Autonomia sì. Beh, quanto meno almeno in linea di massima. Ma autonomi come e da chi? Non è chiaro. Insomma, l’Europa degli Stati si perde sul futuro dell’Unione europea e non riesce a trovare la quadra della «Autonomia strategica europea». C’è un gruppo di Paesi che vorrebbe un’Ue in grado di agire da sola, ma su questo le idee sono tutt’altro che chiare, anche tra quanti sono d’accordo sulla necessità di un cambio di passo.

Il nuovo studio in materia condotto dallo European Council on Foreign Relations (Ecfr), il primo think tank pan-europeo, mette in evidenzia le incertezze europee. Così emerge che appena otto Stati membri su 28 (Cipro, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Romania) considerano «importante» per l’Europa avere una propria autonomia strategica, mentre altri otto Stati membri (Austria, Belgio, Croazia, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Spagna) la ritengono «alquanto importante». C’è dunque un’Europa divisa in due (16 Stati su 28), e oltrettutto i favorevoli fanno fatica a capire che importanza dare all’autonomia che riconoscono comunque come punto politico dell’agenda comune.

Quando si domanda che tipo di autonomia strategica ci si immagina per l’Ue, appena sette Stati membri (Austria, Cipro, Estonia, Lettonia, Lussemburgo, Malta, Polonia) immaginano un’Unione slegata «da altri poteri». Mentre solo nove membri, peraltro diversi dai primi sette (Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Regno Unito, Romania, Svezia, Ungheria) vedono nello sganciamento dall’orbita statunitense un potenziale problema.

Ue divisa in un terreno tutto nuovo
Il problema, spiega a La Stampa il capo dell’ufficio di Parigi dell’Ecfr, Tara Varma, è che «il concetto di “Autonomia strategica europea” è relativamente nuovo di per sé, così come lo è questo nuovo formato di relazioni internazionali, più transnazionali da quando Donald Trump è stato eletto» presidente degli Stati Uniti. «Le differenze tra le culture strategiche dei Paesi europei rappresentano un grave ostacolo all’Autonomia strategica europea in generale e, a maggior ragione, alla formazione di un esercito europeo».

Qualunque cosa succeda, dunque, l’Europa militare non si vedrà. L’autonomia a dodici stelle non sembra passare per questa strada. Quale che possa essere la formula vincente occorrerà trovarla attorno a un tavolo. Che è lo stesso di sempre, da una vita, quello della politica estera. L’Ue ha cercato fin dall’inizio di dotarsi di una linea coerente, ma dopo sessant’anni, divisioni e insoddisfazioni non sono cambiati. «Molti dell'Ue sono frustrati da quelle che considerano le tendenze eccessivamente interventiste della Francia e dall'eccessiva cautela della Germania negli affari militari», continua Varma.

Multilataralismo, ma senza rimanerne imprigionati
La ricetta che sembra fornire in estrema sintesi l’esperta del Ecfr è quella di un’Unione europea pronta a collaborare con tutti, ma in modo autonomo e non subordinato. La vera sfida è questa, trovare il giusto equilibrio per non essere schiacciati dai partener. Del resto, spiega Varma, «l’autonomia strategica europea non dovrebbe e non può sostituire le relazioni con gli Stati Uniti». La maggior parte dei Paesi dell'Ue, sottolinea, «vede gli sforzi per l’autonomia strategica non come un modo per sganciarsi dagli Stati Uniti, ma per rafforzare la capacità di azione dell'Europa» nei rapporti con Washington.

Inoltre, l'Europa ha una rete di relazioni politiche, economiche e militari con potenze diverse dagli Stati Uniti. «Sebbene gli atteggiamenti nei confronti della Russia e della Cina variano ampiamente tra gli Stati membri dell'Ue, la maggior parte di essi concorda sul fatto che l'Europa deve impegnarsi maggiormente con il suo vicinato».

Autonomia Ue ma affari con Mosca e Pechino: il ruolo dell’Italia
L’Italia sembra essere molto attiva negli impegni con Pechino e Mosca. Prima il protocollo d’intesa con la Cina per la nuova Via della Seta, poi le rivelazioni delle relazioni della Lega di Matteo Salvini con la Russia. E’ presto, e probabilmente eccessivo, parlare di Italia come «cavallo di Troia» per l’Europa. «Non credo che dovremmo puntare il dito su chi sta mettendo in pericolo l'autonomia strategica dell'Europa», dice la capo ufficio Ecfr di Parigi.

Una cosa, però, tiene a precisare Varma: «Serve concertazione tra tutti gli Stati membri dell’Ue in modo da non far loro pensare che l’autonomia strategica europea sia solo un concetto franco-tedesco». Ciò vale per tutti, nessuno escluso. «L'Italia deve farne pienamente parte, in quanto Stati orientali e nuovi».

Finora nel dibattito sull’autonomia strategica l’Italia si è ritrovata sulle stesse posizioni di Germania e Francia. Non sembra esserci, per il momento, alcuno spostamento verso Est né alcun ammiccamento verso i Paesi del blocco di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria), anche perché questi ultimi hanno una sensibilità molto diversa sulle questioni russe.

Tuttavia, riconosce Varma, «per l'Italia c'è il problema della Russia, così come quello della Cina». Per l’analista «è interessante notare che quando il presidente cinese Xi Jinping ha visitato l’Italia lo scorso marzo, Matteo Salvini ha sollevato il problema della sovranità italiana e la necessità per il popolo italiano di non lasciare che altri attori decidessero per loro». L’Ue, dice, «probabilmente ha bisogno che l'Italia dichiari lo stesso nei confronti della Russia».

Una questione politica
Diverse visioni, diversi interessi, diversi atteggiamenti. L’Europa degli Stati continua a procedere in ordine sparso. E’ questo l’ostacolo numero uno. «La volontà politica è sicuramente la chiave per raggiungere l'Autonomia strategica europea, e tale autonomia è la chiave per la sopravvivenza del progetto europeo in questa epoca di turbolenze», enfatizza Tara Varma. Autonomia strategica «non significa autarchia, creazione di capacità completamente indipendenti o rifiuto del supporto degli Stati Uniti, nessuno dei quali è finanziariamente o materialmente possibile». Al contrario, «significa stabilire una capacità di lavorare insieme in Europa quando gli interessi europei e americani non sono allineati, specialmente nelle crisi regionali sui fianchi dell'Europa orientale e meridionale».

Pesco (Cooperazione strutturata permanente), fondo europeo per le difesa: serviranno questi strumenti costruire l’autonomia di cui l’Ue ha bisogno? «Non è chiaro», ammette l’analista. Potrebbe essere necessario altro. In particolare, «gli Stati membri potrebbero dover applicare il voto a maggioranza qualificata - anziché l'unanimità - nel processo decisionale della politica estera e di sicurezza dell'Ue».

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