“Cresce l’attenzione di Pechino, per l’Italia è un’opportunità”, Romano Prodi, Il Messaggero
Romano Prodi, Consigliere ECFR, su Il Messaggero, analizza le relazioni tra Cina e Italia.
Romano Prodi, Il Messaggero, 14 ottobre 2014
Il viaggio a Milano del primo ministro cinese Li Keqiang non può essere inquadrato nella limitata prospettiva di un rapporto bilaterale con l'Italia: esso infatti si svolge in occasione di un grande incontro fra paesi asiatici e paesi europei. Un incontro sotto certi aspetti rituale ma che assume ogni volta importanza maggiore per l'intensificarsi dei rapporti fra i due continenti, tanto che, già oggi, il commercio europeo con l'Asia è superiore a quello con l'America.
In questo quadro il ruolo della Cina è evidentemente dominante, non solo perché è il più grande e potente paese dell’Asia ma perché la Cina è diventata il punto di riferimento di tutta l'Asia. Non mancheranno certo momenti di difficoltà nel futuro del gigante cinese e saranno necessari altri spettacolari cambiamenti della sua politica, ma chi parla di un declino del suo ritmo di sviluppo non sa proprio di cosa parla.
L'attuale crescita tra il sette e l'otto per cento da parte di un'economia che è arrivata a un discreto livello di reddito medio e che, in termini reali, è già la più grande economia del mondo, ha per noi un'importanza e un'influenza molto maggiore rispetto a quando la Cina ancora povera cresceva a oltre il dieci per cento.
Date queste premesse è chiaro che i problemi dei rapporti fra UE e Cina sono prima di tutto politici perché un'ulteriore espansione delle relazione economiche troverà crescenti difficoltà se non si sgombra il campo dalle divergenze che sono sul tavolo riguardo alla protezione dei brevetti e dei prodotti, all’eterno problema delle imitazioni e al quadro in cui si svolgono le controversie giudiziarie in Cina, che troppo spesso vedono prevalere un atteggiamento più attento agli interessi nazionali che alla maestà della legge.
Nonostante questo quadro, reso più difficile dalla scarsa incisività della politica europea, i rapporti italo-cinesi hanno registrato progressi sostanziosi, pur in presenza di grandi squilibri in favore della Cina negli scambi commerciali. Anche negli ultimi anni il commercio fra Italia e Cina è rimasto al di sotto delle sue potenzialità e le nostre importazioni, nonostante la crisi della domanda interna, sono sempre più del doppio delle nostre esportazioni.
Il fatto nuovo è costituito da un crescente flusso di investimenti cinesi in Italia. In una prima fase esso si è manifestato nell’acquisto dell’intera proprietà o di quote di maggioranza di piccole e medie imprese, soprattutto per conquistare i marchi del Made in Italy o qualche produzione di nicchia. Negli ultimi tempi la direzione è cambiata, dirigendosi verso imprese maggiori, nei confronti delle quali la Cina ha un interesse tecnologico diretto. Questo anche perché le maggiori imprese cinesi stanno facendo un grande sforzo per divenire globali. In vista di questa strategia esse moltiplicano i contatti con le aziende europee, dato che le tensioni con gli Stati Uniti crescono ogni giorno. Negli ultimi mesi gli USA sono arrivati a proibire l'acquisto di un’impresa di lavorazione della carne da parte di un’azienda cinese perché ritenuta un’impresa strategica.
La via della globalizzazione cinese vede quindi come prioritaria l'Europa e soprattutto la tecnologia europea: se gestito in modo intelligente e coordinato questo processo può essere per noi vantaggioso rispetto a una politica economica americana sempre più aggressiva nei confronti dell’Europa. Naturalmente, per raggiungere questo vantaggio, occorrerebbe una politica industriale europea che oggi non esiste.
Ritornando alla nuova politica cinese nei confronti dell’Italia ricordiamo che la più grande impresa cinese di distribuzione di gas ha acquistato una quota non di maggioranza ma certamente significativa (35%) della nostra massima rete di distribuzione elettrica, settore dove l’Italia ha davvero un’esperienza e un primato tecnologico nel mondo.
Ugualmente strategico, anche se reso più facile dalla cattiva situazione finanziaria dell’impresa italiana, appare l’acquisto del 40% dell’Ansaldo Energia da parte della Shanghai Electric, vero gigante della produzione di elettricità. Tutto questo è avvenuto anche per lo scarso impegno delle imprese europee a legarsi alle nostre aziende con offerte accettabili.
L’ultima scelta di investimenti cinesi riguarda l’acquisto di quote di assoluta minoranza nelle poche grandi imprese italiane, come ENI e ENEL. Si tratta di modesti investimenti finanziari, rivolti certamente al futuro ma, per il tempo prevedibile, senza alcuna prospettiva di intervenire nella gestione delle imprese. Non è tuttavia senza interesse notare che l’acquisto avviene regolarmente per una percentuale appena superiore al 2%, che costituisce la quota minima per dovere essere comunicata alla CONSOB. In tale modo l’operazione diventa di pubblica conoscenza. Questo è un messaggio di fiducia nei confronti dell’Italia e del suo sistema produttivo, anche se non si tratta certo di un impegno finanziario cospicuo.
Nell’incontro che ci sarà a Milano fra i due primi ministri questi temi economici dovranno quindi essere discussi e sistematizzati nell’ambito di una strategia politica che deve necessariamente essere europea ma, nello stesso tempo, deve tenere conto delle peculiarità italiane. Essa dovrà perciò prendere in considerazione i problemi dei cinesi residenti nel nostro paese. Fra le comunità cinesi e quelle italiane le relazioni sono infatti difficili. Raramente di vicinanza attiva, più spesso di estraneità e, in casi frequenti, di vera e propria ostilità. Una situazione che fa dell’Italia uno dei paesi con un elevatissimo livello di diffidenza popolare nei confronti della Cina.
Eppure, costruendo di comune accordo una cooperazione fra le autorità dei due paesi, si può cambiare radicalmente la situazione, come è avvenuto in alcune comunità locali, dove i cinesi della seconda generazione, partecipano attivamente alla vita politica e comunitaria. È un compito difficile ma non impossibile anche perché la quasi totalità dei cinesi che vivono in Italia provengono dalla città di Wenzhou, patria di commercianti e di emigranti caratterizzati da comportamenti economici e finanziari diversi da quelli del resto della Cina, tanto da spingere il governo centrale ad adottare alcune regole specificamente dedicate a questa città. Una ragione in più per approfondire la nostra attenzione sulla necessità di riesaminare a fondo i rapporti tra le due comunità, in modo da utilizzare la diversità di Wenzhou per il reciproco vantaggio. Non è un compito facile: per questo motivo occorre un forte impegno da parte de due governi. Impegno che, fino ad ora, è mancato.
Come si vede sono tanti i problemi da approfondire o da impostare nell’incontro di Milano. Alcuni riguardano tutta l’Europa, altri in modo particolare l’Italia. Come per tutti i problemi la soluzione richiede buona volontà, impegno e applicazione. Mi auguro che queste virtù non manchino perché i rapporti con la Cina sono troppo importanti per il nostro futuro.
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