La scomparsa dei mediatori: Oman, Kuwait e la de-escalation nel Golfo

I nuovi leader di Kuwait e Oman non possono permettersi di assumersi gli stessi rischi dei loro predecessori. Per mantenere la propria indipendenza, avranno bisogno del sostegno dell’Europa.

©
Anche disponibile in

Con le recenti morti dei leader di Kuwait e Oman, il Golfo ha perso i suoi principali mediatori. Il Sultano omanita Qaboos bin Sa‘id al-Sa‘id e l’Emiro del Kuwait Sabah al-Ahmad al-Sabah hanno giocato a lungo un ruolo importante nel ridurre le tensioni nel Golfo – un ruolo particolarmente apprezzato da molti diplomatici europei. Mentre i successori del Sultano Qaboos e dell’Emiro Sabah cercano la propria stabilità, l’Europa dovrebbe rapidamente offrire loro il sostegno politico ed economico di cui hanno bisogno per mantenere la propria indipendenza e continuare così a facilitare i rapporti diplomatici nella regione.

Il Sultano Qaboos e l’Emiro Sabah erano entrambi diplomatici fino al midollo, determinati a impedire per quanto possibile che il Golfo fosse trascinato in situazioni di conflitto. Una determinazione, questa, di cui oggi c’è bisogno più che mai. I due nuovi leader insediatisi a Kuwait City e Muscat, l’Emiro Nawaf al-Ahmad al-Sabah e il Sultano Haitham bin Tariq al-Sa‘id, hanno più volte dichiarato di voler portare avanti il tradizionale approccio diplomatico dei loro Paesi. Tuttavia, forti venti di cambiamento geopolitico soffiano sulla Penisola Arabica, e resistervi è sempre più difficile. Se è probabile che tutti i vicini di Kuwait e Oman proveranno ad attrarre i due Stati nella propria orbita, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti (EAU) sembrano essere i migliori candidati per riuscirvi.

In questo quadro, non è certo una sorpresa che le successioni in Kuwait e Oman si siano svolte in tempi record. Entrambi i Paesi sono coinvolti nelle maggiori dispute del teatro del Golfo – tra Arabia Saudita e Iran, tra EAU e Qatar – e temono che un vuoto di potere possa renderli vulnerabili alle ambizioni geopolitiche dei loro potenti vicini. L’8 ottobre, solo nove giorni dopo la morte dell’Emiro Sabah, che ha guidato il Kuwait per 12 anni, suo fratello è diventato il nuovo Emiro, e l’Assemblea nazionale ha unanimemente confermato Sheikh Mishal al-Ahmad alla cruciale posizione di Principe ereditario. Intanto, in Oman, il Sultano Haitham era salito al trono solo poche ore dopo la morte del suo predecessore, avvenuta lo scorso 11 gennaio. 

Il Sultano Qaboos e l’Emiro Sabah erano gli ultimi leader della generazione che ha vissuto in prima persona l’istituzione del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) nel 1981. Erano fortemente devoti al Consiglio, così come alla diplomazia regionale. Nel 2014, la paziente strategia diplomatica dell’Emiro Sabah ha risolto l’annosa disputa tra Riyadh, Abu Dhabi e Doha. Quando una nuova crisi è scoppiata tra i suoi litigiosi vicini nel 2017, l’Emiro del Kuwait ha provato nuovamente a mediare, ma senza successo, dimostrando così la sua inabilità di persuadere la generazione successiva di leader a impegnarsi sulla via della diplomazia.

Allo stesso tempo, Oman e Kuwait hanno spinto a lungo per un approccio più inclusivo nei confronti dell’Iran. Il Sultano Qaboos ha più volte offerto l’Oman come campo neutrale per i negoziati diplomatici tra le capitali del CCG e Teheran. Ha facilitato il dialogo tra Arabia Saudita e Iran negli anni Novanta, nonché tra gli USA e l’Iran nel decennio appena conclusosi. Gli ultimi incontri, tenutisi in segreto, hanno poi gettato le basi per l’accordo sul nucleare iraniano (Joint Comprehensive Plan of Action- JCPOA). Per molti anni, la leadership omanita ha anche cercato di mediare la crisi in Yemen, il cui movimento Houthi ha mantenuto una base a Muscat. Il Kuwait, durante il proprio turno di presidenza del CCG nel 2017, ha inviato una lettera al Presidente iraniano Hassan Rouhani insistendo sulla necessità di aprire un dialogo per ridurre le tensioni tra l’Iran e gli Stati del Golfo.

Gli europei, che si sono a loro volta progressivamente concentrati sulle sfide provenienti dal Golfo, hanno sostenuto questi sforzi diplomatici. Hanno così cercato di tessere alleanze con i sopracitati mediatori, in particolare con il Kuwait, in seno a iniziative diplomatiche e di stabilizzazione regionale, dall’Iraq allo Yemen.

