Clear and president danger: Democrazia e costituzione in Tunisia

Proteste contro il colpo di stato, Tunisi, 26 settembre 2021
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In breve

  • La nuova costituzione, che la Tunisia sottoporrà presto a un referendum, rappresenta uno scostamento importante dal modello democratico adottato dal Paese a partire dal 2011.
  • Il processo di redazione della nuova costituzione non è stato oggetto di alcuna consultazione politica o dibattito pubblico.
  • La nuova costituzione creerebbe una presidenza non soggetta ad alcun controllo e priverebbe gli altri rami dello Stato di tutti i poteri.
  • Il presidente della Tunisia non è riuscito ad affrontare i gravi problemi economici del Paese.
  • Un accordo con il Fondo Monetario Internazionale fornirà solo una soluzione a breve termine a tali problemi.
  • Pur continuando a sostenere economicamente la Tunisia, l’Europa dovrebbe chiaramente affermare che la nuova costituzione non è realmente democratica.

Introduzione

Il presidente tunisino Kais Saied si accinge a instaurare la “nuova repubblica” che ha promesso di costruire. Il 25 luglio 2022 si svolgerà in Tunisia un referendum sulla revisione della costituzione presentata da Saied a fine giugno che, di fatto, attribuirebbe al presidente un potere illimitato non soggetto ad alcun controllo. Saied ha riscritto personalmente la bozza iniziale prodotta da un gruppo di esperti da lui istituito, portando lo stesso coordinatore del gruppo ad affermare che tale processo potrebbe sfociare nella creazione di una dittatura a tempo indeterminato. Saied sembra non contemplare affatto la possibilità che il referendum abbia un esito negativo e, qualora ciò accadesse, potrebbe tentare di imporre la nuova costituzione indipendentemente dall’esito del voto.

La nuova costituzione è radicalmente diversa da quella attuale, entrata in vigore nel 2014 dopo la rivoluzione di tre anni prima. Il testo incarnava l’idea di una democrazia radicata in istituzioni forti e indipendenti ed era il risultato di lunghe consultazioni incentrate sull’elezione democratica di un’assemblea costituzionale, di un intenso dibattito pubblico e di un compromesso tra i principali gruppi politici tunisini. La nuova costituzione, invece, è essenzialmente l’espressione di un singolo che ambisce a creare un potere centralizzato non soggetto ad alcun controllo, nonché un documento redatto al di fuori di qualsiasi quadro giuridico prodotto a seguito di un livello minimo di discussione e consultazione. Anche se l’opinione pubblica non sembra particolarmente entusiasta riguardo all’idea di Tunisia promossa da Saied, il presidente ha potuto agire indisturbato in assenza di vincoli efficaci.

Da quando Saied ha sospeso il parlamento nel luglio 2021, una decisione che ha giustificato come necessaria alla luce della crisi economica del Paese e dell’emergenza per la pandemia di Covid-19, la Tunisia ha cominciato a intraprendere un percorso che esula delle normali regole politiche. La costituzione di Saied andrebbe oltre, creando un nuovo assetto politico che minerebbe le conquiste democratiche dell’ultimo decennio. Si tratta di un momento cruciale per i partner della Tunisia in Europa e altrove, che hanno fornito un sostegno significativo alla transizione democratica del Paese. Ad aggravare ulteriormente la situazione c’è il fatto che la proposta di revisione della costituzione coincide con una fase in cui l’economia tunisina versa in condizioni disastrose e necessita di sostegno internazionale per evitare una crisi del debito e persino il default.

Il presente contributo esamina i difetti del processo di redazione della nuova costituzione e del documento che ne è scaturito, collocandoli nel contesto della crisi politica ed economica della Tunisia, tra loro interconnesse, e suggerisce inoltre una possibile risposta dell’Europa. I decisori politici europei sono giustamente riluttanti a reagire adottando misure che si tradurrebbero in maggiori difficoltà per il popolo tunisino, come ad esempio la sospensione dell’assistenza economica. Tuttavia, accettare la costituzione proposta da Saied riconoscendone la legittimità democratica equivarrebbe a tradire la speranza dei tunisini in un sistema politico responsabile e segnerebbe un passo indietro rispetto all’impegno europeo portato avanti sino ad oggi al fine di contribuire all’affermazione della democrazia in Nord Africa. Rifiutare di appoggiare il processo in atto e dichiarare pubblicamente che la nuova costituzione non rispetta i principi democratici significherebbe invece sostenere i molti tunisini che la ritengono una minaccia ai loro diritti e alle loro libertà, compresi gli studiosi di diritto e i membri dei partiti politici e dei gruppi della società civile. È tempo che i Paesi democratici in Europa e altrove adottino una linea più dura nei confronti della concentrazione di potere da parte di Saied.

