Views from the capitals: il dibattito sui coronabond e le divisioni in Europa

Le divisioni emergenti tra gli Stati membri dell'UE sulla risposta economica al covid-19 analizzate dagli uffici nazionali di ECFR.

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View from Berlin

Ci sono argomenti tossici nella politica di ogni paese; basti pensare all'adesione all'euro o all'annullamento della Brexit in Regno Unito, all'europeizzazione delle armi nucleari o alla riforma delle pensioni in Francia, o all'assistenza sanitaria universale negli Stati Uniti. Nella politica tedesca, gli eurobond costituiscono uno dei temi di questo tipo. Per molti politici è un argomento scottante: appena lo trattano, rischiano di vedere il proprio partito calare significativamente nei sondaggi.

Questo spiega perché il recente dibattito sui coronabond è stato così doloroso anche per i molti europeisti a favore. In Germania, l’appello di nove Stati membri a favore di tali obbligazioni è stato ampiamente percepito come troppo affrettato, di riflesso e come un problema che può solo dividere l'Unione Europea. In quest'ottica, il dibattito attuale – che sembra fare della questione dei coronabond l'unico indicatore di quanta solidarietà ci sia nell'UE – è pericoloso e potrebbe di fatto indebolire l'unità europea.

Negli ambienti conservatori, molti sono convinti che il Meccanismo europeo di stabilità (MES) sia stato uno strumento utile a fornire vasta liquidità in tempi di crisi. Essi sostengono che, se gli europei abbandonassero le conquiste del MES, tutti gli sforzi di consolidamento dell'ultimo decennio sarebbero stati inutili. La crisi dimostra proprio per quale motivo negli ultimi anni i tedeschi hanno cercato di seguire la disciplina fiscale – così da avere una potenza di fuoco fiscale anche in tempi di crisi – e che la politica di austerità “black zero” ha dato i suoi frutti.

In primo luogo, i conservatori pensano che l'Europa dovrebbe sfruttare le strade esistenti piuttosto che considerare la crisi come un'opportunità per adottare piani a lungo discussi sulla trasformazione dell'eurozona in un'Unione dei trasferimenti finanziari. Essi sono preoccupati che i coronabond potrebbero aprirne la strada in tal senso. Al massimo, alcuni nell'Unione possono sperare in un'emissione congiunta, mirata e una tantum di obbligazioni per superare la crisi, come quella che la Comunità europea emise in risposta alla crisi petrolifera del 1974.

Nel Partito Socialdemocratico la situazione è meno chiara. Mentre il ministro delle Finanze Olaf Scholz e Rolf Mützenich, capo del gruppo parlamentare, rifiutano l'idea dei coronabond, il leader del partito Norbert Walter-Borjans la sostiene. Sebbene i liberal-democratici tedeschi e l'Alternativa per la Germania (AfD) si oppongano fortemente ai coronabond, i Verdi – e in parte l'estrema sinistra Die Linke – li sostengono.

Una figura interessante nel dibattito è Michael Hüther. Direttore dell'Istituto economico tedesco conservatore, si è opposto agli eurobond nell'ultimo decennio, mentre ora chiede che i coronabond si limitino alla risposta alla crisi. Egli rappresenta una nuova tendenza tra economisti e leader economici tedeschi che vede l'emissione di bond sempre più nell'interesse ristretto della Germania – sia per motivi geopolitici sia perché il Paese più ricco in Europa ha bisogno di fornire determinati beni pubblici anche in tempi di crisi.

Tuttavia, queste opinioni non sembrano aver fatto cambiare idea ai leader politici per il momento. La maggior parte dei tedeschi vuole rafforzare la solidarietà europea, ma il 64% di loro si oppone all'emissione congiunta di bond. Il rating di approvazione della Cancelliera Angela Merkel e di Scholz sono saliti alle stelle dall'inizio della crisi. Nonostante ciò, nessun politico tedesco ha dimenticato che la politica di salvataggio dell'Eurozona della Cancelliera nel 2013 – che non prevedeva eurobond – ha portato alla fondazione dell'AfD come partito fermamente anti-euro.

