Fronte unito: Perché Giorgia Meloni dovrebbe avere un “Piano Harris” per salvaguardare le relazioni tra Italia e Stati Uniti 

Il potenziale ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca potrebbe influire sul sostegno degli Stati Uniti alle priorità chiave dell’Italia. Giorgia Meloni dovrebbe dunque abbandonare l’approccio da camaleonte politico e prepararsi all’eventualità di una presidente democratica

Il primo ministro italiano Giorgia Meloni entra nell’Ala Ovest per un incontro con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden il 1° marzo 2024 a Washington, D.C
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A sole due settimane dalle elezioni presidenziali americane, il primo ministro italiano Giorgia Meloni conferma una certa ambiguità politica nei confronti dei due candidati americani. Nel 2024, anno di presidenza italiana del G7, Meloni è apparsa come la perfetta sparring partner del presidente Joe Biden nel sostenere le priorità del G7 come migrazione, AI e soprattutto il supporto all’Ucraina. Per poi, durante la visita di settembre negli Stati Uniti, Meloni completamente ignorare l’invito a cena di Biden, accettando  il premio “global citizen” dell’Atlantic Council direttamente dalle mani del “trumpiano” Elon Musk. 

Il comportamento camaleontico della Meloni, che si mostra in buoni rapporti con entrambi gli schieramenti politici statunitensi per evitare ogni  palese posizionamento politico, ha portato a forti critiche interne. Ma Meloni è nota per aver forgiato un percorso “proprio” in politica internazionale: il voto estivo contro l’“amica” Ursula von der Leyen come presidente della Commissione europea ha manifestato una volontà di rinnegare la loro precedente alleanza politica. Seguito poi dal mettere in mostra il suo successo nell’assicurare all’italiano Raffaele Fitto l’inclusione nella lista dei vicepresidenti esecutivi della Commissione europea. Tuttavia, la mossa ha esacerbato la sfiducia nei confronti della Meloni tra i leader dell’Unione Europea, con la possibilità di un ulteriore isolamento politico. 

Una Meloni isolata in Europa potrebbe alla fine significare una Meloni più vulnerabile nel mondo. Un’eventuale presidenza Trump potrebbe mettere a rischio il futuro sostegno degli Stati Uniti verso le priorità italiane in materia di affari esteri, tra cui l’immigrazione, il Medio Oriente e il Nord Africa (MENA), la NATO e l’Ucraina. In questa situazione, Meloni potrebbe aver bisogno del supporto delle sue controparti europee – soprattutto per quanto riguarda la stabilizzazione dell’area MENA, considerando l’impatto immediato che qualsiasi crisi regionale potrebbe avere sui flussi migratori verso l’Italia. 

Poiché un mandato Trump 2.0 porterebbe senza dubbio a un più marcato disimpegno degli Stati Uniti dagli affari regionali e globali dell’UE, Meloni dovrebbe sviluppare un piano “Harris” nell’eventualità in cui la prossima inquilina della Casa Bianca sia una democratica – con cui Meloni dovrebbe dialogare per mantenere un forte sostegno ai suoi obiettivi di politica estera. Una tale lungimiranza le consentirebbe di gestire meglio le conseguenze in politica estera dell’allineamento dell’Italia agli Stati Uniti. Ciò è particolarmente importante perché, in molte altre aree, Roma rimarrà probabilmente un partner globale stabile per Washington, indipendentemente da chi sarà alla Casa Bianca.

Meloni cerca il multilateralismo  

Secondo i dati UNHCR, tra gennaio e agosto 2024 i primi cinque Paesi di provenienza dei migranti in Italia sono stati Bangladesh, Guinea, Egitto, Siria e Tunisia, mentre i primi tre Paesi di partenza sono stati Libia, Tunisia e Turchia. Durante la presidenza italiana del G7, Biden ha riconosciuto gli sforzi compiuti dall’Italia per lo sviluppo di un piano multilaterale per la gestione della migrazione e per creare partnership commerciali più profonde con l’Africa. Tuttavia, è probabile che un’amministrazione Trump si concentri sulla chiusura delle frontiere interne e sull’espulsione dei migranti dal territorio statunitense, senza mostrare grande interesse per l’impatto della migrazione in Europa. Ciò potrebbe rendere vana la visione di Meloni sulla gestione multilaterale della migrazione, inclusa nel comunicato finale del G7. Il documento implica il supporto e la cooperazione di tutti i partner del G7, compresi gli Stati Uniti, per evitare di isolare l’Italia e gli altri Paesi colpiti dalla crisi migratoria in corso. 

Allo stesso modo, è probabile che la strategia di Trump per la regione MENA si focalizzi sul sostegno a Israele e sul salvaguardare le relazioni economiche e commerciali con determinati Paesi del Golfo, tra cui l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. Nella regione MENA, la Libia e il Libano sono storicamente fondamentali per l’Italia quanto a economia, stabilità e sicurezza, ma un’amministrazione Trump potrebbe sacrificare le future richieste di impegno statunitense in materia di sicurezza a favore di un disimpegno regionale. Per Roma, questo rappresenta un rischio per quanto riguarda la Libia, soprattutto in relazione all’impatto economico delle esportazioni di petrolio verso l’Italia e alla gestione dei flussi migratori in corso. Il pericolo dal Libano deriva soprattutto da come i potenziali compromessi sulla sicurezza regionale del Medio Oriente potrebbero impattare sull’Italia e su altri Stati membri dell’UE. 