Un processo costituzionale fallace

Quando il gruppo di esperti ha redatto la costituzione, le limitazioni al potere di Saied stavano già venendo progressivamente smantellate. In pochi mesi, il presidente ha accantonato sezioni di testo che erano in conflitto con i suoi piani, si è dato il potere di governare per decreto in numerosi ambiti politici, ha portato il Consiglio Giudiziario Supremo sotto il suo controllo e ha sostituito vari membri dell’Alta Autorità Indipendente per le Elezioni (ISIE) nominando persone di fiducia. Quando i deputati hanno convocato una sessione virtuale per contestare le misure d’emergenza, Saied ha sciolto il Parlamento e ha minacciato di avviare indagini su coloro che avevano preso parte all’incontro.

La costituzione del 2014 richiede che qualsiasi emendamento costituzionale sia approvato da almeno due terzi dei parlamentari e, se sottoposto a referendum, riceva la maggioranza assoluta dei voti. Tuttavia, la nuova costituzione di Saied è stata redatta con pochi contributi esterni. La prima bozza prodotta frettolosamente dal gruppo di esperti, guidato dal professore di diritto Sadok Belaid, era basata sui risultati di una consultazione pubblica online svoltasi all’inizio dell’anno, da molti ridicolizzata per la relativa mancanza di partecipazione. Saied non ha previsto alcun ruolo per i partiti politici nel processo di redazione e ha permesso solo a un numero ristretto di organizzazioni della società civile di discutere la bozza. La più influente, l’Unione Generale Tunisina del Lavoro (UGTT), si è rifiutata di partecipare a quello che i suoi leader hanno descritto come un incarico di mera facciata. Il governo ha pubblicato la bozza finale il 30 giugno, senza lasciare tempo sufficiente per un vero dibattito pubblico prima del referendum. Un analista ha giustamente definito l’intero processo un “monologo nazionale”.

Un esperto di diritto costituzionale ha descritto il sistema politico che sarebbe istituito dalla bozza di costituzione come “iper-presidenziale”. Al presidente spetterebbe non solo la responsabilità esclusiva di nominare il primo ministro e il governo ma anche la possibilità di legiferare, mentre il parlamento potrebbe solamente sottoporre progetti di legge all’esame del governo e avrebbe bisogno di una maggioranza di due terzi per bocciare qualsiasi proposta. Se il Parlamento votasse la sfiducia a due governi successivi, il presidente potrebbe scioglierlo e indire nuove elezioni. Gli organi costituzionali indipendenti che regolano le elezioni, i media, la lotta alla corruzione e altre aree di attività sono centrali nella costituzione del 2014, mentre sono quasi completamente assenti dalla nuova bozza, così come le garanzie di indipendenza degli organi restanti.

La bozza consentirebbe al presidente di espellere i parlamentari secondo regole da lui stesso stabilite e non ci sarebbe indipendenza giudiziaria né un meccanismo per sostituire il presidente. Nelle parole di Said Benarbia della Commissione Internazionale dei Giuristi, “il presidente non ha alcuna accountability, gli altri rami dello Stato sono ridotti a mere funzioni operative e le garanzie di indipendenza degli organi costituzionali… sono assenti”.

La nuova costituzione non contiene alcun riferimento alla Tunisia come Stato civile né al controllo civile delle forze armate. Un altro aspetto sorprendente del documento consiste nel fatto che esso riporta l’indicazione della sua entrata in vigore a seguito dell’annuncio dei risultati del referendum senza fare menzione della necessità di una maggioranza per la sua approvazione.

