DALL’INVIATO A BEIRUT. Una generazione di quarantenni per portare l’Arabia Saudita nella modernità e in una posizione di leadership nel mondo. È il progetto del principe Mohammed bin Salman, pronto a cogliere l’occasione della presidenza di turno del G20 per proiettare un’immagine diversa del Regno, e far svanire una volta per tutte le ombre del caso Khashoggi.

A un anno dall’assassinio del giornalista Bin Salman ha cambiato squadra di governo e portato ai vertici principi più giovani e in sintonia con lui, che di anni ne ha 34. La pedina più importante è il nuovo ministro degli Esteri, Faisal bin Farhan Al-Saud, classe 1974. Ha debuttato venerdì al summit delle 20 nazioni più ricche del Pianeta, a Nagoya in Giappone. Bin Farhan ha raccolto la staffetta dal collega giapponese e il primo dicembre presenterà il programma della presidenza saudita, che sarà incentrato su «innovazione globale, prosperità attraverso il rafforzamento dei popoli e la conservazione del Pianeta», in linea con «i principi guida della Vision 2030».

La prima stagione turistica
Bin Salman vuole sfruttare la presidenza del G20 per rendere irreversibile l’apertura del Regno al mondo, che sempre a dicembre conoscerà una tappa fondamentale, l’inizio della prima stagione turistica aperta ai visitatori asiatici e occidentali non musulmani. Il principe punta a sviluppare i resort in costruzione sulle coste del Mar Rosso e nelle oasi nel deserto, a partire da quella di Al-Ula, la «Petra saudita». Anche per questo aveva bisogno di un volto nuovo alla guida degli Esteri. La scelta è andata su Bin Farhan, che tra l’altro ha coperto un ruolo importante all’ambasciata a Washington, come consigliere capo, proprio nel periodo dell’uccisione di Jamal Khashoggi. L’ambasciata era guidata allora dal fratello del principe, Khaled. In uno dei momenti più difficili per i giovani figli di Re Salman, Bin Farhan si è guadagnato assoluta fiducia. Ma soprattutto il nuovo capo della diplomazia è un «occidentale», nato in Germania, con solidi legami con l’alleato americano e persino un look «moderno» e allineato ai tempi.

Per Cinzia Bianco, analista all’European Council on Foreign Relations, «è dinamico, propositivo e imporrà uno stile diverso dai predecessori Adel al-Jubeir e Ibrahim al-Assaf». Nel rimpasto di governo è stato anche sostituito il ministro dei Trasporti, Nabil al-Amoudi, caduto in disgrazia dopo l’incidente che ha causato la morte di 35 pellegrini e una serie di negligenze nella gestione del turismo religioso alla Mecca e Medina. Il nuovo titolare, Saleh bin Nasser Al-Jasser, un altro quarantenne, avrà l’incarico di adattare la rete dei trasporti alle nuove esigenze del turismo di massa. Il «dispotismo illuminato» di Bin Salman sale quindi verso i vertici, dopo che ha liquidato gli ulema più conservatori, finiti a centinaia in galera, e anche gli oppositori all’interno della famiglia reale, con la «retata» al Ritz Carlton dell’ottobre del 2017.

Il principe non ha molto tempo. Le riforme richiedono investimenti massicci, la privatizzazione di Aramco, che doveva procurare 100 miliardi di dollari, si è risolta con una vendita soltanto sul mercato interno, che apporterà poco più della metà. Le riforme economiche hanno comportato il taglio dei sussidi per carburanti, elettricità, scuole, ospedali, e alimentano malcontento. Quasi due milioni di immigrati asiatici sono stati cacciati in quattro anni per far spazio a giovani sauditi, ma ancora non basta. Servono massicci afflussi di investimenti stranieri e più posti di lavoro. Per questo l’immagine dei «leader dei G20» è importante, così come le iniziative negli spettacoli, nel turismo, gli eventi come la finale di Supercoppa italiana il 22 dicembre a Riad e la partenza da Gedda, il 5 gennaio, della prima Parigi-Dakar nei deserti arabici.

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