Tuttavia, i cambiamenti ai vertici di Kuwait e Oman potrebbero distruggere questi sforzi. Entrambi i Paesi presentano vulnerabilità politiche ed economiche che i loro spregiudicati vicini potrebbero voler sfruttare. I loro leader, non ancora insediatisi in modo stabile, non possono certo permettersi di assumersi gli stessi rischi diplomatici dei loro predecessori, pena le reazioni delle potenze regionali, che potrebbero mettere a rischio la loro stabilità interna.

In Oman, non mancano segnali in questa direzione. Negli ultimi anni, sotto la guida del Sultano Qaboos, il Paese ha occasionalmente pestato i piedi dei suoi vicini. Gli Emirati non hanno certo fatto i salti di gioia quando, nel giugno 2017, l’Oman ha aperto i propri porti per far sì che il Qatar potesse superare l’embargo impostogli dall’Arabia Saudita, dagli Emirati e dal Kuwait; una mossa, quella omanita, che ha impedito la capitolazione di Doha. Dal canto suo, Riyadh si è mostrata irritata dalla diplomazia di Muscat in Yemen, e in particolare dalla sua volontà di ospitare gli Houthi e dai suoi continui contatti con Teheran.

Da quando il sultano Haitham è salito al potere, tanto Riyadh quanto Abu Dhabi hanno esplorato diverse vie per convincerlo ad allinearsi con la loro visione dell’ordine regionale. In questo contesto, i problemi economici omaniti offrono un canale di penetrazione da non sottovalutare. Nel 2019, dunque ancora prima della pandemia di Covid-19 e del collasso dei prezzi del petrolio, il deficit di budget dell’Oman ha raggiunto i 7 miliardi, e il debito nazionale ha superato il 50% del Pil. Pur riconoscendo l’importanza delle riforme economiche interne, la leadership omanita è preoccupata di esacerbare le problematiche di natura socio-economica che hanno spinto la popolazione a scendere nelle strade nel 2011. Il Paese ha rapidamente bisogno di liquidità: dopo il fallimento della progettazione di un Fondo di sostegno in seno al CCG, con l’appoggio del Kuwait, Muscat propende ora per la via degli accordi bilaterali. Uno di questi è il prestito da due miliardi di dollari concordato in agosto con le istituzioni finanziarie emiratine. Nello stesso mese, il paese ha congedato il proprio Ministro degli Esteri, il veterano Yusuf bin Alawi, reo di avere una relazione conflittuale con Abu Dhabi e di essere l’ufficiale omanita più vicino all’Iran.

Anche il Kuwait potrebbe cambiare la sua strategia. Il nuovo Emiro, che ha 83 anni e non gode certo di una forte reputazione a livello geopolitico, è meno dipendente del Sultano Haitham dal sostegno economico esterno, ma non sembra d’altronde incline a proseguire sulla rischiosa via della mediazione intrapresa dal suo predecessore. La crisi scatenata dal Covid-19 ha reso la scena politica del Kuwait estremamente conflittuale. In questo quadro, le elezioni parlamentari nazionali programmate per dicembre 2020 si rivelano particolarmente vulnerabili alle ingerenze esterne. Il Principe ereditario Mishal, a sua volta ottantunenne, ha lavorato per decenni al ministero degli Interni, ed è stato a lungo Vice Capo della Guardia Nazionale. È considerato meno pragmatico del suo predecessore e, similmente a Riyadh e Abu Dhabi, diffidente verso gli islamisti. Di conseguenza, nel prossimo futuro il Kuwait sarà probabilmente meno impegnato in sforzi per risolvere la disputa regionale sul ruolo del Qatar, sostenitore chiave della Fratellanza musulmana. Davanti alla potenziale perdita di Kuwait e Oman come mediatori regionali, l’Europa dovrebbe attivarsi per proteggere la postura neutrale di questi due Paesi. Gli Stati europei, che hanno un interesse nella stabilizzazione del Medio Oriente, devono puntare sul rafforzamento  degli attori regionali con simili ambizioni se intendono contribuire alla de-escalation delle dispute che coinvolgono Qatar e Iran. A tal fine, l’Europa dovrebbe rapidamente consolidare le proprie relazioni con Kuwait e Oman, cercando vie per rafforzare la resilienza dei due Paesi. Ciò dovrebbe implicare un sostegno europeo di alto livello per le posizioni indipendenti dei due attori, un’esplorazione delle iniziative diplomatiche congiunte e assistenza per le riforme economiche. Iniziative di questo tipo suonano più facile nel caso del Kuwait, verso cui gli europei hanno rivolto negli anni maggiore attenzione politica rispetto all’Oman. A questo proposito, l’UE ha aperto una missione diplomatica in Kuwait nel 2019, intensificando così il reciproco impegno istituzionale. I Paesi europei, con l’eccezione del Regno Unito, hanno invece relazioni più deboli con l’Oman. Tuttavia, la recente firma europea di un Accordo di cooperazione con Muscat ha posto le basi per sostenere l’agenda omanita di riforma economica.

ECFR non assume posizioni collettive. Le pubblicazioni di ECFR rappresentano il punto di vista degli autori.