Sorprende che lo stesso Belaid, un tempo ritenuto stretto collaboratore di Saied, abbia fortemente criticato le disposizioni che il presidente ha inserito nella bozza finale. Secondo Belaid, la presenza di una clausola che consente di prolungare il mandato del presidente in caso di pericolo imminente per lo Stato rischia di creare una “dittatura senza fine”, mentre una disposizione che stabilisce che lo Stato deve lavorare per raggiungere gli obiettivi di un “Islam puro” potrebbe aprire la strada a un regime teocratico. Infine, Belaid ha avvertito che l’aggiunta di una seconda camera legislativa (che rappresenta le regioni e i distretti tunisini) senza una chiara divisione dei poteri potrebbe portare a una maggiore confusione. La natura affrettata del processo di elaborazione della bozza di Saied è evidente se si considera che, dopo appena una settimana, il presidente ne ha pubblicata una versione rivista per ovviare ai diversi errori e omissioni contenuti nella precedente.

Il referendum sarà supervisionato dall’ISIE, che Saied ha riorganizzato per portarlo sotto il suo controllo con un decreto legge dell’aprile 2022. A maggio la Commissione di Venezia ha dato seguito a una richiesta del Servizio europeo per l’azione esterna pubblicando un parere urgente sulle nuove norme che regolano l’ISIE e sul quadro più ampio del referendum e delle elezioni. La Commissione ha ritenuto il decreto legge incostituzionale in violazione del principio della separazione dei poteri e ha inoltre condannato l’incertezza sulla presunta assenza di vincoli riguardo all’esito del referendum e la mancanza di un quorum per l’approvazione della costituzione, chiedendo quindi la sua abrogazione e il rinvio del referendum a dopo l’elezione del nuovo Parlamento. La Commissione ha affermato che il governo tunisino dovrebbe, come minimo, ritardare il referendum e chiarirne le regole, svolgere ampie consultazioni sul testo della bozza di costituzione e restituire all’ISIE la forma precedente. Saied ha respinto il rapporto come una “flagrante interferenza” nella sovranità tunisina.

Il presidente, da solo

Nel complesso, la bozza di costituzione sembra essere il risultato del progetto personale di un singolo individuo e, in quanto tale, porta il segno delle sue preoccupazioni e delle sue fissazioni di lunga data. La maggior parte dei membri della classe politica tunisina ha progressivamente preso le distanze dal progetto, e l’opinione pubblica non sembra particolarmente interessata alla revisione della costituzione. Diversi gruppi politici e della società civile hanno appoggiato la presa di potere iniziale di Saied, e anche gran parte dell’opinione pubblica sembrava sostenerlo a causa del diffuso disincanto nei confronti dello sclerotico sistema politico tunisino. Tuttavia, i recenti tentativi del presidente di mobilitare i suoi sostenitori su questioni politiche sono falliti. Come accennato, pochi tunisini hanno partecipato alla consultazione online. Tutto indica che la maggior parte della popolazione sia molto più interessata all’economia che alle questioni costituzionali. Saied ha fatto poco per migliorare la situazione finanziaria del Paese.

Il presidente è, per molti versi, isolato. Si affida a una ristretta cerchia di consiglieri, tra cui alcuni esponenti della sinistra radicale e nazionalisti arabi. Il suo processo decisionale, opaco e informale, ha creato un’atmosfera politica febbrile, caratterizzata da voci di rivalità tra leader come il ministro degli Interni Taoufik Charfeddine e il ministro degli Affari Sociali Malek Zahi, mentre la retorica incendiaria che Saied rivolge ai suoi avversari politici ha acuito la tensione. Tuttavia, sebbene Saied abbia una base politica limitata e interagisca poco con il pubblico, non sembrano sussistere particolari ostacoli all’avanzata del suo progetto politico.

La strategia dell’opposizione

Nei mesi successivi alla sospensione del Parlamento da parte di Saied, i partiti politici tunisini hanno faticato a fare fronte comune per contrastarlo. Tuttavia, a mano a mano che la sua determinazione a consolidare il potere e a escludere i rivali politici si faceva più evidente, sono aumentati gli sforzi per mettere da parte i dissapori. La maggior parte dei partiti ha aderito al Fronte di Salvezza Nazionale creato dal politico e attivista di lungo corso Ahmed Nejib Chebbi, che ha chiesto un dialogo nazionale pienamente inclusivo sulle questioni politiche ed economiche per aiutare la Tunisia a uscire dalla crisi. I politici dell’opposizione hanno proposto una road map che prevede un rapido ritorno del Parlamento, la nomina di un governo di unità nazionale, un processo di dialogo e nuove elezioni. Quasi tutti i partiti di opposizione hanno chiesto di boicottare il referendum a causa dei difetti del processo di stesura della nuova costituzione e della versione finale.