Quanto alla NATO, la Meloni si trova ad affrontare un altro difficile dossier – con Trump con una propria visione del futuro dell’organizzazione. Ha già chiarito che gli alleati che non rispettano l’obiettivo di spesa del 2% del PIL per la difesa non sono nell’interesse dell’America, in quanto alcuni membri della NATO beneficerebbero dell’ombrello di sicurezza USA senza attenersi alle regole di spesa per la difesa. Questo mette Meloni in una posizione difficile: ha già dichiarato che l’Italia “farà del suo meglio” per raggiungere questo obiettivo “secondo il nostro programma e le nostre possibilità”. Ciò potrebbe significare che Roma non raggiungerà l’obiettivo del 2% entro la data limite del 2028. Anche se in questo caso Meloni non sarebbe sola: secondo i dati pubblici, anche Belgio, Croazia, Lussemburgo, Portogallo, Slovenia e Spagna non sono in linea con l’obiettivo. Tuttavia, Meloni non può contare sull’alleanza politica e sui buoni rapporti con il Partito Repubblicano per giustificare il venir meno ai requisiti di difesa. Piuttosto, dovrebbe richiamare l’attenzione sulla posizione geografica dell’Italia, che espone il Paese a minacce securitarie da parte di vicini potenzialmente ostili, e sull’impegno dell’Italia nelle missioni NATO come risorsa per l’intera organizzazione. 

Infine, una vittoria di Trump comporterebbe un probabile cambio della linea d’azione degli Stati Uniti a sostegno di Kiev. Se Meloni si schierasse con Trump, si troverebbe in una posizione difficile sia a livello nazionale che internazionale. Dopo l’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, Meloni ha espresso pieno sostegno al diritto di Kiev alla propria sovranità territoriale, incontrando negli ultimi due mesi il presidente ucraino Volodymyr Zelensky due volte. Anche durante il precedente governo italiano, guidato da Mario Draghi, Meloni, all’epoca all’opposizione, fu l’unica leader di un grande partito politico italiano ad essere pienamente allineata con la linea di Draghi pro-Ucraina. Per due anni Meloni è riuscita a giustificare la sua posizione sull’Ucraina agli elettori italiani, compreso il 29,3% dell’elettorato che ha votato per lei – tuttavia, i suoi stessi elettori si stanno stancando della guerra. Se Trump attuerà un politica sull’Ucraina che mira a raggiungere la pace ad ogni costo, Meloni dovrà scegliere se allinearsi al suo alleato politico e rinnegare la sua agenda di politica estera a favore di Kiev. Ma l’incertezza sul futuro dell’Ucraina non è esclusivamente legata a una vittoria di Trump; è probabile che prosegua sotto Harris, anche se con una metodologia più sottile e un linguaggio meno abrasivo. 

Un Piano Harris

Invece di prendere tempo e sperare in una vittoria di Trump, Meloni dovrebbe quindi riflettere sul perché uno scenario Trump 2.0 potrebbe non avere un impatto positivo sulle maggiori questioni estere in gioco per Roma. Piuttosto che continuare con il suo approccio da “camaleonte politico”, dovrebbe sviluppare una strategia da “scenario Harris”. Sebbene un recente episodio del podcast ECFR descriva Harris come un enigma della politica estera, Meloni trarrebbe vantaggio dalla continuità di approccio con l’amministrazione Biden per gli affari esteri. Lei e Harris troverebbero probabilmente un terreno comune su diverse priorità, a partire da quelle incluse nel G7 italiano. E anche se Harris decidesse di rovesciare completamente le politiche dell’amministrazione Biden, per quanto difficile all’inizio, per Meloni sarebbe comunque un’opzione migliore di Trump. Il candidato repubblicano ha già indicato come vede il ruolo dell’Europa nel futuro delle questioni transatlantiche comuni. D’altra parte, la tradizione politica opposta da cui proviene Harris rappresenta una sfida ideologica per Meloni, ma la sua elezione creerebbe la possibilità di costruire una relazione da zero. 

Durante la prima amministrazione Trump nel 2018, Meloni guidava il suo partito con il 4,3% di consensi dell’opinione pubblica; in uno scenario Trump 2.0, guiderà un governo con quasi il 30% di consenso. Le condizioni geopolitiche, nonché le aspettative e aspirazioni della Meloni sono dunque cambiate. Al contempo, le visioni ideologiche dei due presunti alleati politici non combacerebbero come in precedenza: allo stato attuale, un potenziale posizionamento costruttivo della Meloni nei confronti di un presidente democratico la differenzierebbe anche dal partner di coalizione nonché principale nemico politico, Matteo Salvini il quale guida il partito politico italiano, la Lega, da sempre a sostegno di lunga data di Trump. 

La Meloni dovrebbe quindi abbandonare l’approccio politico camaleontico e sviluppare una concreta “strategia Harris”, basata sulla costruttività e che ignori i pregiudizi politici. Considerando l’indietreggiamento politico da lei intrapreso per mantenere il ruolo centrale dell’Italia nell’UE, in un probabile scenario di “Europa con meno America” Meloni dovrebbe dare priorità al mantenimento del dialogo transatlantico rispetto al (dis)allineamento ideologico. 

ECFR non assume posizioni collettive. Le pubblicazioni di ECFR rappresentano il punto di vista degli autori.