The Infinite Connection: Come trasformare in realtà il Corridoio Economico India-Medio Oriente-Europa.
In breve
- Sebbene l’ambizioso progetto del corridoio economico India-Medio Oriente-Europa (IMEC) abbia subito una battuta d’arresto a seguito dello scoppio del conflitto di Gaza, la creazione di un collegamento tra l’UE e l’India attraverso il Golfo, caldeggiato dagli Stati Uniti, può ancora concretizzarsi, favorendo il perseguimento degli obiettivi geopolitici di tutti i partecipanti.
- Tramite l’IMEC gli Stati Uniti e l’UE intendono colmare le distanze con l’India e contrastare l’influenza cinese. Il corridoio darebbe vigore alla strategia indiana che ambisce a sottrarsi all’accerchiamento di Pechino e a diventare un leader tra i Paesi in via di sviluppo. Per gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita, l’IMEC rientra nell’ambito di uno sforzo di ampio respiro inteso a dare loro il ruolo di ponte economico tra Oriente e Occidente.
- Affinché il corridoio possa esprimere il suo potenziale, i partecipanti dovranno trovare il modo di garantirne l’attuazione tenendo conto dei diversi obiettivi in gioco e dovranno inoltre superare ostacoli interni ed esterni lungo vari segmenti del tracciato.
- Gli europei dovrebbero considerare l’IMEC come un’opzione aggiuntiva a lungo termine rispetto alle attuali rotte commerciali. Dovrebbero inoltre fare pressione affinché il corridoio si trasformi in una rete, promuova la liberalizzazione del commercio con l’India e sostenga tutti i partecipanti nella transizione verso le energie rinnovabili.
- Se avrà successo, l’IMEC potrà migliorare la resilienza economica dell’Europa e aumentare le sue possibilità di diversificazione commerciale. I legami che l’IMEC potrebbe contribuire a creare tra le diverse potenze potrebbero, in ultimo, costituire il suo più grande vantaggio, evitando che la frammentazione internazionale raggiunga livelli estremi.
La complessa nascita dell’IMEC
Al vertice del G20 del settembre 2023 a Nuova Delhi, l’assenza del leader cinese Xi Jinping è stata messa in ombra dalla presentazione di un progetto che si pone in competizione con l’iniziativa infrastrutturale di Pechino “Belt and Road” (BRI): si tratta del Corridoio economico India-Medio Oriente-Europa (IMEC), un ambizioso piano guidato dagli Stati Uniti che collegherebbe l’India e l’Europa attraverso il Golfo.
Inizialmente, il memorandum d’intesa per l’IMEC – firmato da Stati Uniti, Unione Europea, Francia, Germania, Italia, India, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita – prevedeva due sezioni: un collegamento marittimo orientale tra l’India e il Golfo e uno settentrionale tra la penisola arabica all’Europa, a loro volta connessi tramite una nuova rete ferroviaria tra il Golfo e il Mediterraneo attraverso la Giordania e Israele. Oltre all’infrastruttura per i trasporti, i cavi sottomarini faciliterebbero lo scambio di dati, mentre gli idrogenodotti a lunga distanza favorirebbero il raggiungimento degli obiettivi climatici e di decarbonizzazione dei partecipanti.
Anche se il memorandum conteneva pochi dettagli, il corridoio sembrava inserirsi bene nell’agenda strategica di tutti i partecipanti: per gli Stati Uniti l’IMEC sarebbe utile a contrastare la Cina e contribuirebbe a normalizzare le relazioni tra Arabia Saudita e Israele, mentre per l’Europa rafforzerebbe la sicurezza economica ed energetica alla luce del perdurare del conflitto in Ucraina e aiuterebbe a rafforzare i legami con il Sud globale. Per gli Stati del Golfo favorirebbe la diversificazione dei mercati energetici e sosterrebbe il ruolo regionale di ponte tra Oriente e Occidente, offrendo inoltre all’India la possibilità di assumere un ruolo più centrale nelle catene globali del valore e di sfuggire all’accerchiamento di Pechino.
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha salutato l’iniziativa definendola “quantomeno storica”. Il primo ministro indiano Narendra Modi ha dichiarato che l’IMEC sarà “la base del commercio mondiale per gli anni a venire”, mentre il presidente degli Stati Uniti Joe Biden l’ha definita “a really big deal”, una questione di enorme importanza, a cui ha fatto eco, quasi alla lettera, il principe ereditario dell’Arabia Saudita Mohammed bin Salman che ha parlato di un “big deal per noi, per l’Europa [e] per l’India”. Le parti si sono date un termine di 60 giorni per presentare un progetto più dettagliato per l’attuazione dell’IMEC.
Tuttavia, per la geopolitica di oggi 60 giorni sono tanti. A meno di un mese dal vertice del G20, l’attacco di Hamas a Israele ha scatenato una guerra il cui impatto si è riverberato in tutto il mondo. Il progetto dell’IMEC ha subito così una battuta di arresto, alimentando lo scetticismo riguardo al fatto che il corridoio con le sue grandi ambizioni possa effettivamente vedere la luce, tanto che un analista ne ha sancito la fine prima ancora che veda la luce, ricordando che “i grandi piani strategici spesso inciampano di fronte alla dura realtà geopolitica.”
A ben guardare, è proprio il difficile e dinamico panorama geopolitico a sottolineare il valore di un’iniziativa come l’IMEC. L’ordine globale si sta spostando verso un multipolarismo caratterizzato dalla rivalità tra gli Stati Uniti e la Cina e da allineamenti internazionali meno rigidi. In questo contesto, le “medie potenze” come l’India e gli Stati del Golfo sono spesso restie a fare una scelta di campo. Di fronte a questa frammentazione, gli attori occidentali devono preservare il maggior numero possibile di opzioni di cooperazione economica per evitare un pericoloso ripiegamento su se stessi.
Il progetto IMEC potrebbe contribuire a superare le divisioni di questo mondo in via di frammentazione, riunendo attori non del tutto allineati anche per quanto riguarda gli obiettivi del progetto in questione. In uno scenario economico globale caratterizzato da grandi perturbazioni, l’IMEC potrebbe anche favorire il passaggio dalla logica pre-pandemica del “just in time” delle catene di approvvigionamento a un approccio più cauto, il cd. “just in case”. La costruzione di un’ulteriore rotta commerciale contribuirebbe ad aumentare la capacità del sistema commerciale globale di resistere a shock improvvisi, come i recenti attacchi degli Houthi alle rotte di navigazione del Mar Rosso.
Nonostante le enormi sfide poste dall’instabilità del Medio Oriente, la guerra a Gaza ha lasciato invariati gli obiettivi strategici ed economici a lungo termine dei partecipanti all’IMEC. Nel febbraio 2024 l’India e gli Emirati Arabi Uniti hanno firmato il primo accordo formale sullo sviluppo del corridoio e il presidente francese Emmanuel Macron ha nominato un inviato speciale per l’IMEC. In occasione del Dialogo di Raisina a Nuova Delhi, il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis ha sottolineato l’importanza del corridoio e la necessità di migliorare i collegamenti tra l’UE e l’India. Come ha detto Modi a Raisina, “si tratta di un progetto intergenerazionale e sarebbe un errore vederlo attraverso il prisma di un singolo evento o di un singolo conflitto.” Questi segnali, per quanto piccoli, fanno ben sperare e potrebbero indicare una ripresa della definizione formale del progetto che coinvolga tutte le principali parti in causa.
Gli europei dovrebbero approfittare di questa pausa nello sviluppo dell’IMEC per convergere su piani di attuazione che possano conciliare i diversi obiettivi dei partecipanti, che non sono sempre allineati o necessariamente realizzabili. Questo policy brief traccia una mappatura delle diverse posizioni in Europa, negli Stati del Golfo e in India e individua alcuni degli ostacoli che si potrebbero incontrare nelle varie regioni coinvolte, offrendo una serie di linee guida per gli europei volte a favorire l’intesa con i diversi partner per mantenere la rotta e permettere all’IMEC di concretizzarsi.
La competizione infrastrutturale in un mondo sempre più frammentato
La competizione infrastrutturale tra grandi potenze è sia il risultato che la causa di due decenni di cambiamenti epocali nelle relazioni internazionali. La BRI, ad esempio, simboleggia l’ascesa della Cina allo status di superpotenza: grazie a una straordinaria crescita economica e alla capacità di trarre profitto dalla globalizzazione, Pechino minaccia oggi l’egemonia statunitense nata dal crollo dell’Unione Sovietica, creando un’accesa competizione per il primato internazionale in un mondo più interconnesso che mai.
In questo sistema interdipendente, conflittuale e turbolento le medie potenze – Paesi che non detengono lo status di grande potenza ma che hanno un’influenza significativa e crescente sugli affari globali – non hanno più bisogno di allinearsi con una superpotenza rispetto a un’altra, come accadeva ai tempi della guerra fredda, e scelgono i loro partner in base al contesto e al problema da affrontare. Il club delle medie potenze, in precedenza dominato dall’Europa, si sta allargando a includere le economie in via di sviluppo, che vanno dalle potenze latinoamericane e dagli hub economici asiatici agli esportatori di petrolio e gas del Golfo. Ciò sta portando a una frammentazione del sistema internazionale e lo sta spingendo verso il multipolarismo, in cui le economie emergenti sono pronte a svolgere un ruolo significativo.
La competizione insita in un sistema così complesso e instabile si estende a tutti i settori politici ed economici e rende l’interconnessione e i rapporti economici un campo di battaglia cruciale. Le grandi potenze si affannano per dare vita a legami con altri Paesi e acquisire influenza attraverso investimenti e progetti di sviluppo. Porti, impianti energetici, ferrovie e oleodotti sono in cima alla lista dei desideri dei Paesi in via di sviluppo e gli attori in grado di realizzarli hanno un grande peso politico. L’attivismo infrastrutturale favorisce anche i legami tra le diverse potenze per evitare che la frammentazione raggiunga livelli estremi.
La BRI
Sulla scorta di tali considerazioni, a partire dal lancio della BRI la Cina ha già speso più di mille miliardi di dollari in infrastrutture, costruzioni e altri investimenti per la connettività in tutto il mondo. La BRI, che rappresenta la strategia di politica estera più significativa dell’era Xi, prevede lo sviluppo di legami economici e politici attraverso massicci progetti di trasporto, energetici e digitali nei Paesi in via di sviluppo. Sebbene l’obiettivo geografico della BRI rimanga il Sud del mondo, il suo orizzonte si è ampliato arrivando a coprire quasi 150 Paesi, il 60% della popolazione mondiale e il 40% del PIL globale, comprese economie avanzate come la Grecia e Singapore.
