafricani – sono perlopiù autocrazie che non brillano né per stabilità né per rispetto di diritti umani. Il rischio di legarsi a loro per svincolarsi dalla Russia non appare una strategia lungimirante.

Ogni Paese europeo ha un mix energetico diverso, punti di forza e costrizioni diverse, ma quasi tutti in un modo o nell’altro sono esposti alle potenziali ricadute delle sanzioni alla Russia e tutti quanti hanno il comune interesse a una transizione verde più rapida possibile. Per questi motivi, è necessario che l’Europa crei al più presto una nuova unione dell’energia che garantisca la sicurezza energetica e allo stesso tempo dia una spinta alla transizione ecologica. Questa non sarebbe d’altronde una novità se pensiamo che il primo progetto di integrazione europea avvenne con la Comunità del Carbone e dell’Acciaio nel 1951. 

È stato poi nel corso degli anni Novanta che le istituzioni europee hanno dato inizio al progressivo processo di liberalizzazione dei mercati dell’energia che ha implicato la separazione della produzione e fornitura di energia dalle reti di controllo e trasmissione. Tutti i monopoli statali sono stati allora trasformati in aziende private in reciproca competizione per accaparrarsi quote di mercato. La progressiva imposizione di questo modello si è basata sulla convinzione che l’integrazione del mercato del gas dell’UE, dal livello nazionale a quello europeo, costituisse un’opportunità per introdurre concorrenza su scala più ampia, con maggiori benefici per i consumatori finali. Tuttavia, in un’epoca di “weaponization” delle connessioni energetiche, questa scelta sta mostrando i suoi limiti poiché non ha tenuto in considerazione la dimensione della sicurezza energetica, lasciata perlopiù alla gestione dei singoli governi in un’epoca di abbondanza energetica 

Per questo motivo è necessario stabilire una nuova unione dell’energia che permetta agli Stati membri di mettere in comune le potenzialità, attenuare le debolezze, evitare concorrenze intra-europee, stabilire tetti ai prezzi dell’energia, proporre la creazione di infrastrutture adeguate, istituire un fondo di risarcimento e condividere la gestione dei progetti energetici già esistenti (dai gasdotti alle infrastrutture di stoccaggio sino agli investimenti nelle rinnovabili). Solamente così l’UE potrà prendere decisioni coraggiose sul gas o sul petrolio russo, e in prospettiva rispondere alle minacce geopolitiche in modo più forte e solidale, senza fare passi indietro sulla propria transizione verde.

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