E' possibile che altri leader tedeschi cambino idea quando la crisi economica li colpirà. Tuttavia, gli eurobond sono uno dei dossier più tossici al momento – soprattutto considerando la mancanza di una forte percezione delle conseguenze economiche della crisi in Germania. Per rafforzare veramente la solidarietà europea, i leader di Francia, Spagna, Italia e di altri Stati membri dovrebbero agire in modo più strategico, tenendo conto della situazione politica in Germania, Paesi Bassi e Austria. Al posto di mettere i tedeschi in un angolo con qualcosa che per la Francia equivarrebbe politicamente a mettere in comune la sua forza nucleare o ad attuare una profonda riforma delle pensioni, i Paesi europei dovrebbero dare a Berlino l'opportunità di preparare la propria politica interna a un enorme atto di solidarietà. In questo modo, avrebbero più possibilità di successo.

View from Rome

La lettera del 2 aprile della Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen all'Italia, pubblicata da La Repubblica, riconosce apertamente come la risposta iniziale dei Paesi europei alla crisi del covid-19 sia stata inadeguata, non onorando l'amicizia che definisce – o dovrebbe definire – i rapporti reciproci. Il Governo italiano ha accolto con favore il gesto, e il giorno successivo il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha pubblicato una risposta positiva.

La Von der Leyen aveva già espresso la propria empatia per l'Italia in un video messaggio registrato a metà marzo. Nonostante ciò, può darsi che i partner europei dell'Italia si siano resi conto solo negli ultimi giorni e settimane che la pandemia non è una crisi esclusivamente italiana – e che abbandonare l'Italia sarebbe controproducente per tutta l'Europa, sia dal punto di vista economico che politico. Una mossa del genere potrebbe favorire fortemente la propaganda del leader della Lega Matteo Salvini e di altri politici antieuropeisti e populisti.

In una rara dimostrazione di unità, i partiti politici italiani si sono quasi completamente riuniti intorno alla proposta di emettere coronabond. Questo anche grazie al sostegno di autorevoli ex funzionari europei come Mario Draghi, che ha recentemente scritto a favore di tali misure sul Financial Times. L'Italia ha aperto il dibattito, superando i veti preliminari del Consiglio europeo e dando al governo di Conte una nuova influenza nei negoziati europei.

Tuttavia, i coronabond potrebbero presto diventare la nuova lente retorica dell'opinione pubblica italiana attraverso la quale è possibile vedere l'efficacia delle azioni dell'UE (e, forse, anche la sua stessa esistenza). Il governo italiano non deve rischiare di diventare prigioniero dei propri slogan, ma dovrebbe guardare con attenzione al contenuto delle misure di risposta alla crisi che l'UE sta discutendo. Un approccio prudente aiuterebbe Roma a contenere una crisi economica che – secondo le stime di Institute for Economic Research, Fitch e Confindustria – dovrebbe causare una contrazione tra il 6 e il 13 per cento del PIL nel 2020 (a seconda della durata del lockdown).

Per fare dei progressi, l'Italia dovrà dimostrare ai partner europei che non intende sfruttare la catastrofe sanitaria per mutualizzare segretamente il debito pre-crisi. Alcuni leader italiani – come il Ministro dell'Economia Roberto Gualtieri, il Ministro dell'Europa Enzo Amendola e il Commissario Europeo all'Economia Paolo Gentiloni – lo hanno capito bene e sembra che stiano cercando di spostare l'accento del dibattito europeo dai coronabond verso misure efficaci e con poche condizioni, cosicché tutti i governi europei potrebbero percepire come una vittoria.

