“L’Italia non può affidarsi ai Paesi di Visegrad, in Europa l’alleato migliore è la Spagna”

L'analista ECFR Almut Möller passa in rassegna le sfide di Roma sullo scacchiere Ue: «Rispetto al potenziale, il governo ha fatto poco per formare coalizioni solide e durature»

Guardare a Est non è proprio la migliore cosa da fare. L’Italia «non può fare affidamento» sui Paesi del blocco di Visegrad (Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia, Ungheria), e farebbe meglio a fare squadra con Francia, Germania e Spagna. Per cambiare le cose in Europa, i veri partner si trovano a Parigi, Berlino e Madrid. Ma il governo deve avere la voglia di intessere legami veri e duraturi, perché «Roma ha fatto meno di quello che poteva nella costruzione di alleanze». L’analisi è di Almut Möller, capo dell’ufficio di Berlino del Consiglio europeo per le relazioni internazionali (Ecfr), che con La Stampa analizza le sfide presenti e future per il Paese in Europa e le possibili variabili politiche che attendono l’esecutivo italiano.

Come sono cambiante le alleanze dell’Italia all’interno dell’Ue sulla questioni più spinose nell’agenda europea, quali immigrazione, Russia, riforma dell’Eurozona, sicurezza e difesa comune, bilancio comunitario?

«Il nostro ultimo sondaggio su quasi 900 responsabili delle politiche europee e analisti politici in tutti i 28 Stati membri dimostra che l’Italia è collegata meglio e condivide interessi con gli Stati membri meridionali dell’Ue, in particolare con Francia, Spagna e Grecia. Vediamo anche che l’attenzione dalla Romania sta aumentando, mentre i voti austriaci su interessi condivisi si è ridotto dall’edizione del 2016. Nel complesso, la nostra ricerca suggerisce che le preferenze e le partnership di solito non cambiano da un giorno all’altro. I nostri dati attuali risalgono a giugno 2018, quindi dovremo aspettare fino all’edizione del 2020 per poter dire con certezza in che misura le politiche italiane siano effettivamente cambiate sulle politiche chiave dell’Ue. Per il momento Roma contesta il Patto di stabilità e crescita, per esempio; ma allo stesso tempo, le nostre risposte all’indagine dall’Italia mostrano che l’Italia è desiderosa di lavorare con Berlino, e anche con Parigi, sulla governance dell’Eurozona. Quindi c’è interesse a entrare in contatto con le due capitali chiave all’interno dell’Eurozona quando si tratta di dare forma al futuro dell’euro. La classe politica tedesca a Berlino si sta rendendo conto che hanno bisogno di costruire un rapporto di lavoro funzionale tedesco-italiano. Sorprendentemente, finora i legami tra i due Paesi non sono stati molto sviluppati. Avere buone relazioni di lavoro è particolarmente importante in un momento in cui vi sono crescenti differenze rispetto alle politiche, ad esempio per quanto riguarda immigrazione e asilo».

 

È sembrato che Renzi e Gentiloni abbiano rilanciato un dialogo strategico con Francia e Germania. L’attuale governo, invece, sta dando l’impressione di non avere alcun interesse nel rafforzare queste alleanze. È davvero così?

«Non sono sicura che annunciare il dialogo strategico equivale a fare realmente le cose insieme. D’altra parte, il linguaggio contraddittorio non equivale nemmeno a interrompere l’impegno costruttivo. A me sembra che a Roma ci sia un interesse a impegnarsi con Berlino e Parigi su sfide chiave, in particolare l’immigrazione, e che l’interesse sia reciproco e che ciò sia in atto. Lo stesso vale per l’Eurozona, ma qui le cose sono più complicate. Secondo le conclusioni dell’Ecfr, le prime tre priorità politiche di Roma sono l’immigrazione e l’asilo, la governance fiscale della zona euro e una polizia di frontiera e guardia costiera. In tutte queste aree l’Italia potrebbe trovare partner in Francia, Germania, Spagna e altri, dal momento che tutte e tre le politiche in questione sono generalmente di forte interesse in tutti gli Stati membri dell’Ue. Inutile dire che l’interesse degli Stati a impegnarsi l’uno con l’altro non sempre spinge verso una stessa direzione. Parigi e Berlino potrebbero unirsi con Roma più di quanto fatto, una volta riconosciuto le loro differenze fondamentali. L’Italia è un membro fondatore e ha dimostrato un impegno per la coesione dell’Ue da decenni. Ma Roma adesso deve mostrare che si preoccupa ancora dell’Unione».

