Controcorrente: Il ruolo dell’Europa nella transizione verde in Algeria

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In breve

  • L’invasione russa dell’Ucraina ha ridisegnato i mercati energetici europei e ha conferito nuova urgenza ai piani di decarbonizzazione dell’UE, modificando gli incentivi dei partner energetici dell’Unione.
  • L’aumento della domanda per le esportazioni di petrolio e gas dall’Algeria ha temporaneamente ridotto la pressione per una riforma interna, anche nel settore energetico.
  • Ma il crescente consumo di energia locale e i piani europei per ridurre le importazioni di combustibili fossili a favore delle energie rinnovabili minacciano il sistema rentier dell’Algeria.
  • I leader del Paese hanno adottato per ora misure molto contenute riguardo alla creazione di un settore dell’energia rinnovabile e rimangono concentrati sull’aumento degli investimenti in idrocarburi.
  • Sebbene l’Algeria abbia poche riserve per aumentare le esportazioni di idrocarburi nel breve termine, rappresenta un partner a lungo termine molto più promettente per l’Europa nel settore delle energie rinnovabili.
  • Gli obiettivi ambiziosi in materia di clima, la potente leva finanziaria e le competenze tecniche pongono l’Europa in una posizione ideale per aiutare l’Algeria ad avviare una robusta transizione energetica, se il Paese deciderà di seguire questa via.
  • Questo mese, in occasione di un incontro ad alto livello sull’energia, i funzionari dell’UE e dell’Algeria si riuniranno per la prima di molte discussioni volte a ridisegnare il futuro del loro partenariato energetico.

Introduzione

Fino a poco tempo fa, la sicurezza energetica era scivolata in fondo alla lista delle priorità politiche dell’Europa. Nella mente degli europei la crisi petrolifera degli anni ‘70 era poco più che un ricordo sbiadito, mentre gli effetti dei cambiamenti climatici indotti dall’uomo diventavano sempre più evidenti e l’importazione di energia era in continuo aumento. Nel 2020 queste tendenze sono culminate nell’approvazione del Green Deal europeo, che impegna l’Unione Europea a ridurre le emissioni di gas serra del 55% entro il 2030 (rispetto ai livelli del 1990) e a raggiungere la neutralità delle emissioni di carbonio entro il 2050. A questo ha fatto seguito, lo scorso anno, il pacchetto Fit for 55.

Ma l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel febbraio 2022 ha incrinato la fiducia dell’Europa riguardo alla sicurezza energetica, spingendo Bruxelles a rivalutare le proprie catene di approvvigionamento energetico, i rapporti con i fornitori e la tempistica per la transizione verso le energie rinnovabili.

A maggio, con la prospettiva di un inverno freddo sul continente, la Commissione Europea ha presentato il REPowerEU, un piano accelerato per mettere fine ai rapporti in ambito energetico con la Russia, da sempre il principale fornitore europeo di petrolio, carbone e gas naturale. Nel breve termine il pacchetto ha incentivato gli sforzi dei Paesi dell’UE per assicurarsi rapidamente fonti alternative di combustibili fossili. Tuttavia, la conseguenza più significativa di tale iniziativa potrebbe essere un’accelerazione del processo di transizione energetica dell’Europa, sulla scia di un aumento sostanziale degli obiettivi sia per la produzione che per l’importazione di risorse energetiche rinnovabili, in particolare idrogeno verde. Bruxelles si è impegnata a mobilitare 300 miliardi di euro in sovvenzioni e prestiti per porre fine alla dipendenza dell’Europa dal petrolio e dal gas russo entro il 2030. Queste misure e l’ampia transizione che intendono sostenere creano notevoli opportunità per i partner energetici europei che si uniscono a questo sforzo, e grandi rischi per quelli che non lo fanno.

In tale contesto l’Algeria, già fornitore chiave di energia per l’Europa, ha ora la possibilità di assumere un ruolo ancora più centrale. Importante produttore di idrocarburi, nel 2020-2021 il Paese ha fornito all’UE circa il 10% delle sue importazioni di gas (diventando così la terza fonte di gas estero, dopo Russia e Norvegia) e circa il 3% delle importazioni di petrolio. Tuttavia, da quando Bruxelles ha cominciato a prendere le distanze dai combustibili fossili, le energie rinnovabili dell’Algeria hanno assunto un’attrattiva ancora più forte. Si tratta, dopo tutto, del decimo Paese più grande del mondo nonché il più grande dell’Africa, con quasi 2,4 milioni di chilometri quadrati di superficie e oltre 1.600 km di costa. Il territorio è occupato in larga parte dal Sahara e le oltre 3.000 ore di luce solare annue potrebbero consentire all‘Algeria di costruire uno dei più grandi campi solari del mondo. Inoltre, uno studio dell’International Finance Corporation del 2020 ha classificato il Paese al primo posto in Africa in termini di potenziale produzione di energia eolica “equivalente a oltre 11 volte l’attuale capacità eolica installata a livello mondiale”. Secondo altre ricerche, il potenziale di energia da moto ondoso dell’Algeria è “uno dei più elevati” del bacino del Mediterraneo. Inoltre, la sua collocazione geografica implica che il costo dell’esportazione di energia rinnovabile verso l’Europa sarebbe relativamente basso, rendendolo un partner naturale per l’UE nel processo di transizione energetica.

Finora, tuttavia, tali ambizioni sono state ostacolate da fattori politici. Sulla scorta di una lunga e dolorosa storia di colonizzazione da parte della Francia, gli algerini tendono a essere diffidenti nei confronti degli stranieri. Il Paese resta volontariamente isolato, caso raro nel mondo globalizzato di oggi, e guarda con estrema diffidenza a qualsiasi minaccia percepita alla sua sovranità conquistata a fatica. L’esportazione di combustibili fossili è alla base del sistema economico nazionale e, per decenni, ha alimentato tanto la corruzione delle élite che i sussidi a cui i leader fanno ampio ricorso per garantire il benessere dei cittadini e garantire la pace sociale.

Di conseguenza, il governo algerino vede con preoccupazione la prospettiva di abbandonare queste preziose risorse a favore di nuove tecnologie sconosciute. Il boom dei prezzi del petrolio e del gas causato dal conflitto in Ucraina e dalle sanzioni occidentali alla Russia non fa che aumentare la riluttanza ad avventurarsi verso l’ignoto. Ad oggi, sono stati minimi gli sforzi per sviluppare il settore delle rinnovabili.

L’incontro sull’energia tra UE e Algeria a ottobre 2022, il primo di questo tipo ad alto livello dal 2018, precederà di poco la conferenza mondiale sul clima COP27 e la prevista rinegoziazione dell’accordo di associazione dell’Algeria all’UE, in vigore dal 2002. Questi incontri offrono all’Algeria e all’UE l’opportunità di riformulare il loro partenariato per aprire una nuova era e coincidono, inoltre, con un periodo di grande ansia in Europa riguardo alle forniture di gas. Tuttavia, alla luce dei vincoli di produzione, la capacità algerina di fornire ulteriore assistenza all’Europa in tal senso è limitata (sebbene esistano altre vie che permetterebbero un reciproco sostegno a breve termine). Tale limitazione potrebbe tuttavia rivelarsi vantaggiosa, evitando che le preoccupazioni energetiche a breve termine dell’Europa diano ai funzionari algerini false speranze sul futuro degli idrocarburi, che a loro volta potrebbero precludere una collaborazione energetica a lungo termine tra le parti.

Per l’Europa, i colloqui sono un’occasione per invitare i leader algerini a partecipare alla transizione energetica. Data la centralità dei combustibili fossili nel sistema politico ed economico del Paese, l’Algeria non abbandonerà il petrolio e il gas da un giorno all’altro, ma potrebbe avviare un processo per potenziare rapidamente il settore delle rinnovabili nei prossimi decenni. La pericolosa dipendenza dagli idrocarburi potrebbe diminuire grazie a un’accelerazione della transizione energetica, inizialmente per soddisfare la domanda interna e successivamente per l’esportazione. Tale dipendenza ha già comportato per il Paese varie crisi in passato e, dato il futuro incerto dei combustibili fossili, è probabile che ciò possa accadere di nuovo.

La transizione potrebbe non solo aiutare l’Algeria a garantire il benessere di una popolazione in crescita e a mantenere o addirittura espandere il suo ruolo di fornitore affidabile di energia per l’Europa, ma contribuirebbe anche a rendere il Paese più attivo nella lotta al cambiamento climatico, che ha implicazioni sempre più gravi sul territorio nazionale.

Per tutti questi motivi, l’UE ha bisogno di capire come promuovere e facilitare questo cambiamento in Algeria. Il presente documento analizza come le risorse energetiche plasmino le dinamiche politiche ed economiche del Paese, compresi i seppur minimi sforzi compiuti per sviluppare le rinnovabili, esplorando poi il dilemma che i politici algerini si trovano ad affrontare e il modo in cui gli europei potrebbero fornire soluzioni.

I recenti sviluppi dei mercati energetici globali hanno creato ostacoli alla transizione verde in Algeria, ma hanno anche aumentato i costi potenziali dell’inazione. Lavorando insieme, l’Algeria e l’Europa possono sostenere il loro partenariato energetico e contribuire alla rispettiva sicurezza economica ed energetica a lungo termine.

