Equilibrio di potere: Paesi del Golfo, Russia e sicurezza energetica europea

Il rifiuto delle monarchie del Golfo di schierarsi con USA ed Europa contro la Russia non ha nulla a che vedere con la Russia. Al contrario, questa postura è legata alla scelta di assumere un approccio transazionale a tutela dei propri interessi nazionali e evitare i costi di un allineamento strategico, per navigare il nuovo ordine multipolare.

Aramco petro chemicals (Jubail, Saudi Arabia, 2012)
Immagine di Suresh Bubunair

Nonostante gli europei siano certamente preoccupati delle implicazioni geopolitiche e militari dell’invasione russa in Ucraina, ci sono altri due ambiti in cui l’Europa sta già pagando un prezzo elevato: energia ed economia. In risposta ai tentativi della Russia di strumentalizzare le proprie forniture energetiche, gli europei sono ora determinati a porre fine alla loro dipendenza dal gas russo. L’Unione europea ha preso di recente  l’impegno formale di ridurre le importazioni di gas russo di due terzi entro il 2023. Il petrolio russo – che nel 2020 ha rappresentato il 25% delle importazioni totali di petrolio da parte dell’UE – è stato già sanzionato dagli Stati Uniti e auto-sanzionato dagli acquirenti, che temono discontinuità nella produzione. L’effetto congiunto di queste dinamiche e di precedenti squilibri nei mercati dell’energia hanno spinto i prezzi del petrolio al rialzo, fino a toccare $130 al barile nella prima settimana di marzo. Di conseguenza, aziende e consumatori europei hanno visto le bollette energetiche salire alle stelle. L’Occidente si è rivolto allora ai principali produttori di energia e partner storici nel Golfo, ma ha riscontrato – con grande delusione – una riluttanza di questi ultimi nel prendere posizione nella guerra. 

Il Cremlino, che trae il 40% dei suoi introiti dalle esportazioni di petrolio e gas, ha contattato Qatar, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita per scoraggiarli dall’assumere un atteggiamento ostile sul mercato dell’energia. In questo quadro, Vladimir Putin ha anche inviato una lettera all’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad Al Thani, alla vigilia dell’incontro  del Forum dei Paesi esportatori di gas di febbraio 2022. Il Qatar, che è il più grande fornitore al mondo di gas naturale liquefatto (GNL), ha dichiarato la sua volontà di contribuire alla sicurezza energetica europea qualora le forniture russe venissero interrotte, sottolineando però che il Paese non sarebbe in grado di supplire a tale mancanza da solo. Il Qatar, infatti, ha una ridotta capacità di riserva sul mercato del GNL – il cui prezzo attuale è alle stelle – ma l’UE sta considerando la possibilità di trattare con i clienti asiatici del Paese per instradare verso l’Europa grandi quantità di gas fornito loro sotto contratto. 

Sia il Principe ereditario saudita Muhammad bin Salman e sia la sua controparte emiratina, Muhammad bin Zayed, hanno  parlato con Putin prima di riconfermare il proprio rinnovato impegno in seno a un precedente accordo di produzione firmato nel 2020 dalla Russia e dai membri dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (OPEC) nel formato OPEC+. All’epoca, Riad aveva costretto Mosca a sedersi al tavolo dei negoziati aumentando sostanzialmente la propria offerta di petrolio sul mercato, così da far crollare i prezzi, e addirittura rifornendo direttamente i clienti storici della Russia nell’Europa dell’Est. Gli accordi che l’Arabia Saudita ha firmato questo anno con l’azienda polacca Orlen e quella danese Kalundborg Refinery metterebbero ora Riad in una posizione ancora più favorevole per accedere ai mercati di Polonia, Repubblica Ceca, Lituania e Danimarca. 

Eppure, adesso Riad dichiara di non voler strumentalizzare il petrolio come arma politica per alterare gli equilibri in seno all’OPEC+. Il Paese si è rifiutato più volte di aumentare l’offerta di petrolio per far diminuire i prezzi, nonostante la telefonata del Presidente americano Joe Biden a Re Salman, la visita a Riad del Coordinatore per il Medio Oriente e il Nord Africa della Casa Bianca, Brett McGurk, e dell’inviato del Dipartimento di Stato per l’energia, Amos Hochstein, e la telefonata tra il Presidente francese Emmanuel Macron e il Principe ereditario saudita. All’appello si è unito poi anche il Primo Ministro inglese Boris Johnson, il quale si è recato di persona negli Emirati Arabi Uniti e in Arabia Saudita nella speranza che i suoi rapporti personali con i rispettivi regnanti potessero avere un peso . 

