La guerra in Bosnia, Dayton e la pace lenta

Sarà difficile sostenere i progressi della Bosnia o della regione senza un chiaro e credibile processo di adesione all’UE

Slobodan Milosevic, Alija Izetbegovic and Franjo Tudjman initial the Dayton Peace Accords on 21 November 1995
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  • La comunità internazionale non era preparata ai conflitti che hanno seguito la dissoluzione della Jugoslavia. In particolare, ha trascurato la Bosnia.
  • L’Europa non ha fatto abbastanza per promuovere la pace, gli Stati Uniti sono stati lenti sebbene infine decisivi, e la Russia si è dimostrata un attore costruttivo.
  • La guerra in Bosnia si è protratta a lungo più a causa delle divisioni tra le potenze esterne che per quelle interne e regionali
  • I fondamenti dell’accordo di Dayton del 1995 sono simili a quanto discusso, ma non messo in pratica, prima dello scoppio della guerra.
  • Dopo la guerra, molti leader politici bosniaci hanno concepito la pace come una continuazione della guerra con altri mezzi, il che ha seriamente ostacolato il progresso economico e sociale.
  • In ultima analisi, sarà difficile sostenere i progressi della Bosnia o della regione senza un chiaro e credibile processo di adesione all’UE.

Gli accordi di pace sono rari. La maggior parte dei conflitti finisce con la vittoria di una delle parti o con una sorta di cessate il fuoco raramente seguito da un vero accordo di pace. Eppure, 25 anni fa, il conflitto più doloroso svoltosi sul suolo europeo dopo la Seconda Guerra Mondiale si è concluso attraverso un accordo di pace.

Gli accordi di pace di Dayton sono piuttosto unici nella recente storia europea. Oggi siamo testimoni di come i conflitti congelati, come quello in Nagorno-Karabakh, possano facilmente riaccendersi; eppure, anche nelle fasi di stallo, essi continuano a creare gravi problemi.

Cosa possiamo imparare a 25 anni dall’accordo di Dayton? Nel suo ultimo rapporto, Bosnia to war, to Dayton, and to its slow peace, Carl Bildt, Co-Presidente dello European Council on Foreign Relations  e già Primo Ministro e Ministro degli esteri della Svezia, ripercorre quanto accaduto: lo scoppio della guerra in Bosnia (Jugoslavia), gli anni del conflitto, l’accordo di Dayton, le diverse fasi delle iniziative internazionali per l’attuazione della pace e infine il futuro del processo di adesione della Bosnia all’Unione europea.

Secondo Carl Bildt:

“Ad un quarto di secolo da Dayton, la pace è fuori discussione, tuttavia le riforme in Bosnia sono state troppo lente, con un assetto politico ancora diviso. Il Paese non si è ancora liberato né dall’ombra della guerra né da quella del sistema che l’ha preceduta.”

Guardando al futuro, è difficile sostenere i progressi della Bosnia o della regione senza un processo di adesione all’UE che sia chiaro e credibile. È solo nella cornice di tale processo che le problematiche ancora esistenti tra i diversi Stati possono essere risolte, così che le riforme necessarie per promuovere la crescita economica, lo Stato di diritto e la stabilità possano progredire.

C’è un rischio evidente che il potere attrattivo di Bruxelles, così forte per la regione e soprattutto per la Bosnia, finirà per indebolirsi con il prolungarsi del processo di adesione. Il nuovo approccio ai negoziati, lanciato nel 2020 dopo le critiche – principalmente francesi –  per l’eccessiva velocità del processo, rischia di rendere questo problema ancora più grave.”

Un approccio europeo più lungimirante alla reintegrazione e all’allargamento avrebbe potuto aiutare la Bosnia a compiere progressi. Ma, per molto tempo, le procedure europee di allargamento si sono tradotte in iniziative specifiche Paese per Paese, anziché in un’iniziativa su scala regionale. E questo ha indubbiamente causato dei ritardi in quel processo di reintegrazione economica e di riconciliazione politica che avrebbe potuto aiutare la Bosnia.

Per troppi bosniaci, la pace era una continuazione della guerra. Nessun leader politico di spessore si è fatto avanti per cercare di ricomporre le fratture politiche – tutte principalmente basate sulla nazionalità.  Seppur la fase delle decisioni internazionali calate dall’alto abbia portato qualche progresso, allo stesso tempo essa ha rafforzato questa tendenza distruttiva nella politica del Paese. In sostanza, solo gli stessi attori bosniaci possono accordarsi sui compromessi necessari per far progredire il Paese. E, troppo spesso, non l’hanno fatto.”

Ma la regione – e non da ultima la Bosnia –  è e rimarrà una parte importante della nostra Europa. Quando le ferite della guerra e della dissoluzione finalmente guariranno, e l’integrazione sarà vista da tutti come naturale, il Paese potrà senza dubbio dare il proprio considerevole contributo al nostro futuro comune.

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