Uno Stato basato sul petrolio

Gli idrocarburi sono un pilastro del moderno Stato algerino fin dalla sua nascita. Il petrolio e il gas naturale sono stati scoperti in Algeria poco prima che il Paese ottenesse l’indipendenza dalla Francia nel 1962. Questo ha rappresentato un vantaggio senza precedenti per una giovane nazione desiderosa di sviluppare il proprio capitale economico e umano. Di conseguenza, l’Algeria si è mossa rapidamente per costruire il proprio settore energetico, inaugurando nel 1964 il primo impianto commerciale di produzione di gas naturale liquido al mondo ad Arzew, vicino a Orano, mentre le università e gli istituti tecnici di nuova fondazione iniziavano a formare ingegneri petroliferi altamente qualificati. Nel 1969 l’Algeria è entrata a far parte dell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC) e nel 1971 ha nazionalizzato l’industria del petrolio e del gas, consolidando tutte le risorse energetiche, le infrastrutture e le entrate sotto il controllo dello Stato. In un Paese che tiene alla propria sovranità sopra ogni altra cosa, tale evento viene ancora celebrato come una pietra miliare nella lunga lotta degli algerini per l’autodeterminazione.

Oggi l’Algeria, che si attesta al decimo posto al mondo in termini di riserve di gas e al quindicesimo per quelle di petrolio, è il più grande produttore di gas dell’Africa e un importante fornitore di petrolio a livello mondiale. Negli ultimi decenni le vendite di idrocarburi hanno rappresentato oltre il 90% dei ricavi delle esportazioni e circa la metà del bilancio statale. La ricchezza energetica del Paese ha prodotto numerose distorsioni nell’economia e ha portato a una dipendenza da cui non è facile affrancarsi, un classico esempio di maledizione delle risorse. I sostenitori della transizione energetica in Algeria devono quindi fare i conti con la realtà, nella quale le proposte di evoluzione minacciano di sconvolgere equilibri consolidati da tempo.

Hydrocarbon revenue as a percentage of the state budget


I leader algerini sostengono che la ricchezza di petrolio e gas ha permesso al Paese di esercitare una politica estera indipendente, adottando posizioni di principio quando e dove opportuno. Per tutti gli anni Sessanta e Settanta l’Algeria è stata uno strenuo sostenitore dei movimenti di liberazione anticoloniali in tutto il mondo in via di sviluppo e oggi continua a promuovere la causa palestinese e a fornire sostegno materiale al movimento indipendentista del Sahara occidentale. Il Paese ha trascorso la guerra fredda cercando di trovare un equilibrio tra gli stretti legami militari con l’Unione Sovietica e i rapporti commerciali con l’Europa e oggi intrattiene forti relazioni bilaterali con la Russia e la Cina, oltre che con l’Europa e gli Stati Uniti. Secondo i leader algerini, la dipendenza dal sostegno estero costringe i Paesi nordafricani con minori risorse, come il Marocco e l’Egitto, ad attuare politiche impopolari in patria, dai programmi di aggiustamento strutturale alla normalizzazione delle relazioni con Israele. Nell’ultimo anno, tuttavia, l’Algeria ha interrotto le relazioni diplomatiche con il Marocco a causa di una miriade di controversie e ha drasticamente ridotto i suoi legami con la Spagna in risposta alla posizione assunta da Madrid nei confronti del Sahara occidentale. In entrambi i casi, ciò non sarebbe stato possibile senza l’indipendenza finanziaria.

A livello nazionale, le vaste risorse petrolifere e di gas dell’Algeria e la loro centralizzazione sotto il controllo dello Stato hanno da tempo creato incentivi sostanziali per la cosiddetta state capture. Il risultato è le pouvoir (il potere), l’eufemistico termine usato tradizionalmente dagli algerini per indicare la costellazione opaca e mutevole di clan rivali che da tempo occupano i vertici dell’apparato statale. Provenienti dalla classe politica, dall’élite imprenditoriale, dal potente esercito e dai servizi di intelligence, i suoi membri si battono per ottenere posizioni di rilievo e accedere alle entrate dello Stato, che da tempo vengono dirottate attraverso schemi di corruzione. Secondo una stima, tra il 1999 e il 2019 gli alti funzionari hanno sottratto quasi un terzo dei mille miliardi di dollari che l’Algeria ha guadagnato dalle vendite di idrocarburi. Una campagna anticorruzione lanciata nel 2019 ha portato a condanne al carcere per decine di ex primi ministri, membri del gabinetto, altri funzionari pubblici e oligarchi, ma ha permesso di recuperare poco del denaro rubato.

I governanti algerini si affidano a un misto di tattiche repressive e generose elargizioni per convincere i cittadini a ignorare tali attività criminose. In base al contratto sociale del regime, gli algerini rischiano il carcere se osano criticare i loro leader, ma ricevono assistenza sanitaria e istruzione gratuite, oltre a considerevoli sussidi per alloggio, alimenti di base, energia, acqua e altro ancora. L’anno scorso questi sussidi sono costati allo Stato 32 miliardi di euro, pari al 23% del PIL. Dall’indipendenza a oggi l’Algeria ha costruito migliaia di scuole e ospedali, oltre a milioni di unità abitative a basso costo. Un’ampia occupazione nel settore pubblico aiuta anche a garantire la pace sociale, mentre gli stipendi in denaro ai veterani di guerra e ai loro discendenti, tra gli altri, sono pensati per garantire la lealtà dei principali elettori. Il governo di solito aumenta questi pagamenti quando ha bisogno di sedare le proteste pubbliche, sia che si tratti di manifestazioni localizzate come quelle contro il fracking che sono scoppiate nelle città delle oasi del sud nel 2015, sia che si tratti di proteste più ampie come quelle che si sono svolte durante le rivolte arabe del 2011.

Se da un lato la ricchezza di idrocarburi del Paese arricchisce i suoi leader e garantisce un tenore di vita minimo agli algerini, dall’altro essa comporta anche costi economici non indifferenti. Una politica dei tassi di cambio studiata per massimizzare le entrate petrolifere riduce la competitività delle altre esportazioni, soffocando la produzione locale e alimentando la disoccupazione, che nell’ultimo decennio ha oscillato tra il 10% e il 12%, con tassi quasi tripli per i giovani. Si stima che l’economia informale algerina coinvolga un terzo della sua valuta e metà dei suoi lavoratori. Dopo il boom agricolo e industriale statalista degli anni ‘70, i settori dell’economia formale non legati agli idrocarburi si sono affievoliti. A differenza dei suoi vicini, l’Algeria ha resistito allo sviluppo dell’industria turistica e ha mancato in larga misura il boom tecnologico degli ultimi decenni.

L’eccessiva dipendenza dagli idrocarburi rende inoltre l’Algeria vulnerabile alle fluttuazioni dei mercati energetici internazionali, che hanno avuto conseguenze drammatiche per il Paese. Alla fine degli anni ‘80, il crollo delle entrate petrolifere ha spinto i leader algerini ad annunciare tagli ai sussidi pubblici, scatenando proteste di massa. In risposta, il governo ha avviato un frettoloso processo di liberalizzazione politica che ha fatto precipitare il Paese in un decennio di sanguinosa guerra civile. Tuttavia, da quella tragedia i leader algerini sembrano non aver tratto alcun insegnamento e nel 2014 sono stati nuovamente colti di sorpresa da un rapido crollo dei prezzi del petrolio e del gas, che ha portato a diversi anni di austerità. Queste politiche hanno irritato gli algerini, contribuendo alla nascita nel 2019 dell’Hirak, un movimento nazionale di protesta pacifica, che ha costretto il presidente di lungo corso Abdelaziz Bouteflika a dimettersi e, tra gli appelli a una riforma radicale del sistema politico, ha rappresentato per breve tempo una minaccia esistenziale per le pouvoir.

L’Algeria continua a sostenere questi costi non tanto perché i suoi leader li considerino uno svantaggio inevitabile della ricchezza di idrocarburi, quanto perché la dipendenza ha prodotto un’inerzia politica ed economica che si auto-alimenta. Questa inerzia si riflette sulla struttura di le pouvoir, la cui frammentazione e competizione interna impediscono ai suoi membri di sostenere cambiamenti strategici che sarebbero nell’interesse a lungo termine del Paese. In genere, le élite algerine raggiungono un consenso solo quando si trovano di fronte a una minaccia esistenziale, e solo all’ultimo minuto. Mentre i politici hanno spazio di manovra su questioni minori, il loro approccio alle sfide di portata più ampia è caratterizzato da una gestione della crisi a breve termine piuttosto che da una pianificazione a lungo termine.

In questo contesto, i discorsi sulle riforme su larga scala sono inversamente proporzionali ai prezzi globali dell’energia. L’impennata dei prezzi causata dalla crisi ucraina ha solo complicato gli sforzi per perseguire una transizione energetica e ha rafforzato l’attaccamento dei leader algerini agli idrocarburi.

Un nuovo boom del petrolio e del gas

Alla fine dell’anno scorso l’Algeria era in grave difficoltà: i prezzi globali dell’energia erano crollati, le varie ondate della pandemia di Covid-19 avevano spinto l’economia verso la recessione, l’inflazione e la disoccupazione erano ai livelli più alti degli ultimi anni, la carenza di beni di prima necessità si stava aggravando e le riserve nazionali e di valuta estera del Paese si stavano riducendo. I leader algerini hanno quindi annunciato l’imminente adozione di piani di aumento delle tasse e tagli ai sussidi nel tentativo di contenere l’insostenibile deficit di spesa.

Tali misure avrebbero portato alla sostituzione dei sussidi generalizzati dell’Algeria con un sistema mirato solo alle famiglie più bisognose, un’iniziativa che il Fondo Monetario Internazionale caldeggia da tempo, ma nel febbraio 2022 il prezzo del petrolio algerino Sahara Blend è passato da soli 15 dollari al barile nell’aprile 2020 a 100 dollari al barile. Giorni prima che la Russia avviasse la sua invasione su larga scala dell’Ucraina, il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune, ex ministro dell’edilizia che ha sostituito l’estromesso Bouteflika nel dicembre 2019, ha bruscamente annullato i previsti aumenti delle tasse e le riforme dei sussidi, prima di annunciare un nuovo programma di trasferimenti in denaro ai giovani disoccupati. In seguito ha promesso aumenti di stipendio per milioni di dipendenti del settore pubblico. I leader algerini sembrano ora poco propensi a procedere con le paventate riforme dei sussidi.