Tuttavia, le loro argomentazioni non hanno incontrato il consenso dell’opinione pubblica. Ciò è dovuto al coinvolgimento dell’opposizione nei magheggi politici che hanno screditato la politica nell’ultimo decennio, nel quale una serie di governi di coalizione sostenuti da un ampio consenso hanno fatto ben poco per affrontare i fondamentali problemi socioeconomici del Paese. Il partito religioso Ennahda, che è stato a lungo il partito politico più organizzato della Tunisia, è uno dei principali bersagli del malcontento della popolazione. Il suo leader, Rachid Ghannouchi, non ha mai dichiarato di volersi dimettere e ci sono pochi volti nuovi negli altri partiti dell’opposizione. A meno che i leader dell’opposizione non si sforzino di riconoscere i propri fallimenti e decidano di passare il testimone a una nuova generazione, sarà difficile per i partiti riconquistare la fiducia degli elettori.

Una parziale eccezione è rappresentata dal Partito Destouriano Libero (PDL), guidato da Abir Moussi. Il PDL, ora più popolare di tutti i suoi rivali, si fonda sulla nostalgia per il primo periodo post-indipendenza della Tunisia, caratterizzato dal nazionalismo e dalla secolarizzazione sotto la presidenza di Habib Bourguiba. Moussi, che ha rifiutato di aderire al Fronte di Salvezza Nazionale perché non voleva lavorare con Ennahda, sta portando avanti una campagna parallela di opposizione all’accentramento del potere di Saied.

L’opposizione vede nelle proteste pubbliche a Tunisi ed eventualmente nelle regioni la chiave per porre fine al progetto di Saied. Tuttavia, né il principale blocco di partiti di opposizione né il movimento di Moussi sono riusciti a mobilitare i manifestanti in numero sufficiente per raggiungere tale obiettivo. Le proteste anti-Saied hanno recentemente attirato una folla più ampia rispetto alle manifestazioni in suo favore, ma il disinteresse verso la politica sembra molto più diffuso del sostegno alla visione alternativa dell’opposizione, mentre i sondaggi d’opinione sembrano indicare che Saied resta molto più popolare di tutti i suoi avversari.

L’UGTT, l’attore politico più importante del Paese oltre al presidente, ha giocato un’abile partita proteggendo la propria posizione e i propri interessi senza alienarsi una base politicamente eterogenea. L’UGTT era inizialmente favorevole alla sospensione del parlamento da parte di Saied, ma da allora ha preso le distanze criticando la sua incapacità di impegnarsi con gli altri gruppi politici in modo inclusivo. Tuttavia, secondo gli addetti ai lavori dell’UGTT, è probabile che il gruppo rimanga concentrato su questioni sociali ed economiche piuttosto che dedicarsi al tentativo di mobilitare i suoi seguaci su questioni politiche o costituzionali.[1] Il Segretario Generale del sindacato, Noureddine Taboubi, ha criticato diversi aspetti della nuova costituzione ma ha comunque affermato che i membri dell’UGTT sono liberi di votare come desiderano al referendum.

Lo spettro del crollo economico

L’economia tunisina è in condizioni disastrose. I problemi cronici del Paese si sono aggravati a seguito della guerra russa contro l’Ucraina, poiché la Tunisia dipende in larga misura dalle importazioni di grano ed ha sofferto molto dell’aumento dei prezzi dei fertilizzanti, del petrolio e di altre materie prime. Molti analisti ritengono che lo Stato tunisino potrebbe subire un tracollo finanziario nei prossimi mesi. La carenza di cibo, l’aumento dei prezzi e i ritardi nel pagamento degli stipendi si sono aggiunti alla grave crisi del costo della vita che i tunisini stavano già affrontando. Diverse navi che trasportavano grano sono state costrette ad aspettare fuori dai porti tunisini mentre le autorità si affannavano a trovare il denaro per pagare il carico prima dell’attracco.

