Il ruolo dell’Europa in Egitto

L'Unione Europea ha di recente annunciato l'intenzione di lanciare una missione di osservazione elettorale per monitorare le prossime elezioni presidenziali in Egitto. Definita “coraggiosa” dai diplomatici egiziani, questa decisione potrebbe essere vista come un endorsment alla “road map” imposta dai militari egiziani.  

L'Unione Europea ha di recente annunciato l'intenzione di lanciare una missione di osservazione elettorale per monitorare le prossime elezioni presidenziali in Egitto. Definita “coraggiosa” dai diplomatici egiziani, questa decisione potrebbe essere vista come un endorsment alla “road map” imposta dai militari egiziani.  Si rischia così di approvare il passo successivo di un processo contestato fin dall'inizio e respinto da un grosso segmento della popolazione egiziana. Sembra inoltre un ulteriore allargamento della dicotomia tra richiesta di maggiore pluralismo, riconciliazione tra le parti e inclusività, e le dinamiche interne egiziane quali esclusione, diffamazione e repressione. La recente decisione del governo ad interim di bandire il movimento giovanile del 6 Aprile, le sue pesanti tattiche utilizzate per smantellare presunte “cellule terroristiche”, e la detenzione di migliaia di prigionieri senza processo, non sono di buon auspicio per una soluzione politica di medio-lungo termine.

I politici egiziani impegnati in campagna elettorale non stanno facilitando le cose. Dal candidato presidenziale Sisi che, durante la sua prima intervista televisiva, ha definito i Fratelli Musulmani come “finiti”, ai diplomatici che cercano consenso porta a porta in diverse capitali degli stati membri dell'Unione Europea, e che avvertono che “non ci sarà riconciliazione, non aspettatevi alcuna apertura da parte del governo verso i Fratelli Musumalmi“, il messaggio è di anti-riconciliazione, attraverso un gioco dello scaricabarile. Ho recentemente assistito all'incontro degli “Amici della Siria” a Londra. Durante il meeting il ministro degli Esteri egiziano Nabil Fahmy ha respinto le valutazioni secondo cui il suo paese stia diventando nuovamente uno stato autocratico e repressivo.

Qual è stata la reazione europea agli ultimi sviluppi in Egitto? Al massimo tiepida. Lady Ashton, nelle osservazioni dopo l'ultimo Consiglio degli Affari esteri, non ha menzionato la questione egiziana. Il primo “gruppo” di 529 sostenitori della Fratellanza condannati a morte è stata accolto con “estrema preoccupazione” dall'alto Rappresentante; il secondo “giro” di 683 condanne ha sollecitato una reazione leggermente più forte: “il procedimento è privo delle più elementari norme del giusto processo e le sentenze appaiono chiaramente sproporzionate”. Tuttavia, in entrambi i casi, il grande numero di coloro che sono stati condannati a morte ha creato un precedente scomodo: come reagire quando anche una sola persona riceve una condanna simile? Anche se Sisi, non appena verrà eletto, proporrà di sovvertire buona parte delle condanne a morte come atto simbolico di buona volontà politica, un danno irrevocabile è stato causato all'immagine della magistratura, un tempo molto rispettata in Egitto. Inutile dire che è stata indebolita anche la reputazione dell'Unione Europea come promotrice dello Stato di diritto, della democrazia e dei diritti umani nel mondo, e la sua volontà di confermare le parole con le azioni.

Per quanto riguarda l'opposizione, oltre la proposta di boicottaggio delle prossime elezioni, c'è poco fermento. In un recente seminario a Madrid con i membri dell'opposizione egiziana, tutti erano pronti a criticare l'operato dell'UE nei confronti dell'Egitto a partire dalla caduta dell'ex presidente Mohammed Morsi dello scorso luglio. Ma, quando viene chiesto loro che cosa dovrebbe fare l'Unione Europea, le risposte sono meno istantanee. Questa difficoltà (anche se comprensibile) è indicativa della tendenza con cui i sostenitori di Morsi guardano al passato, mostrandosi fuori sincronia con un movimento dinamico che tenta di modernizzare il paese. Rallentare, se non invertire, il processo di normalizzazione dell'Egitto che gli attori internazionali sembrano aver intrapreso, appare sempre più improbabile. Di recente un analista egiziano ha scritto “la nave ha da tempo lasciato il porto, e quelli che gridavano “Morsi “sono stati lasciati al molo”.

Ad essere onesti, alcuni membri dell'opposizione riconoscono la necessità di realizzare un'alleanza che sia più ampia dell'attuale “alleanza anti-colpo”, così come la messa a punto di un programma nazionale basato sulla tolleranza e il rispetto. Sarebbe una pillola difficile da ingoiare, ma che è essenziale per mettersi al passo con il ritmo degli eventi in Egitto e forse l'unica speranza di influenzare positivamente il popolo. Ciò può realizzarsi, naturalmente, solo se il governo entrante permetterà all'opposizione di avere uno spazio politico.
Secondo l'ex rappresentante speciale per il Mediterraneo Bernardino Leon l'UE ha un piano. Continua ad essere l'unico attore attualmente in grado di parlare con entrambe le parti e sta lavorando ad una iniziativa di riconciliazione da proporre dopo le elezioni. Tuttavia il progetto contrasta con ciò su cui insistono gli analisti locali, cioè il fatto che “riconciliazione e inclusività sono diventate parole tabù nel dizionario politico in Egitto”. Nessun attore esterno sarà in grado di convincere gli egiziani ad avviare un processo riconciliazione.

L'imminente ritorno di una persona forte in Egitto ripristina il dilemma dell'UE tra interessi e valori. Questo non significa che gli Stati membri debbano smettere di sostenere l'Egitto, così come imposto dalle relazioni bilaterali, bensì che dovrebbero seriamente considerare un cambio di approccio, a seconda del tema in questione.  Ad esempio, evitare di riprendere la vendite di armi o richiamare l'attenzione del Parlamento sulla violazione, da parte del governo egiziano, dei diritti umani. Per quanto riguarda le prossime elezioni, sarà importante che L'UE sottolinei non solo gli aspetti tecnici dei sondaggi e delle votazioni, ma anche il contesto in cui la votazione ha avrà luogo. L'UE dovrebbe anche considerare quale possano essere le ripercussioni del sostegno di un processo di transizione democratica in Egitto, da trasmettere ad altre democrazie nascenti nella regione e oltre.

 

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