Tre aree chiave per la diplomazia climatica europea

Gli sforzi dell’UE per affrontare il cambiamento climatico dovrebbero porre maggiore enfasi sulle alleanze e i partenariati bilaterali. Ma tali sforzi saranno credibili solo se saldamente radicati nelle politiche interne.

Intervento di Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione europea, all’evento Forest alla SEC, (Glasgow, 2 novembre 2021)

La COP26 ha segnato un cambiamento di passo per la diplomazia climatica europea. Tuttavia, per diventare leader mondiali sulle questioni climatiche, l’Unione Europea e i suoi Stati membri sono chiamati ad affrontare insieme tre sfide: la diversificazione dell’approvvigionamento energetico globale e delle catene di valore industriale; la costruzione di partenariati credibili e alleanze forti; la fornitura di finanziamenti statali, aiuti allo sviluppo e strutture di investimento privato. Sono dunque queste le aree su cui concentrare l’attenzione per ulteriori sviluppi.

Catene del valore sicure e green

L’ambizione climatica dell’Europa per il 2030 è una riduzione delle emissioni di gas serra pari al 55%, puntando più a lungo termine a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Nella pratica, la transizione verde sarà un processo intenso e impegnativo per un continente povero di risorse come l’Europa. Per raggiungere la neutralità climatica, l’UE avrà bisogno entro il 2030 di 18 volte più litio e cinque volte più cobalto di quello che usa attualmente e di quasi 60 volte più litio e 15 volte più cobalto entro il 2050. Queste materie prime essenziali si trovano principalmente al di fuori dall’Europa, in Paesi come la Repubblica Democratica del Congo, il Cile e la Cina.

Politiche interne ambiziose concepite per migliorare l’efficienza delle risorse e promuovere il riciclo e l’urban mining sono elementi importanti della soluzione. Tuttavia, in una cornice geo-economica in rapido cambiamento, il Green Deal europeo si estende anche alla politica estera e alla politica commerciale e industriale.

La transizione verde dell’Europa richiederà quindi sviluppi significativi in queste aree. È probabile che l’UE punti ad accorciare e diversificare le catene del valore, convincendo inoltre gradualmente i fornitori stranieri ad adottare i propri standard. Con tutta probabilità l’Unione si orienterà verso un commercio verde dei prodotti energetici, passando progressivamente dai combustibili fossili all’elettricità pulita e all’idrogeno verde, e cercherà nuove fonti di materiali essenziali, accertandosi che tali forniture siano stabili e sicure attraverso alleanze e partnership.

Il nesso clima-sicurezza

Il Green Deal europeo influenzerà anche la politica di sicurezza dell’UE. Per esempio, nei Paesi la cui ricchezza e strutture di potere interno si basano sui combustibili fossili, la transizione verde potrà comportare disordini interni e una perdita di influenza internazionale. Alcuni di questi Stati cercheranno di usare la transizione per consolidare le proprie posizioni geopolitiche, per esempio investendo ed esportando idrogeno blu. Per valutare adeguatamente tali cambiamenti, l’UE deve rafforzare le sue capacità di allerta rapida e di monitoraggio dello scenario.

Un’altra dimensione di sicurezza legata alla transizione verde riguarda la maggiore elettrificazione delle forniture energetiche. Se, da un lato, le reti intelligenti creeranno opportunità per nuove forme di cooperazione regionale, dall’altro potrebbero anche diventare più vulnerabili ai cyber-attacchi e ad altre forme di interferenza ostile. Pertanto, il nesso clima-sicurezza non può prescindere da maggiori sforzi volti a proteggere la sicurezza informatica degli europei.

Finanziamenti per il clima

Affinché la diplomazia europea del clima sia in grado di affrontare le sfide di questo decennio, occorre una forte base finanziaria dedicata al clima. L’UE ha adottato il primo pacchetto di finanziamenti per il clima nel 2009, diventando quindi un pioniere nel settore, e da allora è rimasta un leader globale. Nel 2019 l’UE, i suoi Stati membri e la Banca europea per gli investimenti (BEI) hanno fornito più di 23 miliardi di euro in finanziamenti pubblici per il clima ai Paesi in via di sviluppo. Allo stesso tempo, l’UE sta progressivamente integrando le iniziative sul clima in altri ambiti della sua politica finanziaria, come l’assistenza ufficiale allo sviluppo, sotto la guida della Direzione generale per i partenariati internazionali.

L’Europa deve anche intensificare gli sforzi per mobilitare il capitale privato e trovare modi per garantire che i flussi finanziari conseguenti siano coerenti con la transizione verso un futuro a basse emissioni di carbonio. Questa idea è saldamente incorporata nel Regolamento UE sulla tassonomia – un sistema di classificazione delle attività economiche sostenibili dal punto di vista ambientale che aiuterà l’Unione ad aumentare gli investimenti sostenibili e ad attuare il Green Deal europeo – e nel Global Gateway recentemente annunciato, un’iniziativa progettata per promuovere progetti di infrastrutture verdi in tutto il mondo in linea con l’accordo di Parigi e il Patto sul clima di Glasgow.

I soli finanziamenti pubblici o privati, quindi, non saranno sufficienti. Occorrerà anche un numero sufficiente di progetti di qualità per assorbire questi flussi finanziari, evidenziando l’importanza dell’assistenza tecnica. Poiché istituzioni come la BEI possiedono una notevole esperienza in questo settore, possono fornire strumenti indispensabili alla diplomazia del clima.

Conclusioni

La diplomazia climatica si sta affermando come processo permanente piuttosto che limitato alle grandi conferenze. Gli Stati membri dell’UE e le istituzioni concentrano sempre più i loro sforzi sul clima in fora come il G7 e il G20, il Major Economies Forum on Energy and Climate, il Ministerial Forum on Climate Action, il Petersberg Climate Dialogue e il World Economic Forum, per citarne solo alcuni.

Inoltre, l’Europa dovrà porre maggiore enfasi sullo sviluppo di forti alleanze e partenariati bilaterali. In tal senso, l’UE ha già formato un’alleanza verde con il Giappone e ha lanciato un promettente Partenariato per la transizione energetica giusta con il Sudafrica alla COP26.

Ma la diplomazia climatica dell’UE sarà credibile solo se saldamente radicata nelle politiche interne, con particolare riferimento al pacchetto Fit for 55. Per diventare un partner affidabile per i Paesi terzi, l’Unione dovrà contribuire a sviluppare politiche concrete per una corretta transizione negli Stati membri. Gli europei possono convincere gli altri a intraprendere azioni climatiche più ambiziose perché hanno dotato di un solido quadro giuridico i propri sforzi in questo campo, e l’UE potrà impegnarsi in partenariati con i Paesi che hanno bisogno del suo sostegno in virtù di politiche climatiche interne che prevedono meccanismi di solidarietà. Dopo tutto, come recita un vecchio detto, una forte politica estera comincia a casa propria.

Mauro Petriccione è Direttore Generale della Direzione Generale per l’Azione per il Clima della Commissione Europea.

Peter Van Kemseke è un diplomatico e Senior Policy Assistant presso la Direzione Generale per l’Azione per il Clima. Le opinioni espresse in questo contributo riflettono esclusivamente il pensiero degli autori e non quello delle istituzioni europee.

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