L’arteria più significativa della BRI è forse il Corridoio economico Cina-Pakistan (CPEC), un sistema stradale e ferroviario che si estende dai porti di Gwadar e Karachi nel Golfo dell’Oman fino a Islamabad e alla città cinese di confine di Kashgar. Oltre alle vie di trasporto, Pechino ha anche investito in ambiziose infrastrutture energetiche, tra cui centrali a carbone, gasdotti e parchi eolici. Attraverso il CPEC Pechino mira a creare uno sbocco strategico per il commercio cinese sulla costa pakistana, evitando la strozzatura commerciale dello Stretto di Malacca che collega gli oceani Indiano e Pacifico. Tale iniziativa ha portato al Pakistan benefici discutibili in termini di crescita economica, ma ha permesso alla Cina di acquisire una notevole influenza politica nel Paese.
Seguendo questo approccio, la Cina è riuscita a esercitare un’influenza politica ed economica in molti Paesi di tutto il mondo limitando lo spazio di azione per i suoi rivali. Tuttavia, nonostante l’importanza di tali successi in termini di influenza politica, nei fatti il bilancio della BRI a dieci anni dal lancio lascia molto a desiderare: dopo aver raggiunto un picco a metà degli anni ‘10, gli investimenti di Pechino all’estero sono ora in calo e il Paese si trova a dover far fronte a crescenti pressioni economiche interne. Inoltre, se da un lato l’iniziativa ha fornito la connettività tanto necessaria nei Paesi beneficiari, dall’altro non ha incentivato la produzione locale a valore aggiunto e ha indebitato i Paesi in via di sviluppo nei confronti di Pechino, tanto da spingerne molti oggi a guardare altrove.
Forse l’effetto più significativo, sebbene involontario, della BRI è stato il risveglio degli Stati Uniti e dell’Europa riguardo all’importanza dei progetti infrastrutturali nei Paesi in via di sviluppo, un settore in cui l’Occidente è rimasto indietro dalla fine della Guerra Fredda. Fin dall’inizio, le potenze occidentali seguivano con attenzione i cambiamenti in atto nell’atteggiamento della Cina nei confronti del mondo ma hanno tardato a rispondere. Il “Pivot to Asia“ dell’amministrazione Obama è stato spazzato via dal suo successore Donald Trump, mentre l’UE e i suoi Stati membri hanno avuto difficoltà a far coincidere i loro consistenti aiuti internazionali allo sviluppo con una visione strategica. Gli sforzi dell’Occidente si sono intensificati all’indomani della pandemia, convogliando verso progetti congiunti in ambito G7 intesi a promuovere la connettività e aumentare l’influenza nei Paesi in via di sviluppo, ma tali iniziative sono in gran parte basate su progetti pianificati in precedenza e fino a ora hanno faticato a mantenere un ritmo adeguato o a presentare quadri veramente nuovi per il finanziamento delle infrastrutture.
L’IMEC
L’IMEC rappresenta uno sforzo complementare da parte dei Paesi (principalmente) occidentali per contrastare l’influenza cinese e per tradurre le proprie iniziative infrastrutturali in piani più concreti. Il progetto mira a promuovere la connettività lungo l’antica Via delle Spezie – dall’India attraverso il Golfo e fino all’Europa – che esisteva già nell’antichità ma che è stata interrotta dalla spartizione britannica dell’India nel 1947. Il memorandum iniziale prevede la costruzione di linee ferroviarie che attraversano i porti del Golfo e del Mar Arabico fino al porto di Haifa nel Mediterraneo, in Israele. Parallelamente a questi collegamenti terrestri, l’IMEC prevede anche rotte marittime tra l’India e il Golfo e attraverso il Mediterraneo nonché cavi internet sottomarini e condutture per il trasporto di elettricità e idrogeno in Europa e in India, prodotti da fonti rinnovabili nella penisola arabica.
L’accordo per la creazione dell’IMEC è stato raggiunto in gran parte grazie agli sforzi diplomatici dell’amministrazione Biden. Il progetto persegue vari interessi strategici statunitensi, in primo luogo la stabilizzazione del Medio Oriente e il sostegno agli Accordi di Abramo tra Israele e i Paesi arabi. Washington mira inoltre a contenere l’influenza diplomatica della Cina nella regione, acquisita da Pechino dopo aver mediato un accordo tra Iran e Arabia Saudita nel 2023. La guerra a Gaza rappresenta chiaramente una complicazione, ma gli obiettivi statunitensi a lungo termine restano invariati.
Allo stesso tempo, l’IMEC si ricollega ai tentativi degli Stati Uniti di stabilire relazioni politiche, economiche e di sicurezza più strette con l’India, sulla base del Dialogo Quadrilaterale sulla Sicurezza con Giappone e Australia e prosegue gli sforzi messi in atto da Washington nel 2021 per dare vita al gruppo pubblico-privato I2U2, che prevede una collaborazione tra gli Stati Uniti e l’India da una parte e Israele e gli Emirati Arabi Uniti dall’altra su questioni economiche. Non a caso l’IMEC è stato annunciato durante un evento speciale a margine del G20 sul Partenariato per le infrastrutture e gli investimenti globali (PGII), iniziativa a guida statunitense che ha portato a uno sforzo congiunto del G7 del 2022 per riunire le strategie infrastrutturali esistenti sotto un unico ombrello politico.
Tuttavia, nonostante gli annunci roboanti che salutavano l’IMEC come diretto rivale della BRI, il progetto è apparso da subito molto diverso, a cominciare dalla portata molto più limitata, tanto da sembrare più assimilabile a una versione potenziata del CPEC piuttosto che a una strategia di connettività globale. Inoltre, due dei partecipanti - gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita - hanno aderito anche alla BRI escludendo qualsiasi conflittualità tra le due iniziative. Questo solleva, tuttavia, una questione di grande rilevanza, vale a dire la capacità dell’IMEC di favorire il contatto tra i Paesi del G7 e i partner BRICS, di cui l’India è un membro fondatore mentre l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti si sono uniti al gruppo dopo anni di crescenti legami economici.
Per gli Stati Uniti il principale vantaggio dell’IMEC consiste nel suo valore geopolitico e nella capacità di dimostrare che l’Occidente è in grado di perseguire piani infrastrutturali concreti, mentre i Paesi collegati dall’infrastruttura del corridoio dovrebbero registrare anche vantaggi geoeconomici. A ben guardare, l’IMEC rappresenta uno sviluppo importante rispetto alla BRI in quanto potrebbe promuovere il commercio, consolidare le relazioni tra tutti i partecipanti e avvicinare l’India, l’Europa e gli Stati Uniti coinvolgendoli in un partenariato dal chiaro intento (seppure non dichiarato) di contrastare la Cina, anche se di per sé il progetto non può certo ambire a competere con la portata della strategia cinese.
L’Europa
Quattro degli otto firmatari del memorandum di intesa per la creazione dell’IMEC sono europei: l’UE e le sue tre maggiori economie, ovvero Francia, Germania e Italia. Ciò non sorprende: negli ultimi anni l’UE ha sposato l’attivismo infrastrutturale per rilanciare la propria economia dopo la pandemia e per migliorare le proprie relazioni con il Sud globale. L’UE e i suoi Stati membri sono anche desiderosi di avviare un processo che permetta loro di ridurre la dipendenza dalla Cina (“de-risking”) garantendo la loro sicurezza economica e perseguendo, in parallelo, la diversificazione dell’approvvigionamento energetico con una minore dipendenza dai combustibili fossili russi e a favore di una transizione verde. L’IMEC potrebbe svolgere un ruolo fondamentale in tal senso, ma i partecipanti europei al corridoio devono assumere un atteggiamento realistico rispetto alle sfide che li attendono.
Costruire ponti e rafforzare legami
La reazione iniziale degli europei alla pandemia e all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia non ha riscosso grande successo nel Sud del mondo. Molti Paesi in via di sviluppo - tra cui l’India - si sono rifiutati di prendere posizione sull’Ucraina, accusano i governi occidentali di ipocrisia in relazione alle guerre in Ucraina e a Gaza e non hanno gradito l’adozione di misure come il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM), una tassa ambientale sulle importazioni che, a loro avviso, trascura le esigenze degli attori non occidentali.
Parte della risposta europea si è tradotta in una “offensiva” infrastrutturale, in gran parte diretta al Sud del mondo. Nel dicembre 2021 l’UE ha lanciato il Global Gateway, una strategia per mobilitare investimenti pubblici e privati fino a 300 miliardi di euro per infrastrutture sostenibili nei Paesi in via di sviluppo. L’iniziativa si inserisce in una visione globale che mira a sostenere la transizione verde in tutto il mondo. Finora, però, il Global Gateway si è concentrato su progetti che erano stati previsti ben prima del suo lancio. Inoltre, nonostante le ingenti risorse annunciate dall’UE per i progetti Global Gateway (oltre 40 miliardi di euro in garanzie, 18 miliardi di euro in sovvenzioni e circa 145 miliardi di euro in investimenti precedentemente pianificati da parte delle istituzioni finanziarie allo sviluppo degli Stati membri), l’iniziativa non prevede progetti di sostegno a nuove vie di connettività. L’IMEC potrebbe iniziare a colmare questa mancanza di innovazione e potenziare il Global Gateway con nuovi investimenti concreti.
Inoltre l’India, che partecipa all’IMEC, ambisce ad assumere un ruolo di leader tra i Paesi in via di sviluppo, come è emerso ad esempio dal secondo vertice “Voice of the Global South“ organizzato da Modi nel novembre 2023. Attraverso questa iniziativa l’India cerca di creare e guidare una piattaforma dove possano convogliare le preoccupazioni e le sensibilità dei Paesi in via di sviluppo che spesso trovano risposte inadeguate nei principali consessi internazionali. Un’iniziativa di connettività come l’IMEC, che avvicini l’India all’Europa, potrebbe fornire un ulteriore tassello agli sforzi degli europei nel Sud globale dopo gli anni difficili della pandemia, della guerra della Russia in Ucraina e della legislazione sul clima.