A luglio il governo ha approvato un’importante legge sugli investimenti ignorando le proposte del principale consiglio imprenditoriale indipendente del Paese, senza migliorare in modo sostanziale il difficile clima per gli investimenti in Algeria. La legge snellisce diverse procedure burocratiche e prevede incentivi fiscali per i settori prioritari, comprese le energie rinnovabili, ma non affronta le preoccupazioni fondamentali relative alla coerenza normativa, all’accesso equo al mercato e allo stato di diritto.

Gli alti prezzi dell’energia non solo hanno eroso gli incentivi dei leader algerini ad avviare le riforme, ma hanno anche spostato l’attenzione sugli sforzi per espandere le entrate da idrocarburi, che già quest’anno si prevede raggiungeranno i 50 miliardi di dollari, ovvero quasi quanto i due anni precedenti messi insieme. Impegnati a gestire un flusso costante di visite di alto livello da parte di potenziali acquirenti di energia, i leader algerini stanno negoziando aumenti di prezzo o nuovi accordi di fornitura con Spagna, Francia e altri Paesi. Il produttore statale di petrolio e gas Sonatrach ha firmato un nuovo importante pacchetto di esportazioni di gas con l’Eni che include studi su un potenziale progetto pilota di idrogeno verde, uno dei numerosi accordi che l’Algeria ha negoziato con l’Italia all’inizio di quest’anno. Il governo algerino ha poi riesumato i progetti, da tempo abbandonati, di un gasdotto trans-sahariano che porterebbe il gas nigeriano in Algeria per l’esportazione. I recenti sforzi di esplorazione di Sonatrach hanno portato a una raffica di scoperte di petrolio e gas, anche se gli investimenti per la produzione sono stati più lenti.

Pochi di questi sviluppi faranno crescere le entrate energetiche o i volumi di esportazione dell’Algeria nel breve termine. Nonostante la sua dipendenza dagli idrocarburi, il Paese potrebbe perdere una grande opportunità. La produzione di petrolio è limitata dalle quote OPEC e, dopo anni di investimenti inadeguati nelle infrastrutture, il Paese non ha la capacità di aumentare rapidamente la produzione di gas. I terminali di gas naturale liquefatto e i gasdotti che collegano l’Algeria alla Spagna e all’Italia hanno funzionato al di sotto delle loro capacità, nonostante la forte domanda europea di alternative al gas russo. Molti dei giacimenti petroliferi algerini stanno raggiungendo la maturità e la produzione comincia a ridursi, così da richiedere maggiori iniezioni di gas per mantenere il flusso di petrolio. Negli ultimi anni Sonatrach ha talvolta faticato a raggiungere le quote di produzione OPEC. Le esportazioni di gas dell’Algeria si sono riprese dalla pandemia con un aumento del 5% l’anno scorso, ma sono nuovamente diminuite nel 2022 e al momento non è chiaro se il governo manterrà la promessa di incrementare le esportazioni entro la fine dell’anno.

Nel gennaio 2022 Sonatrach ha annunciato l’intenzione di investire 40 miliardi di dollari in cinque anni per espandere la produzione, esercitando però al contempo pressione sui suoi clienti esteri affinché contribuissero a coprire i costi di tale espansione. A giugno il ministro dell’Energia Mohamed Arkab ha dichiarato a Der Spiegel che chiunque voglia acquistare energia dall’Algeria dovrà investire nello sviluppo a monte e ha inoltre incolpato le priorità ambientali europee per il calo degli investimenti algerini, sottintendendo che l’Europa è responsabile delle difficoltà dell’Algeria nell’espandere la produzione.

Questi messaggi sembrano indicare l’intenzione da parte dei leader algerini di rivitalizzare il settore degli idrocarburi e sostenerlo per i decenni a venire. In tal senso non va dimenticato il ruolo critico che l’Europa svolge nel finanziare il processo, che fornirà ai funzionari europei una leva nelle prossime discussioni sull’energia con le controparti algerine. Si dovrà fare un uso molto oculato di tale leva, allo scopo di assicurare che gli accordi di investimento a lungo termine in idrocarburi non ostacolino il perseguimento degli obiettivi climatici dell’UE.

Necessità di cambiamento

Nel breve termine, il boom dei prezzi energetici globali ha limitato le prospettive di una transizione verde in Algeria. Tuttavia, due importanti fattori locali segnalano per l’Algeria la crescente necessità di ridurre la propria dipendenza dai combustibili fossili.

Consumo energetico domestico

Negli ultimi decenni l’aumento del consumo energetico interno dell’Algeria ha ridotto notevolmente le risorse disponibili per l’esportazione, intaccando la principale fonte di reddito del Paese. A causa delle sfide sopra descritte, tra il 2000 e il 2021 la produzione di gas di Sonatrach è aumentata solo del 10%, mentre la produzione di petrolio è diminuita di una percentuale analoga. Nello stesso periodo, la popolazione algerina è cresciuta di oltre il 40% e anche il suo tenore di vita è aumentato, provocando un boom nella costruzione di abitazioni e infrastrutture, nonché nell’acquisto di automobili, condizionatori ed elettrodomestici ad alto consumo energetico. Il programma di sovvenzioni a tappeto del Paese riduce i prezzi dell’energia nazionale di oltre la metà, stimolando i consumi e costando allo Stato 112 miliardi di dollari nell’ultimo decennio, pari al 5,8% del PIL.

Poiché l’Algeria è il Paese più elettrificato dell’Africa (oltre il 99%), questi cambiamenti si sono tradotti in un aumento del consumo di energia elettrica, quasi tutta proveniente da combustibili fossili. Il consumo energetico nazionale è più che raddoppiato dal 2000 ad oggi e aumenterà ulteriormente: si prevede infatti che la popolazione passerà dagli attuali 45 milioni di abitanti a 60 milioni nel 2050. Il fornitore statale di energia elettrica Sonelgaz prevede che, per tenere il passo con la crescente domanda, occorrerà ammodernare l’infrastruttura elettrica ed espandere la capacità di generazione da circa 25.000MW a 32.000MW entro il 2030. Ciò rappresenta un’importante opportunità per sviluppare il settore delle energie rinnovabili.

National energy consumption as a percentage of energy production

Ogni unità di petrolio o gas consumata in Algeria rappresenta un’unità venduta al di sotto del valore di mercato, che non genera profitto dall’esportazione. Per decenni i leader algerini hanno per lo più eluso la questione evitando di menzionare questo compromesso nelle dichiarazioni pubbliche e promuovendo al tempo stesso iniziative di efficienza e risparmio energetico. Tuttavia le mezze misure hanno fatto troppo poco per ridurre l’impennata dei consumi nazionali. Recentemente, alla luce dell’aumento dei prezzi dell’energia, si è cominciato a parlare più esplicitamente della necessità di contenere i consumi interni per garantire che l’Algeria possa mantenere invariati i livelli delle importantissime esportazioni di petrolio e gas. Questa nuova priorità intesa a sostenere le esportazioni offre all’UE una delle possibilità più promettenti per aiutare l’Algeria a costruire un solido settore delle energie rinnovabili. Il primo passo di questo processo consiste nel concentrarsi sul soddisfare la domanda interna di energia elettrica prima di investire nello sviluppo di esportazioni di energia a basse emissioni di carbonio.

Cambiamento climatico

Gli effetti del cambiamento climatico indotto dall’uomo sono sempre più visibili ai politici e ai cittadini algerini. Secondo un libro bianco del governo pubblicato l’anno scorso, il cambiamento climatico costa già al Paese l’1,8% del PIL all’anno. L’espansione del Sahara è stata a lungo fonte di preoccupazione per i governanti algerini, anche alla luce del fallimento dei programmi di lotta alla desertificazione che risalgono agli anni ‘70. Durante un’estate particolarmente arida, lo scorso anno, gli incendi hanno devastato il nord dell’Algeria uccidendo almeno 90 persone e arrivando a sensibilizzare l’opinione pubblica come mai prima di allora. Altre 43 persone sono morte a causa degli incendi anche nell’estate di quest’anno. La diminuzione delle precipitazioni, l’aumento delle temperature, la migrazione verso le aree urbane e il crescente consumo di acqua da parte delle famiglie e delle aziende agricole stanno aumentando la pressione sui bacini e sulle falde acquifere, portando a tagli intermittenti nei servizi pubblici.

La crescente pressione sulle risorse idriche dell’Algeria illustra alcuni dei circoli viziosi distruttivi generati dal cambiamento climatico. A partire dal 2014 la carenza d’acqua ha obbligato il governo ad avviare lo smantellamento di 13 turbine idroelettriche che l’Algeria aveva costruito nelle dighe del nord. Per far fronte a tali carenze, l’Algeria ha cominciato a investire in maniera significativa nella desalinizzazione dell’acqua di mare, con 12 impianti già in funzione e altri in costruzione. Anche se questo investimento contribuirà ad alleviare la carenza esistente, la desalinizzazione è un processo ad alta intensità energetica che va ad aggiungersi alla crescente domanda di energia.