Dopo essersi uniti intorno alla richiesta di una vera solidarietà europea e a un appello per un'integrazione europea accelerata in risposta alla pandemia, i politici italiani dovrebbero ora adottare un approccio più realistico e meno ideologico alla crisi. In questo, il governo italiano dovrebbe sostenere il fondo di salvataggio dell'eurozona proposto da Gentiloni e dal commissario UE per il mercato interno e i servizi Thierry Breton. Conte è convinto che l'Italia sia scesa a compromessi sui coronabond come passo verso una risposta paneuropea alla crisi – e si aspetta che le sue controparti negli altri Stati membri ricambino.

View from Paris

Parigi ha chiarito che vede questa crisi come un momento decisivo per l'UE. Ci sono divisioni significative tra gli Stati membri su come gestire il coronavirus e se mutualizzare il debito nella zona euro. Per questo motivo la Francia si è unita ad altri otto Paesi – Spagna, Italia, Belgio, Lussemburgo, Irlanda, Portogallo, Grecia e Slovenia – e alla Banca Centrale Europea a favore dei coronabond.

Tuttavia, la proposta ha incontrato una forte opposizione da parte della Germania e di altri Paesi europei con posizioni fiscali più conservatrici, per i quali anche il termine “coronabond” è tossico. Di conseguenza, Parigi propone ora una terza via: un fondo della durata di 5-10 anni che permetterebbe all'UE di emettere debito condiviso e quindi di affrontare la crisi economica (come riportato dal Financial Times). Per pagare i bond, Parigi propone una “tassa di solidarietà” o l'utilizzo di altre forme di entrate fiscali a livello europeo che attualmente finiscono direttamente nel bilancio del blocco.

I leader francesi hanno cercato di rievocare i dolorosi momenti del periodo 2008-2012 per cambiare la posizione dei Paesi fiscalmente conservatori. Durante la crisi finanziaria e quella dell'euro, la Francia – insieme all'Italia – sosteneva gli eurobond, mentre la Germania, fermamente contraria all'idea, esortava gli Stati membri a mantenere l'ordine nelle loro finanze. Secondo Parigi, questa volta è diverso in quanto l'argomento dell'azzardo morale sulla responsabilità fiscale non regge più: la gente sta morendo in tutto il continente mentre il virus continua a diffondersi. Questo è uno dei motivi per cui il rifiuto tedesco di andare avanti con i coronabond ha provocato un tale sdegno in Italia e Spagna. La Merkel ha espresso la propria preferenza per l'utilizzo del MES, ma Madrid e Roma rimangono contrarie in quanto tali prestiti di solito prevedono condizioni quali riforme economiche strutturali. Parigi sta cercando di diventare un mediatore nella dibattito.

Negli ultimi tre anni, il presidente Emmanuel Macron ha spinto per rilanciare il progetto europeo. Egli è convinto che sia giunto il momento per l'Europa di unirsi attraverso atti di solidarietà e di andare oltre la storica divisione nord-sud sulle questioni economiche – e in particolare in quelle fiscali e finanziarie. La novità è che le sue recenti mosse sembrano avere il sostegno dell'opinione pubblica francese. Da un sondaggio condotto da Viavoice il mese scorso emerge che l'84 per cento degli intervistati vorrebbe che l'UE trasferisca le proprie catene di approvvigionamento dall'Asia all'Europa, mentre il 70 per cento ritiene che il processo di integrazione europea debba ricevere un nuovo slancio per la creazione di una vera potenza europea.

In questo senso, la crisi del covid-19 sarà un momento di cruciale per l'UE: le discussioni in corso sul futuro del progetto europeo e della zona euro rispecchiano il crescente divario tra coloro che vogliono agire con decisione e coloro che temono gli effetti politici e istituzionali nel lungo termine di misure ambiziose come i coronabond. Queste discussioni sono cruciali in quanto dimostrano l'ideale democratico che l'UE rappresenta. Tuttavia, più si protrarranno, più aumenteranno i rischi per la solidarietà che l'Unione deve dimostrare in questo momento.

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