Un ragionamento simile vale per l’impegno dell’UE con gli Stati del Golfo, in particolare con i due firmatari dell’IMEC, gli EAU e l’Arabia Saudita, che sono anche attori del nuovo (dis)ordine mondiale, non disposti a schierarsi e desiderosi di preservare i legami con l’Occidente, la Russia e la Cina. Entrambi i Paesi hanno ampliato le relazioni commerciali con la Cina e hanno continuato a intrattenere rapporti con la Russia, tanto che Riyadh ha stretto un’alleanza petrolifera con Mosca per tagliare la produzione e far salire i prezzi del greggio, mentre Dubai è diventata un hub per ovviare alle sanzioni nei confronti del commercio russo. Allo stesso tempo, entrambi sono fornitori di energia essenziali per l’Europa e, soprattutto nel caso degli Emirati Arabi Uniti, partner importanti per la tecnologia necessaria a promuovere la transizione verde, ad esempio la produzione di idrogeno verde.
L’IMEC contribuirebbe a rafforzare i legami economici europei con i Paesi del Golfo, che sono diventati anche grandi investitori in infrastrutture dal Mediterraneo all’Indo-Pacifico, e a mantenere relazioni che possono fornire una via di accesso per l’influenza europea nella regione, rafforzando la connettività con un hub energetico fondamentale. Sebbene l’IMEC non possa contrastare il peso della Cina in Medio Oriente, potrebbe comunque contribuire a mantenere o addirittura a migliorare la posizione dell’Europa.
Il Global Gateway e l’IMEC perseguono quindi due obiettivi europei strettamente collegati nell’ambito della competizione economica globale. Da un lato, sono strumenti per mantenere la cooperazione con i Paesi che non sono strettamente allineati con l’Europa a tutto campo. A questo proposito, l’IMEC potrebbe dare prova della disponibilità e della capacità dell’UE di realizzare infrastrutture e dimostrare che si possono costruire progetti di connettività insieme alle economie emergenti. Iniziative come queste sono essenziali per mantenere aperte le opportunità di cooperazione e per segnalare che la spinta europea alla sicurezza economica non si traduce in un abbandono dei Paesi in via di sviluppo. Dall’altro lato, gli investimenti in progetti di connettività contribuiscono a respingere l’influenza che la Cina ha acquisito attraverso la BRI e a rafforzare i legami con attori economici sempre più importanti come gli Stati del Golfo e l’India. La partecipazione dell’India all’IMEC fungerebbe anche da baluardo contro l’influenza cinese in Asia, favorendo gli sforzi europei per controbilanciare Pechino nella regione.
De-risking e diversificazione
Oltre a essere un potente strumento geopolitico, il Global Gateway è una componente chiave delle strategie europee di sicurezza economica: insieme al PGII, infatti, rafforza i legami economici tra l’UE e i Paesi in cui essa investe, aiutandoli a integrarsi nell’economia globale e fornendo all’Europa nuove opzioni per le catene di approvvigionamento. L’IMEC potrebbe integrare questi sforzi, in quanto il miglioramento delle infrastrutture che collegano l’Europa all’India e al Golfo favorirebbe il de-risking rispetto alla Cina.
Dal punto di vista europeo, il de-risking consiste nel ridurre l’esposizione nei confronti della Cina riguardo alle catene del valore e nel limitare le vulnerabilità in caso di trasformazione del commercio in arma a livello internazionale. La Cina è di gran lunga la principale fonte di importazioni nell’UE: nel 2023 rappresentava il 20,5% delle importazioni europee, una quota che sale a oltre il 90% per i componenti vitali per la transizione verde, dai pannelli solari alle terre rare. La futura legislazione dell’UE, come la legge sull’industria a zero emissioni, approvata nel febbraio 2024, mira a incrementare la produzione interna di tecnologie verdi fondamentali e a ridurre la dipendenza da un unico fornitore esterno, mentre la strategia per la sicurezza economica del 2023 definisce piani per affrontare i rischi legati alla catena di approvvigionamento e alla dipendenza. Questo vale anche per l’eccessiva dipendenza dalla Cina come mercato di esportazione, poiché il Paese è una destinazione chiave per i prodotti dell’UE, soprattutto nel settore automobilistico e farmaceutico.
1I governi dei tre Stati membri dell’UE partecipanti all’IMEC sono d’accordo sul de-risking e stanno prendendo le distanze da Pechino. La Strategia 2023 della Germania riguardo alla Cina mette a nudo le preoccupazioni del governo sul ruolo di Pechino nelle sue catene di approvvigionamento; anche i dispiegamenti navali tedeschi nell’Indo-Pacifico sostengono l’agenda di de-risking, gettando le basi per una maggiore cooperazione economica e di sicurezza con l’India. La strategia francese per l’Indo-Pacifico, invece, chiede una diversificazione dei fornitori e una riduzione delle dipendenze attraverso una maggiore cooperazione con gli attori della regione. In effetti, è da questa prospettiva di sicurezza e resilienza economica che i responsabili politici francesi considerano in larga misura auspicabile la partecipazione all’IMEC. [1] Il terzo Stato membro, l’Italia, ha scelto di non ritirare la propria partecipazione alla BRI e considera l’IMEC uno strumento per aumentare le esportazioni in India e per sostenere il ruolo delle imprese di costruzione italiane nelle infrastrutture indiane.
Nel settore privato, le imprese europee e statunitensi si stanno allontanando dalla Cina nelle loro decisioni di investimento e l’India sta diventando la destinazione principale degli investimenti in nuovi impianti. Tra il 2021 e il 2022 gli investimenti diretti esteri europei e statunitensi annunciati per lo sviluppo di nuove siti produttivi (greenfield) in India sono quasi quadruplicati, aumentando di 65 miliardi di dollari. L’India sta attirando una quota crescente di investimenti nei settori dei semiconduttori, dei veicoli elettrici e delle batterie, grazie alla sua posizione, all’ampia forza lavoro e all’economia in espansione.
La diversificazione dei partner economici è quindi una componente cruciale delle strategie europee di de-risking. L’India, che rappresenta un mercato di 1,4 miliardi di persone e un polo industriale con tassi di crescita annua del PIL che si prevede raggiungeranno il 7% entro il 2027, sta già contribuendo a questa missione.
L’IMEC potrebbe aprire la strada a un maggiore coinvolgimento dell’India nei piani di de-risking europei, fornendo l’infrastruttura necessaria a sostenere un aumento degli scambi commerciali e a reperire una quota maggiore di beni e componenti dal Paese. Una ricerca dell’Istituto Jacques Delors del 2023 ha dimostrato che Nuova Delhi detiene un vantaggio comparativo rispetto a Pechino nei settori del tessile, dei motocicli, dell’abbigliamento maschile e dei prodotti chimici organici. L’India è anche competitiva (sebbene meno della Cina) nella produzione di metalli di base, che rappresentano materie prime fondamentali per le principali industrie europee, tra cui quelle automobilistiche, meccaniche e aerospaziali.
Promuovere la sicurezza energetica e la transizione verde
L’IMEC è inoltre destinato a svolgere un ruolo strategico nella sicurezza energetica europea. Parallelamente al corridoio logistico, il memorandum propone una serie di connessioni energetiche lungo il percorso, che comprendono condutture per il trasporto di idrogeno verde e cavi per l’elettricità. Questa componente dell’IMEC è cruciale per i partecipanti europei, a seguito dell’interruzione della fornitura di combustibili fossili russi che ha fatto seguito all’invasione dell’Ucraina e alla luce degli ambiziosi piani dell’UE per una transizione verde.
Il tratto mediterraneo dell’IMEC si sovrappone in gran parte a quello del previsto gasdotto EastMed-Poseidon, un’iniziativa congiunta dell’azienda energetica italiana Edison e della società greca DEPA International Projects che trasporterebbe il gas naturale israeliano e cipriota in Grecia e poi in Italia. Se l’UE riuscisse a inserire questo gasdotto di 2.000 km nei piani dell’IMEC e a integrarlo con le connessioni di trasporto del corridoio, l’effetto sarebbe un rafforzamento reciproco: EastMed non sarebbe più un progetto a sé stante ma parte di un corridoio strategico, mentre il gasdotto radicherebbe nella realtà la componente energetica dell’IMEC.
L’UE ha incluso il gasdotto EastMed nella sua lista di “progetti di interesse comune” (un insieme di progetti infrastrutturali che l’Unione ritiene cruciali per i suoi obiettivi energetici e climatici), ma la guerra a Gaza ha ritardato la decisione finale di investimento da parte dei partner. Se approvato, il gasdotto richiederebbe solo tre anni per essere completato, dal momento che le infrastrutture preliminari sono già state realizzate.[2] Dal momento che il gas naturale liquefatto (GNL) in arrivo dagli Stati Uniti e dal Golfo ha ampiamente sostituito il gas naturale russo nell’UE, un nuovo gasdotto di approvvigionamento dal Mediterraneo orientale contribuirebbe ulteriormente a ridurre l’esposizione europea alle dinamiche globali del GNL. Il trasporto di GNL via nave rende le forniture vulnerabili alle interruzioni del commercio marittimo: l’Europa meridionale, ad esempio, ha subito ritardi nelle forniture dal Qatar a causa della crisi nel Mar Rosso.
Un gasdotto non è certo un investimento nella transizione verde, ma l’EastMed potrebbe sostenere le ambizioni europee verso le emissioni zero se fosse costruito come “gasdotto di transizione”, ovvero concepito per trasportare quote progressivamente più elevate di idrogeno in un processo noto come “blending” (miscelazione di gas naturale con idrogeno per creare un combustibile meno inquinante). Se verrà costruito, il gasdotto EastMed potrebbe essere utilizzato all’interno dell’IMEC per importare l’idrogeno verde prodotto dai Paesi del Golfo, che hanno investito massicciamente in questo settore e che sarebbero incentivati a continuare. Per recuperare il costo del progetto, pari a circa 6 miliardi di euro, i fornitori dovrebbero richiedere contratti decennali per il gas che sarebbero in contrasto con gli obiettivi europei sulle emissioni e con le attuali tendenze della domanda di gas. Gli europei dovrebbero realizzare il gasdotto per l’idrogeno il prima possibile per ridurre i rischi di lock-in del gas che potrebbero derivare dall’investimento, consentendo all’UE di limitare gli acquisti di gas all’attuale fabbisogno europeo. L’idrogeno verde potrebbe svolgere un ruolo importante nella decarbonizzazione dell’industria pesante dell’UE in futuro.
