A due anni dallo scoppio di una guerra civile di cui filtra molto poco , il conflitto fra sciiti e sunniti nello Yemen è una polveriera che non accenna a spegnersi. Iran contro Arabia Saudita? Conflitto regionale o pericolo planetario? L’analista Adam Baron* dello European Council on Foreign Relations offre la sua lettura dello scontro.

Perché è scoppiata la guerra in Yemen nel marzo del 2015?

«L’intervento dell’Arabia Saudita nello Yemen è stato sostanzialmente frutto dell’escalation di un lungo e profondo conflitto, in gran parte derivato dalla ricaduta delle ribellioni che si sono ispirate alla Primavera araba del 2011. Inoltre, lo scoppio della guerra è stato anche frutto della presa del potere della capitale Sanaa, nel settembre 2014, da parte dei ribelli Houthi, sciiti, e del resto del Paese nei mesi seguenti. Per spiegare da chi è composta la coalizione guidata dai sauditi, bisogna dire che include un mix di nazioni a maggioranza musulmana di fede sunnita, a eccezione di Oman, Marocco, Sudan ed Egitto. Sta combattendo per riportare al potere il governo riconosciuto a livello internazionale e contrastare l’influenza dell’Iran nella regione».

Perché si può dire che lo Yemen è diviso in tre?

«Formalmente, si può dire che lo Yemen è diviso in un’area controllata dagli Houthi e dai loro alleati, e in una sotto il controllo del governo riconosciuto. Ma in molti casi, il controllo del governo centrale di fatto non esiste più: molte zone nominalmente sotto il controllo del governo, per esempio, sono invece dominate da una varietà di milizie, che vanno dagli antichi secessionisti del Sud, agli jihadisti intransigenti di Al Qaeda nella penisola arabica».

C’è Al Qaeda, ma nella regione c’è anche l’Isis. Che ruolo ha e perché ha fatto il suo ingresso nel conflitto?

«L’Isis, finora, ha avuto un ruolo marginale nella guerra: ha lanciato una serie sporadica di attacchi suicidi contro entrambi gli schieramenti, gli Houthi da un lato e le forze che spalleggiano il governo internazionalmente riconosciuto dall’altro. L’Isis è relegato a una posizione di secondo piano dalla forza che possiede il ramo di Al Qaeda che opera in Yemen, l’Aqap, il quale continua a mantenere il suo spazio operativo all’interno di vaste aree del Paese».

Quanti morti e quali conseguenze umanitarie ha avuto finora questo conflitto?

«Attualmente si stima che l’80 per cento della popolazione yemenita sia in emergenza umanitaria, più di 10 mila civili sono stati uccisi durante i due anni di conflitto. Ma il vero numero dei morti è molto più alto, a causa degli effetti secondari della guerra, come per esempio le malattie».

La guerra in Yemen può essere considerata un mini-conflitto tra Iran e Arabia Saudita? Pensa che questo scontro possa allargarsi a tutta la regione?

«Quest’ultima è un’interpretazione diffusa nell’area mediorientale. Detto ciò, però, per molti aspetti la guerra in Yemen continua a essere combattuta secondo fattori locali, sebbene sia stata “internazionalizzata” dall’ingresso della coalizione a guida saudita, lo scorso anno».

Che legami vede tra la guerra in Siria e quella in Yemen?

«Direi che il conflitto nello Yemen e il conflitto in Siria sono collegati solo perché sono stati infiammati da grandi tensioni regionali tra Iran e Arabia Saudita. Allo stesso tempo, sono entrambi serviti a esacerbare grandi tensioni tra sunniti e sciiti».

La polveriera yemenita preoccupa Trump, che tra le sue prime azioni di politica estera militare ha ordinato raid sulla regione. Perché?

«Detto in una parola, Trump è preoccupato dall’Aqap. La nuova amministrazione americana - come le precedenti - guarda allo Yemen con particolare ansia, dovuta alla presenza nella zona della frangia di Al Qaeda, che ha cercato di prendere di mira gli Stati Uniti numerose volte. Seminando instabilità, il conflitto nello Yemen ha già reso il Paese di fatto il luogo della peggiore crisi umanitaria del Medio Oriente, oltre a creare un vuoto di potere, che è stata una manna per i gruppi estremisti come Al Qaeda nella penisola arabica».

La Russia, nello scacchiere delle alleanze yemenite a sostegno del governo del presidente Hadi o dei ribelli sciiti Houti, non è ancora intervenuta. Perché? Cosa cambierebbe se lo facesse?

«I russi - mentre sono profondamente preoccupati dell’instabilità generata dal conflitto - sono stati cauti nel decidere per un loro coinvolgimento; hanno mantenuto contatti con tutte le parti e sono uno dei pochissimi Paesi che conserva ancora un’ambasciata a Sanaa. Un intervento militare russo diretto cambierebbe molto la situazione e drammatizzerebbe uno scenario già molto complicato. Ma quello yemenita è un pantano in cui evitano accuratamente di infilarsi».

* Adam Baron è analista politico associato dello European Council for Foreign Relations. È esperto di Medio Oriente, in particolare di Yemen e Arabia Saudita.

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