Dallo scorso novembre la Tunisia è in trattativa con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) per un pacchetto di salvataggio, dopo che le discussioni erano state sospese in seguito alla destituzione del governo a luglio. Il FMI ha chiesto alla Tunisia di tenere sotto controllo la spesa per le retribuzioni del settore pubblico, di indirizzare con maggiore precisione i sussidi, di riformare le imprese statali, di rendere più equa la tassazione e di migliorare il clima imprenditoriale. Ha inoltre chiesto alla leadership del Paese di approvare queste riforme in una dichiarazione pubblica, per segnalare il suo impegno a realizzarle.

Saied è sembrato a lungo riluttante a compiere questo passo, lasciando tale compito ai ministri, i cui discorsi avevano però poca autorevolezza in assenza del suo appoggio. La retorica economica adottata dal presidente è apparsa in chiaro contrasto con l’approccio del suo governo, evidenziando una visione populista in cui i problemi del Paese potevano essere risolti recuperando denaro dalle imprese corrotte e dai membri dell’élite politica.

Tuttavia, durante una visita a Tunisi del direttore del FMI per il Medio Oriente a fine giugno, Saied ha annunciato la necessità di importanti riforme economiche. Il FMI ha quindi dato il via libera all’avvio dei negoziati formali, inviando una rappresentanza nella capitale all’inizio di luglio.

L’UGTT si è schierata contro la privatizzazione delle imprese statali e le riforme delle strutture retributive dei lavoratori del settore pubblico, chiedendo al contempo un aumento dei salari per i propri membri impiegati dallo Stato. Il sindacato sostiene di riconoscere la necessità di riforme economiche, ma ritiene che gli attuali piani del governo comportino un onere eccessivo per i lavoratori del settore pubblico e chiede riforme complementari che garantiscano alle autorità la piena riscossione delle entrate fiscali del settore privato. L’UGTT ha indetto uno sciopero generale a giugno per protestare contro le riforme e ha minacciato di intraprendere ulteriori azioni che, anche se relative a questioni economiche, hanno inevitabilmente una dimensione politica. Poiché Saied ha emarginato l’UGTT insieme ad altri gruppi politici e della società civile, ora il sindacato chiede di essere consultato dal presidente per la formulazione dei suoi piani economici.

Anche se la Tunisia raggiungesse un accordo con il FMI, si tratterebbe solo di una soluzione temporanea. Il Paese deve affrontare problemi economici profondamente radicati, come le enormi disuguaglianze regionali e il controllo di interi settori da parte di esponenti dell’imprenditoria che godono di posizioni di favore. Inoltre, l’incertezza politica legata alla presa di potere di Saied ha scoraggiato gli investimenti nel Paese. A meno che Saied non cambi rotta in modo significativo, le continue difficoltà economiche probabilmente porteranno molti altri tunisini a schierarsi contro il presidente.

A ben guardare, i politici dell’opposizione sembrano convinti che l’incapacità del governo di gestire l’economia porterà a una mobilitazione della popolazione contro il presidente. Alcuni attivisti anti-Saied ritengono che l’isolamento politico associato al crollo dell’economia alimenterà un’ondata di attivismo dell’opposizione, che porterà i movimenti sociali, l’amministrazione statale e i partiti politici a unire le forze per protestare contro la leadership presidenziale. In tale contesto l’esercito, interessato soprattutto all’ordine e poco incline a intraprendere azioni repressive che potrebbero mettere a rischio le relazioni con gli Stati Uniti, potrebbe costringere il presidente a dimettersi. Tuttavia, non c’è alcuna garanzia che l’opposizione sia in grado di gestire la situazione una volta venuto meno l’ordine pubblico né che questo processo porti a un ritorno alla politica democratica.

Il ruolo dell’Europa

Non sarà semplice per i partner della Tunisia in Europa e nel resto del mondo capire come giostrarsi tra la crisi politica e le difficoltà economiche del Paese. Il carattere permaloso del presidente e la sua fissazione sul mantenimento della sovranità lo rendono difficile da influenzare. Tuttavia, il momento è decisivo: Saied sta tentando di riscrivere la costituzione in modo tale da cancellare molte delle conquiste democratiche del periodo post-rivoluzionario. Naturalmente, gli Stati europei e gli altri Paesi democratici non possono che rispettare il diritto dei tunisini di scegliere il proprio sistema politico, ma non è questo il problema. Gli europei non dovrebbero appoggiare né un processo di esclusione che viola la costituzione esistente, né l’introduzione di una nuova costituzione che darebbe al presidente un potere al di sopra di ogni controllo.