Le importazioni di idrogeno verde dal Golfo sono di particolare interesse per due firmatari dell’IMEC: Italia e Germania. Da qualche tempo il governo italiano lavora per trasformare il Paese in un importante punto di ingresso per le forniture energetiche del continente nell’Europa meridionale. Attualmente si punta sul gas naturale, ma l’idrogeno offre una prospettiva più sostenibile a lungo termine. L’Italia ha stretto una partnership con l’Austria e la Germania per sviluppare un corridoio dell’idrogeno nell’ambito della dorsale europea dell’idrogeno, un’iniziativa dell’UE per costruire una rete massiccia di condotte di idrogeno in tutto il continente, al fine di trasportare l’idrogeno verde importato in Italia alle regioni industriali tedesche. L’IMEC potrebbe contribuire a fornire i volumi importati di cui Berlino ha bisogno per soddisfare la sua domanda stimata di idrogeno entro il 2030, che rappresenterebbe circa la metà del suo consumo totale di idrogeno. La Germania importa già idrogeno a basse emissioni di carbonio dagli Emirati Arabi Uniti, trasportato sotto forma di ammoniaca liquida.
L’IMEC si sovrappone anche all’Interconnettore Euro-Asia dell’UE, un cavo elettrico la cui costruzione è iniziata nel 2022 e che segue in gran parte lo stesso percorso del gasdotto EastMed, collegando le reti elettriche di Grecia, Cipro e Israele. Il cavo, che rappresenta di per sé una componente chiave della resilienza energetica dell’UE, diventa ancora più importante nel contesto dell’interconnettore previsto dall’IMEC in quanto un collegamento tra IMEC e cavo EuroAsia consentirebbe agli europei di beneficiare del notevole potenziale degli Stati del Golfo nella produzione di energia rinnovabile. L’IMEC contribuirebbe quindi ad ampliare la gamma di potenziali fornitori di energia verde all’Europa, andando oltre i Paesi del Mediterraneo meridionale come il Marocco.
Radicare le ambizioni nella realtà
I partecipanti europei all’IMEC devono affrontare diverse sfide per trasformare i progetti iniziali in un piano infrastrutturale fattibile che promuova i loro obiettivi strategici ed economici.
In primo luogo c’è la questione del finanziamento. Anche se l’UE e i suoi Stati membri non sarebbero tenuti a finanziare la totalità del corridoio, le proposte iniziali di 3-8 miliardi di dollari per ogni sezione sembrano sottostimare di molto i costi reali. L’Arabia Saudita ha promesso 20 miliardi di dollari, ma è improbabile che anche questa cifra riesca a coprire una quota importante della spesa. Il costo combinato del solo Interconnettore Euro-Asia e del gasdotto EastMed sarebbe pari alla metà di questa somma (circa 6,5 miliardi di dollari per il gasdotto e 3,9 miliardi di dollari per l’interconnettore). Eventuali nuovi gasdotti o idrogenodotti e interconnettori elettrici probabilmente comporteranno una spesa pari o superiore a tali importi. La costruzione di linee ferroviarie pesanti è notoriamente costosa, con una media globale di 14,6 milioni di dollari per km di tracciato.
La grande ambizione dell’IMEC sarà quindi accompagnata da una spesa monumentale. Anche in assenza di impegni specifici, gli europei potrebbero essere chiamati a stanziare risorse significative per il corridoio, ma si trovano ad affrontare pressioni finanziarie molteplici e contrastanti, dall’assistenza all’Ucraina ai sussidi per le politiche industriali e la transizione verde. Soprattutto a breve termine, l’UE e gli Stati membri potrebbero avere difficoltà a stanziare ingenti somme di denaro per il progetto IMEC. Per questo motivo, il coinvolgimento del settore privato e la partecipazione delle banche di investimento e di sviluppo sono fondamentali per la realizzazione dei piani dell’IMEC.
In secondo luogo, gli europei devono essere realistici riguardo al potenziale di Nuova Delhi nel contribuire a contenere i rischi in relazione a Pechino. Nel 2021 l’industria manifatturiera cinese ha rappresentato il 31% del valore aggiunto globale, mentre l’India ha gestito solo il 2,9% (dietro al 5,1% della Germania) nonostante un decennio di sforzi da parte del governo indiano per aumentare le capacità produttive del Paese attraverso la strategia “Make in India“.
L’India dipende ancora molto dalle materie prime e dai componenti importati dal suo rivale asiatico. Ciò è particolarmente vero per i settori dell’elettronica e dell’automobile, in cui le importazioni a basso costo dalla Cina rimangono più competitive della produzione locale, anche con gli incentivi governativi.
Sovvenzioni come gli “incentivi legati alla produzione” dell’India e gli obiettivi di esportazione per settori che vanno dall’acciaio agli aerei e al tessile spesso non sono sufficienti a compensare il vantaggio competitivo cinese. Uno scenario di “assemblato in India” difficilmente migliorerebbe la resilienza delle industrie europee che mirano a ridurre i rischi della Cina, ma si limiterebbe a spostare le vulnerabilità a monte delle catene di approvvigionamento.
Anche gli scambi commerciali dell’UE con l’India sono molto inferiori a quelli con la Cina: nel 2021 l’India ha rappresentato solo il 2,1% del commercio estero dell’UE, mentre la Cina ha conquistato la quota maggiore con il 16,2%, seguita da vicino dagli Stati Uniti (14,7%). Allo stesso modo, l’India ha rappresentato solo il 2,3% delle importazioni dell’UE nel 2022, una percentuale molto lontana da quella cinese ma comunque la più alta dal 2013 e sempre più vicina a quella degli Stati del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC).
Si tratta di lacune che l’IMEC da solo non può colmare. Tuttavia, la diversificazione dei partner commerciali e di investimento è diventata di per sé un obiettivo di sicurezza economica europea e la maggiore resilienza derivante da una più significativa presenza indiana (e dei Paesi del Medio Oriente) tra le opzioni economiche degli europei ha comunque un grande valore geoeconomico.
In terzo luogo, il percorso dell’IMEC presenta delle sfide in relazione alle infrastrutture di trasporto. Il porto del Pireo in Grecia costituisce un rischio per la sicurezza: questo punto di approdo europeo proposto per l’IMEC è di proprietà maggioritaria, dal 2016, del China Ocean Shipping Company Group (51%), società cinese che ha acquisito un altro 16% nel 2021. Sebbene l’IMEC si adatti molto bene agli obiettivi del governo greco di fungere da ponte tra l’Europa e l’Oriente, il fatto di affidare il punto finale del corridoio - un’iniziativa che cerca di contrastare l’influenza cinese - a un’autorità portuale di proprietà cinese costituirebbe una vulnerabilità significativa e darebbe alla Cina una importante influenza sull’IMEC: al di là della raccolta di informazioni, Pechino potrebbe usare il controllo del porto per compromettere la gestione delle merci del corridoio e favorire le proprie.
Inoltre, con il Pireo come punto di approdo, le merci intraprenderebbero un percorso dalla Grecia attraverso i Balcani occidentali e verso l’Europa settentrionale e occidentale che attualmente ha collegamenti ferroviari limitati, costringendo in alcuni casi al ricorso ai camion, rendendo il trasporto meno efficiente, più inquinante e, per le lunghe distanze, difficilmente più economico rispetto ai percorsi attuali. Un unico punto finale europeo costituirebbe inoltre una strozzatura per il corridoio, limitando la sua capacità di resistere a shock o interruzioni locali. La resilienza economica europea sarebbe quindi meglio garantita utilizzando più porti dell’UE per ricevere i flussi dell’IMEC.
Un ragionamento analogo vale per altre sezioni del corridoio: i lavori di ristrutturazione del porto israeliano di Haifa sono stati interrotti dalla guerra in corso, un potente promemoria delle minacce alla sicurezza che incombono su questo tratto del corridoio.
Gli Stati del Golfo
Riyadh e Abu Dhabi non condividono l’obiettivo occidentale di contrastare l’influenza cinese, non vedono il mondo come un blocco contrapposto guidato da Cina e Stati Uniti e non hanno intenzione di schierarsi con l’una o l’altra parte. Sono invece aperti a esplorare tutte le opportunità di cooperazione e mirano a diventare un ponte tra Oriente e Occidente. Questo approccio transazionale riflette la crescente rilevanza dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti come attori globali, grazie alla loro vasta dotazione di combustibili fossili, alla posizione geografica strategica e alla loro potenza finanziaria.
Tuttavia, l’IMEC deve affrontare una serie di problematiche significative in Medio Oriente. L’insicurezza regionale - evidenziata dalla guerra di Gaza, dagli attacchi Houthi nel Mar Rosso e dall’escalation dell’aprile 2024 - costituisce la principale minaccia fisica allo sviluppo del corridoio. Inoltre, la crescente rivalità tra Riyadh e Abu Dhabi mette a rischio l’integrazione transfrontaliera e l’esclusione dei Paesi vicini potrebbe compromettere le prospettive del corridoio di diventare un veicolo di cooperazione regionale.
Ambizioni geoeconomiche e diversificazione
L’IMEC posizionerebbe gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita quale snodo critico delle iniziative infrastrutturali occidentali e cinesi e cementerebbe la centralità degli Stati del Golfo nel commercio globale. Oltre alla recente adesione ai BRICS, Riyadh e Abu Dhabi partecipano da tempo alla BRI a riprova della loro rilevanza strategica come partner per il commercio e gli investimenti di Pechino. L’IMEC permetterebbe loro di assumere un ruolo importante anche nei progetti geoeconomici statunitensi ed europei.
Nel complesso, ciò rafforzerebbe la loro posizione in ambito internazionale ponendoli al crocevia della connettività UE-Asia, aumentando le loro interdipendenze e il loro potere. Per i partecipanti dei Paesi del Golfo, l’IMEC e la BRI rappresentano quindi iniziative complementari e, nonostante la rivalità tra Stati Uniti e Cina, il coinvolgimento in entrambi i corridoi amplierebbe il ventaglio di opportunità economiche a cui potrebbero avere accesso.
