Amici-nemici: Perché von der Leyen dovrebbe ricucire il suo rapporto con la Meloni
I rapporti tesi tra Roma e Bruxelles rischiano di indebolire le potenzialità di entrambe le parti in politica estera. Per mantenere un fronte unito, la presidente della Commissione europea farebbe meglio a porgere un ramoscello d’ulivo e ad affidare un ruolo di vicepresidente al commissario scelto dall’Italia
Mentre la corsa ai ruoli di vertice nell’Unione Europea proseguirà nel mese di settembre, il primo ministro italiano Giorgia Meloni ha fatto una scelta conciliante per il ruolo di commissario. Roma ha nominato Raffaele Fitto, attuale ministro per gli Affari europei, membro del suo partito Fratelli d’Italia ed ex membro del Partito Popolare Europeo (PPE). Fitto è una figura politica moderata che mantiene buoni rapporti con i colleghi centristi. La nomina costituisce probabilmente un tentativo di appianare le divergenze con Ursula von der Leyen, dopo che Meloni si è astenuta dal votarla come presidente della Commissione europea e il suo partito ha votato contro di lei a luglio. Ma mentre l’UE si trova ad affrontare le crescenti sfide globali, spetta alla von der Leyen prendere il controllo della situazione e assicurarsi che Roma sia ancora dalla sua parte.
Da quando è salita al potere, la Meloni ha assunto una posizione piuttosto opaca all’interno della politica europea. Inizialmente vista come un potenziale ponte tra le forze politiche europee tradizionali e i movimenti nazionalisti in ascesa, ha cercato di bilanciare le sue radici ideologiche con una posizione più centrista sulla scena europea. Questo ha procurato alla Meloni una reputazione più credibile e pragmatica a Bruxelles, soprattutto su dossier di politica estera come il sostegno all’Ucraina o l’abbandono di una politica filo-cinese.
Le sue recenti mosse, tuttavia, hanno dimostrato grande delusione per la direzione politica che l’UE ha preso dopo l’elezione del Parlamento europeo. La sua ambizione dichiarata l’avrebbe portata a creare una maggioranza alternativa nel Parlamento europeo che replicasse il modello italiano (un’alleanza tra destra e centristi). Ma così non è stato.
Questo approccio si è ritorto contro di lei. La scelta di Von der Leyen di cercare un accordo con il partito dei Verdi ha fatto sì che l’alternativa politica offerta dalla Meloni non fosse più necessaria. Ora, con il ritorno dei leader a Bruxelles, il primo ministro italiano si trova in una posizione molto debole. L’aver detto no a Von der Leyen durante l’estate e il conseguente inasprimento dei loro rapporti rischia di mettere l’Italia – e l’UE – in una posizione difficile.
L’Italia non può permettersi di isolarsi in un momento in cui il Paese ha bisogno di una cooperazione europea più forte: nelle prossime settimane, il governo italiano chiederà alla Commissione di approvare il suo piano di bilancio per i prossimi cinque anni. Inoltre, una cooperazione più debole tra Roma e Bruxelles rischia di emarginare il Paese nei processi decisionali dell’UE, limitando la capacità dell’Italia di affrontare efficacemente le sfide di politica estera. Ad esempio, la migrazione – una delle questioni più importanti per Roma – richiede il sostegno e il coordinamento dell’UE, così come il Piano Mattei dell’Italia per una maggiore cooperazione africana e il nuovo progetto IMEC (India-Middle East-Europe Corridor) – su cui sia Meloni che von der Leyen sembrano puntare molto come alternativa alla Belt and Road Initiative della Cina.
Ma anche l’UE ha bisogno dell’Italia per mantenere le sue prerogative di politica estera. La politica industriale europea, la sua posizione nei confronti della Cina, il sostegno all’Ucraina, così come la politica nei confronti del Mediterraneo, dell’Africa e dell’India richiedono una posizione comune europea e un importante contributo italiano. In Nord Africa e nel Sahel, ad esempio, Roma rimane uno dei pochi attori europei con un ruolo attivo dopo che un’ondata di sentimenti antifrancesi ha limitato il margine di manovra di Parigi e la Germania ha impegnato solo brevemente le sue risorse politiche e militari nella regione.
Il governo italiano è anche influente sull’Ucraina. Recentemente, Roma si è opposta all’uso delle armi europee fornite a Kiev per scopi non solo difensivi. Questa mossa è stata dettata da ragioni di politica interna (per lo più un’opinione pubblica italiana cauta e pacifista), ma non è nulla che un maggiore negoziato tra von der Leyen e Meloni non possa risolvere. Ad esempio, la Commissione potrebbe convincere l’Italia a revocare la sua decisione in cambio della garanzia di un ruolo di primo piano per Fitto o di un rinvio della scadenza per l’utilizzo dei fondi NextGenerationEU, come chiesto dall’Italia.
In futuro, la partita è nel mani della von der Leyen. Potrebbe punire e isolare ulteriormente l’Italia o porgere un ramoscello d’ulivo. A giugno, il presidente francese e il cancelliere tedesco, tra gli altri, hanno chiesto di escludere il partito della Meloni dalla maggioranza del Parlamento europeo. Ora potrebbero essere tentati di estendere un cordone sanitario alla Meloni, come è stato fatto con le forze populiste e filorusse come il partito francese Rassemblement National. I Verdi e i liberali, ad esempio, sembrano già avere problemi con la candidatura di Fitto. Altri, come il presidente del PPE Manfred Weber, che in passato ha tentato senza successo di portare la Meloni all’interno dell’arena centrista, sono più favorevoli ad un’apertura verso il governo italiano e a dare al commissario italiano Fitto un portafoglio importante (il governo Meloni chiede una vicepresidenza esecutiva con importanti deleghe economiche).
Sarebbe controproducente per la von der Leyen adottare un atteggiamento punitivo e mettere all’angolo la Meloni. Questo non farebbe altro che spingere l’Italia ancora più a destra e lontano dalla cooperazione con Bruxelles. È difficile pensare che proprio quando la politica estera europea ha bisogno di essere forte, l’UE possa contare solo sull’asse Parigi-Berlino, soprattutto quando questi due Paesi sono così deboli sul piano interno.
Piuttosto, la richiesta dell’Italia di una vicepresidenza con portafoglio economico dovrebbe essere accolta con favore (come la von der Leyen sembra intenzionata a fare). Ciò potrebbe permettere di cooptare il governo italiano per integrarlo maggiormente nel cuore dell’Europa. Allo stesso tempo, distribuire più responsabilità spesso rende più responsabili. Nonostante sarebbe alquanto surreale che il controllo dei fondi della NextGenerationEU venisse affidato al Paese che ne riceve di più e che attualmente chiede una modifica della scadenza dei fondi, la von der Leyen ha opzioni limitate.
Tuttavia, Meloni ha dimostrato i limiti del suo pragmatismo. Votando contro la von der Leyen, sembra scommettere su un potenziale ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, che permetterebbe alla sua ideologia di riacquistare centralità nell’UE. È una scelta rischiosa. Se vince Kamala Harris, è probabile che la Meloni debba continuare, forse controvoglia, la sua convergenza verso il centro. Se vince Trump, sarà incoraggiata a optare per politiche più populiste e a fare da ponte tra gli Stati Uniti e l’UE. Questo è quindi un motivo in più per von der Leyen per riportare l’Italia dalla sua parte prima che l’alleato della Meloni oltreoceano abbia la possibilità di incoraggiarla nella direzione opposta.
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