Il cambiamento climatico è in gran parte dovuto a fattori esterni, come le emissioni storiche delle nazioni industrializzate e ricche, ed è per questo che l’Algeria si batte con forza nei fora internazionali affinché questi Paesi aiutino il Sud globale ad adattarsi. Tuttavia, i fattori esterni sono sempre più esacerbati da quelli interni. Tra il 1962 e il 2020, l’Algeria è stata responsabile di un terzo dell’1% delle emissioni globali di CO2, collocandosi tra i primi 40 emettitori globali in quel periodo; le sue emissioni di CO2 pro capite sono aumentate del 50% dal 2000 a oggi. Queste cifre non tengono conto delle emissioni prodotte dal petrolio e dal gas algerini esportati per il consumo all’estero, né delle enormi quantità di gas rilasciate, sfiatate o fuoriuscite dagli impianti di produzione e lavorazione degli idrocarburi algerini, comprese le grandi perdite di cui si è avuto notizia all’inizio di quest’anno, che si stima abbiano lo stesso effetto di riscaldamento di diversi milioni di automobili.

La combustione di combustibili fossili aumenta anche l’inquinamento atmosferico locale. Un’analisi della Banca Mondiale sui dati del settore sanitario ha rilevato che l’inquinamento atmosferico ha causato quasi 8.000 morti in Algeria nel 2013. Molti algerini sono consapevoli del problema e secondo un sondaggio del 2019 un terzo della popolazione considera il cambiamento climatico fonte di “seria preoccupazione”. Tuttavia si evidenzia una scarsa indignazione da parte dell’opinione pubblica per i costi crescenti dell’uso dei combustibili fossili in Algeria, in parte a causa del timore che le possibili misure di mitigazione possano ostacolare lo sviluppo del Paese. Le poche organizzazioni della società civile algerina che si dedicano alla giustizia ambientale tendono a concentrarsi sul contenimento degli effetti più deleteri delle industrie estrattive e sulla garanzia che i progetti in questi settori creino posti di lavoro nelle comunità locali. Per il momento l’Algeria non dispone di un’ampia base elettorale interna per una transizione energetica, né per motivi ambientali né per motivi di salute pubblica.

I piani e le attività di transizione dell’Algeria

Negli ultimi anni, i leader algerini hanno compiuto qualche timido passo avanti per sfruttare l’abbondante potenziale di energia rinnovabile del Paese. In parte, questo è accaduto nel tentativo di ovviare all’incertezza sulla capacità dei combustibili fossili di garantire la stabilità fiscale e la sicurezza energetica dell’Algeria nel lungo periodo. Un’altra motivazione risiede nel desiderio di essere al passo con le tendenze globali e dimostrare alla popolazione che il Paese non sta rimanendo indietro rispetto ai suoi vicini.

Il governo ha costruito e ripetutamente riconfigurato l’architettura istituzionale dello Stato riguardo alle energie rinnovabili, ma è stato lento a intraprendere azioni più sostanziali. Alcune di queste istituzioni esistono da decenni. Per esempio, il Centro per lo Sviluppo delle Energie Rinnovabili, incentrato sulla ricerca, trae origine da un laboratorio di ricerca sull’energia solare di epoca coloniale. Il governo ha creato o adattato altre istituzioni in seguito alle revisioni costituzionali del 2016 e del 2020, che hanno sancito il “diritto dei cittadini a un ambiente pulito” e che citano esplicitamente il cambiamento climatico quale minaccia. Nel 2017 il governo ha ampliato la competenza del Ministero dell’Ambiente al fine di includere un portafoglio sulle energie rinnovabili, per poi scorporarlo nel 2020 come nuovo Ministero della Transizione Energetica e delle Energie Rinnovabili (MTEER). Nel 2019 il governo ha creato la Commissione per le energie rinnovabili e l’efficienza energetica (CEREFE) all’interno dell’ufficio del primo ministro. Nel 2020 l’Algeria ha istituito un corso di laurea dedicato alle energie rinnovabili presso l’Università di Batna al fine di sviluppare competenze in ambito nazionale. L’anno scorso ha creato la Società Nazionale per le Energie Rinnovabili (nota con l’acronimo arabo “SHAEMS”, che significa “sole”) di proprietà congiunta di Sonatrach e Sonelgaz e soggetta alla supervisione nominale dell’MTEER. L’azienda gestisce l’approvvigionamento di energia rinnovabile, una funzione precedentemente svolta dal Ministero dell’Energia.

Il governo ha apparentemente posto l’MTEER al centro dei suoi piani di transizione energetica, ma non ha dato all’istituzione le risorse necessarie per svolgere tale missione. Nel suo primo anno di attività, l’MTEER è stato diretto dal veterano dell’energia Chems-Eddine Chitour ma, nel luglio 2021, il governo lo ha sostituito con Benattou Ziane, un medico la cui principale qualifica per l’incarico era la sua posizione in un partito politico fedele a Tebboune. Il bilancio del MTEER era di gran lunga inferiore a quello del principale ministero dell’Energia. Inoltre, dopo che l’umore politico si è spostato contro la riforma, Ziane ha potuto contare su un sostegno statale ancora più scarso.

Tuttavia, il suo ministero aveva ancora obiettivi ambiziosi, i più recenti tra quelli annunciati dall’Algeria negli ultimi anni in ambito di cambiamento climatico e transizione energetica. Nel quadro dell’Accordo di Parigi del 2015 l’Algeria si è impegnata a ridurre le proprie emissioni di gas serra del 7% entro il 2030. Pubblicato per la prima volta nel 2011, il piano per il raggiungimento di questo obiettivo prevedeva 4.500 MW di capacità installata da fonti rinnovabili entro il 2020 e 22.000 MW entro il 2030, sufficienti a coprire un quarto della produzione di energia elettrica del Paese. Tuttavia, all’inizio del 2020, l’Algeria aveva installato una capacità equivalente a meno di un decimo del primo obiettivo. Il governo ha risposto rivedendo l’obiettivo a 16.000 MW (compresi 1.000 MW di generazione decentrata e off-grid) entro il 2035.

Negli ultimi anni, con il calo vertiginoso dei prezzi globali delle celle solari fotovoltaiche (PV), l’Algeria ha modificato la ripartizione dei suoi obiettivi in materia di energie rinnovabili per concentrarsi principalmente su questa tecnologia. Tale tendenza ha reso l’idrogeno verde a basse emissioni di carbonio economicamente competitivo, provocando un aumento dell’interesse internazionale in questo settore. L’industria dell’idrogeno ha ricevuto un’ulteriore spinta dal piano REPowerEU dell’UE, che comprende l’ambizioso obiettivo di importare 10 milioni di tonnellate di idrogeno a basse emissioni di carbonio all’anno entro il 2030.

Questi sviluppi hanno offerto nuove opportunità all’Algeria. Nel novembre 2021, l’agenzia di sviluppo tedesca GIZ ha pubblicato uno studio che delinea il potenziale dell’Algeria come produttore ed esportatore di idrogeno. Nello stesso mese, il governo algerino ha istituito un gruppo di lavoro interministeriale per sviluppare una road map nazionale sull’idrogeno, che sembra rispecchiare in larga misura la visione dello studio tedesco.

Tutto questo rimescolamento istituzionale, la definizione di obiettivi e la pianificazione hanno prodotto però risultati limitati. Secondo il CEREFE, a dicembre 2021 l’Algeria aveva 438 MW di capacità solare ed eolica installata, solo 26 MW in più rispetto a due anni prima e appena un decimo della capacità di rinnovabili del Marocco. Tuttavia, l’industria solare algerina si sta sviluppando e i numeri potrebbero presto aumentare. I siti privati di Batna, Bordj Bou Arréridj, Mila e Ouargla sono ora in grado di produrre pannelli solari per una capacità complessiva di 460 MW all’anno, sebbene non ancora a prezzi competitivi a livello globale. I pesanti sussidi governativi all’elettricità fanno sì che i privati e le imprese siano poco incentivati ad acquistare tali prodotti, ma lo Stato sostiene le aziende del settore inserendo i requisiti di approvvigionamento locale nelle gare d’appalto per l’energia solare.

Power generation 2000-2020

I produttori di energia elettrica esteri sono desiderosi di entrare in uno dei più grandi mercati potenziali di energie rinnovabili del mondo, ma spesso sono stati dissuasi da un clima commerciale inospitale e da condizioni contrattuali sfavorevoli. Dopo anni di tentativi di gara andati a vuoto o annullati, le autorità hanno cominciato a lavorare per ridurre gli ostacoli e favorire il processo. Nel 2020 hanno così rimosso dal settore delle energie rinnovabili e da molti altri la cosiddetta regola del 49/51, che da tempo imponeva una partecipazione maggioritaria algerina in qualsiasi joint venture. Questo cambiamento e la già citata legge sugli investimenti del 2022 hanno eliminato alcuni dei principali ostacoli all’attrazione di investimenti e competenze straniere. La revisione della legge sull’elettricità, promessa dal governo lo scorso anno e che dovrebbe chiarire i termini dei partenariati energetici internazionali, non si è ancora concretizzata e lo stesso destino è toccato alla legge sulla transizione energetica che l’MTEER avrebbe dovuto elaborare all’inizio dell’anno.

Nonostante il quadro giuridico ancora confuso, nel dicembre 2021 SHAEMS ha comunque lanciato Solar 1000MW, una gara d’appalto a lungo attesa per la costruzione e la gestione di impianti in 11 siti dell’Algeria centrale. Ziane ha trascorso i mesi successivi incontrando investitori stranieri e produttori di energia ma la gara d’appalto, che nelle intenzioni dell’Algeria doveva essere la prima di una serie pluriennale di progetti per avvicinarsi al suo obiettivo in materia di energie rinnovabili, non ha avuto successo. Lo SHAEMS ha esteso la scadenza per la presentazione delle offerte da aprile a giugno e poi a tempo indeterminato, sostenendo che gli offerenti avevano bisogno di più tempo per soddisfare i requisiti tecnici e di bilancio. Se verranno costruiti, gli impianti probabilmente non inizieranno la produzione prima del 2024, ben oltre l’obiettivo iniziale di quest’anno. Anche le gare d’appalto successive previste subiranno probabilmente dei ritardi.