I leader dell’Arabia Saudita e degli EAU immaginano un futuro economico in cui il loro ruolo sarà quello di principale snodo commerciale per gli scambi tra Europa e Asia. Inoltre, sono al lavoro per diversificare le loro economie, lasciandosi alle spalle la dipendenza dalle esportazioni di idrocarburi. In questo percorso di affrancamento Abu Dhabi è più avanti di Riyadh - il settore non petrolifero rappresenta oggi il 70% del PIL emiratino rispetto al 60% dell’Arabia Saudita - ma quest’ultima ha accelerato il passo grazie alla strategia Vision 2030. I piani dell’IMEC per i gasdotti di idrogeno verde intesi a rifornire l’Europa risponderebbero alle ambizioni degli Stati del Golfo di svolgere un ruolo importante nella transizione energetica e di mantenere la centralità nei futuri mercati dell’energia.
In effetti, la fattibilità dei collegamenti energetici dell’IMEC dipende in larga misura dalla capacità dei Paesi del Golfo di produrre elevati volumi di idrogeno verde e di aumentare la diffusione delle energie rinnovabili. A causa delle piccole dimensioni e della limitata disponibilità di acqua, Israele non sarebbe in grado di svolgere un ruolo significativo per la sicurezza energetica europea al di là della fornitura di gas nel breve termine. La Giordania, invece, si affida ai finanziamenti dell’UE per ridurre la dipendenza dalle importazioni di energia. L’onere di rifornire l’Europa e l’India di idrogeno verde ricade quindi sulle spalle degli Stati del Golfo, che devono raggiungere i loro obiettivi per il 2030 e potenziare le infrastrutture necessarie per trasportare l’idrogeno verde a prezzi competitivi.
Collegamenti di trasporto e connettività regionale
L’IMEC si basa sulle iniziative ferroviarie già in essere nel Golfo. In particolare, la rete ferroviaria del GCC, lanciata nel 2009, collegherà i sei Stati del GCC attraverso linee nazionali e transnazionali. Il costo stimato di questo progetto si aggirava inizialmente intorno ai 15,4 miliardi di dollari per circa 2.117 km di ferrovia, il cui completamento era previsto per il 2018. Tuttavia, fin dall’inizio il progetto ha subito ritardi e comportato un aumento dei costi. Il blocco del Qatar - la crisi diplomatica del 2017-2021, quando Riyadh e Abu Dhabi hanno bloccato la maggior parte dei servizi transfrontalieri con Doha - e la pandemia non hanno permesso di rispettare la scadenza iniziale, che è stata posticipata nel 2021.
La distensione tra gli Stati del GCC e la prospettiva dell’IMEC hanno dato però nuovo impulso al progetto e oggi le stime indicano che le linee previste saranno ultimate entro il 2030. Trasportare le merci fino al Golfo per poi trasferirle su rotaia attraverso l’Arabia Saudita, la Giordania e Israele permetterebbe di risparmiare tra i 5 e i 7 giorni rispetto al solo trasporto marittimo. L’IMEC dovrebbe quindi anche promuovere una ulteriore espansione dei piani esistenti rispetto alla costruzione di nuove linee, nonostante i costi di costruzione e le spese di carico e scarico.
La connettività ferroviaria faciliterebbe anche il trasporto di materie prime e beni locali, aiutando gli Stati del GCC a sviluppare una base industriale regionale. Si tratta di un aspetto cruciale alla luce delle ambizioni saudite nel settore minerario: il Paese detiene infatti grandi quantità di materie prime critiche che, seppure molto contenute se confrontate alle riserve di petrolio, permetterebbero l’ingresso in un mercato attualmente dominato dalla Cina. I sauditi sono intenzionati a sfruttare questa ricchezza mineraria e a posizionare il Regno nella catena del valore dei minerali più ricercati, distribuendo licenze per l’esplorazione e ampliando le operazioni minerarie nazionali. In tale contesto, le ferrovie rappresentano un’alternativa più adatta rispetto al trasporto su gomma per spostare questo tipo di merci dalle miniere ai porti. L’IMEC aiuterebbe quindi lo sviluppo del settore minerario del GCC, che a sua volta potrebbe favorire il de-risking europeo dalla Cina, soprattutto se accompagnato da investimenti statali o privati del Golfo nell’ambito della lavorazione e della raffinazione per rispondere alla domanda.
Infine, l’IMEC beneficerà delle infrastrutture portuali esistenti negli Stati del Golfo. Dopo anni di investimenti, la regione del GCC vanta oggi alcuni dei porti container più efficienti al mondo: nel 2022 l’indice di performance dei porti container della Banca Mondiale ha collocato il porto cinese di Yangshan al primo posto, seguito a breve distanza dal porto di Salalah in Oman al secondo posto e dal porto emiratino di Khalifa al terzo. Il porto King Abdullah dell’Arabia Saudita sul Mar Rosso si è piazzato al 17° posto, mentre Gedda ha conquistato una 29a posizione di tutto rispetto. Il memorandum dell’IMEC prevede che il porto di Khalifa gestisca la maggior parte dei flussi di merci dell’IMEC dall’India, trasferendoli su rotaia verso il porto israeliano di Haifa e da qui verso il Mediterraneo e l’Europa.
Tensioni esistenziali
Visto il ruolo centrale di Haifa nei collegamenti tra il Medio Oriente e l’Europa, le ambizioni degli Stati del Golfo in ambito IMEC devono necessariamente fare i conti con le tensioni che il corridoio dovrà affrontare, che comprendono ma non si limitano al conflitto di Gaza.
Nonostante l’attuale distensione tra Teheran e Riyad a seguito di un accordo mediato dalla Cina nel marzo 2023, la rivalità geostrategica di lunga data tra l’Iran e gli Stati del GCC continua a perdurare e pesa in maniera significativa sulla dipendenza dell’IMEC dal porto di Khalifa: per raggiungerlo, infatti, le navi devono attraversare lo Stretto di Hormuz, una strozzatura vitale su cui l’Iran esercita una minaccia strategica. Anche se la possibilità di attacchi non ha scoraggiato il commercio (nel 2023 circa il 30% del petrolio mondiale ha viaggiato su questa rotta), esiste comunque il rischio che il nuovo corridoio si trovi in balia di un rivale, una considerazione che si traduce in premi assicurativi elevati per le navi, con maggiori costi per i destinatari delle merci. La crisi del Mar Rosso, che ha portato a un’impennata dei premi assicurativi e dei costi di trasporto, è servita a ricordare che le preoccupazioni per la sicurezza hanno un peso notevole nelle decisioni delle compagnie di navigazione.
Inoltre, i bombardamenti e l’invasione di Gaza da parte di Israele in seguito agli attacchi di Hamas ostacolano il suo potenziale riconoscimento da parte dell’Arabia Saudita, che si è dichiarata ancora aperta a tale possibilità ma solo a condizione che Gerusalemme accetti l’esistenza dello Stato palestinese. La normalizzazione non è un prerequisito tecnico per l’IMEC, poiché le merci transiterebbero in Giordania senza un contatto diretto tra i due Stati. A seguito degli attacchi Houthi nello stretto di Bab al-Mandeb, ad esempio, l’azienda digitale israeliana Trucknet ha fornito assistenza per il movimento di merci dagli Emirati Arabi Uniti al Mediterraneo lungo una rotta che coincide in larga misura con l’IMEC, senza la necessità di un riconoscimento formale. Certo è che se l’Arabia Saudita riconoscesse Israele, darebbe una spinta politica e diplomatica al progetto e, in sua assenza, le fondamenta dell’IMEC sarebbero più deboli.
Inoltre, la mancanza di allineamento tra Israele e la Giordania comporterebbe problemi per la circolazione delle merci lungo il tracciato IMEC. Il regno hascemita ha avviato un ambizioso progetto di ammodernamento delle sue ferrovie, concentrandosi sul potenziamento del trasporto merci per rafforzare la connettività con i Paesi del GCC. Tuttavia, il piano della Giordania prevede la connettività soprattutto dai porti del Mar Rosso e dall’Arabia Saudita verso la capitale giordana Amman, piuttosto che a ovest verso Israele. Amman dovrebbe quindi aggiornare i suoi piani e, non essendo attualmente firmataria dell’IMEC, occorrerebbe invogliarla a investire in un collegamento con Israele attraverso accordi commerciali e disposizioni per ampliare la libertà di movimento, il che sarebbe fonte di tensioni politiche – tensioni che rischiano di aumentare se si considera il futuro coinvolgimento nell’IMEC della Palestina, il cui commercio estero è essenzialmente controllato da Israele e la cui esclusione dal corridoio aumenterebbe ulteriormente il divario economico rispetto agli altri Stati della regione.
In questa sezione del tracciato IMEC, la maggiore fonte di tensione potrebbe però riguardare le dinamiche interne del GCC. Lungi dall’avere raggiunto un’unità di intenti, da ormai un decennio l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti sono invischiati in un’aspra rivalità che tocca tutti i settori legati al progetto. La competizione tra Riyadh e Abu Dhabi per la leadership economica del GCC assomiglia sempre più a un gioco a somma zero, in cui ciascuna delle parti cerca di massimizzare i propri guadagni riducendo al minimo quelli dell’avversario. I sauditi promuovono i propri porti o quelli dell’Oman come alternative al Khalifah. Riyadh sembra inoltre non avere fretta di completare il collegamento ferroviario del GCC con il suo rivale. Il crescente protezionismo dell’Arabia Saudita nei confronti delle merci emiratine getta un’ombra su caratteristiche essenziali dell’IMEC come l’armonizzazione normativa e la facilitazione degli scambi. Tutto ciò si scontra con le mosse degli emiratini che ambiscono a diventare il principale hub commerciale della regione e mette a rischio la connettività transfrontaliera. Come se non bastasse, le tensioni si estendono anche a Stati attualmente non coinvolti nell’IMEC, che non mostrano alcun entusiasmo per il progetto. L’Egitto, ad esempio, rischia di perdere molto con la creazione del nuovo corridoio: i pedaggi delle navi che transitano attraverso il Canale di Suez rappresentano una fonte fondamentale di preziosa valuta estera, entrate essenziali vista l’attuale crisi economica del Paese. Gli attacchi degli Houthi alle navi che attraversano lo stretto di Bab al-Mandeb, tra il Golfo di Aden e il Mar Rosso, si sono già rivelati disastrosi per il Cairo.