Nonostante l’esitazione a cambiare la propria posizione, le monarchie del Golfo non considerano la Russia come un partner strategico. Questi stati hanno quattro interessi principali legati alla Russia: cooperazione sulle politiche energetiche, accesso a tecnologie militari, investimenti e coordinamento a livello geopolitico. A seguito dell’invasione dell’Ucraina, la Russia si è indebolita su tutti questi fronti. È vero che Mosca è un importante interlocutore del Qatar e dell’Arabia Saudita in seno – rispettivamente – al Forum dei Paesi esportatori di gas e all’OPEC+, ma è anche vero che è un loro concorrente. Se, come è stato ampiamente previsto, la transizione ecologica causerà una riduzione del mercato del petrolio nei prossimi anni, allora la Russia e l’Arabia Saudita sono destinate a una competizione a lungo termine per le quote di mercato.  

Nonostante la firma di accordi strategici con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, la Russia non è in grado di sostituirsi agli Stati Uniti come garante della sicurezza regionale o come partner di difesa strategica. L’obiettivo finale russo in Siria e in Libia è condiviso dagli Emirati Arabi Uniti, ma le politiche russe sono percepite come nettamente opportunistiche. Di fatto, anche se la Russia ha provato di recente a usare l’accordo sul nucleare con l’Iran come leva contro le sanzioni occidentali, sono anni che Mosca oppone resistenza ai tentativi sauditi di contenere l’Iran geopoliticamente. Il rifiuto da parte delle monarchie del Golfo di schierarsi con Stati Uniti ed Europa contro la Russia non ha quindi nulla a che vedere con la Russia. Al contrario, questa postura è legata alla scelta di assumere un approccio transazionale a tutela dei propri interessi nazionali e evitare i costi di un allineamento strategico, per navigare il nuovo ordine multipolare.

Considerando l’l’impegno degli Stati Uniti nel ritirarsi dal loro tradizionale ruolo di garante della sicurezza nel Medio Oriente, i Paesi del Golfo credono che Washington oggi abbia meno da offrire e meno da sottrarre. In realtà, è probabile che vedano presto i limiti della strategia di hedging estremo che hanno adottato.

I Paesi europei, che hanno molta meno influenza degli Stati Uniti nel Golfo, possono accelerare questo processo di razionalizzazione. Gli europei dovrebbero assicurarsi che le monarchie del Golfo comprendano che la creazione di una forte partnership strategica con l’Europa non sarebbe solo un modo di aggirare la Russia nel breve periodo, ma anche il presupposto per la creazione di una strategia decennale per la transizione verde – una strategia che ridurrebbe il rischio di instabilità politica e economica, soprattutto nel Golfo. Per chiarire ciò, il Vicepresidente esecutivo della Commissione europea, Frans Timmermans, e il Commissario per l’energia, Kadri Simson, dovrebbero recarsi in Arabia Saudita come era stato inizialmente previsto per la terza settimana di marzo – una visita che potrebbe essere rinviata a causa della guerra della Russia in Ucraina. 

L’energia avrà un ruolo fondamentale nel prossimo programma di azione congiunta UE-CCG, dal momento che i Paesi europei vedono le monarchie del Golfo come fonti chiave di energia verde e partner per investimenti in questo settore. I leader europei hanno ancora una chance di modificare il documento, che dovrebbe essere pubblicato a breve, per ampliare il proprio impegno con gli Stati del Golfo sulle questioni energetiche. Dovrebbero offrire a questi ultimi un compromesso più allettante sui prezzi del carbonio e la progressiva eliminazione degli idrocarburi, nonché un rafforzato impegno strategico in merito al commercio dell’energia verde, dell’elettricità e del GNL. Con simili offerte di carattere strategico e di lungo periodo, l’Europa può incoraggiare questi Paesi ad abbandonare la propria postura di extreme hedging dove altri hanno fallito.

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