L’idea di una corsa alle armi asiatica è un’esagerazione. Piuttosto - poiché nessuno può stare al passo con le spese militari della Cina - molte nazioni asiatiche stanno acquistando capacità asimmetriche per prevenire un disequilibrio con la Cina. L’unica corsa che c’è è quella per stare al passo con la crescita di esercito, aviazione e marina militare di Pechino. Un’opportunità per le industrie europee, se solo si trovasse una strategia comune nell’ambito Ue. A sostenerlo è un’analisi dello European Council on Foreign Relations (Ecfr) che esamina a fondo difetti e opportunità nella relazione tra Europa e continente asiatico, cercando di capire l’impatto che Brexit può avere nei rapporti commerciali e diplomatici, e le opportunità per l’Europa nello scenario di crescente conflittualità sino-americana in Asia. A parlarci di questo studio è uno dei suoi autori, Mathieu Düchatel*, vicedirettore dell’Ecfr e responsabile del programma Asia e Cina.

Qual è il potenziale di crescita per l’influenza dell’Unione Europea nella geopolitica asiatica e come si può sviluppare?

«Il rischio di una guerra nella penisola coreana ha riportato l’Europa al centro dell’attenzione, poiché la Ue si è offerta come mediatrice. Anche se è improbabile che ciò accada, l’Europa può giocare un ruolo nel mediare le differenze tra Cina e Stati Uniti, nazioni con approcci sempre più opposti su come affrontare il programma nucleare nord-coreano. A livello di geopolitica, l’Europa può aiutare le diverse nazioni che cercano di prevenire il disequilibrio di potere a favore della Cina».

In che modo l’attuale politica estera asiatica di Trump può influire sui rapporti tra Europa e Cina? Quali opportunità presenta per la Ue?

«L’imprevedibilità di Trump è un’opportunità per riequilibrare le relazioni tra Ue e Cina nel commercio e negli investimenti. Apre una nuova opportunità politica, perché la Cina ha bisogno di successi in politica estera che difficilmente possono essere raggiunti nelle relazioni tra Stati Uniti e Cina».

La vostra analisi sembra evidenziare la mancanza di una politica europea pienamente coordinata e definita in rapporto alla vendita di armi alle nazioni asiatiche.

«I produttori europei sono un’importante fonte di acquisto di armi per molte nazioni dell’Asia e dell’Oceania. I principali acquirenti sono l’India, l’Australia, la Malesia e Singapore. L’Europa esercita la sua influenza nell’equilibrio militare di questa regione vendendo soprattutto alle nazioni che contengono l’espansione cinese e rispettando le importanti limitazioni sul trasferimento di prodotti militari alla Cina. Ma né a livello di Unione Europea, né a quello degli Stati membri vi è una visione strategica ben formulata per governare l’impatto dell’Europa sull’equilibrio militare nell’Asia dell’Est, né vi è un’intenzione conscia di diventare un equilibratore esterno nell’Asia dell’Est attraverso il blocco di trasferimenti o esportazione di tecnologia militare. Invece, le motivazioni economiche restano prioritarie, in particolar modo la necessità d’aiutare le proprie singole industrie del settore della difesa, incoraggiando le esportazioni di armi. La Commissione europea e i governi singoli agiscono soprattutto per spingere le vendite. Ma l’Europa dovrebbe invece allontanarsi da questa “politica di default,” pensando in maniera più strategica al suo impatto sulla sicurezza asiatica».

Considerando che la Cina è diventata uno dei maggiori concorrenti dell’Ue nell’esportazione di armamenti, che senso ha l’embargo sulla vendita di armi e tecnologie?

«La Cina è già emersa come concorrente nell’Asia del Sud e del Sudest, nel Medio Oriente e nell’Africa Settentrionale. Il costante progresso della sua industria bellica significa che quella concorrenza non farà altro che aumentare. L’embargo non è più un tema di discussione in Europa, né è più un problema nelle relazioni tra la Ue e la Cina. È più che altro un simbolo che serve a limitare i Paesi membri nella vendita alla Cina di sistemi di armi avanzate o tecnologie chiave. Ma ciò che è più rilevante sono i i criteri severi dei regolamenti Ue sui controlli delle esportazioni. Invece di percepire la Cina come un Paese in via di sviluppo che vuole modernizzare le sue forze militari, la Ue dovrebbe capire che è una vera potenza militare la cui influenza sulla sicurezza nazionale non può far altro che crescere con il tempo. L’Europa deve anche capire che la posta in gioco è la concorrenza per l’innovazione e le tecnologie avanzate. È questo ciò che definirà il futuro dell’equilibrio del potere mondiale».

Qual è l’impatto di Brexit nelle relazioni che l’Europa ha con il mercato asiatico delle armi?

«La Brexit significa che il Regno Unito sarà ancora più attivo nel cercare partner economici fuori dall’Europa. Questo può voler dire un atteggiamento meno restrittivo per gli investimenti stranieri nelle tecnologie sensibili, o anche un riequilibrio globale della posizione strategica britannica tra Stati Uniti, Cina e Ue. Finora sono arrivate conferme rassicuranti, sotto forma di impegno rinnovato nel contributo britannico alla difesa delle democrazie occidentali. L’effetto Brexit aiuterà l’integrazione europea sui temi della difesa, ma non eliminerà l’intoppo principale dell’industria delle armi: la concorrenza tra le diverse industrie europee per ottenere contratti con le forze militari dei Paesi importatori. La Ue deve assicurarsi che la Gran Bretagna resti allineata con le normative europee sul trasferimento di armi e trasferimenti intangibili. Questo dovrebbe far parte dei negoziati sulla Brexit tra la Ue e il Regno Unito».

* Mathieu Düchatel è vicedirettore dell’Eruopean Council on Foreign Relations e responsabile del programma Asia e Cina

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