Anche se Saied riuscisse a imporre la nuova costituzione alla Tunisia, difficilmente essa costituirà la base di una soluzione politica duratura. Il progetto di legge è stato elaborato sulla base delle sue convinzioni personali piuttosto che su un più ampio consenso sociale e non fornisce alcuna soluzione ai numerosi problemi che il Paese si trova ad affrontare. Saied potrà essere ancora relativamente popolare, ma sembra anche sempre più isolato rispetto alla classe politica del Paese vista la mancanza di un seguito politico organizzato, e pare non avere alcun programma né l’impegno necessario per affrontare le questioni che più preoccupano i tunisini. Sebbene il presidente sia riuscito a mettere in disparte molti dei principali attori politici del Paese, questo riflette più la loro debolezza che la sua forza. È difficile immaginare che Saied possa dominare la sfera politica tunisina per gli anni a venire. Sebbene sembri avere l’appoggio delle forze di sicurezza interne della Tunisia, non è chiaro come l’esercito reagirebbe se il sostegno al regime richiedesse la repressione di disordini pubblici.

È importante che l’Europa rifiuti l’idea dell’inevitabilità della visione di Saied per la Tunisia e aiuti il Paese a far fronte alle sue necessità immediate, sostenendo un accordo con il FMI che tenga conto delle difficoltà della popolazione. L’Unione Europea dovrebbe continuare a fornire assistenza economica diretta alla Tunisia, aiutandola a far fronte alla carenza di cibo e carburante e all’aumento dei rispettivi prezzi, e accompagnando tale assistenza a una presa di posizione pubblica che chiarisca che la nuova costituzione non può essere considerata compatibile con gli standard democratici in quanto non è una genuina espressione della volontà del popolo tunisino.

Anche se Saied dovesse riuscire ad affermare la nuova costituzione, l’Europa e gli Stati Uniti potrebbero riuscire a dissuaderlo dall’adottare misure più repressive di quelle adottate finora, come una maggiore persecuzione degli oppositori politici e ulteriori restrizioni alla società civile. Saied è sembrato talvolta disposto a fare marcia indietro di fronte alle resistenze e alle critiche, come ad esempio nel caso dell’abolizione del Consiglio Giudiziario Supremo. Soprattutto, una linea europea più dura nei confronti di Saied darebbe maggiore vigore alle voci tunisine che si oppongono alla “nuova repubblica”, consentendo loro di acquisire forza politica se la popolarità del presidente dovesse diminuire. Gli europei dovrebbero anche cercare di approfondire gli scambi con altri elementi dello Stato tunisino, in particolare con le forze armate, in modo da essere in una posizione favorevole per scoraggiare azioni repressive se la situazione politica in Tunisia dovesse deteriorarsi.

Infine, gli europei dovrebbero sottolineare che il modo migliore per migliorare le prospettive economiche della Tunisia consisterebbe nella creazione di un sistema politico più stabile e inclusivo che incoraggi gli investimenti e fornisca le basi per una nuova politica economica. Dimostrandosi sensibili alle difficoltà del popolo tunisino e negando la legittimità del nuovo impianto politico di Saied, gli europei possono aiutare la Tunisia a riprendere la via democratica e a offrire così maggiori opportunità al suo popolo.

Ringraziamenti

L’autore desidera ringraziare Julien Barnes-Dacey, Edin Dedovic e soprattutto Tarek Megerisi per i costanti scambi sulla Tunisia e per i commenti alle bozze di questa pubblicazione. Desidera inoltre ringraziare Chris Raggett per il lavoro di editing, che ha migliorato notevolmente il prodotto finito.

Questa pubblicazione è stata resa possibile dal sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo al Programma Medio Oriente e Nord Africa di ECFR.

L’autore

Anthony Dworkin è Senior Policy Fellow presso lo European Council on Foreign Relations, dove dirige l’attività dell’organizzazione nei settori dei diritti umani, della democrazia e dell’ordine internazionale. Tra gli altri ambiti di interesse, Dworkin ha condotto ricerche e scritto sul sostegno dell’Unione Europea al multilateralismo, sulla transizione politica in Nord Africa e sui quadri europei e statunitensi per l’antiterrorismo.


[1] Conversazione dell’autore con un consigliere dell’UGTT, Tunisi, 11 maggio 2022.

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