In risposta a questo disordine, Tebboune ha riportato l’MTEER sotto il ministero dell’Ambiente in un rimpasto di gabinetto del settembre 2022. Il ministero ha avuto poco da mostrare per i suoi due anni di attività. Alla luce dei fallimenti dei leader algerini in materia di appalti e obiettivi per le energie rinnovabili, la scomparsa dell’MTEER solleva interrogativi sulla credibilità degli impegni pubblici per la transizione energetica e sulla capacità di attrarre competenze internazionali nel settore delle energie rinnovabili.

Il dilemma dell’Algeria

Dopo due anni di esperimenti infruttuosi nell’ambito dell’MTEER, l’Algeria ha nuovamente ripristinato l’infrastruttura istituzionale per la transizione energetica, ma non ha ancora chiarito le priorità politiche né ovviato alle mancanze del quadro normativo.

Nel frattempo, di recente, l’Algeria, come molti altri partner energetici dell’Europa, ha faticato a interpretare i “segnali contrastanti” degli europei, come ha dichiarato a chi scrive Faten Aggad, consulente senior della African Climate Foundation.[1] In risposta all’attuale carenza di energia, Aggad ha osservato che i governi europei si sono affannati a cercare forniture di gas e hanno erogato sussidi energetici alle famiglie, sebbene la Commissione Europea avesse al tempo stesso concentrato la sua attenzione su obiettivi per le energie rinnovabili ancora più ambiziosi, creando quindi confusione riguardo alle effettive priorità degli europei.

All’inizio del mese scorso, il Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel ha visitato Algeri nel tentativo preliminare di chiarire gli obiettivi dell’Europa, in vista del dialogo sull’energia dell’ottobre 2022. In tale occasione i rappresentanti dell’UE avranno il difficile compito di negoziare per mantenere o addirittura espandere le forniture di petrolio e gas algerino, incoraggiando al contempo l’Algeria ad accelerare lo sviluppo di energie rinnovabili a bassa emissione di carbonio per le future esportazioni.

Le voci provenienti dal settore energetico e dal governo algerino esprimono opinioni diverse sulla transizione energetica, sostenute da una parte da una serie di argomentazioni a favore di un rallentamento della transizione energetica dell’Algeria, e dall’altra da un auspicio di accelerazione. Gli europei dovranno tenere conto di entrambe le posizioni se vogliono convincere l’Algeria a unirsi a loro in una rapida transizione verso le energie rinnovabili.

Argomenti a favore di una transizione più lenta

Come discusso, l’inerzia nel settore energetico algerino è in parte il risultato di esigenze attendiste che auspicano un rallentamento del processo. Gli europei dovranno essere pronti a rispondere a queste argomentazioni.

Domanda costante di petrolio e gas

L’Algeria ha un interesse sostanziale a evitare che le riserve di gas e petrolio diventino stranded assets. Le proiezioni a lungo termine della domanda globale di idrocarburi variano notevolmente, a seconda delle diverse visioni del mondo di chi elabora la previsione. In uno scenario di rapida adozione dell’energia verde, l’Agenzia Internazionale dell’Energia prevede che, tra il 2020 e il 2050, la domanda globale di gas e petrolio potrebbe diminuire rispettivamente del 55% e del 75%. In risposta alle attuali turbolenze dei mercati energetici, molti politici algerini prevedono invece che la domanda diminuirà molto più lentamente o per nulla. L’aumento dei profitti nel settore energetico ha rafforzato questa opinione, come ha fatto anche il comportamento dei governi europei che, seppure attenti all’ambiente, hanno aumentato gli investimenti nelle forniture di combustibili fossili e nelle infrastrutture. La decisione dell’UE, nell’estate del 2022, di classificare il gas naturale come fonte di energia verde non ha fatto altro che aumentare le speranze degli algerini riguardo alla possibilità che l’UE non abbandonerà i combustibili fossili negli immediati anni a venire. Alcuni mettono addirittura in dubbio l’ipotesi degli europei che una transizione energetica globale sia inevitabile. Anche se l’Europa decarbonizzerà la propria economia, ci saranno ancora molti clienti pronti ad acquistare petrolio e gas come la Cina, l’India e altri mercati emergenti.

Costi immediati e benefici futuri incerti

I rappresentanti eletti di tutto il mondo non amano investire risorse oggi in cambio di guadagni incerti in un futuro lontano. Questo è particolarmente vero per l’Algeria, i cui decisori tendono a misurare gli investimenti iniziali non solo in termini finanziari, ma anche in base all’enorme capitale politico che sarebbe necessario per avviare un cambiamento di questa portata, data la frammentazione della struttura decisionale di alto livello del Paese. L’incertezza sui benefici di tale riforma aggrava il problema. Ciononostante, è possibile immaginare come l’Algeria potrebbe guadagnare economicamente da un maggiore uso delle rinnovabili nelle industrie dell’acciaio, del cemento e dei fertilizzanti, o da opportunità di sinergie come l’agricoltura agrivoltaica (coltivazione sotto pannelli solari). Ora che l’Europa cerca di ridurre la sua dipendenza dalla produzione cinese, l’Algeria potrebbe rappresentare un’interessante alternativa nelle vicinanze, grazie ai bassi costi energetici e di manodopera, nonché alle riserve non sfruttate di minerali fondamentali per le energie rinnovabili e i prodotti tecnologici. Tuttavia, come discusso, i funzionari algerini non hanno ancora articolato una visione per un’economia algerina post-idrocarburi basata su fonti di energia rinnovabili abbondanti e a basso costo.

Rischi legati alla rapida evoluzione delle tecnologie

Per anni gli appelli europei all’Algeria riguardo alle esportazioni di energie rinnovabili si sono concentrati sulla trasmissione di energia elettrica attraverso cavi sottomarini come quelli che collegano Marocco e Spagna. Alcuni di questi progetti sono ancora in fase di studio. Ad esempio, Algeri e Roma stanno esplorando la possibilità di costruire una connessione via cavo tra l’Algeria orientale e la Sardegna. Tuttavia, negli ultimi anni, l’idrogeno verde è balzato alla ribalta della discussione. Ciò è avvenuto nonostante il fatto che l’idrogeno non rientri tra i principali assi di cooperazione definiti nel precedente dialogo energetico UE-Algeria del 2015 e che l’UE abbia pubblicato la sua prima strategia sull’idrogeno solo a metà del 2020. Oggi l’idrogeno verde è al centro dei piani di transizione energetica dell’Europa, spinto dal suo potenziale di risorsa energetica ad alta densità adatta al trasporto, allo stoccaggio e all’uso industriale e promosso da una fiorente lobby europea dell’idrogeno. Il rapido passaggio dell’Europa dalla trasmissione elettrica al trasporto di idrogeno ha reso diffidenti vari politici algerini. Come ha dichiarato un analista energetico algerino a questo autore: “C’è grande timore di sbagliare.”[2]

L’idrogeno verde è relativamente nuovo e non testato. Diversi studi hanno sollevato seri dubbi sulla sua economicità come prodotto da esportazione suggerendo, ad esempio, che l’idrogeno verde proveniente dall’impianto solare algerino proposto dall’Eni sarebbe 11 volte più costoso del gas naturale anche prima del trasporto. Le proposte di trasportare l’idrogeno verde dall’Algeria all’Europa riutilizzando i gasdotti richiederebbero costosi interventi di adeguamento e potrebbero corrodere l’infrastruttura. La miscelazione dell’idrogeno con il gas naturale o altre sostanze per il trasporto potrebbe ovviare a questi problemi, ma le concentrazioni ottimali sono ancora in fase di studio. Le perdite potrebbero inoltre contribuire al riscaldamento globale, compromettendo i benefici climatici della decarbonizzazione. Molte di queste tematiche hanno a che fare con questioni ingegneristiche che, a fronte di un afflusso di fondi europei per la ricerca, hanno probabilmente soluzioni tecniche, ma i costi, le dimensioni e le tempistiche che queste soluzioni richiedono potrebbero cambiare radicalmente l’economia della produzione e dell’esportazione di idrogeno.

Nel frattempo, i funzionari algerini si preoccupano dei rapidi cambiamenti nelle tecnologie di generazione di energia solare, eolica e di altro tipo, che rischiano di rendere gli investimenti inefficienti o obsoleti nel giro di pochi anni. Come in precedenza, essi sostengono che è più sicuro aspettare che le tecnologie in questione maturino.

Una storia di ritardi ben riusciti

Da tempo gli europei cercano di sfruttare l’enorme potenziale di energia rinnovabile dell’Algeria. Nel 2009 il consorzio DESERTEC, guidato dalla Germania, ha lanciato l’idea di soddisfare una parte sostanziale del fabbisogno elettrico europeo costruendo massicci impianti a concentrazione solare (CSP) in Medio Oriente e Nord Africa, per poi collegarli all’Europa con cavi sottomarini. Le imprese internazionali di ingegneria, costruzione e investimento che hanno sostenuto il progetto hanno avuto fortune alterne nel corteggiare i governi della regione e quello algerino si è dimostrato tra i più scettici. DESERTEC ha dovuto affrontare serie problematiche tecniche, tra cui le perdite di trasmissione sui cavi lunghi, i problemi di compatibilità con la rete e le sovratensioni di picco. Inoltre, ha sofferto dell’elevato costo e della complessità del CSP rispetto al solare fotovoltaico, il cui prezzo stava allora crollando. Ma soprattutto, il concetto iniziale si concentrava esclusivamente sulla fornitura di energia all’Europa senza tenere in considerazione il crescente fabbisogno energetico locale ed è valso a DESERTEC l’etichetta di “colonialista verde”, di cui non è stato facile liberarsi anche dopo aver rivisto i piani per dare priorità alla fornitura dei mercati locali. A causa di questi e altri fallimenti, nel 2014 DESERTEC ha dovuto alzare bandiera bianca.

