La vittoria di Enrico Letta

Mercoledì scorso il primo ministro Enrico Letta e il suo governo hanno ricevuto il voto di fiducia con larga maggioranza sia al Senato che alla Camera dei Deputati. Le dimissioni dei ministri del Popolo della Libertà avvenuta il 29 settembre in seguito alla richiesta di Silvio Berlusconi hanno indotto il primo ministro a chiedere il voto di fiducia in Parlamento facendo vacillare la coalizione di governo. Nonostate il primo ministro abbia rifiutato le dimissioni dei ministri PDL, esse hanno innescato una crisi politica generando rinnovata istabilità.

La vittoria di Enrico Letta

Mercoledì scorso il primo ministro Enrico Letta e il suo governo hanno ricevuto il voto di fiducia con larga maggioranza sia al Senato che alla Camera dei Deputati. Le dimissioni dei ministri del Popolo della Libertà avvenuta il 29 settembre in seguito alla richiesta di Silvio Berlusconi hanno indotto il primo ministro a chiedere il voto di fiducia in Parlamento facendo vacillare la coalizione di governo. Nonostate il primo ministro abbia rifiutato le dimissioni dei ministri PDL, esse hanno innescato una crisi politica generando rinnovata istabilità.

Il motivo ufficiale delle dimissioni è stata l’opposizione del PDL a qualsiasi tipo di aumento fiscale, quindi la decisione di aumentare l’IVA di un uleteriore 1%  (portandola al 22%) è stato considerato inaccettabile dai ministri. Tuttavia, non è un segreto che Berlusconi abbia chiesto ai “suoi” ministri di dimettersi pochi giorni prima del voto al Senato sulla sua interdizione dai pubblici uffici in seguito alla condanna per evasione fiscale.

Forti sono state le reazioni sia a livello nazionale che europeo. La risposta iniziale del mercato italiano è stata dura dal momento che lo spread è aumentato di 22 punti base da 265 pb il 27 settembre a 287 pb il 1 ottobre. Tuttavia, non appena la notizia di una possibile scissione del PDL diventava sempre più reale, la borsa di Milano registrava un aumento di ben 3 punti percentuali. I sindacati e Confindustria hanno espresso preoccupazione riguardo l’instabilità politica ed economica che sembra diventare cronica, e il Ministro degli Esteri Emma Bonino ha dichiarato che l’instabilità politica avrebbe potuto mettere a repentaglio sia il rinnovato impulso dell’Italia nella politica estera che la sua abilità di amministrazione della prossima presidenza italiana del Consiglio dell’Unione Europea a cominciare dal secondo semestre del 2014.
Anche l’Unione Europea ha espresso unanimamente il supporto a Letta, da Angela Merkel a José Manuel Barroso e Martin Schulz. Non a caso, sin dall’inizio del suo mandato Letta ha dimostrato di essere un convinto europeista. Il Presidente della Commissione europea Manuel Barrosso, in un tentativo di arginare la crisi, ha telefonato a Berlusconi per esprimere preoccupazione affermando che una crisi di governo in Italia, la terza economia d’Europa, avrebbe messo a repentaglio la stabilità dell’intera UE. Angel Gurria, segretario generale dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, si è aggiunto ai moniti   sottolineando come l’instabilità avrebbe costituito un ostacolo per la ripresa dell’Italia.

Il risultato del voto di fiducia ha reso Letta e il suo governo più forti di prima. E forse ha anche reso Berlusconi più debole di quanto non lo sia mai stato, nonostante gli italiani abbiano imparato a non credere mai alla fine della carriera politica di Berlusconi. Come ho scritto in un post precedente, Letta è giovane, ma ha esperienza. Durante la crisi ha dimostrato di essere un vero leader. I suoi discorsi al Senato e alla Camera sono stati pacati, ma carismatici. Letta ha fortemente respinto la definizione che i giornalisti hanno attribuito al suo governo, il “governo del rinvio”. Infatti, ha sottolineato i successi dei suoi cinque mesi di governo e ha stilato dieci punti d’azione per la ripresa dell’Italia: un rinnovato impegno nel mantenere gli obblighi presi con l’UE, cominciando con una serie di incontri con i maggiori leader europei; la riforma del sistema fiscale, con particolare attenzione alla lotta all’evasione; la riduzione dei costi del lavoro; e una nuova politica industriale basata soprattutto  sulle PMI, l’ambiente e la tecnologia. Ha anche messo in evidenza la necessità di affrontare il problema dell’altissimo tasso di disoccupazione giovanile (ora al 40,1%) e ridurre i costi della politica. Ha avvertito i parlamentari che l’Italia “corre un rischio, un rischio fatale” che dipende dalle loro scelte, ha affermato che l’Italia manterrà tutti gli impegni europei, e ha ribadito la sua volotà di creare gli “Stati Uniti d’Europa” se non per un ideale, almeno per necessità.
Ma la vera notizia va oltre il successo di Enrico Letta. Mentre al Senato il suo partito stava contando i voti mancanti per ottenere la fiducia tra i dissident del Movimento 5 Stelle e altri senatori appartenenti al gruppo misto, con la convinzione che i senatori PDL avrebbero seguito il loro leader senza questioni, il vice primo ministro e segretario del PDL, Angelino Alfano, decideva di opporsi ai diktat di Berlusconi e concedere la fiducia al governo. La decisione è stato il primo eclatante colpo di scena. La decisione di Alfano è stata immediatamente seguita da una dichiarazione ufficiale di 25 senatori PDL disposti a creare un nuovo gruppo parlamentare. In mezz’ora il governa Letta è passato dalla disfatta a una nuova e più forte maggioranza.

A quel punto, un nuovo avvenimento ha apparentemente stupito tutti dal PDL al Partito Democratico: Berlusconi annuncia ufficialmente che lui e il suo partito avrebbero votato a favore del governo Letta e così è stato. Per la prima volta Berlusconi si è reso conto di non essere più circondato da “yes men”. E mentre per la prima volta Alfano ha dimostrato segnali di indipendente capacità di comando, Berlusconi per la prima volta ha compreso che la sua posizione come capo del partito era in serio pericolo e che merttersi in opposizione al governo avrebbe significato la rottura del PDL.
Quindi, tanto rumore per nulla? No

Mentre forse il PDL andrà incontro ad una scissione interna, la rinnovata forza del governo lo lascia libero da interferenze e quindi libero di perseguire e mettere in atto le sue promesse. Questo certamente ha più profonde implicazioni: non più scuse per i ritardi delle riforme nazionali. Questo governo ha una scadenza molto chiara : il 2015. Da questo momento deve gestire un enorme debito pubblico, livelli insostenibili di disoccupazione giovanile, mettere in atto le riforme strutturali, combattere l’evasione fiscale e la corruzione, spingere la crescita, aumentare la competitività e attrarre investimenti esteri. Queste sono cose che devono essere fatte a casa con l’aiuto e il supporto degli stati membri e delle istituzioni dell’UE, tenendo presente che la responsabilità risiede sempre a livello nazionale. I prossimi giorni mostreranno se il governo non è più ostaggio delle tribolazioni personali di Berlusconi.

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