Attualmente quali sono i tre Stati membri con le maggiori affinità politiche? E in precedenza, con il vecchio governo?

«Al momento ci troviamo in un ambiente piuttosto dinamico per la costruzione di coalizioni nell’Ue, specialmente alla luce della Brexit. Forse a Roma c’era qualche speranza che con il Regno Unito in uscita l’Italia potesse beneficiarne. Ma altri sono stati molto più agili. I Paesi Bassi, ad esempio, hanno lavorato ancora più da vicino all’alleanza franco-tedesca e hanno anche iniziato a costruire una nuova alleanza con una prospettiva conservatrice sulla riforma dell’Eurozona, una sorta di “nuova lega anseatica”. Da una prospettiva italiana, Madrid, Parigi e Berlino sono ancora le capitali più importanti a cui Roma sta cercando di arrivare. Detto questo, potrebbe sembrare banale, ma le relazioni non si sviluppano da semplici dichiarazioni di interesse. Prosperano effettivamente facendo le cose insieme».

 

In passato le forze politiche oggi al governo hanno espresso opinioni molto critiche nei confronti dell’Ue. Ora dicono che non vogliono distruggere il progetto europeo, ma cambiarlo. Abbiamo esempi concreti sul come?

«Cambiare la direzione delle politiche dell’Ue in modo radicale non è una passeggiata. L’Italia ha un grande potenziale nel formare coalizioni e certamente in passato è stato un membro dell’Ue da non sottovalutare. Ma rispetto al suo potenziale, per un bel po’ di tempo, Roma ha fatto meno di quello che poteva nella costruzione di alleanze. Ciò nonostante, gli intervistati italiani nel sondaggio tendono ancora a vedere il loro Paese al centro dell’integrazione europea, al fianco di Francia e Germania. Mentre altri intervistati dell’Ue considerano l’Italia meno influente di – in ordine decrescente – Germania, Francia, Paesi Bassi e Regno Unito. La visione italiana dell’impegno dell’Italia verso una dimensione con “più Europa”, o una più profonda integrazione, è anche molto più positiva della media europea. Detto ciò, l’Ecfr ha tenuto il suo sondaggio poco dopo l’insediamento della nuova coalizione a Roma. È probabile che l’attuale governo si consideri meno impegnato verso “più Europa” rispetto a quello precedente, e che questo spostamento si rifletta già nelle opinioni dell’Ue27 sull’Italia».

Parlando di migranti, il vicepremier italiano ha detto che i suoi alleati sono adesso Austria e Ungheria, Stati poco inclini a un’idea di solidarietà. Una simile alleanza è sostenibile e realistica?

«Roma è interessata a trovare soluzioni alla sfida della migrazione e il governo non troverà tali soluzioni a Budapest. Vienna è più vicina al gruppo di partner costruttivi. Finora è stata la Spagna il partner più importante dell’Italia a livello europeo, e anche Germania e Francia sono fondamentali per quanto riguarda la politica migratoria. Qui è dove vediamo che Roma guarda, anche in questo momento. Formare le maggioranze a livello europeo è un gioco complicato e, per il momento, l’Italia non sarebbe in grado di costruirne attorno a un’alleanza con, diciamo, i paesi di Visegrad. Ma in termini di interessi sull’immigrazione, questi Paesi sono distanti chilometri dall’Italia. E l’Italia non ha legami significativi con questi Paesi per fare affidamento su di loro».

Sulla Russia l’Italia ha chiesto agli Stati membri di rimuovere le sanzioni. All’ultimo vertice del Consiglio europeo il rinnovo è stato però deciso all’unanimità. Come sta cambiando l’approccio italiano su queste relazioni? C’è qualche Paese pronto a unirsi all’Italia in una linea politica più soft nei confronti di Mosca?

«In base ai nostri dati ci sono diversi Paesi che non considerano prioritaria una politica comune dell’Ue in Russia, tra cui l’Ungheria, ma pure la Spagna e i Paesi Bassi. Certamente, questi governi hanno ragioni diverse per questa visione e questo non significa che si unirebbero all’Italia nel chiedere la fine delle sanzioni. Rinunciare all’unità nelle relazioni con la Russia comporta costi politici, sia per l’Ue, sia per i singoli Stati membri. Finora il consenso su una posizione comune nei confronti della Russia è stato solido all’interno dell’Unione».

Pubblicato su La Stampa il 08 Gennaio 2019.

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