Tuttavia, è improbabile che l’IMEC dirotti una quota consistente del traffico di Suez. Nonostante gli attuali problemi di sicurezza, la via d’acqua aperta nel 1850 rappresenta ancora il collegamento più pratico tra il Mediterraneo e il Mar Arabico e potrebbe risultare comunque preferibile al trasporto di idrocarburi in navi cisterna o di altre materie prime più economiche su navi portarinfuse, che andrebbero scaricate negli Emirati Arabi Uniti e poi trasferite su rotaia ad Haifa, soprattutto considerando i costi di movimentazione. Anche con i container, il sistema di trasporto merci più adatto all’intermodalità, le ferrovie dell’IMEC non sarebbero in grado di competere con la capacità del Canale di Suez. Nei primi 11 mesi del 2023, il China-Europe Railway Express - una rete di ferrovie che collega l’Europa e la Cina attraverso la Russia e l’Asia centrale - ha trasportato container per quasi 1,75 milioni di TEU (il volume di un container intermodale standard), mentre il Canale di Suez gestisce circa 35,5 milioni di TEU all’anno. Tuttavia, tale considerazione potrebbe non essere di grande conforto per il Cairo, che si trova ad affrontare pressioni economiche tali da rendere qualsiasi deviazione del commercio un duro colpo.
Un altro Paese che non ha accolto con favore l’annuncio dell’IMEC è la Turchia: grazie alla sua posizione geografica, il Paese ha tradizionalmente agito da ponte per la connettività Asia-Europa, un ruolo che l’IMEC potrebbe mettere in discussione. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha espresso il suo disappunto riguardo al progetto, annunciando di voler migliorare la connettività con l’Iraq e potenzialmente con il Qatar per intercettare i flussi commerciali e mantenere la posizione della Turchia come hub di connettività.
Le rivalità regionali e internazionali si manifestano anche nella componente digitale dell’IMEC. Aggirando l’Egitto, il corridoio rispecchia in gran parte il sistema di cavi Blue-Raman, una connessione internet sottomarina tra l’Europa meridionale e l’India, attualmente in costruzione. Con questo cavo il Golfo diventerebbe l’ancora digitale di collegamento tra Europa e India e l’IMEC ne accrescerebbe ulteriormente il valore strategico. Il principale investitore di Blue-Raman è Google, che ha una nota rivalità con il gigante cinese delle telecomunicazioni Huawei, ma Huawei è uno dei principali attori delle reti 5G, dei cavi digitali e dei data center dei Paesi del GCC. In questo caso, i partecipanti all’IMEC dovranno cercare di non restare invischiati nella rivalità tecnologica tra le due superpotenze: i firmatari occidentali del corridoio vorranno evitare l’interferenza o la raccolta di informazioni da parte della Cina, una sfida non da poco considerata la solida posizione digitale di Pechino nel Golfo.
India
L’india si trova in una posizione intermedia tra quella dei partecipanti all’IMEC del Golfo e quella dei partecipanti europei. Come gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita, Nuova Delhi intende esplorare tutte le possibilità di cooperazione in un ordine globale in evoluzione senza ritrovarsi inserita stabilmente in un unico insieme di alleanze. Tuttavia, a differenza degli Stati del Golfo, vede la Cina come un rivale sistemico anche più degli europei, visto che i due Paesi condividono un lungo confine altamente conteso. Esiste quindi un forte interesse a contenere l’influenza di Pechino nella regione indopacifica e, più in generale, nei Paesi in via di sviluppo.
Ma i molteplici allineamenti dell’India potrebbero rivelarsi difficili da gestire per il governo di Modi (e anche per l’Europa), il cui protezionismo potrebbe ostacolare lo slancio verso un ruolo di maggiore rilevanza nelle catene di approvvigionamento mondiali, nonché vanificare gli sforzi per competere con la Cina in termini di capacità produttive e per contrastare l’influenza di Pechino.
Progetti strategici e leadership globale del sud
L’India di oggi si è lasciata alle spalle il non-allineamento dell’epoca della Guerra Fredda e adottando invece una strategia che mira a sviluppare la più ampia gamma possibile di partenariati, attraverso la partecipazione a schemi flessibili che promuovono i suoi interessi. In sostanza, Nuova Delhi vuole rientrare nell’orbita di organizzazioni che possono migliorarne la posizione senza impegnarsi formalmente in alleanze che limiterebbero la sua capacità di azione in uno scenario di conflitto. Questo spiega perché l’India, membro fondatore dei BRICS, ha abbracciato con entusiasmo il progetto di un corridoio economico che riunisce i nuovi membri dei BRICS e diversi Paesi del G7: non solo l’appartenenza ai primi non preclude la cooperazione con i secondi, ma il Paese può addirittura fungere da ponte tra i due (essendo stato invitato a tutte le riunioni del G7 a partire dal 2019). Inoltre, l’IMEC potrebbe diventare la base per una cooperazione economica ancora più stretta tra l’India e i Paesi del G7, permettendole di estendere i legami commerciali con l’UE e sostenere il suo sviluppo industriale.
Il governo indiano, che guida una media potenza in ascesa, mira a intercettare una quota maggiore delle catene globali del valore dalla Cina e ad aumentare il potenziale manifatturiero del Paese. Questi obiettivi sono stati al centro della politica di Modi fin dal lancio, nel 2014, dell’iniziativa “Make in India” che aveva lo scopo di riorientare le principali esportazioni del Paese dai servizi alle merci. Come accennato, l’iniziativa ha avuto un successo limitato e la dipendenza da Pechino resta significativa in termini di componenti e materie prime, ma l’IMEC potrebbe contribuire ad accelerare il passaggio al commercio, consentendo il trasporto di merci tra l’India e l’Europa e migliorando l’integrazione delle catene del valore.
La partecipazione a iniziative importanti come l’IMEC serve anche a rafforzare il prestigio geoeconomico dell’India. Il corridoio si inserisce perfettamente in questo quadro, poiché migliora i collegamenti del Paese con le economie più avanzate e prevede un’ampia gamma di partner. Nel 2023 l’India si è ritirata dalla Regional Comprehensive Economic Partnership, un accordo di libero scambio nella regione Asia-Pacifico che comprende la Cina, a causa del deterioramento delle relazioni con Pechino, decisione che ha comportato per Nuova Delhi la ricerca di opportunità commerciali alternative.
Tutto ciò si collega al tentativo indiano di assumere un ruolo di leadership nel Sud globale, fornendo un modello per altri Paesi e, soprattutto, dimostrando come un’economia emergente con un passato coloniale possa sbocciare sulla scena internazionale. Questa strategia è apparsa evidente non solo nell’ambito dei vertici organizzati da Modi sulla “voce del Sud globale”, ma anche durante il Vertice del G20 del 2023 tenutosi sul suo territorio nazionale, in occasione del quale l’India ha salutato l’ingresso dell’Unione Africana nel gruppo come un importante risultato per i Paesi in via di sviluppo. Proprio durante tale vertice è stato annunciato il progetto IMEC. Le infrastrutture sostenibili e di alta qualità sono un motore fondamentale della crescita e una delle principali richieste dei Paesi in via di sviluppo e ciò rende la capacità dell’India di promuovere progetti di connettività attraverso l’IMEC una risorsa importante. Il fatto che l’IMEC includa soprattutto Paesi ricchi testimonia l’ascesa dell’India e potrebbe dare un’altra forte spinta alle sue ambizioni di leadership.
La stessa logica si applica alla capacità dell’IMEC di riunire Paesi che non sono necessariamente allineati in ambito internazionale: come gli europei hanno scoperto in relazione all’Ucraina, infatti, la maggior parte delle economie in via di sviluppo non è disposta - o è impossibilitata – a prendere posizione scegliendo tra Occidente e Russia o tra Stati Uniti e Cina. La capacità dell’India di costruire corridoi economici con il G7, pur essendo un membro dei BRICS e mantenendo una posizione non schierata sull’Ucraina, promuoverebbe l’immagine dell’India come potenza non divisiva, cosa che il suo rivale per la leadership del Sud globale, la Cina, non può rivendicare.
L’accerchiamento cinese e la competizione con Pechino
La rivalità tra India e Cina è un altro dei motivi principali della partecipazione dell’India all’IMEC. Nuova Delhi non ha mai partecipato alla BRI, nonostante l’India sia il secondo azionista della Banca asiatica di investimento per le infrastrutture guidata dalla Cina. Al contrario, l’India vive l’ascesa della BRI in Asia meridionale come un accerchiamento e ha gradualmente iniziato a opporsi a Pechino. L’IMEC contribuirebbe a questo obiettivo e potrebbe scalfire il primato della Cina nella connettività Asia-Europa, fornendo una base su cui l’India può fare leva nei confronti del suo rivale.
La questione della connettività Asia-Europa è cruciale sia per le difficili relazioni dell’India con l’altro grande rivale, il Pakistan, che per la presenza del CPEC sponsorizzato dalla Cina. Il porto di Gwadar nel Golfo di Oman fa parte della BRI e il Pakistan (geograficamente e politicamente) blocca lo sviluppo di rotte terrestri verso l’Europa. Questo costituisce una grande debolezza strategica per l’India. Aggirare il blocco pakistano è quindi diventato una priorità per i leader indiani: l’investimento di Nuova Delhi nello sviluppo del porto iraniano di Chabahar per collegare l’India al Corridoio Nord-Sud (NSC) tra Iran e Russia rientra in questa strategia. Ma dal momento che l’NSC viene sviluppato dall’Iran, soggetto a sanzioni, e dalla Russia, ancor più soggetta a sanzioni, è altamente improbabile che possa fornire all’India un solido punto di ingresso in Europa. L’IMEC potrebbe contribuire a ovviare al problema, offrendo inoltre all’India un’opzione di connettività che non coinvolge né la Cina né il Pakistan.
Gli investimenti nelle infrastrutture nazionali sono un altro elemento chiave dell’ambizione dell’India di competere con la Cina. Il governo di Modi ha presieduto a una massiccia revisione della connettività nazionale indiana, migliorando i sistemi stradali e ferroviari del Paese e potenziando le infrastrutture portuali. Nonostante i molti ritardi e la solo parziale conclusione dei progetti, questa disponibilità a investire potrebbe contribuire a sostenere le ambizioni dell’India all’interno dell’IMEC. Il governo ha scelto tre porti sulla costa nord-occidentale come principali punti di arrivo del corridoio - Vadhavan, Kandla e Jawaharlal Nehru – che dovrebbero beneficiare di investimenti mirati per aumentare la capacità e la produzione di idrogeno verde.
