La politica del pendolo: Perché Meloni continua a oscillare tra Bruxelles e Washington

Giorgia Meloni sta camminando su un sottile filo diplomatico tra Bruxelles e una Washington risorta e guidata da Trump. La sua visita alla Casa Bianca rivela una Premier che si sforza di tenere le porte aperte su entrambe le sponde dell’Atlantico, mentre naviga tra le pressioni interne, gli attriti commerciali transatlantici e le linee di frattura ideologiche all’interno dell’UE

A detail of a mural by Italian artist Harry Greb. The mural appeared on the occasion of Donald Trump oath ceremony as the 47th US President and depicts Elon Musk as a puppeteer and Donald Trump, Giorgia Meloni and Emmanuel Macron as his puppets, Rome, Italy, 20 January 2025. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI
Dettaglio di un murales dell’artista italiano Harry Greb dopo l’inaugurazion di Donald Trump, Roma, Italia, 20 Gennaio, 2025
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Da quando Giorgia Meloni è stata eletta presidente del Consiglio nel 2022, gli altri leader europei hanno faticato a comprenderla politicamente. Le preoccupazioni internazionali per l’ascesa al potere di una figura post-fascista si sono in gran parte affievolite, soprattutto grazie al forte sostegno della Premier all’Ucraina e ai buoni rapporti con la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, così come con l’ex Presidente americano Joe Biden. Tuttavia, Meloni non è certo una europeista convinta: la sua visione rimane marcatamente nazionalista. Gli attriti con i partner europei, in particolare con il presidente francese Emmanuel Macron, rimangono.

Una cosa è certa: Meloni non scioglierà mai questa ambiguità. Se il ritorno di Trump alla Casa Bianca le ha offerto un’opportunità per riallinearsi alla nuova presidenza americana e alla sua politica “diversa”, dall’altro lato, la guerra commerciale di Trump ha colpito l’Italia, paese esportatore, e ha costretto la Meloni a criticare Trump per la prima volta nelle ultime settimane. Di conseguenza, il governo italiano si è avvicinato a Bruxelles, che ha competenza esclusiva in materia commerciale. L’organizzazione dell’incontro bilaterale con il presidente USA è riprova di questa ambivalenza.

Questo appuntamento rappresenta l’impegno diplomatico più rilevante della Premier fino ad oggi. La sua missione a Washington è stata agevolata dalla decisione a sorpresa di Trump di sospendere temporaneamente la guerra commerciale con l’Europa, allentando la tensione con l’UE. In precedenza, Meloni si era schierata a favore del negoziato e si era proposta come potenziale mediatrice; mentre alcune figure politiche in Francia e in Germania si erano preoccupate del fatto che potesse improvvisare, lei ha mantenuto stretti contatti con la Commissione europea nel periodo precedente la visita. Tuttavia, le circostanze non le sono del tutto favorevoli: l’Italia, con un surplus commerciale di quasi 74 miliardi di dollari e una spesa per la difesa che si ferma all’1,5% del PIL, è nel mirino di Trump.

Ciononostante, Meloni affronterà comunque la questione commerciale nello Studio Ovale, rilanciando la proposta di Von der Leyen di azzerare i dazi su auto e industria, già rifiutata da Trump, e tentando di sottolineare l’interesse comune a raggiungere un compromesso. Una posizione simile a quella del futuro governo tedesco guidato, con ogni probabilità, da Friedrich Merz, che punta a negoziare una riduzione dei dazi con Washington.

Questo allineamento con Bruxelles ha irritato parte della destra italiana, in particolare la Lega (partito di coalizione), che sperava di capitalizzare sulla storica vicinanza tra Meloni e Trump. Formalmente, i negoziati spettano alla Commissione, ma Bruxelles ha probabilmente visto nell’influenza di Meloni su Trump un’opportunità da sfruttare per mantenere aperto un canale di dialogo. L’Italia si propone quindi come ponte per mediare un accordo più ampio tra Stati Uniti e Unione Europea, con l’obiettivo politico di portare a un possibile vertice UE-USA al prossimo summit NATO di giugno.

Ma potenziali tensioni stanno già emergendo Meloni e i suoi partner dell’UE su altre questioni, come i servizi digitali e gli squilibri nel settore tecnologico. Questo punto è strettamente legato alla campagna dell’amministrazione statunitense a favore della deregolamentazione e della “libertà di espressione” sulle piattaforme sociali. Meloni ha dichiarato di condividere alcune critiche del vicepresidente degli Stati Uniti J.D. Vance nei confronti dell’Europa a questo proposito. Una posizione italiana più aggressiva su tali questioni potrebbe indebolire il sistema normativo che l’UE ha istituito in questo campo.

Sul piano energetico, Meloni ha poi proposto di aumentare le importazioni europee di gas naturale liquefatto (GNL) dagli Stati Uniti, al fine di riequilibrare la bilancia commerciale. Una delle critiche più forti mosse da Trump agli europei è infatti quella di acquistare troppo poco dagli americani. In parallelo, Meloni ha anche criticato ripetutamente il Green Deal europeo e spinto per una sua revisione profonda. Meloni potrebbe utilizzare l’acquisto di gas dagli Stati Uniti per rafforzare la posizione dell’Italia nei confronti di Trump, indebolendo contemporaneamente le politiche verdi dell’UE.

Anche sul fronte della difesa, le contraddizioni restano. Meloni sembra ignorare i segnali di instabilità all’interno della NATO, nonostante le dichiarazioni di Trump e di altri esponenti americani che ne minacciano l’integrità. Le figure di governo italiane sono consapevoli che, se gli Stati Uniti si ritirassero dall’alleanza o finissero per sgretolarla dall’interno, l’Italia si troverebbe in grosse difficoltà. L’Italia è priva di armi nucleari e non ha ancora pianificato investimenti significativi nella difesa, come la Polonia o, più recentemente, la Germania.

L’opinione pubblica italiana, inoltre, non sembra a favore di nuove spese per la difesa, né del piano europeo ReArm. I partiti di opposizione e la Lega cavalcano un nuovo “pacifismo”. La Meloni ha difeso l’adesione dell’Italia al ReArm, sottolineandone le funzioni di prevenzione e deterrenza, ma mentre Fratelli d’Italia ha votato a favore del piano al Parlamento europeo, la Lega ha votato contro. Questo dimostra ancora una volta la notevole ambiguità politica dell’attuale maggioranza di governo. A Washington, il primo ministro ha ribadito il nuovo impegno dell’Italia ad aumentare la spesa per la difesa al 2% del PIL nel breve termine, anche se Trump spinge per il 5%.

I vincoli politici interni e i vincoli economici e di spesa strutturali si sovrappongono alla profonda avversione ideologica di Meloni per una vera cooperazione europea. Ma l’opinione pubblica italiana, e quella del mondo imprenditoriale, è generalmente pro-europea e consapevole che l’Italia non dovrebbe essere allineata esclusivamente a un imprevedibile Trump. Meloni probabilmente non minerà il fronte unito dell’Europa sui dazi; tuttavia, allo stesso tempo, potrebbe continuare la politica del pendolo tra Washington e Bruxelles, trovando punti di contatto con Trump e Vance su temi come l’opposizione all’“ideologia woke” o alle élite globaliste. La realtà è che l’Italia ha bisogno sia dell’UE che degli USA. Il metodo della Meloni per non alienarsi né Washington né Bruxelles è cercare di dimostrare che l’Occidente, al di là delle polemiche, è vivo e coeso. Solo così, Roma potrà guadagnare tempo per colmare le sue stesse dipendenze e vulnerabilità

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