L’ambasciatore algerino presso l’UE, Mohammed Haneche, ha dichiarato a questo autore che le parti interessate a DESERTEC sono arrivate in Algeria con un concetto interessante ma con finanziamenti insufficienti.[3] Pare che la convinzione che il Paese avrebbe coperto il costo del progetto in anticipo abbia irritato i leader di Algeri.

Ciononostante, altri Stati hanno proseguito seguendo il modello DESERTEC, in particolare il Marocco. Negli ultimi anni, il Paese ha speso più di 5 miliardi di euro per progetti solari su larga scala. Il più importante di questi è l’impianto CSP da 510 MW di Noor vicino a Ouarzazate, che il governo marocchino ha costruito tra il 2013 e il 2018. L’impianto è valso al Marocco il plauso internazionale e ha contribuito a compensare le importazioni di energia dall’estero ma, a causa degli elevati costi di gestione, genera energia con una perdita annua di 80 milioni di euro. Il processo di pulizia degli specchi dell’impianto richiede grandi quantità d’acqua, che viene prelevata da un vicino bacino idrico in una regione arida. Le comunità locali hanno espresso la loro frustrazione per lo sperpero di terra, acqua e fondi pubblici, ma il Marocco continua a costruire nuove strutture.

Nel frattempo, diversi Paesi del Golfo hanno iniziato a investire pesantemente nella generazione di energia rinnovabile e a fare incursioni nella produzione di idrogeno, anche per l’esportazione. L’Egitto, la Tunisia e altri Paesi stanno seguendo a ruota, offrendo lezioni potenzialmente illuminanti all’Algeria.

Cambiamento e pace sociale

Il processo decisionale in Algeria è tutt’altro che democratico, ma l’Hirak ricorda alle élite del Paese che ci sono dei limiti a ciò che l’opinione pubblica è disposta ad accettare. I leader algerini hanno imparato a valutare attentamente il potenziale contraccolpo popolare prima di finalizzare le decisioni politiche. Un cambiamento tanto sostanziale quanto una transizione energetica che rivoluzionerebbe l’economia potrebbe rappresentare una minaccia considerevole in tal senso. Nel 2015 le comunità locali nel sud dell’Algeria hanno protestato per bloccare i piani governativi per la fratturazione idraulica, temendo che questa contaminasse le falde acquifere critiche. Oggi, alcuni attivisti algerini per la giustizia ambientale denunciano apertamente il “colonialismo verde” in tutta la regione e le alleanze tra imprese straniere ed élite locali che, a loro avviso, lo rendono possibile. Tali argomentazioni potrebbero facilmente trovare spazio in Algeria, i cui cittadini sono cresciuti con un’ideologia rivoluzionaria e anticoloniale e dove le autorità hanno represso ma non risolto le tensioni sociali che hanno portato all’Hirak.

Argomenti a favore di una transizione accelerata

Sul fronte opposto, ci sono ragioni per ritenere che l’Algeria abbia solo una finestra limitata di tempo per avviare la transizione energetica. Mettendo in evidenza questi argomenti, gli europei potrebbero essere in grado di imprimere un senso di urgenza costruttiva alla controparte algerina.

Un momento ideale per la riforma

Eletto a seguito di un voto contestato nel mezzo degli sconvolgimenti dell’Hirak, Tebboune ha faticato a guadagnarsi la legittimità popolare e a mantenere la promessa di una “nuova Algeria”. Ora, nella seconda metà del suo mandato quinquennale, la sua amministrazione è impegnata a riguadagnare terreno nel breve termine per garantirsi la rielezione nel 2024. L’attuale aumento dei ricavi da idrocarburi offre all’amministrazione le risorse necessarie per attuare politiche ambiziose ma, restando fedeli al modello storico, i leader algerini hanno trascorso gli ultimi mesi a sostenere l’attuale sistema e a rimandare i piani di riforma. La storia del Paese suggerisce che se il ritardo si protraesse fino a un nuovo crollo dei mercati energetici, potrebbe essere troppo tardi per apportare i cambiamenti necessari. Nonostante l’evidenza del contrario, i leader algerini sostengono di essere al lavoro per evitare tale destino e di essere pronti a cogliere l’attimo, come ha fatto Arkab nel giugno 2022 quando ha affermato che “non commetteremo lo stesso errore di dieci o quindici anni fa. Vogliamo investire i proventi della vendita del gas nella transizione energetica, che è la nostra priorità.”

L’impegno dell’Europa per un futuro a basse emissioni di carbonio

Gli alti funzionari dell’UE stanno lavorando alacremente per dimostrare il loro impegno verso gli obiettivi climatici europei e alcuni leader algerini riconoscono che prendere in parola i funzionari dell’UE potrebbe comportare notevoli vantaggi per il Paese. Il piano REPowerEU e le iniziative correlate stanno convogliando notevoli risorse in questa direzione – un livello di investimenti che potrebbe scatenare il cosiddetto “effetto Bruxelles”, in base al quale le economie non-UE si allineeranno comunque all’Unione dal punto di vista normativo. Quando grandi industrie come il settore automobilistico, quello tecnologico, l’aeronautica civile e altre passeranno alle energie rinnovabili, il numero di clienti per l’Algeria e gli altri grandi produttori di petrolio e gas si ridurrà. Sposando e cavalcando l’onda delle riforme, l’Algeria potrebbe ottenere i vantaggi di un early-mover e persino contribuire a plasmare gli standard, le pratiche e le alleanze che potrebbero dominare i futuri mercati energetici globali.

Finanziamenti abbondanti per la transizione energetica

Negli ultimi due decenni, l’Africa ha ricevuto solo il 2% degli investimenti globali nelle energie rinnovabili. Tuttavia, nei prossimi decenni, la rinnovata attenzione dell’Europa verso le fonti energetiche alternative nel suo vicinato sembra destinata a cambiare la situazione, almeno in Nord Africa. Per alcuni funzionari algerini si tratta di un’opportunità che non possono permettersi di perdere, mentre altri sono più scettici ma comunque disposti a esplorare l’ambito delle rinnovabili a condizione che non sottraggano risorse al settore degli idrocarburi. Eliminando questo compromesso, i finanziamenti esterni possono rivelarsi decisivi negli sforzi per convincere anche i più dubbiosi. L’UE ha già messo sul tavolo finanziamenti consistenti attraverso, ad esempio, il Global Gateway (300 miliardi di euro) e il Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile Plus, che garantirà prestiti per progetti infrastrutturali esteri fino a 135 miliardi di euro entro il 2027. Il Partenariato per le Infrastrutture e gli Investimenti Globali del G7, lanciato a giugno 2022 quale contrappeso alla Belt and Road Initiative di Pechino, è concepito per erogare capitali per lo sviluppo di infrastrutture per 600 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni. Le solide relazioni bilaterali dell’Algeria con molti Paesi europei sono un’altra potenziale fonte di finanziamento del partenariato, così come le istituzioni multilaterali come la Banca Africana per lo Sviluppo, la Banca Mondiale e le Nazioni Unite. In tutti questi casi, le precise condizioni di accesso ai finanziamenti avranno un’influenza significativa sulle scelte dell’Algeria, soprattutto in considerazione della tradizionale avversione del Paese al debito estero. Infine, l’Algeria potrebbe sfruttare il crescente movimento globale dei green bond, che sembra destinato ad attirare sempre più capitali.

La sicurezza economica a lungo termine dell’Algeria

Se le proiezioni sul calo della domanda mondiale di petrolio e gas nei prossimi decenni si riveleranno esatte, l’Algeria dovrà necessariamente ripensare la base della propria sicurezza economica. Per le ragioni sopra esposte, il Paese ha ora la possibilità di creare un modello economico con un potenziale di gran lunga superiore a quello attuale. Lo sviluppo del settore delle energie rinnovabili potrebbe anche contribuire a mitigare la minaccia della disoccupazione. Alcune ricerche suggeriscono che ogni milione di dollari spostato dalla produzione di combustibili fossili all’energia verde potrebbe comportare un aumento netto di cinque posti di lavoro. Secondo il CEREFE, il nascente settore algerino dell’energia verde impiega già 2.400 persone, mentre un think tank sull’energia stima che l’Algeria potrebbe creare più di 60.000 posti di lavoro aumentando la produzione di energia solare ed eolica in linea con l’obiettivo del 2030.

La transizione energetica offre l’opportunità non solo di sostituire una fonte di reddito con un’altra, ma anche di migliorare la competitività dei beni algerini. Questo è particolarmente vero alla luce del meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM) che l’UE ha incluso nel pacchetto Fit for 55. Il CBAM, che si preveda entrerà pienamente in vigore entro il 2026, impone sanzioni per le emissioni di carbonio sui beni prodotti con combustibili fossili quando entrano nell’UE, il principale partner commerciale dell’Algeria. Come sostiene l’economista Amir Lebdioui, “se l’Algeria non avrà per allora una solida fornitura di energia pulita, affidabile e a basso costo, potrebbe perdere un’ampia gamma di nuove opportunità industriali verdi, ben oltre la produzione di energia.”[4]

Esitazione e concorrenza regionale

Il ruolo dell’Algeria quale principale fornitore di energia dell’Europa non è destinato a durare. “Se non ci posizioniamo oggi sul mercato, qualcun altro lo farà al nostro posto”, ha dichiarato l’analista energetico Tewfik Hasni nell’aprile 2022. In effetti, vari Paesi della regione stanno attualmente cercando di farsi spazio. Il Marocco, che i governanti algerini considerano il principale rivale in Nord Africa, ha istituito una commissione nazionale per l’idrogeno nel 2019 e ha pubblicato una road map per l’idrogeno verde lo scorso anno. Le energie rinnovabili rappresentavano il 37% della capacità di produzione di energia elettrica del Marocco nel 2020, anno in cui il Paese ha firmato una partnership per l’energia verde con la Germania, e Rabat sta preparando un accordo simile con l’UE, cosa che sta facendo anche l’Egitto, che ha visto aumentare l’afflusso di investimenti nell’idrogeno verde mentre si prepara a ospitare la COP27. Pure i Paesi del Golfo stanno facendo progressi molto rapidi e in tutto il mondo proliferano nuove road map e partnership. Dal 2015 l’Algeria può contare su un partenariato energetico con la Germania, ma ha intrapreso poche azioni al riguardo e sono pochi gli sforzi compiuti per imparare dai leader mondiali delle energie rinnovabili, come Australia, Cile, Giappone e Corea del Sud.