Infine, l’IMEC si sposa bene con gli sforzi compiuti dall’India a partire dalla metà degli anni 2000 per intensificare le relazioni con le potenze mediorientali, in particolare con gli Stati del GCC. Alla base di tutto ciò vi sono gli sforzi dell’India per diversificare gli scambi commerciali dalla Cina, rafforzando così la sicurezza energetica e lo sviluppo industriale. Gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita sono diventati rispettivamente il terzo e il quarto partner commerciale dell’India (dopo Stati Uniti e Cina). Al di là degli scambi commerciali (soprattutto importazioni di energia ed esportazioni di prodotti alimentari), Nuova Delhi ha rafforzato i legami di sicurezza e gli impegni commerciali con i Paesi del GCC. Tale scelta è motivata dalla loro vicinanza geografica e dalle preoccupazioni condivise nei confronti di organizzazioni terroristiche come il gruppo dello Stato Islamico e di minacce come la pirateria nel settore marittimo. Questi legami rafforzati costituiscono un terreno fertile per l’IMEC e fanno parte del crescente interesse indiano a proiettare il proprio potere geoeconomico in Medio Oriente.
Il multiallineamento incontra il protezionismo
Sebbene l’IMEC rappresenti una notevole opportunità strategica per l’India, la posizione multiallineata del Paese limita la profondità dei legami che l’IMEC può creare. Nelle relazioni con gli Stati del Golfo, ad esempio, l’India dovrà bilanciare il forte sostegno a Israele con il tradizionale appoggio alla statualità palestinese, il tutto complicato dalle complesse politiche interne e della cattiva gestione della minoranza musulmana indiana da parte del governo nazionalista indù al potere.
Inoltre, i partecipanti occidentali all’IMEC non dovrebbero confondere la cooperazione indiana con l’allineamento, poiché Nuova Delhi rimane molto cauta rispetto alla possibilità di assumere una posizione diversa negli affari globali. Gli europei dovranno convivere con il coinvolgimento dell’India in progetti come il NSC e un BRICS sempre più geopolitico, mantenendo buone relazioni con il governo del Paese (come già fanno con i ben più ricchi Stati del Golfo). L’IMEC può servire all’obiettivo occidentale di avvicinare l’India agli Stati Uniti e all’Europa, ma ciò non impedirà necessariamente a Nuova Delhi di mantenere legami, ad esempio, con Mosca e Teheran.
La sfida per i leader indiani consisterà nel destreggiarsi tra tutti questi partner per favorire lo sviluppo dell’industria e delle infrastrutture, in modo che l’IMEC possa iniziare a contribuire agli obiettivi di Nuova Delhi. Come già notato, l’India ancora non dispone di una capacità produttiva sufficiente da garantire un de-risking dalla Cina né in patria né tantomeno in Europa, ma tale obiettivo rimane comunque legittimo e si allinea con le aspettative europee per l’IMEC, in particolare riguardo alla diversificazione dei partner economici. Inoltre, come tutti i progetti di connettività, l’IMEC potrebbe diventare un incentivo al commercio che contribuirebbe al raggiungimento di questi obiettivi.
Le ambizioni di Nuova Delhi hanno anche una componente protezionistica. Misure politiche come le ampie quote di importazione e le tariffe doganali adottate dall’India sono in contrasto con la possibilità di diventare una destinazione commerciale veramente attraente. La disomogenea applicazione delle normative contrattuali e la burocrazia rampante limitano i benefici che l’India potrebbe trarre dall’IMEC. L’infrastruttura hard prevista dal memorandum dell’IMEC dovrebbe quindi essere abbinata a un’infrastruttura soft ovvero un progressivo allineamento degli standard normativi, soprattutto nel settore della logistica. Le difficoltà dei negoziati sulla liberalizzazione degli scambi commerciali tra Bruxelles e Nuova Delhi sono ben note: oscillando tra interesse e disimpegno, le parti discutono di libero scambio, a fasi alterne, ormai dall’inizio degli anni 2010. Nel giugno 2022 l’UE e l’India hanno rilanciato i colloqui, grazie al desiderio comune di contrastare l’espansione della Cina nell’Indo-Pacifico, ma restano distanti su molte questioni, tra cui i regimi dei visti e l’accesso al mercato per i beni sensibili, come le automobili e i prodotti agricoli.
L’IMEC non necessita di un accordo di libero scambio tra l’UE e l’India, ma una qualche forma di liberalizzazione degli scambi aumenterebbe il potenziale del corridoio. Questo vale anche per le relazioni economiche dell’India con i Paesi del Golfo: l’accordo commerciale del 2022 con gli Emirati Arabi Uniti potrebbe essere presto seguito da un’iniziativa analoga con l’Oman, ma i negoziati con l’Arabia Saudita rimangono difficili, per non parlare di un accordo più ampio a livello di GCC. L’atteggiamento dell’India verso Israele non sembra aver danneggiato le sue relazioni economiche con Abu Dhabi, ma difficilmente le permetterà di conquistare il favore di Riyadh.
L’IMEC come raccordo: Come dovrebbero procedere gli europei
I partecipanti all’IMEC in Europa, negli Stati del Golfo e in India possono trarre vantaggi diversi dall’iniziativa, in base alle loro diverse, ma non inconciliabili, ambizioni. Alcuni di questi obiettivi, come la diversificazione dei partner economici, sono profondamente radicati nel cambiamento dell’ordine globale e nell’emergere del multipolarismo. Tendenze di questo tipo rendono l’IMEC un impegno a lungo termine, le cui dinamiche strutturali non dovrebbero essere ostacolate dall’instabilità del Medio Oriente. In effetti, l’India ha siglato un accordo formale con gli Emirati Arabi Uniti a febbraio, segnalando che i Paesi partecipanti sono disposti a procedere nonostante le tensioni.
Gli europei dovrebbero approfittare dell’attuale momento di pausa nello sviluppo dell’IMEC per riflettere e definire aspettative realistiche per il futuro del corridoio, concentrandosi su come trasformare il memorandum d’intesa iniziale in un corridoio logistico ed energetico funzionante che possa raccordare i diversi obiettivi delle parti. Come dimostra drammaticamente la guerra a Gaza, le sfide che attendono il progetto IMEC sono significative e spaziano dalle ambizioni eccessive e il rischio di non essere all’altezza delle aspettative agli ostacoli economici.
Valutare il potenziale geopolitico dell’IMEC, ma anche i limiti economici
I firmatari del memorandum rappresentano più della metà del PIL globale e circa il 40% della popolazione mondiale, ma l’impatto del corridoio sulle rispettive economie potrebbe rivelarsi modesto, almeno nel breve e nel medio termine. Poiché l’IMEC non influirebbe sulle rotte commerciali tra gli Stati Uniti con gli altri firmatari, è poco probabile che il coinvolgimento americano nel corridoio produca grandi vantaggi economici. Allo stesso tempo, l’India rientra a malapena tra i primi dieci partner commerciali dell’UE. Le infrastrutture e il commercio sono fattori chiave per la crescita e il progetto migliorerebbe le prime per incrementare il secondo, ma il valore principale dell’IMEC risiede più nella sua dimensione geopolitica che in quella strettamente economica.
Promuovendo la connettività tra l’Europa, gli Stati del Golfo e l’India, l’IMEC fornirebbe legami forti in un mondo sempre più instabile. Ciò è particolarmente importante alla luce dell’economia in crescita dell’India e dell’ascesa delle potenze del Golfo come attori globali a pieno titolo: così come le cime di ormeggio tengono le barche saldamente legate al molo, le infrastrutture dell’IMEC terrebbero i Paesi partecipanti legati gli uni agli altri, impedendo loro di allontanarsi nei mari agitati della politica internazionale.
Il successo del progetto IMEC consentirebbe all’UE di associare alla sua natura economica un potente messaggio politico, un segnale particolarmente importante alla luce della narrazione cinese che accompagna la BRI, a cui l’UE ha cominciato a reagire, seppure timidamente, solo con il Global Gateway. In tale contesto, l’IMEC potrebbe dimostrare che gli attori occidentali sono in grado di partecipare a iniziative che rispondono agli interessi chiave dei Paesi partner lasciando da parte le vecchie abitudini di iniziative top-down dettate da obiettivi europei o statunitensi, spesso messe in piedi senza neanche consultare i destinatari in fase di pianificazione.
I vertici politici europei dovrebbero affrontare la pianificazione della realizzazione del corridoio tenendo conto di questi obiettivi geopolitici, concentrandosi sulla massimizzazione della cooperazione senza forzare gli allineamenti. A tal fine, dovrebbero istituire incontri regolari a livello ministeriale per ottimizzare il coordinamento e creare un organo deliberativo per gestire lamentele o differenze politiche.
Superare i conflitti e liberalizzare il commercio
Le infrastrutture non possono esprimere il loro potenziale in un clima di insicurezza. Tutti i partecipanti all’IMEC dovranno contribuire ad affrontare la guerra a Gaza, gli attacchi degli Houthi alle navi nel Mar Rosso e il pericolo che l’Iran rappresenta per lo stretto di Hormuz.
I vertici politici europei dovranno lavorare con grande attenzione per aggirare queste tensioni e sfruttare i futuri benefici economici del corridoio per smussare le asperità delle rivalità regionali. Le priorità da perseguire dovrebbero consistere nel contribuire a salvaguardare la distensione tra Arabia Saudita e Iran, evitare che la rivalità tra Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita sfoci in una vera e propria guerra economica e lavorare per una sospensione duratura delle ostilità tra Israele, Hamas e i loro vicini.
Per prosperare l’IMEC avrà bisogno di un quadro normativo forte. In tal senso, la Commissione europea dovrebbe rinnovare gli sforzi per liberalizzare il commercio con l’India, adattando le aspettative a una tempistica rapida: difficilmente si potrà raggiungere un accordo alla luce delle attuali richieste europee in materia di tutela dell’ambiente e del lavoro e della convinzione dei leader indiani che l’UE utilizzi la politica commerciale come strumento per plasmare l’economia politica dei suoi partner.[3]
Gli europei dovrebbero perseguire una liberalizzazione incrementale che consenta al progetto dell’IMEC di fare progressi, cosa che contribuirebbe anche a un futuro accordo globale. L’impulso geopolitico per l’UE e l’India a raggiungere una qualche forma di accordo non fa che aumentare: entrambe le parti devono dimostrarsi disponibili a raggiungere un compromesso tenendo a mente che il fallimento dell’IMEC sarebbe un duro colpo alla loro credibilità nel Sud globale, uno smacco che nessuna delle due parti può permettersi.
