“Come ottenere un consenso consapevole”, Marta Dassù, La Stampa

Marta Dassù, Consigliere ECFR, per La Stampa, parla di elezioni europee e della necessità di creare un consenso attivo sull’Europa tra i cittadini

COME OTTENERE UN CONSENSO CONSAPEVOLE

Marta Dassù, La Stampa, 24 maggio 2014

È vero, come molti scrivono, che nella campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo non si è parlato di Europa? La realtà sembra diversa: per la prima volta dal 1979 – anno della introduzione delle elezioni dirette del Parlamento di Strasburgo, che oggi ha 751 membri – di Europa si è parlato solo che, quando finalmente se ne è parlato, è anche emerso un vasto dissenso, sfruttato dalle forze nazionaliste e populiste in ascesa un po' dovunque nel Vecchio Continente. L'Europa, insomma, ha cessato di essere un tabù. E divide: cosa evidente da anni in altri paesi ma non in Italia, dove l'Europa è spesso stata vissuta come una sorta di «patria» sostitutiva. Se l'Europa non è più un tabù, è giusto che se ne possa e debba discutere. Ma perché il dibattito sull'Europa non diventi, da fideistico, un dibattito strumentale, è bene non perdere di vista due aspetti fondamentali. Primo: l'Europa è una dimensione della politica interna, anzitutto nel senso che una quota crescente della legislazione nazionale è di derivazione europea. E' decisa quindi anche da noi, quando siamo seduti a Strasburgo e a Bruxelles, ma dipende dal nostro peso negoziale. Per questa ragione, solidità domestica e capacità negoziale in Europa si saldano: senza tanti complimenti, l'Ue rispecchia in effetti la debolezza e la forza delle sue singole componenti. Ciò significa, fra l'altro, che la politica europea è diventata nel tempo una politica «intradomestica», più che appartenere alla sfera della politica estera. Non c'era alcun bisogno, per capirlo, di denunciare complotti. L'interferenza reciproca è ormai una componente fisiologica delle dinamiche europee. Sono motivi che spingono a votare, invece che ad astenersi; e che rendono assai poco credibili progetti vari di «isolazionismo» nazionale. Secondo: proprio perché i confini fra Unione e nazioni sono diventati labili, l'Europa non può che essere oggetto di scontro politico interno. Come è abbastanza naturale a valle della prima crisi esistenziale che ha colpito l'euro, gli euroscettici e gli anti-europei hanno i loro argomenti. Il problema – per gli europeisti pragmatici o ideali – non è demonizzarli. E' di articolare in modo convincente le ragioni per cui i benefici dell'appartenenza all'Ue sono superiori ai costi di una sua disgregazione; e di spiegare con quali scelte e alleanze politiche la legislatura europea che si conclude nel 2014 – la legislatura che ha salvato l'euro al prezzo dell'austerità – lascerà posto alle priorità della crescita e dell'occupazione. Il punto, in questo caso, è che il confronto sull'Europa, quando non diventi strumentale, è salutare. Il progetto europeo, nato dal trauma delle grandi guerre del secolo scorso, è stato per decenni un progetto delle élites, che ha goduto del consenso passivo e abbastanza inconsapevole della gente. La sfida di oggi è di ottenere un consenso attivo; dimostrando che Europa e democrazia possono rafforzarsi a vicenda. Se l'Ue è ormai parte del dibattito politico nazionale, resta difficile capire se possa anche diventare uno spazio politico transnazionale, come richiederebbe un'Unione con aspetti federali. Come è noto, le principali famiglie europee hanno indicato il loro candidato a presidente della Commissione. Vedremo se questo meccanismo, in parte contemplato dal Trattato di Lisbona, riuscirà davvero a ridurre i tassi di astensionismo. E vedremo se l'indicazione vincente verrà rispettata, alla prova dei fatti, dal Consiglio europeo. Fra il Consiglio, ossia la Camera degli Stati, e il Parlamento europeo, quella dei popoli, la tensione resta notevole; mentre la Commissione, terzo lato del triangolo istituzionale europeo, appare fortemente indebolita. Sarà decisivo evitare – la presidenza italiana avrà il problema sul tavolo – un immediato stallo istituzionale. Per funzionare, l'Ue ha bisogno sia di accordi fra gli Stati nazionali (e anzitutto di un'intesa Germania-Sud, dopo la frattura geopolitica degli ultimi anni), sia di una sorta di «grande coalizione» su scala continentale per il rilancio dell'economia. La nuova Commissione funzionerà se rifletterà entrambe queste condizioni. Altrimenti, l'Ue perderà ancora tempo e consenso. Con le lentezze, gli errori e le incertezze degli anni passati, l'euro è stato difeso: a prezzi politici e costi sociali molto alti. La crisi finanziaria è stata, per l'Europa, una forma di guerra contemporanea. Le elezioni europee di questa settimana sono sul dopoguerra. L'euro è salvo. I risultati diranno se lo è anche l'Ue.

PS: Il 25 maggio le elezioni a cui guardare saranno anche quelle in Ucraina. Per chi valuti le sfide della sicurezza esterna, salvare e rafforzare l'Ue, dopo l'euro, appare tanto più necessario

 

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