Come il governo italiano potrebbe influenzare l’approccio europeo alla Cina

L’approccio “Italy First” di Roma rispetto alla Cina non necessariamente comprometterà la strategia dell’UE nei confronti di Pechino. Anzi, potrebbe addirittura rafforzarla

Bali, 16/11/2022 – Il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni, ha incontrato il Presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping

Durante la campagna elettorale dello scorso anno, Giorgia Meloni ha assunto nei confronti della Cina una posizione estremamente scettica. Non solo il futuro Presidente del Consiglio ha concesso a sorpresa un’intervista alla Central News Agency di Taiwan, ma ha inoltre promesso di rivedere la posizione dell’Italia sulla Belt and Road Initiative (BRI), il programma globale di investimenti infrastrutturali della Cina, a cui l’Italia aveva aderito firmando un memorandum d’intesa nel 2019, decisione che Meloni considera un “grave errore”.

Ciascuno dei tre partiti dell’attuale coalizione di governo –  Fratelli d’Italia, il partito di estrema destra della Meloni, la Lega di Matteo Salvini e Forza Italia di Silvio Berlusconi – persegue priorità diverse nei confronti di Pechino. Una volta al potere, tutti e tre hanno fatto la voce grossa (sia a favore che contro la Cina), senza però dare alle parole alcun seguito concreto e adottando invece un approccio molto più in linea con gli altri Paesi europei. Fratelli d’Italia, per la prima volta a capo dell’esecutivo, sembra per il momento seguire una linea molto più moderata di quanto si potesse ipotizzare durante la campagna elettorale.

Nei primi mesi in carica, il nuovo governo ha mostrato un elevato grado di continuità sulla Cina rispetto al precedente. Mario Draghi aveva adottato una posizione in linea con la valutazione dell’Unione Europea che considera Pechino “un concorrente economico e un rivale sistemico”, ad esempio bloccando o impedendo l’acquisizione di imprese italiane da parte di società cinesi e rafforzando l’allineamento transatlantico.

A novembre Meloni e Xi Jinping si sono incontrati a margine del G20 di Bali, ma questo significa poco per l’approccio politico generale dell’Italia. L’atmosfera è stata più cordiale di quanto ci si potesse aspettare per un leader europeo che solo poche settimane prima aveva condannato a gran voce le azioni cinesi nello Stretto di Taiwan. Meloni ha anche accettato l’invito di Xi a visitare Pechino, ma più che un segnale di avvicinamento tra i due Paesi si è trattato di un tentativo di ristabilire rapporti diplomatici regolari. Le visite in Cina non sono certo rare per i leader europei: poco prima dell’incontro di Bali, il cancelliere tedesco Olaf Scholz è stato il primo leader del G7 a recarsi in Cina dall’inizio della pandemia.

Lo stesso atteggiamento è stato adottato anche da un altro rappresentante della coalizione. Il nuovo Ministro degli Esteri, Antonio Tajani, esponente di Forza Italia, proviene da un ambiente scettico nei confronti della Cina, tanto che nel 2019, in qualità di Presidente del Parlamento Europeo, si era opposto alla decisione dell’Italia di firmare il memorandum d’intesa sulla BRI. Poco dopo il G20, Tajani ha avuto una telefonata con il suo omologo cinese che si è limitata alle consuete formule diplomatiche sul rafforzamento delle relazioni economiche e poco più. L’era dei grandi affari e delle cerimonie di alto livello è ormai solo un lontano ricordo. Allo stesso modo, ci sono poche probabilità che il governo italiano faccia qualcosa per ostacolare l’esportazione di beni italiani in Cina.

L’atteggiamento della Lega riguardo alla Cina è stato più altalenante e ha conosciuto alti e bassi, e poi di nuovo alti. Il memorandum sulla BRI è stato firmato nel 2019 durante una visita di Stato di Xi quando il partito di Salvini era al governo insieme al populista Movimento Cinque Stelle. Tuttavia, poche settimane prima, alla fine del 2018, su pressione di Washington la Lega aveva deciso di prendere le distanze dalla BRI e Salvini non aveva quindi partecipato agli eventi ufficiali durante la visita di Stato, lamentando pubblicamente il fatto che la Cina non è un’economia di mercato. Nel luglio 2020, sempre Salvini ha manifestato davanti all’Ambasciata cinese a Roma a sostegno della libertà dei cittadini di Hong Kong, ma l’anno successivo si è recato in visita dall’ambasciatore cinese a Roma in qualità di leader del partito, ufficialmente per discutere della situazione in Afghanistan. Ad oggi, la posizione della Lega sulla Cina rimane poco chiara, anche se è probabile che si adeguerà a Fratelli d’Italia.

L’Italia è stato il primo e unico Paese del G7 ad aderire alla BRI. Con la revisione promessa dalla Meloni, potrebbe essere il primo Paese ad abbandonare l’iniziativa. Ciò potrebbe innescare un processo che porterà altri Stati europei a fare lo stesso. Nel 2021 la Lituania è stata la prima ad abbandonare il format di cooperazione “17+1” tra la Cina e i Paesi dell’Europa centrale e orientale, ed è stata presto seguita da altri.

Nel frattempo, rimane il problema di come gestire gli investimenti cinesi nelle imprese italiane, che il governo italiano potrebbe facilmente bloccare.

Dopo tutto, l’approccio di Draghi è stato altamente protettivo nei confronti degli asset italiani, come quando ha impedito alla Shenzhen Investment Holdings di acquisire l’impresa italiana di semiconduttori LPE. È improbabile che il nuovo Presidente del Consiglio, marcatamente nazionalista, adotterà un atteggiamento diverso. In un discorso al Senato Meloni si è esplicitamente opposta agli investimenti predatori nell’industria italiana di importanza strategica. Il Ministro delle imprese e del made in Italy Adolfo Urso ha già dichiarato l’intenzione del governo di rafforzare ulteriormente il meccanismo di screening italiano per gli investimenti diretti esteri, includendo nuovi aiuti statali per le imprese italiane interessate da eventuali mancate transazioni. Ha inoltre lasciato intendere che il governo potrebbe rivedere anche gli accordi già conclusi che prevedono investimenti cinesi.

In questo modo il governo italiano potrebbe contribuire a rafforzare la posizione dell’UE nei confronti della Cina. L’unica avvertenza per Bruxelles è non dimenticare che, sulla scorta di tale atteggiamento nazionalista, l’esecutivo non vedrà di buon occhio alcuna cessione di sovranità o diminuzione dei poteri decisionali a favore dell’UE. Ad esempio, è probabile che l’Italia sia favorevole a meccanismi europei più forti per vagliare gli investimenti, ma non ad accordare maggiori poteri alla Commissione Europea.

Per Roma, la Cina rimarrà secondaria in politica estera rispetto all’UE, agli Stati Uniti e ai Paesi limitrofi. Resta tuttavia da vedere se si passerà dalle parole ai fatti nei confronti di Pechino, soprattutto riguardo alla possibile revisione anticipata della partecipazione alla BRI. Se il governo Meloni si atterrà alle posizioni sulla Cina espresse dalla premier in precedenza, l’Italia potrebbe contribuire più attivamente alla definizione di una strategia cinese che dia priorità agli interessi nazionali e anche a quelli dell’UE.

Francesca Ghiretti è analista presso il Mercator Institute for China Studies (MERICS); è stata Visiting Fellow di ECFR nel quadro del progetto “European Caucus on China”.

ECFR non assume posizioni collettive. Le pubblicazioni di ECFR rappresentano il punto di vista degli autori.