La direzione attuale

Se, nel complesso, ci sono argomenti convincenti su entrambi i fronti del dibattito sulle energie rinnovabili in Algeria, secondo alcuni funzionari il Paese sta optando per una via di mezzo, come sottolinea Haneche: “esiste anche una terza via: seguire gli altri ma con grande prudenza.”[5]

Haneche cita in tal senso molti dei fattori discussi in precedenza, tra cui l’incertezza geopolitica prevalente riguardo all’esito della guerra Russia-Ucraina e a un possibile nuovo accordo nucleare con l’Iran, nonché le reazioni delle potenze mondiali a tali eventi. Sono questi elementi che spingono i leader algerini ad assumere un atteggiamento attendista, limitato all’osservazione degli sviluppi della transizione energetica. Il rischio è che, mentre si aspetta il momento giusto in mezzo a cambiamenti così rapidi, siano gli eventi esterni a determinare la strada da seguire.

Raccomandazioni per l’Europa

Come detto più sopra, le discussioni dell’ottobre 2022 tra l’Algeria e l’UE potrebbero influenzare l’approccio del Paese a questi temi. I colloqui offrono a entrambe le parti l’opportunità di giungere ad accordi reciprocamente vantaggiosi sulle questioni energetiche, compresa la transizione verde. Ci sono buone ragioni per evitare ulteriori ritardi e spingere per un accordo globale nell’immediato. Con il passare del tempo, sarà sempre più difficile conciliare il desiderio dei leader algerini di mantenere lo status quo con l’obiettivo dichiarato dall’UE di una rapida decarbonizzazione, senza considerare che la crisi energetica in Europa potrebbe spostare l’attenzione di Bruxelles rendendo meno impellente il raggiungimento di questo obiettivo. Di conseguenza, l’UE dovrebbe presentare ai suoi partner algerini un pacchetto di incentivi accuratamente sequenziati per ridurre al minimo i rischi e massimizzare i profitti nella transizione energetica.

Stabilire una partnership tra pari

L’UE deve inaugurare una nuova fase delle sue relazioni energetiche con l’Algeria. Il capo della delegazione dell’UE, il commissario per l’energia Kadri Simson, non ha partecipato all’ultimo dialogo energetico tra Algeria e UE ed è quindi in grado di riconfigurare il partenariato.

Per i negoziatori europei sarà importante trovare il giusto tono. Come ha scritto Cinzia Bianco l’anno scorso in un policy brief ECFR sulla diplomazia europea del clima nel Golfo, gli europei dovrebbero aiutare i loro interlocutori a “pensare a se stessi come motori dello sviluppo verde, non come perdenti che cercano di sopravvivere alla transizione.”

Ciò può diventare difficile se una delle due parti sopravvaluta la propria influenza sull’altra e abbandona la ricerca di un compromesso. L’Algeria sa di possedere vaste riserve di idrocarburi in un momento in cui l’Europa è alla disperata ricerca di fonti di approvvigionamento. L’UE sa di essere il principale partner commerciale dell’Algeria ed è consapevole che, se nel 2021 le esportazioni di gas algerino verso l’UE ammontavano al 12% delle importazioni di gas dell’Unione, esse costituivano più di tre quarti delle esportazioni di gas dell’Algeria. Sebbene entrambe le parti abbiano ottime carte da giocare, i tentativi di una delle due di imporsi con la forza metterebbero a repentaglio una partnership produttiva a lungo termine.

Coordinare le aspettative

È fondamentale che gli Stati membri dell’UE parlino all’Algeria con una sola voce. La mancanza di un efficace coordinamento interno minerebbe la credibilità delle posizioni negoziali dei rappresentanti dell’UE, consentendo alle imprese energetiche europee di perseguire accordi bilaterali che non necessariamente servirebbero gli interessi comuni. In questo scenario, i funzionari algerini potrebbero ritenere gli Stati membri dell’UE disposti a competere in una corsa al ribasso, compromettendo gli obiettivi europei a lungo termine, come ha rischiato di accadere all’inizio di quest’anno quando Spagna e Italia sono arrivate, seppure per un breve periodo, a un testa a testa per l’accesso alle forniture di gas algerino. L’UE dovrebbe utilizzare le revisioni della direttiva sulle energie rinnovabili o altri meccanismi per garantire che gli Stati membri perseguano i loro obiettivi energetici senza che a farne le spese sia l’Unione.

L’UE ha bisogno di tale coordinamento per porre fine all’incertezza dell’Algeria sul mix e sulla quantità della futura domanda energetica dell’Europa. Agli occhi dei funzionari algerini, la storia insegna che l’UE e i suoi Stati membri non esitano a rivedere le loro priorità energetiche senza consultare o anche solo informare i loro partner e ciò ne ha danneggiato la credibilità, rafforzando l’impressione che considerino il rapporto non una partnership vera e propria ma piuttosto una relazione tra cliente e fornitore.

Gli europei dovrebbero compiere maggiori sforzi per elaborare e condividere, in modo trasparente, le proiezioni future o, meglio ancora, gli impegni futuri riguardo alla domanda energetica a lungo termine. Una chiara espressione del futuro fabbisogno energetico offrirebbe ai sostenitori della transizione energetica in Algeria uno strumento prezioso per combattere le tattiche dilatorie delle istituzioni chiave. Siglando con ampio anticipo contratti per l’acquisto di energia rinnovabile a lungo termine, gli europei potrebbero ridurre l’esitazione dei funzionari algerini, aiutarli ad attrarre investimenti internazionali per progetti e infrastrutture di energia rinnovabile e preparare una road map per il settore energetico, compresa la transizione verde.

La Piattaforma energetica dell’UE, un meccanismo volontario per l’acquisto collettivo di energia istituito nell’aprile 2022 nell’ambito di REPowerEU (e aperto ad alcuni Paesi europei al di fuori dell’Unione), potrebbe fungere da forum per mettere a sistema le proiezioni della domanda di energia e quindi formulare accordi di acquisto di energia a lungo termine. Questa forma di centralizzazione ridurrebbe i rischi per tutte le parti interessate.

Ridurre la pressione per l’acquisto di gas in eccesso

Gli europei prevedono che, anche nel migliore dei casi, le importazioni di combustibili fossili resteranno necessarie per diversi decenni a venire e non sarebbe pertanto realistico tagliare completamente gli investimenti nell’esplorazione e nella produzione di petrolio e gas. L’Algeria e le potenti società europee hanno interesse a far crescere tali investimenti, come hanno fatto negli ultimi mesi. A luglio 2022, insieme agli americani della Occidental Petroleum, l’Eni e la francese TotalEnergies si sono impegnate a investire 4 miliardi di dollari per un periodo di 25 anni nel bacino di Berkine in Algeria.

Data la gravità della crisi energetica in Europa, l’Algeria affronterà i negoziati fiduciosa della sua capacità di costringere gli europei a investire somme considerevoli nella produzione di gas in cambio di una fornitura più corposa o semplicemente costante. I funzionari dell’UE non devono però dimenticare che la produzione algerina è attualmente al limite della sua capacità ed è già diretta, in buona parte, verso gli acquirenti europei in virtù di contratti a lungo termine. Inoltre, occorre ricordare che qualsiasi nuovo investimento non porterà a un aumento della produzione prima dell’anno prossimo, dunque nessun investimento nella produzione di gas tradizionale in Algeria potrà alleviare la crisi energetica dell’Europa durante quest’inverno.

Tuttavia, le misure volte a ridurre gli sprechi di gas potrebbero portare benefici nel giro di pochi mesi, soprattutto se sostenute da finanziamenti, attrezzature e competenze europee. Il recupero del gas che altrimenti verrebbe sprecato attraverso il flaring, lo sfiato e le perdite avrebbe immediati benefici ambientali e potrebbe raccogliere fino a 13,5 miliardi di metri cubi di prodotto all’anno, l’equivalente di oltre il 10% della produzione algerina dello scorso anno. L’UE e l’Algeria dovrebbero considerare seriamente questi problemi in qualsiasi accordo si decida di firmare, in quanto ciò comporterebbe vantaggi per entrambe le parti.

Più in generale, gli europei dovrebbero valutare attentamente i rischi degli investimenti nella produzione di gas algerino. I funzionari algerini interpreteranno qualsiasi investimento nei combustibili fossili come una conferma della sostenibilità a lungo termine del loro modello economico, con un aumento delle aspettative rispetto a ulteriori impegni e una corrispondente riduzione degli incentivi a impegnarsi nella transizione energetica. Gli investimenti europei rischiano inoltre di sviluppare risorse di cui l’UE potrebbe non avere bisogno nei prossimi decenni, mano a mano che il settore delle energie rinnovabili dell’Algeria renderà disponibile più gas per l’esportazione e l’UE ridurrà le importazioni di combustibili fossili. Di conseguenza, tali investimenti rischiano di creare stranded assets o, più probabilmente, di sviluppare attività di cui beneficeranno solo altri acquirenti.