Considerare l’IMEC come un percorso aggiuntivo e non alternativo
L’IMEC ha un potenziale significativo per il trasporto di merci ed energia tra l’India, il Golfo e l’Europa, anche se, come già detto, è improbabile che possa sostituire il Canale di Suez. Gli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso dimostrano la fragilità e la vulnerabilità delle infrastrutture marittime, che rendono necessario lo sviluppo di ulteriori rotte tra l’Europa e l’Asia - proprio quello che si propone di fare l’IMEC.
Gli europei dovrebbero concentrarsi sull’importanza dell’IMEC come percorso aggiuntivo che può contribuire a una logica “just in case” nelle catene di approvvigionamento. In questo caso, l’IMEC sarebbe per Suez quello che l’India è per l’UE in una prospettiva di de-risking: un’aggiunta critica ma non una soluzione in sé. I partecipanti europei all’IMEC devono quindi garantire che i progetti per il corridoio massimizzino la resilienza economica del continente. Questi piani dovrebbero consentire la movimentazione di merci che sarebbero più convenienti da reperire in India piuttosto che in Cina, in particolare quei beni la cui competitività non sarebbe influenzata da costi di trasporto più elevati. Questo tipo di connettività aggiuntiva in un’epoca caratterizzata da perturbazioni è la migliore assicurazione geoeconomica disponibile.
Sviluppare l’IMEC come rete
Nella maggior parte delle mappe che circolano sui media, l’IMEC compare come una linea unica, tuttavia avrebbe maggior successo se si sviluppasse come una rete di connessioni con molteplici punti di ingresso e di partenza per collegare vari attori.
In questo modo si raggiungerebbero due obiettivi: la resilienza e l’inclusione. Con una scelta di punti di approdo nella penisola arabica e nel Mediterraneo, il corridoio sarebbe in grado di assorbire meglio le crisi e di mitigare i problemi di sicurezza. La costruzione di un unico asse principale che attraversi l’Arabia Saudita ha un chiaro senso economico, ma dovrebbe diramarsi verso diversi porti sulle coste del Mar Arabico e del Mediterraneo.
Un’iniziativa che potrebbe ridurre l’impatto di una futura crisi nello Stretto di Hormuz è lo sviluppo della ferrovia Duqm-Riyadh - già in fase di studio - che collegherebbe il porto occidentale omanita con la capitale saudita, aggiungendo un nuovo punto di ingresso meno esposto all’instabilità. Gli europei dovrebbero insistere affinché questo progetto venga portato avanti. La partecipazione dell’Oman rafforzerebbe inoltre il ruolo dell’IMEC come strumento di stabilizzazione, dal momento che il Paese ha una lunga tradizione di mediazione tra i rivali regionali. Inoltre, la ferrovia potrebbe contribuire a contenere i rischi posti dalla rivalità tra Abu Dhabi e Riyadh.
Anche i punti di approdo dell’IMEC in Europa beneficerebbero di una diversificazione. Ad esempio, gli europei dovrebbero considerare l’aggiunta di Marsiglia in Francia e Gioia Tauro nell’Italia meridionale (dove non c’è alcun coinvolgimento cinese) come porti di approdo e valutare di includere la costa adriatica. Questi porti sarebbero complementari al Pireo, di proprietà cinese, grazie alla loro integrazione con la rete ferroviaria del continente e alla loro capacità di gestire grandi volumi di container.
Inoltre, per migliorare la redditività del corridoio, i partecipanti europei all’IMEC dovrebbero concentrarsi sulla promozione dell’inclusione, contribuendo a evitare ulteriori tensioni in un’area già afflitta da gravi crisi. La posizione dell’Egitto, che rischia di essere danneggiato da qualsiasi deviazione degli scambi commerciali dell’IMEC, potrebbe ammorbidirsi con la proposta di un collegamento ferroviario al corridoio centrale in Israele, consentendo al Cairo di intercettare parte dei flussi. L’Egitto ha già definito il progetto di una nuova linea ferroviaria da Ismailia e Port Said a El Arish, nel Sinai, che potrebbe essere potenziato dall’IMEC con la connettività transfrontaliera. L’inclusione della Palestina nell’IMEC è estremamente improbabile nel breve termine, ma gli europei potrebbero iniziare a riflettere su una potenziale estensione futura oltre Israele.
In particolare, l’UE potrebbe contribuire alla rete IMEC condividendo l’esperienza dei propri ammodernamenti infrastrutturali: proprio come nel modello di rete di trasporto transeuropea, si potrebbe richiedere che l’IMEC integri le linee principali con percorsi secondari che includano altri attori.
Sostenibilità finanziaria ed energetica
Gli europei dovrebbero iniziare a prendere in considerazione un finanziamento a lungo termine per questa imponente impresa. L’UE e i suoi Stati membri si trovano a dover fronteggiare con poche risorse diverse sfide, dalla competitività delle loro industrie nazionali alla transizione verde e al sostegno all’Ucraina. Un grande progetto infrastrutturale come l’IMEC può trovare uno spazio limitato tra questi imperativi e incertezze.
Ma l’UE, la Francia, la Germania e l’Italia non saranno chiamate a fornire tutti i finanziamenti per le infrastrutture IMEC lungo l’intero percorso. Nella costruzione di collegamenti ferroviari, ad esempio, l’esperienza e la capacità degli europei in ambito di pianificazione della connettività transfrontaliera potrebbero rivelarsi più preziose, cosa che potrebbe consentire agli europei di sfruttare il peso finanziario dei partecipanti del Golfo per aiutare tutte le parti a raggiungere gli obiettivi comuni.
Gli europei dovrebbero anche perseguire un finanziamento dedicato attraverso l’emissione di strumenti obbligazionari congiunti tra la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo e la Banca Europea per gli Investimenti, nonché le istituzioni finanziarie nazionali degli Stati membri partecipanti. L’alta qualità del rating delle due banche internazionali potrebbe contribuire a contenere i tassi di interesse, mentre il valore economico del corridoio attirerebbe i creditori.
Il finanziamento del corridoio è strettamente interconnesso alla sua dimensione energetica, poiché la redditività dell’IMEC nel lungo periodo dipende in modo significativo dal suo potenziale contributo alla decarbonizzazione. Il memorandum dell’IMEC riguardava esclusivamente piani di collegamento con l’energia verde, ma la costruzione di gasdotti pronti per l’idrogeno (hydrogen-ready) nel Mediterraneo orientale crea un rischio di lock-in del gas per i Paesi dell’UE, che aumenta a causa dei costi di produzione dell’idrogeno e del massiccio aumento delle energie rinnovabili richiesto negli Stati del Golfo (e in India).
Gli europei dovrebbero resistere alla tentazione di ritardare il passaggio dal gas all’idrogeno. Per accelerare questo processo, dovranno impegnarsi costantemente a livello diplomatico con gli altri partecipanti all’IMEC sui loro progressi verso la decarbonizzazione e presentare scadenze chiare per l’eliminazione graduale dei combustibili fossili nelle loro economie. Gli europei dovrebbero accompagnare questa iniziativa con quote adeguate di esportazione di energia verde verso l’Europa, che non vadano a scapito della decarbonizzazione interna del Golfo. Gli europei dovrebbero anche usare l’IMEC per spingere l’India verso ambizioni energetiche più sostenibili, fornendo così una carota a bilanciare il bastone del CBAM.
La strada da percorrere
L’IMEC è un progetto a lungo termine che richiede investimenti considerevoli e presenta notevoli ostacoli interni ed esterni, ma il potenziale del corridoio di rafforzare i legami tra potenze diverse potrebbe rivelarsi prezioso in questo mondo frammentato e turbolento. La strada (e le ferrovie, i porti, i cavi e gli oleodotti) da percorrere non è affatto facile, ma se gli europei utilizzeranno l’attuale fase di sospensione dello sviluppo dell’IMEC per capire come conciliare le dinamiche strutturali di diversificazione, de-risking e contenimento dell’influenza cinese, tenendo in considerazione al contempo gli obiettivi di tutti i partecipanti, potrebbero scoprire che l’IMEC porterà con sé grandi benefici geopolitici e geoeconomici.
L’autore
Alberto Rizzi è visiting fellow del programma European Power dell’ECFR (European Council on Foreign Relations) con sede a Roma. In precedenza è stato borsista paneuropeo presso l’ECFR.
I suoi ambiti di ricerca si concentrano principalmente sulla geoeconomia, sul commercio internazionale e sulla geopolitica dell’energia e delle infrastrutture. Rizzi ha lavorato in precedenza presso l’Istituto italiano per gli studi di politica internazionale, il Centro europeo di interoperabilità dell’esercito, la Fondazione Italia-Cina e l’Ambasciata d’Italia a Tallinn. Rizzi collabora inoltre regolarmente con diversi media italiani e internazionali come commentatore su questioni internazionali.
Ha conseguito una laurea in studi internazionali ed europei e un master in politica internazionale e dinamiche regionali presso l’Università degli Studi di Milano. In seguito ha conseguito un master avanzato in governance economica dell’UE presso l’Istituto di studi europei dell’Università libera di Bruxelles.
Ringraziamenti
La ricerca è sempre un lavoro di squadra e questo policy brief deve molto all’esperienza e alle intuizioni di diversi colleghi dell’ECFR. L’autore desidera ringraziare in particolare Cinzia Bianco, Agathe Demarais, Susi Dennison, Camille Lons, Herman Quarles van Ufford e Manisha Reuter per i preziosi consigli e commenti. La splendida grafica di Nastassia Zenovich e l’abile revisione editoriale di Kim Butson hanno inoltre migliorato notevolmente la bozza originale. Eventuali errori restano ovviamente a carico dell’autore.
Questo policy brief è stato reso possibile dal sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo.
- Discussione dell’ECFR con funzionari del Ministero francese per l’Europa e gli Affari esteri, tenuta secondo la Chatham House Rule, online, febbraio 2024.
- Conversazione dell’autore con il management di un’azienda energetica europea, online, gennaio 2024.
- Colloquio dell’ECFR con i ministri del governo indiano, tenutosi secondo la Chatham House Rule, Roma, novembre 2023.
ECFR non assume posizioni collettive. Le pubblicazioni di ECFR rappresentano il punto di vista degli autori.