Covid-19 e solidarietà europea: la lotta per ciò che siamo

È il momento che l'UE sfrutti l’occasione per cambiare e proteggere i cittadini senza chiudersi in se stessa.

Immagine di Tim Dennell
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Nelle ultime settimane i titoli dei giornali, i feed dei social media, le conversazioni private e le conference call di lavoro si sono tutti concentrati sul Covid-19. La crisi ci sta mettendo alla prova in un modo senza precedenti. Con circa metà della popolazione mondiale in isolamento, il nostro stile di vita è stato rivoluzionato: lavorare, viaggiare, fare i pendolari e passare (o non passare) del tempo con i nostri amici e le nostre famiglie, tutto è cambiato. Questa rivoluzione continuerà in modi che non possiamo prevedere. La prospettiva di un tale cambiamento può essere sia eccitante che terrificante: non abbiamo alcun controllo sulla situazione e possiamo solo rispettare le raccomandazioni del governo. In ogni caso, l’imprevedibilità di una crisi di tale portata avrà conseguenze economiche disastrose, rendendo previsioni, pianificazione e organizzazione  un vero e proprio inferno per i decision-makers di tutto il mondo.

La reazione immediata degli Stati è stata quella di rinchiudersi in se stessi, di chiudere le frontiere e limitare la cooperazione economica e politica con gli altri Paesi. Nonostante ciò, coordinarsi e cooperare senza alcun contatto umano sarebbe troppo complesso. Diplomazia, affari esteri e cooperazione internazionale si sono adattati alle moderne tecnologie, rendendo le teleconferenze parte integrante del modus operandi della maggior parte delle organizzazioni. La tecnologia digitale può fare molto, riuscendo a riunire tutti i continenti, ma non può ancora sostituire l'interazione e il contatto umano, in quanto costituiscono l'essenza di ciò che siamo.

Data la forte tentazione all’isolamento, è degno di nota come la stragrande maggioranza dei governi europei sembri consapevole della necessità di unire le forze. Come dichiara l'Alto rappresentante dell'Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell: “Solo unendo le forze e cooperando a livello transfrontaliero potremo sconfiggere il virus e limitarne le conseguenze – e in questo l'UE ha un ruolo centrale da svolgere”. Gli europei sono ora all’epicentro della crisi del multilateralismo che molti hanno lamentato negli ultimi anni – e il ruolo dirompente degli Stati Uniti non fa che aggravare i problemi che devono affrontare. Tuttavia, è proprio per questo motivo che l'UE può dimostrare di essere il naturale difensore dell'ordine multilaterale, essendo questo alla base della sua politica estera nonostante i disaccordi interni sulla questione.

Ancora una volta, l'UE si trova vulnerabile all'opportunismo statunitense. Dopo aver preso inizialmente le distanze dalla crisi, l'amministrazione Trump vietato l’ingresso ai viaggiatori provenienti dall'UE e ha cercato di acquistare una compagnia tedesca che stava lavorando su un vaccino per il Covid-19. L'amministrazione ha insistito affinché alcune zone degli Stati Uniti potessero tornare alla normalità prima di altre, solo per poi estendere le misure di allontanamento sociale fino al 30 aprile. La posizione di Washington segue ormai da tanto tempo la filosofia trumpiana “America First” e per questo spetta all'UE sostenere il sistema multilaterale. L’Europa dovrebbe diventare il motore di nuove iniziative tra Paesi europei e quelli del G7, del G20 e dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.

La raison d’être  dell'UE è sempre stata la prosperità e la convinzione, nata dopo la seconda guerra mondiale, che una maggiore interdipendenza economica avrebbe promosso la pace tra i Paesi europei. Questo approccio ha funzionato sia per l’Europa che per le relazioni transatlantiche. Tuttavia, l'interdipendenza economica non ha protetto tutti gli interessi dell'Europa in materia di sicurezza, sia che si trattasse di sicurezza in senso tradizionale o, come sempre più evidente durante l'attuale crisi, di sicurezza umana. In un momento in cui stiamo limitando contatti e interazioni umane, dobbiamo sostenere l'idea che si tratta di un meccanismo di solidarietà a lungo termine: stiamo proteggendo non solo noi stessi ma anche molte persone sconosciute intorno a noi. Sono gesti semplici eppure vitali. Essi incarnano ciò che l'UE rappresenta e ciò che noi siamo nel profondo: individui in un collettivo.

È giunto il momento che l'UE sfrutti la propria abilità trasformativa, e che protegga i cittadini senza rinchiudersi in se stessa. Deve definire nuovi standard di protezione, salute e sicurezza sociale e quale modo migliore per raggiungere questo obiettivo se non quello di rafforzare la sovranità europea sulle questioni sanitarie? Questo non per suggerire che l'UE dovrebbe assumere le competenze sanitarie degli Stati membri, ma per sostenerli quando necessario. Concretamente, questo si tradurrebbe nel trattamento dei pazienti francesi e italiani negli ospedali tedeschi, nelle spedizioni di attrezzature mediche in Italia, nel sostegno ai cittadini dell'UE che tornano a casa, e persino nell'approvazione da parte della Banca Centrale Europea di un programma di acquisto dei debiti pari a 750 miliardi di euro e nella promessa di fare “tutto il necessario” per affrontare la crisi.

Ci è voluto un po' di tempo affinché l'UE reagisse in modo adeguato al coronavirus. Ora ha iniziato a farlo, dimostrando di poter soddisfare le aspettative di una risposta alla crisi a livello europeo dei cittadini. La sovranità e il potere dell'UE non si scontrano con quello degli Stati membri; al contrario, si completano e si rafforzano a vicenda. Questa è una crisi in cui gli europei hanno la responsabilità di dimostrare umanità, solidarietà ed efficienza, ma soprattutto di difendere ciò che siamo.

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