Dare priorità alle esigenze locali

Come detto, la priorità dell’Algeria nello sviluppo del settore delle rinnovabili è soddisfare innanzitutto la domanda interna di energia elettrica, liberando così più idrocarburi per l’esportazione. Alla luce di questa considerazione e dei precedenti di grande cautela rispetto al cambiamento, quasi certamente il Paese non svilupperà le energie rinnovabili per l’esportazione in tempo per contribuire agli obiettivi europei di importazione di energia per il 2030.

In questo contesto, l’Europa dovrebbe aiutare l’Algeria ad avviare una seria transizione energetica attraverso un piano in due fasi. L’amministrazione attuale, con Tebboune in corsa per la rielezione nel 2024, accoglierà con favore i progetti che potrà utilizzare come prova tangibile di progresso e modernizzazione (anche se i benefici per i cittadini non saranno immediatamente evidenti). Vittorie facili di questo tipo, portate a casa con il sostegno tecnico e finanziario dell’Europa, contribuirebbero a generare nel governo algerino un apprezzamento della buona volontà dei suoi interlocutori. Tali iniziative potrebbero includere la rapida costruzione di impianti fotovoltaici ed eolici pilota, iniziative di efficienza energetica che beneficiano di competenze e attrezzature europee, nonché corsi o scambi di formazione per costruire competenze nel settore delle energie rinnovabili.

L’Europa dovrebbe aiutare l’Algeria a stabilire un piano scalabile per lo sviluppo di progetti sulle energie rinnovabili al fine di compensare il consumo interno di energia elettrica. Tali iniziative potrebbero prevedere la costruzione di impianti solari fotovoltaici ed eolici e forse anche di stazioni solari CSP, il cui costo maggiore potrebbe essere compensato dalla capacità di continuare a fornire energia per diverse ore dopo il tramonto. Data l’abbondanza di competenze in questo campo, l’Europa sarebbe nella posizione ideale per fornire supporto tecnico all’Algeria nella definizione e nell’attuazione di una strategia per le energie rinnovabili, anche per quanto riguarda le scelte critiche sul mix energetico desiderato e la selezione delle giuste tecnologie. I finanziamenti europei saranno essenziali per facilitare questo processo e soprattutto per superare lo scetticismo iniziale dell’opinione pubblica sul suo effettivo valore.

L’Europa dovrebbe inoltre sostenere progetti ausiliari come l’ammodernamento delle reti elettriche, l’installazione di sistemi di gestione di rete e di contatori intelligenti, nonché l’introduzione di contatori netti – tutti elementi che faciliterebbero l’adozione diffusa della generazione privata da fonti rinnovabili. L’Europa potrebbe anche aiutare l’Algeria a esplorare nuove vie per sfruttare l’energia a basso costo al fine di espandere l’attività industriale, aprendo una nuova area di potenziale collaborazione pubblico-privata tra le parti e creando opportunità per progetti pilota che coinvolgano l’idrogeno verde.

Anche l’ambito politico offre un’altra potenziale area di assistenza. Gli europei potrebbero fornire consulenza ai decisori politici algerini su come migliorare il clima degli investimenti allineando i termini delle gare d’appalto pubbliche e dei contratti di acquisto di energia elettrica alle best practices internazionali, ampliando il lavoro iniziato nell’ambito di un progetto di cooperazione congiunta. L’Algeria potrebbe inoltre beneficiare dell’assistenza europea per la creazione di mercati del carbonio in concomitanza con l’entrata in vigore del CBAM, e per la revisione dei sussidi energetici, al fine di adeguare gli incentivi al consumo alla transizione verde.

Una volta che il settore delle energie rinnovabili algerino sarà in grado di coprire una parte significativa della domanda locale di energia, gli europei dovrebbero poi aiutare il Paese a sviluppare energia a basse emissioni di carbonio per l’esportazione. Questa fase richiederà un impegno su scala ancora maggiore, il che rende quasi certo che l’Algeria guarderà all’Europa per gli investimenti.

L’Europa dovrebbe fornire competenze in grado di aiutare i leader algerini a prendere decisioni critiche sullo sviluppo tecnologico, sia per la produzione di energia su larga scala che per il trasporto verso l’Europa. Data la portata dei progetti in queste aree, i leader algerini saranno particolarmente riluttanti a investire in tecnologie non testate di recente generazione e spetterà agli europei dimostrare i vantaggi dell’idrogeno verde o proporre una forma alternativa di esportazione dell’energia rinnovabile.

Investire negli algerini

L’UE dovrebbe offrire il proprio aiuto all’Algeria per la creazione di università specializzate (sul modello di quelle già esistenti nel settore del turismo e dell’ospitalità), di centri di formazione professionale e di altri partenariati educativi per formare la forza lavoro necessaria a sostenere un fiorente settore nazionale delle energie rinnovabili. Al fine di contribuire a contenere le critiche e a integrare senza problemi i lavoratori in transizione dall’industria dei combustibili fossili, l’UE dovrebbe sostenere programmi di riqualificazione.

Poiché le relazioni tra il governo algerino e i cittadini sono tese, l’UE dovrebbe cercare di aiutare le parti a evitare uno scontro sulla transizione alle energie rinnovabili. Per mettersi al riparo dall’accusa di colonialismo verde, gli europei possono assumere dipendenti dalle comunità locali vicine ai siti operativi e finanziare progetti che compensino gli effetti collaterali negativi delle nuove installazioni energetiche. Sarebbe opportuno inoltre esplorare iniziative che possano andare a beneficio di queste comunità, come ad esempio i progetti agrovoltaici. Le imprese che operano nel settore del petrolio e del gas in Algeria non sono tenute a destinare una quota dei loro profitti alla responsabilità sociale d’impresa o alle spese per il benessere della comunità,[6] e di conseguenza pochi scelgono di farlo. Ciò contribuisce al risentimento delle comunità situate in prossimità di molti siti di produzione energetica. L’UE dovrebbe aiutare l’Algeria ad evitare di ripetere questo errore durante la transizione verso nuove forme di produzione energetica, ad esempio stabilendo requisiti minimi per le imprese energetiche europee che operano in Algeria, al fine di sostenere le comunità locali.

Conclusione

Gli europei dovrebbero nutrire aspettative realistiche circa il ritmo e la natura del cambiamento che gli algerini sapranno attuare nel settore energetico, un ambito che considerano centrale per la sicurezza nazionale. La partnership non sarà mai esclusiva. Nella sua transizione energetica, l’Algeria continuerà a coltivare i suoi legami con i rivali geopolitici dell’UE, come Russia e Cina, ma questo non deve ostacolare la cooperazione tra l’UE e l’Algeria nel raggiungimento degli obiettivi energetici.

Gli europei possono ottenere molto prestando attenzione alle esigenze dei partner algerini, aiutandoli a risolvere i problemi e concentrandosi sulle aree di interesse reciproco. In questo modo, l’UE può progredire verso il raggiungimento dei propri obiettivi di sicurezza energetica, aiutando al contempo l’Algeria a trovare un percorso sostenibile verso la prosperità. Una robusta transizione energetica in Algeria lascerebbe ancora irrisolte molte delle sfide del Paese, ma una cooperazione efficace in questo settore potrebbe contribuire a ricostruire la fiducia tra le parti, creando nuove opportunità per l’impegno tra Europa e Algeria in altri ambiti.

L’autore

Andrew Farrand è Visiting Fellow del programma Medio Oriente e Nord Africa dello European Council on Foreign Relations (ECFR). È inoltre Non-resident senior fellow presso l’Atlantic Council. È autore di “The Algerian Dream: Youth and the Quest for Dignity” (2021), un’analisi in prima persona delle origini e delle implicazioni della rivoluzione algerina di Hirak del 2019, e traduttore di “Inside the Battle of Algiers” (2017) scritto dall’eroina dell’indipendenza algerina Zohra Drif. Ha vissuto in Algeria dal 2013 al 2020, ricoprendo diversi ruoli nell’ambito della cooperazione internazionale e dell’analisi economica e politica. Farrand ha conseguito una laurea in African and Middle Eastern Studies presso la School of Foreign Service della Georgetown University.

Ringraziamenti

L’autore è profondamente grato ai funzionari e agli esperti che hanno generosamente dedicato il loro tempo e condiviso le loro opinioni per la redazione di questo policy brief, tra cui Mohammed Haneche, Faten Aggad, Reda Amrani e Amir Lebdioui. L’autore desidera ringraziare i colleghi di ECFR Julien Barnes-Dacey, Anthony Dworkin, Hugh Lovatt, Jeremy Shapiro ed Edin Dedovic per il supporto in fase di stesura e per le preziose indicazioni condivise durante la preparazione di questa analisi. Eventuali errori sono da attribuirsi esclusivamente all’autore.

Questo documento è stato reso possibile dal sostegno al programma Medio Oriente e Nord Africa di ECFR offerto dalla Fondazione Compagnia di San Paolo.


[1] Intervista dell'autore a Faten Aggad, settembre 2022.

[2] Colloqui dell'autore con un analista energetico algerino, agosto 2022.

[3] Intervista dell'autore a Mohammed Haneche, agosto 2022.

[4] Intervista dell'autore a Amir Lebdioui, agosto 2022.

[5] Intervista dell'autore a Mohammed Haneche, agosto 2022.

[6] Colloqui dell'autore con un analista energetico algerino, agosto 2022.

ECFR non assume posizioni collettive. Le pubblicazioni di ECFR rappresentano il punto di vista degli autori.